L’art. 29 della Legge Biagi (d.lgs. 276/2003) al secondo comma dispone, a tutela del lavoratore, che nell’ipotesi di appalto di servizi o opere , il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto.
Nel silenzio della norma,e con l’avallo di una parte della giurisprudenza, tale responsabilità solidale si estendeva anche all’ipotesi in cui il committente dell’appalto fosse un ente pubblico.
Oggi, con l’entrata in vigore della norma di interpretazione autentica contenuta all’art. 9 del decreto legge n.76/2013, risulta chiaramente che le disposizioni di cui al succitato art. 29 della c.d. Legge Biagi non si applicano in relazione ai contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni.
Ciò per evitare una ricaduta a catena sui fondi pubblici degli inadempimenti contributivi e retributivi di appaltatori e subappaltatori privati.
Fortunatamente, per porre un freno alla confessata disparità di trattamento tra lavoratori che prestino attività per committenti pubblici e quelli che la prestino per committenze private, soccorrono gli istituti dell’intervento sostitutivo contributivo e dell’intervento sostitutivo retributivo, normati dal Regolamento di attuazione ed esecuzione del codice dei contratti Pubblici.
Il primo, che consente agli istituti previdenziali di sostituirsi all’appaltatore o al subappaltatore al fine di ottenere il pagamento dei contributi direttamente dalla stazione appaltante. Ed il secondo, che consente ai lavoratori, in caso di mancato pagamento delle retribuzioni, di ottenere le mensilità arretrate direttamente dal committente pubblico.