Giunge dalla Corte di Giustizia dell’UE una forte tirata d’orecchi alla normativa italiana sugli appalti.
La Corte Ue, decidendo la Causa C-94/12 su ricorso di due ditte di costruzioni contro la Provincia di Fermo, escluse da quest’ultima da una procedura di gara per aver costituito un raggruppamento temporaneo d’impresa, ha affermato che è contraria al diritto comunitario la normativa italiana in materia di appalti pubblici nella parte in cui vieta ad una impresa di avvalersi di mezzi appartenenti ad uno o a più soggetti, eventualmente in aggiunta ai propri, nell’esecuzione dell’appalto.
Una delle imprese di costruzioni infatti, al fine di soddisfare il requisito relativo alla classe di attestazione SOA necessaria, si era avvalsa delle attestazioni SOA di due imprese terze.
La provincia di Fermo aveva però escluso dalla gara d’appalto il RTI, in considerazione del divieto generale di avvalimento plurimo all’interno della medesima categoria di qualificazione, previsto dall’articolo 49, sesto comma, del Codice dei Contratti pubblici (decreto legislativo n. 163/2006).
Impugnata l’esclusione davanti al Tribunale amministrativo regionale per le Marche, quest’ultimo decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte UE la seguente questione pregiudiziale:
«Se l’articolo 47, paragrafo 2 della direttiva [2004/18] debba essere interpretato nel senso che osti, in linea di principio, ad una [norma] di uno Stato membro, come quella (…) di cui all’articolo 49, comma 6, del decreto legislativo n. 163/2006, la quale vieta [agli operatori economici partecipanti ad una gara per l’aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori], tranne casi particolari, di avvalersi di più di un’impresa ausiliaria (…) per ciascuna categoria di qualificazione[, fatta salva la circostanza che il] bando di gara può ammettere l’avvalimento di più imprese ausiliarie in ragione dell’importo dell’appalto o della peculiarità delle prestazioni (…)».
I giudici di Lussemburgo non hanno avuto alcuna esitazione: l’interpretazione restrittiva data dal Codice dei contratti sui raggruppamenti temporanei d’impresa e sull’avvalimento nelle attestazioni SOA è contraria al diritto Ue.
In sentenza si precisa come la direttiva 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, osta ad una disposizione nazionale che vieti agli operatori economici che partecipano ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori di avvalersi, per una stessa categoria di qualificazione, delle capacità di più imprese.
Pertanto la stazione appaltante ha il dovere di riconoscere il diritto dell’impresa che vuole partecipare alla gara di fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, anche in assenza di particolari legami con questi, purché dimostri di essere in grado di poter eseguire l’appalto.
I giudici sottolineano come non ci sia alcuna traccia nella direttiva europea del divieto per i concorrenti di avvalersi delle capacità di più soggetti terzi per raggiungere il livello minimo di capacità o i criteri fissati dal bando di gara predisposto dall’amministrazione. Anzi, il testo normativo è chiaro nel prevede la possibilità per l’impresa partecipante di avvalersi indistintamente di tecnici, sia che lavorino per la stessa impresa sia per altre, ma di cui essa potrà disporre per l’esecuzione dell’appalto. Il principio del resto vale non solo per la manodopera, ma anche per l’attrezzatura, il materiale e l’equipaggiamento tecnico necessario per eseguire l’opera, senza alcuna limitazione.
La ratio della previsione è rinvenibile infatti nel “favor partecipationis“, cioè nel facilitare l’accesso agli appalti pubblici anche alle piccole e medie imprese, dando loro la possibilità di mettersi insieme per soddisfare i requisiti minimi di partecipazione previsti dai bandi di gara.
Tuttavia la Corte Ue riconosce come, in teoria, ci siano appalti pubblici che richiedano determinate capacità in capo ad un singolo operatore e insuscettibili di essere “prestate” da altri, ma tale ipotesi è da considerarsi eccezionale e non può essere considerata una regola generale nella normativa nazionale.
Il testo integrale della sentenza della Corte di Giustizia dell’UE