Con ordinanza del 30 ottobre 2013, n. 5241, la terza sezione del Consiglio di Stato si è pronunciata sul controverso tema della ammissibilità della partecipazione a gare d’appalto per gli enti pubblici non economici.
In sede di appello avverso una sentenza del TAR Lombardia, concernente una gara pubblica per l’aggiudicazione del servizio elaborazione dati per la valutazione sulla qualità dei farmaci, i giudici di Palazzo Spada hanno sospeso il giudizio e rinviato in via pregiudiziale le questioni alla Corte di Giustizia dell’UE.
Nel caso di specie, un’azienda ospedaliera universitaria aveva partecipato alla gara bandita dalla Regione Lombardia, risultando prima classificata grazie al forte ribasso offerto; in seguito al ricorso della seconda classificata, il Tar ha sostenuto la sussistenza, per tutti gli enti pubblici, di un vero e proprio divieto di partecipare alle gare pubbliche, essendo loro consentito, in presenza di determinate condizioni, solamente l’affidamento in via diretta.
Il Consiglio di Stato ha inizialmente sottolineato che il processo di aziendalizzazione delle unità sanitarie locali ha attribuito una progressiva autonomia al soggetto erogatore dei servizi sanitari rispetto all’ente territoriale di riferimento, con la conseguenza che le unità sanitarie locali hanno acquisito una propria soggettività giuridica tanto da essere qualificate da dottrina e giurisprudenza come enti pubblici non economici; d’altro canto, però, sussistono tuttora penetranti poteri di controllo da parte delle Regioni sulle attività delle ASL.
Alla luce di tali considerazioni il giudici del caso in esame hanno sostenuto che “la riforma sanitaria abbia sì introdotto elementi di concorrenzialità nella gestione dei relativi servizi, superando il regime di rigido monopolio pubblico, ma senza con questo instaurare un regime puro di mercato”.
Questa considerazione, unitamente al fatto che la Corte di Giustizia ha in precedenza ritenuto ammissibile la presentazione di offerte da parte di “qualsiasi soggetto o ente che, considerati i requisiti indicati in un bando di gara, si reputi idoneo a garantire l’esecuzione dell’appalto, in modo diretto oppure facendo ricorso al subappalto, indipendentemente dal fatto di essere un soggetto di diritto privato o di diritto”, ha portato i giudici a negare l’esistenza di un divieto categorico, quasi ontologico, per gli enti pubblici non economici di partecipare alle gare pubbliche, senza che ciò equivalga tuttavia ad ammettere una loro indiscriminata ammissione.
La giurisprudenza comunitaria e nazionale ha individuato due ordini di limiti generali alla partecipazione alle gare:
a) che l’attività posta a gara sia strumentale al conseguimento delle finalità istituzionali dell’ente pubblico;
b) che non vi sia una previsione normativa specifica che vieti tale attività, in particolare in ragione del possibile effetto distorsivo sulla concorrenza.
In concreto, i giudici hanno rilevato che l’art. 13 del d.l. n. 223/2006 prevede che le società, a capitale interamente pubblico o miste, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti devono operare esclusivamente con gli enti costituendi o partecipanti affidanti, non possono svolgere prestazioni favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare alle società di altri enti.
Per tutte queste ragioni, il Consiglio di Stato ha ritenuto necessario chiedere alla Corte di Giustizia se le norme comunitarie in materia di aggiudicazione degli appalti di servizi (in particolare la direttiva 92/50/CEE e la successiva direttiva n. 18/2004) ostino ad una normativa interna che fosse interpretata nel senso di escludere un’azienda ospedaliera avente natura di ente pubblico economico dalla partecipazione alle gare.
Una volta risolta tale prima questione resterebbe tuttavia ancora aperta quella relativa alla compatibilità con i principi comunitari di una gara nella quale partecipi, insieme a soggetti privati che operano in regime di concorrenza, un ente che, in virtù della sua specifica posizione, sia in grado di formulare un’offerta economica manifestamente inferiore rispetto a quelle che un soggetto privato avrebbe mai potuto presentare.
Pur ritenendo,in via di principio, che una simile situazione non sia ammissibile alla luce della normativa comunitaria, il giudici di Palazzo Spada hanno comunque deciso di rinviare anche tale questione alla Corte di Giustizia, chiedendo nello specifico se “il diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici – in particolare, i principi generali di libera concorrenza, non discriminazione, proporzionalità – osti ad una normativa nazionale che permetta ad un soggetto, del tipo dell’azienda ospedaliera appellante, che beneficia stabilmente di risorse pubbliche e che è affidataria in via diretta del servizio pubblico sanitario, di lucrare da tale situazione un vantaggio competitivo determinante nel confronto concorrenziale con altri operatori economici – come dimostra l’entità del ribasso offerto – senza che siano previste al contempo misure correttive volte ad evitare un simile effetto distorsivo della concorrenza”.
Per ulteriori approfondimenti si rende disponibile il test integrale dell’ordinanza del Consiglio di Stato, sez. III, 30 ottobre 2013, n. 5241.