Appalti: gli avvocati amministrativi contro l’aumento del contributo unificato

È di qualche settimana fa la notizia dei due ricorsi presentati alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dall’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativi e dall’ANCE di Ragusa avverso la misura del contributo unificato dovuto in materia di appalti e servizi pubblici.

Abbiamo chiesto all’avvocato Zambelli, presidente della suddetta associazione degli avvocati, alcuni chiarimenti sul ricorso presentato e su cosa ne pensi della questione.

È bene premettere che per quanto riguarda il contenzioso amministrativo e solo con riferimento alla materia degli appalti pubblici il contributo unificato è stato via via aumentato fino a rendere inaccessibile la proposizione di un ricorso amministrativo in tema di appalti pubblici.

Già con legge finanziaria per l’anno 2007 il Legislatore dispose un ingiustificato aumento del contributo unificato portandolo a euro 2.000,00; successivamente nel 2011 lo stesso rincarò la dose portando la misura del contributo unificato a euro 4.000,00 ( art. 37 del D.lgs. n. 98 del 6 luglio 2011)

Da ultimo, l’art 1, comma 25, della legge finanziaria per l’anno 2013 ( c.d. legge di stabilità ), ha nuovamente disposto un ulteriore aumento del contributo unificato anche questa volta solo con riferimento alla materia degli appalti pubblici.

Secondo la disposizione da ultimo citata, pertanto, chi intenda promuovere un ricorso in materia di appalti deve pagare un contributo unificato pari a:

– € 2.000,00 quando il valore della controversia è pari o inferiore a euro 200 mila euro;   

– € 4.000,00 per le cause di importo compreso tra 200 mila e 1.000.000 euro;

– € 6.000,00 per quelle di valore superiore a 1.000.000 euro.

Non solo. Il comma 1-quater all’art. 13 del T.U. sulle spese di giustizia ha previsto a carico della parte soccombete ( e quindi l’impresa privata) un ulteriore “sanzione” per importo pari al contributo unificato già dovuto ( e quindi  4.000/00 o 6.000/00 euro) qualora il ricorso sia dichiarato infondato, inammissibile o improcedibile( sv Legge 24 dicembre 2012, n. 228 il cui articolo 1, comma 17 ha modificato il DPR 115/2002, inserendo all’articolo 13, dopo il comma 1-ter, il seguente comma 1-quater)

Per cui, l’intento è chiaro e facilmente prevedibile, ovvero: rendere il processo amministrativo antieconomico e, specie con riguardo alla materia degli appalti pubblici, inaccessibile.

1) Avvocato Zambelli, chiedo a lei, nella qualità di presidente dell’Associazione Veneta degli avvocati amministrativisti che ha presentato il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, il suo pensiero in proposito.

L’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti ha valutato con grandissima preoccupazione le recenti norme della c.d. “Legge di Stabilità” 24.12.2012 n° 228, pubblicata sulla G.U. del 29.12.2012. Disposizione la quale ha introdotto significative modifiche al Testo Unico in materia di spese di giustizia quantomeno sotto tre, importanti, aspetti.  In primo luogo è stato notevolmente accresciuto il contributo unificato, ossia la tassa che il cittadino deve pagare solo per poter accedere al “servizio giustizia”, in un particolare settore dell’ordinamento giuridico, quello degli appalti pubblici. È stato, inoltre, previsto un aumento generalizzato del contributo unificato per i giudizi di impugnazione. Da ultimo è stata introdotta una norma punitiva che, in caso di rigetto dell’impugnazione (anche incidentale), costringe la parte ricorrente al pagamento di un’ulteriore somma di denaro pari a quella già corrisposta per la proposizione dell’impugnazione. Il che svela la volontà deterrente da parte dello Stato in ordine alla proposizione (in particolare) di ricorsi giurisdizionali amministrativi i quali avevano già incontrato una sensibile flessione a causa della grave situazione di crisi economica che sta attraversando l’Italia e l’Europa nel suo complesso. L’Associazione ha, dunque, sentito il dovere di agire avanti la Corte di Strasburgo per far constare la violazione di fatto del diritto di accesso agli organi di giustizia, combinata con la surrettizia (ma incontrovertibile) violazione del diritto a un ricorso effettivo (si tratta degli articoli 6 e 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo). A quest’ultimo proposito risulta evidente che i pesantissimi oneri economici che il ricorrente deve assumersi solo per domandare tutela giudiziaria, specie nella materia degli appalti, sono apparsi potenzialmente lesivi del diritto all’effettività del mezzo di impugnativa che deve poter essere in grado di far valere le ragioni di chi sia leso, per fare un esempio di immediata comprensione, dallo svolgimento di gare pubbliche caratterizzate da poca trasparenza e/o da scarsa parità di trattamento tra i concorrenti. Diritti, questi ultimi, fondamentali dell’individuo, che stanno alla base di ogni democrazia occidentale che, come si sa, si fonda su poteri dello Stato che devono armonizzarsi in una prospettiva di reciproco bilanciamento. Prospettiva ben attenuata allorquando si scoraggi l’intervento del potere giurisdizionale .

2) Quindi, in particolare, se un’impresa decide, in quanto illegittimamente esclusa da una gara pubblica, di impugnare una procedura ad evidenza pubblica del valore  di  €  201.000 è obbligata a sostenere quali costi?

Un’impresa illegittimamente esclusa da una gara pubblica del valore di 201.000,00 € deve sostenere, sin da subito, un contributo unificato pari a € 4.000,00 al fine di impugnare il provvedimento con il quale L’Amministrazione ha disposto la sua esclusione. Intervenuta, a distanza anche di qualche mese, l’aggiudicazione, questa stessa impresa dovrà necessariamente presentare motivi aggiunti al ricorso di cui sopra (ossia un’altra impugnativa nel medesimo contesto processuale) al fine di constastare anche l’aggiudicazione (provvisoria e definitiva) della gara: con un nuovo costo aggiuntivo di ulteriori 4.000,00 €. La normativa in materia di contributo unificato prevede che quest’ultimo sia dovuto anche nell’ipotesi di motivi aggiunti con i quali si impugnino provvedimenti diversi da quello inizialmente contestato. Non è, però, finita qui. Infatti il Codice degli appalti (art. 243 bis) disciplina la c.d. “informativa in ordine all’intento di proporre ricorso giurisdizionale”, istituto che nella mente del Legislatore è stato concepito come un ausilio per una conciliazione eventuale della lite giudiziaria ma che, nella prassi, ha per lo più avuto l’effetto di incrementare i provvedimenti amministrativi taciti od espressi di diniego da impugnare mediante ulteriori motivi aggiunti. Il che implica un nuovo esborso di 4.000,00 €, che porta il bilancio dell’impresa nostra cliente a ben 12.000,00 € di spesa viva iniziale, versata SOLO ED ESCLUSIVAMENTE per poter accedere al servizio giustizia. A questa somma si devono aggiungere le ulteriori spese di causa (notifiche atti giudiziari, varie di cancelleria, etc.) e, ovviamente, gli onorari per la difesa tecnica da parte dell’avvocato, i quali dipendono, ovviamente, dalla quantità e qualità degli atti posti in essere nonché dall’attività di udienza. Se, poi, la cliente ha anche la “sventura” di perdere la causa in primo grado si dovranno aggiungere i costi dell’appello avanti al Consiglio di Stato per i quali la Legge di Stabilità ha previsto, come detto, un aumento generalizzato, nella misura del 50 % in più del contributo versato in primo grado. Venendo al caso di specie, sarà, infatti, dovuto un contributo unificato in appello pari a 6.000,00 € con la prospettiva poi, grazie alla già cennata norma punitiva, di essere costretti a corrispondere ulteriori 6.000,00 laddove l’appello venga respinto integralmente o dichiarato inammissibile o improcedibile. Nella peggiore delle ipotesi la cliente, quindi, dovrà mettere nel suo bilancio preventivo la possibilità di sostenere, solo a titolo di costi vivi della macchina giustizia (contributo unificato), la cifra di € 24.000,00, esorbitante se parametrata al valore dell’appalto in considerazione (201.000,00 €), avendo così un chiaro effetto deterrente specie considerando che la proposizione del ricorso e dei motivi aggiunti non danno alcuna certezza di vedersi accolta l’impugnativa.

3) Se paragoniamo la situazione al processo civile vi è un evidente disparità di trattamento ?

Ovviamente per parlare di disparità di trattamento è necessario verificare, preliminarmente, se la realtà di base sottesa alle due fattispecie poste in relazione sia analoga e se, in caso affermativo, vi sia una disciplina deteriore dell’una rispetto all’altra. Ora, senza fare troppe distinzioni e volendo semplificare al massimo, nel processo civile si tutelano prevalentemente diritti soggettivi mentre in quello amministrativo i c.d. interessi legittimi. Queste due tecniche di tutela mirano a presidiare interessi sostanziali del privato e, in questo senso, vengono accomunati dalla Costituzione (art. 113). Guardando, pertanto, all’interesse sostanziale che spinge un soggetto ad adire le vie legali, non c’è dubbio che siamo al cospetto di una normativa che penalizza fortemente l’accesso alla giustizia amministrativa anche se pure il settore civile ha subito, in settori peraltro nevralgici, significativi rincari . Per spostarsi al campo civilistico, si pensi alla ditta che voglia contestare la decisione dell’Amministrazione di revocare la stipula di quel contratto di appalto pubblico che in precedenza abbiamo assunto di valore pari ad € 201,000,00. Questa ditta, nel primo grado del giudizio civile, dovrà sostenere un contributo unificato pari a 660,00 €, più un eventuale contributo unificato in appello pari a 990,00 €, più un eventuale contributo unificato di 1.320,00 € per il giudizio di Cassazione. Fanno, in tutto, 2.970,00 €. Mentre, invece, come abbiamo visto, questa stessa ditta, volendo contestare la fase a monte della stipula del contratto (propria esclusione dalla gara, aggiudicazione ad altra ditta, etc.), si attende costi globali pari a 24.000,00 solo di contributo unificato.

4) Da quanto detto sembra che a seconda del tipo di giudizio ( civile o amministrativo) che l’impresa è costretta ad instaurare cambiano i costi, lei pensa che ciò sia giustificato o giustificabile?

Mi pare che, pur nella diversità delle tecniche di tutela dell’interesse sostanziale, non ci siano paragoni né giustificazioni di sorta del trattamento diversificato delle due fattispecie. E ciò lo dico con molto rammarico perché penso che, paradossalmente, ci dovrebbe essere una maggiore attenzione del Legislatore proprio al momento iniziale della scelta del contraente, rispetto al quale lo Stato dovrebbe incoraggiare le forme di impugnativa delle gare essendo al cospetto di un settore particolarmente delicato ove confluiscono interessi diversi tra i quali anche quelli della criminalità organizzata sostanzialmente incoraggiata nel proprio operare dal sapere che chi potrebbe impugnare gli esiti di una gara è scoraggiato dai costi esorbitanti della procedura. 

5) Lei ritiene che l’ordinamento interno offra dei rimedi di tutela alle imprese che vogliano contestare  l’illegittimità del contributo unificato in materia di appalti pubblici?

L’ordinamento interno prevede il rimedio della eccezione di incostituzionalità ossia la possibilità, per chi ricorre, di chiedere al Giudice adito (nel nostro caso il Tar) di sospendere il giudizio inviando gli atti alla Corte costituzionale alla quale viene sottoposta la questione della costituzionalità della normativa in esame. Questo rimedio è rimesso alla valutazione (chiamiamolo così) del primo Giudice il quale deve, intanto, esaminare se la questione sollevata dal ricorrente sia rilevante per il procedimento in corso, laddove cioè il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale, e se essa non risulti manifestamente infondata. Soddisfatti entrambi i parametri viene emessa ordinanza di sospensione del giudizio in corso e contestuale invio degli atti alla Consulta.

6) Quindi, tirando le somme, allo stato vi è il rischio che nessuno abbia più interesse ad instaurare procedimenti dinanzi al giudice amministrativo o, in definitiva, a sollevare una questione di legittimità costituzionale sulla questione controversa relativa alla misura del “contributo unificato” dovuto e, conseguentemente, sulla possibilità di accedere alla giustizia.

La questione economica iniziale scoraggia, quindi, la promozione dei ricorsi al Tar e di conseguenza anche gli incidenti di costituzionalità, che in essi trovano naturale spazio, vengono incisi. Va aggiunto che il rito in materia di appalti è uno dei più celeri, così concepito dal Legislatore sia per dare una risposta immediata al bisogno di giustizia del cittadino contemperando, sia per tutelare l’interesse della P.A. a definire in tempi rapidi contenziosi. Non ci dimentichiamo che
all’aggiudicazione di un appalto pubblico sono legate molteplici esigenze prima tra tutte quella di offrir continuità, ad esempio, ad una fornitura o ad un servizio pubblico, ovvero quello di realizzare in tempi rapidi l’opera pubblica alla quale sono, quasi sempre, legate non eludibili esigenze di celerità. Capisce che, in questo contesto, mal si concilia una sospensione a tempo indeterminato del giudizio in corso, che si traduce a livello pratico in uno stato di arresto dell’appalto, in attesa che si pronunci la Corte Costituzionale.

7) Per quanto detto, avendo cura degli obiettivi perseguiti dalle due Convenzioni del Consiglio d’Europa nella lotta contro la corruzione, non pensa che l’eccessiva misura del contributo unificato rischia, proprio nel settore degli  appalti pubblici, di impedire qualunque controllo di fatto e di diritto sullo svolgimento di procedure  amministrative? In questa prospettiva, inoltre, secondo lei un’azione efficace contro la corruzione non passa anche da un efficace sistema che incoraggi le controversia in materia di contratti pubblici ?

Ho in parte anticipato la risposta a queste domande. Un punto interessante è proprio questo. D’altra parte non si può pensare che una moderna democrazia come la nostra sia cieca al punto tale da ignorare i corollari del problema dell’aumento dei costi della giustizia, uno dei quali è proprio la diminuzione delle forme di controllo sull’operato della P.A. e l’aumento dei fenomeni di possibile corruzione. Quindi, certamente, un’efficace contrasto alla corruzione impone
l’equilibrio di un sistema il quale, nel mentre non deve prefiggersi di incoraggiare le controversie in materia di contratti pubblici non finisca, al contrario, a disincentivare le forme esterne di controllo affidate al Giudice quale organo terzo.

Articolo pubblicato su LeggiOggi.it il 10.10.2013

Carmelo Giurdanella

Avvocato, patrocinante presso le giurisdizioni superiori, fonda nel 1990 lo studio legale<a href="http://www.giurdanellaepartners.it/"> Giurdanella & Partners</a>, nel 1998, la rivista di diritto amministrativo Giurdanella.it e nel 2011 la rivista giuridica LeggiOggi.it. Docente di diritto amministrativo e degli appalti pubblici, è direttore scientifico del CeSDA - Centro Studi di Diritto Amministrativo, del DAE (Conferenza nazionale sul Diritto Amministrativo Elettronico). Autore di numerosi libri e pubblicazioni in tema di diritto amministrativo, diritto degli appalti e contratti pubblici, diritto pubblico dell'informatica.