Il danno da mero ritardo dopo il decreto del “fare”

Dall’introduzione del dovere di concludere il procedimento entro un termine prestabilito, risalente alla legge 241 del 1990, il legislatore si è sforzato di escogitare rimedi efficaci nel caso in cui tale obbligo non fosse rispettato dall’ufficio. Così è stata prevista una specifica responsabilità disciplinare del responsabile del procedimento (che nei casi estremi diventa responsabilità penale), l’intervento sostitutivo del superiore gerarchico, il ricorso giurisdizionale contro il silenzio, e infine il risarcimento del danno da ritardo.

L’ultima novità è l’introduzione, con l’art. 28 del decreto del “fare” (n. 69/2013), di una forma di indennizzo automatico da ritardo nella conclusione del procedimento. Secondo le nuove norme, le pubbliche amministrazioni corrispondono all’interessato, a titolo di indennizzo per il mero ritardo, una somma pari a 30 euro per ogni giorno di ritardo, con decorrenza dalla data di scadenza del termine del procedimento a istanza di parte, per cui la legge prevede l’obbligo di pronunciarsi.

Ma sono diverse le limitazioni di questo strumento. Innanzitutto il risarcimento non è affatto automatico: in primo luogo occorre che l’interessato abbia richiesto al superiore gerarchico entro un termine perentorio di sette giorni un intervento sostitutivo, a quel punto l’indennizzo scatterà solo nel caso in cui anche il superiore gerarchico non rispetti il termine previsto per l’esercizio del potere sostitutivo.

La somma dovrà essere complessivamente non superiore a 2.000 euro, realizzando quindi un risarcimento parziale; per ogni risarcimento ulteriore occorrerà provare il dolo o la colpa.

Nel caso in cui il titolare del potere sostitutivo non emani il provvedimento nel termine o non liquidi l’indennizzo maturato a tale data, l’istante può proporre ricorso al TAR. Ma se il ricorso è dichiarato inammissibile o è respinto in relazione all’inammissibilità o alla manifesta infondatezza dell’istanza che ha dato avvio al procedimento, il giudice condannerà il ricorrente a pagare in favore dell’amministrazione una somma da due volte a quattro volte il contributo unificato.

In ogni caso il nuovo rimedio ha carattere provvisorio e sperimentale, dato che vige solo per i procedimenti riguardanti l’avvio e l’esercizio dell’attività di impresa iniziati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, e solamente trascorsi 18 mesi da questa data si stabilirà se confermarlo, rimodularlo o abbandonarlo.

Va segnalato che è nell’aria una modifica significativa della normativa in sede di conversione del decreto, allo scopo di aumentarne l’utilità. Probabile che l’indennizzo venga esteso a tutti i procedimenti a istanza di parte (quindi non solo alle imprese) e che la procedura per l’ottenimento venga semplificata.

Redazione

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