L’Adunanza Plenaria e il divieto di designazioni “a cascata” per i Consorzi di cooperative

È illegittima la designazione “a cascata” dell’impresa esecutrice di un appalto pubblico da parte del Consorzio di cooperative concorrente, ma tuttavia tale operazione non osta alla legittimità dell’eventuale aggiudicazione in capo al Consorzio che abbia provveduto ad indicare in sede di offerta l’impresa consorziata da cui sarebbero stati eseguiti i lavori (designazione di primo grado).

Questo in sintesi è quanto affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 14 del 20 maggio 2013, che ha affrontato il problema della legittimità della designazione di secondo grado o “a cascata” che si verifica quando ad una gara di appalto partecipi un Consorzio tra società cooperative.

Nel caso di specie l’impresa appellante, mandataria del RTI secondo classificato, lamentava l’illegittimità della mancata esclusione del Consorzio aggiudicatario per aver designato quale esecutrice dei lavori una società cooperativa consorziata, che a sua volta aveva indicato come esecutrice una terza impresa semplicemente “associata” alla cooperativa, per contrasto con quanto disposto dal comma 7 dell’art. 37 del Dlgs 163/2006 (“i consorzi di cui all’art. 34 comma 1 lett. b) sono tenuti ad indicare, in sede di offerta, per quali consorziati il consorzio concorre”). In buona sostanza, secondo la tesi dell’appellante, la designazione a cascata sarebbe possibile e legittima solo in caso di impresa consorziata che designi a sua volta un’altra consorziata, come affermato dall’Acvp con deliberazione 10 gennaio 2007.

L’Adunanza Plenaria, richiamandosi alla pregressa giurisprudenza del Consiglio di Stato, ribadisce “la non conformità alla legge della designazione di secondo grado, rilevando che l’art. 13, comma 4, della legge n. 109 del 1994 (ora art. 37, comma 7, del d.lgs. n. 106 del 2006), al fine di salvaguardare una specifica categoria di imprese e di incentivare la mutualità, ha inteso assegnare rilievo funzionale solo al rapporto organico che lega il Consorzio concorrente alle imprese o altri consorzi in esso direttamente consorziati e che ne costituiscono, come detto, una sorta di interna corporis (sicché l’attività compiuta dai soggetti consorziati è imputata organicamente al Consorzio concorrente, come unico ed autonomo centro di imputazione e di riferimento di interessi); ma non anche al rapporto, di secondo grado, che finirebbe per collegare il Consorzio aggiudicatario ad un soggetto terzo (ancorché preventivamente designato, in sede di gara, dalla società chiamata ad eseguire i lavori dal Consorzio concorrente, poi risultato aggiudicatario)”. E la ragione è semplice, poiché “in tal modo il Consorzio aggiudicatario finirebbe per avvalersi, invero, dell’attività svolta da un soggetto terzo rispetto al medesimo e non da esso direttamente designato come esecutore dei lavori”.

Tuttavia, sempre in forza del richiamato orientamento giurisprudenziale, “l’indicazione di una sub-affidataria dei lavori (…) vitiatur sed non vitiat, nel senso che non impedisce di conservare legittimamente l’aggiudicazione in capo al Consorzio, purché questo abbia provveduto – come in effetti è avvenuto – ad indicare in sede di offerta l’impresa consorziata da cui sarebbero stati eseguiti i lavori stessi. E’ questo, infatti, l’unico specifico adempimento imposto dall’art. 37, comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006, con conseguente irrilevanza dei comportamenti posti in essere sul punto dalla consorziata designata”.

Difatti, la legge riconosce al Consorzio aggiudicatario la facoltà di indicare, quale esecutore, una diversa propria consorziata, ove, per motivi sopravvenuti, la prima designata non sia in condizione di svolgere compiutamente la prestazione.

 

Per ulteriori approfondimenti, si rinvia al testo integrale della pronuncia in commento (Cons. Stato Ad. Plen. n. 14 del 20 maggio 2013).

Redazione

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