Consulta: no al cumulo di interessi e rivalutazione su stipendi e pensioni

Corte costituzionale. No al cumulo di interessi e rivalutazione per il ritardo nei pagamenti di stipendi e pensioni ai dipendenti regionali siciliani.

L’art. 30, commi 1 e 2, della legge della Regione siciliana n. 11 del 1988 prevedeva che:

«Al personale dell’Amministrazione regionale in servizio o a riposo, per i periodi di tempo intercorrenti dal primo del mese successivo alla maturazione del diritto e fino alla data di liquidazione delle competenze economiche spettanti a titolo di stipendio o di pensione, sono dovuti gli interessi nella misura legale nonché la rivalutazione monetaria del valore del credito […]» (comma 1) e che: «Le disposizioni del precedente comma si applicano anche per le somme erogate o da erogare al personale in servizio o a riposo ai sensi della legge regionale 29 ottobre 1985, n. 41 […]» (comma 2).

Le norme citate riconoscevano al dipendente regionale il diritto di percepire in via cumulativa interessi in misura legale e rivalutazione monetaria nel caso di tardiva corresponsione delle somme da esse contemplate.

La Corte Costituzionale, con sentenza numero 265 del 2013, depositata ieri, ne ha dichiarato l’incostituzionalità, osservando che:

Ai sensi dell’art. 14, lettera q), dello statuto della Regione siciliana, quest’ultima ha competenza legislativa esclusiva in materia di stato giuridico ed economico del proprio personale. Questa Corte ha riconosciuto al legislatore regionale ampia discrezionalità nella determinazione del trattamento economico da accordare ai propri dipendenti. Ciò, tuttavia, nei limiti derivanti dalle norme di rango costituzionale, dai principi generali dell’ordinamento giuridico statale, dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica nonché dagli obblighi internazionali, cui aggiungere, per quanto concerne il settore in esame, anche il limite interno alla materia del divieto di adottare per i dipendenti della Regione siciliana trattamenti economici inferiori a quelli previsti per il personale statale (sentenza n. 19 del 1989)”.

Pertanto, “nella fattispecie il legislatore regionale non si è attenuto a detti limiti, ma li ha oltrepassati, violando così il citato parametro statutario”.

Ciò perché – ha aggiunto la Corte – nell’attribuire ai dipendenti regionali il diritto a percepire in via cumulativa interessi in misura legale e rivalutazione monetaria in caso di pagamento tardivo del debito di lavoro contemplato dalle disposizioni censurate, esse hanno disciplinato il profilo, prettamente civilistico, dell’adempimento di un particolare tipo di obbligazione pecuniaria e delle conseguenze del suo inadempimento, iniziativa preclusa alla legge regionale (sentenza n. 82 del 1998).

In tal modo le norme censurate hanno travalicato il limite del diritto privato – vigente fin dal momento di emanazione della norma – fondato sull’esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole che disciplinano i rapporti privatistici e, come tali, si impongono anche alle Regioni a statuto speciale (sentenza n. 189 del 2007)”.

Redazione

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