E’ in vigore dal 21 agosto una norma fondamentale introdotta dal decreto Fare all’interno del Codice dei Contratti Pubblici (decreto 163 del 2006).
L’art. 32, comma 7-bis, del Decreto Legge n. 69/2013 (c.d. Decreto del Fare), convertito con modificazioni in legge n. 98/2013, ha introdotto all’art. 82 del Codice Appalti, il comma 3-bis, ai sensi del quale: “Il prezzo più basso è determinato al netto delle spese relative al costo del personale, valutato sulla base dei minimi salariali definiti dalla contrattazione collettiva nazionale di settore tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, delle voci retributive previste dalla contrattazione integrativa di secondo livello e delle misure di adempimento alle disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”.
L’esame della disposizione presenta, tuttavia, delle difficoltà interpretative e applicative difficilmente superabili che stanno rischiando di paralizzare completamente il settore degli appalti pubblici e che stanno determinando molte amministrazioni a chiederne l’abrogazione.
Anzitutto, un primo problema riguarda la nozione di “costo del lavoro” e di “costo del personale”, considerato che non si tratta di una nozione univoca, in ragione delle diverse tipologie di contratti; altra questione è quella relativa ai soggetti che devono stimare questi costi, non essendo chiaro se debbano essere le stazioni appaltanti o le imprese in gara.
Un copione, questo, già visto nel 2011, quando, durante l’esame del Decreto legge n. 70/2011, convertito in legge n. 106/2011, fu approvato il c.d. emendamento Damiano che modificava l’art. 81 del Codice Appalti, aggiungendo il comma 3-bis ai sensi della quale “L’offerta migliore è altresì determinata al netto delle spese relative al costo del personale, valutato sulla base dei minimi salariali definiti dalla contrattazione collettiva nazionale di settore tra le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, e delle misure di adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”.
Allora, dopo diversi tentativi di fare chiarezza – prima con le linee guida del 18 luglio 2011 su “costo del personale e sicurezza delle offerte negli appalti”, poi con un documento dell’AVCP sulla tassatività delle cause di esclusione e costo del lavoro – preso atto delle innumerevoli difficoltà applicative, si decise per l’abrogazione della norma.
Ora la questione si ripropone e, benché la ratio legis sia quella scongiurare quei comportamenti delle imprese che potrebbero agire proprio sul costo del lavoro per compensare ribassi eccessivi in sede di offerta, violando così i minimi della contrattazione collettiva o utilizzando manodopera “in nero”, non può non prendersi atto del fatto che la nuova norma non fa che rallentare le procedure e disincentivare le imprese in un momento, peraltro, particolarmente critico per il settore visto il tracollo, negli ultimi due anni, dei bandi di gara, in termini di numero e di valore.
In assenza di chiarimenti o di interventi di semplificazione, l’abrogazione della disposizione sembra essere, per gli operatori pubblici e privati del settore, la soluzione migliore.