Legge elettorale, il 3 dicembre la Corte Costituzi…

Legge elettorale, il 3 dicembre la Corte Costituzionale decide

All’udienza pubblica del 3 dicembre prossimo, la Corte Costituzionale deciderà (relatore Tesauro) sulla questione di costituzionalità relativa alla legge elettorale (“Porcellum“) vigente, sollevata dalla Corte di Cassazione. Ieri Beppe Grillo, nel suo blog (“Le elezioni sono come i pavesini“), ha proposto il giorno unico del voto.

Si riporta di seguito, il testo dell’ordinanza di rimessione del 17 maggio scorso [Qui il ruolo d’udienza di martedì prossimo].

.  .  .

N. 144 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 maggio 2013

Ordinanza del 17 maggio 2013 emessa dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Bozzi Aldo ed altri contro Presidenza del Consiglio dei ministri e Ministero dell’interno

Elezioni – Elezioni per la Camera dei deputati – Previsione che qualora la coalizione di liste o la singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi, non abbia già’ conseguito almeno 340 seggi, ad essa viene attribuito il numero di seggi necessario per raggiungere tale consistenza (c.d. “premio di maggioranza”) – Irragionevolezza – Lesione del principio di uguaglianza del voto – Violazione del principio di rappresentanza democratica.

– D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art. 83, commi primo, n. 5, e secondo. – Costituzione, artt. 3, 48, comma secondo, e 67.

Elezioni – Elezioni per il Senato della Repubblica – Previsione che nel caso la coalizione o la singola lista che ha ottenuto il maggiore numero di voti validi espressi nell’ambito della circoscrizione non abbia conseguito almeno il 55% dei seggi assegnati alla Regione, con arrotondamento all’unita’ superiore, l’Ufficio elettorale regionale assegna alla coalizione di liste o alla singola lista che abbia ottenuto il maggior numero di voti un numero di seggi ulteriore necessario per raggiungere il 55% dei seggi assegnati alla Regione, con arrotondamento all’unita’ superiore (cosiddetto “premio di maggioranza”) – Irrazionalita’ – Violazione del principio di uguaglianza del voto.

– Decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, art. 17, commi 2 e 4. – Costituzione, artt. 3 e 48, comma secondo.

Elezioni – Elezioni per la Camera dei deputati – Prevista disciplina delle modalita’ di espressione del diritto di voto mediante attribuzione dello stesso a liste di candidati concorrenti, senza possibilita’ per l’elettore di espressione del voto di preferenza previsto dalla normativa precedente – Irrazionalita’ – Violazione del principio di uguaglianza del voto – Violazione del principio del concorso dei partiti politici alla espressione del voto – Violazione del principio del suffragio diretto – Violazione di obblighi internazionali derivanti dalla CEDU.

– D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, artt. 4, comma secondo, e 59, primo comma. – Costituzione, artt. 3, 48, comma secondo, 49, 56, primo comma, e 117, primo comma.

Elezioni – Elezioni per il Senato della Repubblica – Prevista disciplina delle modalita’ di espressione del diritto di voto mediante contrassegno sulla lista prescelta, senza possibilita’ di espressione del voto di preferenza previsto dalla normativa precedente – Irrazionalita’ – Violazione del principio di uguaglianza del voto – Violazione del principio del concorso dei partiti politici alla espressione del voto – Violazione del principio del suffragio diretto – Violazione di obblighi internazionali derivanti dalla CEDU.

– Decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, art. 14, comma 1.

– Costituzione, artt. 3, 48, comma secondo, 49, 58, primo comma, e 117, primo comma.

(GU n.25 del 19-6-2013 )

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso

n. 18249-2012 proposto da:

Bozzi Aldo (c.f. BZZLDA34C12H501E), Setti Andrea Franco (c.f.

STTNRF45E11F205O), Posa Massimiliano (c.f. PSOMSM66B05F839U),

Salatino Maria (c.f. SLTMRA41R44F839G), Di Maro Biagio (c.f.

DMRBGI58E27F799W), Nidasio Daniela (c.f. NDSDNL47C50F205P), Porqueddu

Giuseppe (c.f. PRQGPP35T06G962Z), Oliviero Gianfranco (c.f.

LVRGFR65R03F839W), Franciosi Carla (c.f. FRNCRL47L48H803R), Barbera

Annagrazia (c.f. BRBNGR48L49B041K), Esposito Maddalena (c.f.

SPSMDL71L56G812M), Pinto Federica (c.f. PNTFRC91E71F839B), Moretti

Paolo (c.f. MRTPLA69T10E648U), Vetrano Giuseppe, Maniaci Fausto (c.f.

MNCSTF41D24L219L), Provenzali Gino (c.f. PRVGNI38A04E897I), Luciani

Luigi (c.f. LCNLGU49C11F051D), Migliavacca Bossi Dario (c.f.

MGLDRA48D18F205C), Di Somma Nicoletta (c.f. DSMNLT64H56F839B), Tani

Claudio Stefano (c.f. TNACLD44A09B819K), Brognoli Michele (c.f.

BRGMHL68B07B157F), Gallo Domenico (c.f. GLLDNC52A01A309B), Oliviero

Aldo (c.f. LVRLDA34A01F839H), Zecca Emilio (c.f. ZCCMLE34M25H501K),

Steccanella Maurizio (c.f. STCMRZ35E16F257U), Besostri Felice,

elettivamente domiciliati in Roma, Via degli Scipioni, 268-A, presso

l’avvocato Bozzi Giuseppe, che li rappresenta e difende unitamente

agli avvocati Bozzi Aldo, Tani Claudio Stefano, giusta procure in

calce al ricorso, ricorrenti;

Contro Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministero

dell’interno, intimati;

Avverso la sentenza n. 1419/2012 della Corte d’appello di Milano,

depositata il 24 aprile 2012;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21 marzo 2013 dal Consigliere dott. Antonio Pietro Lamorgese;

Uditi, per i ricorrenti, gli avvocati Tani e Besostri Felice con

delega, che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale

dott. Libertino Alberto Russo che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso e rimessione alla Corte costituzionale.


Svolgimento del processo

Nel novembre 2009 il sig. Aldo Sozzi, in qualita’ di’ cittadino

elettore, ha convenuto in giudizio, davanti al Tribunale di Milano,

la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell’interno,

deducendo che nelle elezioni per la Camera dei deputati e per il

Senato della Repubblica svoltesi successivamente all’entrata in

vigore della legge n. 270/2005 e, in particolare, nelle elezioni del

2006 e 2008, egli aveva potuto esercitare (e potrebbe esercitare

ancora nel futuro) il diritto di voto secondo modalita’ configurate

dalla predetta legge in senso contrario a principi costituzionali del

voto «personale ed eguale, libero e segreto» (art. 48, coma 2, Cost.)

e «a suffragio universale e diretto» (artt. 56, comma 1, e 58, comma

1, Cost.).

Nell’espressione del voto personale e diretto sarebbe implicito,

a suo avviso, il diritto di esprimere la preferenza ai singoli

candidati, possibilita’ esclusa dalla legge elettorale citata, la

quale, attribuendo rilevanza all’ordine di inserimento dei candidati

nella medesima lista, affida agli organi di partito la designazione

di coloro che devono essere nominati, con conseguente creazione di un

effettivo e concreto vincolo di mandato dell’eletto nei confronti

degli organi di partito che lo hanno prescelto, in violazione

dell’art. 67 Cost. secondo il quale ogni membro del Parlamento

rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di

mandato.

Inoltre il principio di uguaglianza del voto sarebbe violato

dall’attribuzione di un «premio di maggioranza» alla lista che abbia

ottenuto anche un solo voto in piu’ delle altre, senza nemmeno la

previsione di una soglia minima in voti o seggi, con l’effetto di

riconoscere un valore diverso ai singoli voti, a seconda che

rientrino nel «quoziente elettorale di maggioranza» o «di minoranza»,

e di attribuire a non significative «minoranze» uscite dalle urne

(anche ampiamente inferiori al 50%) ben 340 seggi alla Camera e la

maggioranza qualificata del 55% dei seggi al Senato.

Il principio di uguaglianza del voto sarebbe violato anche per il

peculiare «premio di maggioranza» attribuito per l’elezione del

Senato su base regionale (essendo il numero dei seggi assegnati ad

ogni regione proporzionale alla popolazione residente, il voto

espresso dall’elettore residente nelle regioni piu’ popolose

concorrerebbe all’attribuzione di un premio di maggioranza ben piu’

elevato di quello cui potrebbe concorrere l’elettore delle regioni

meno popolose). Inoltre arbitraria sarebbe la previsione

dell’inserimento nella scheda elettorale del nome del capo di

ciascuna lista o coalizione, che avrebbe l’effetto di coartare la

liberta’ del voto e di condizionare l’autonomia del Capo dello Stato

nella nomina del Presidente del Consiglio di ministri.

L’attore ha chiesto quindi di dichiarare che il suo diritto di

voto non puo’ essere esercitato in modo libero e diretto, secondo le

modalita’ previste e garantite dalla Costituzione e dal Protocollo l

della CEDU, nonche’ nel rispetto delle forme e dei limiti concernenti

il potere del Presidente della Repubblica di nominare il Presidente

del Consiglio di ministri, e di conseguenza ha chiesto di

ripristinarlo secondo modalita’ conformi alla legalita’

costituzionale. A tal fine, in relazione agli artt. 1, comma 2; 3;

48, comma 2 e 4; 56, comma 1; 67; 117, comma 1; 138 Cost. e 3 Prot. 1

CEDU, ha eccepito, in via incidentale, l’illegittimita’

costituzionale, quanto all’elezione della Camera dei deputati, degli

artt. 1, comma 1; 4, comma 2; 59; 83, commi 2, 3, 4 e 5, del d.P.R.

n. 361/1957, nel testo risultante dalla legge n. 270/2005; quanto

all’elezione del Senato, degli artt. 14, 16, 17, 19, 27 del d.lgs. n.

533/1993, nel testo risultante dalla legge n. 270/2005; inoltre, ha

eccepito l’illegittimita’ costituzionale degli artt. 14-bis, comma 3,

del d.P.R. n. 361/1957 e 8 del d.lgs. n. 533/1993, nel testo vigente,

a causa della dedotta limitazione del potere del Presidente della

Repubblica.

Nel giudizio di primo grado sono intervenuti ad adiuvandum

venticinque cittadini elettori e si sono costituiti la Presidenza del

Consiglio dei ministri e il Ministero dell’interno.

Il Tribunale di Milano, con sentenza 18 aprile 2011, ha rigettato

le eccezioni preliminari di inammissibilita’ delle domande per

difetto di giurisdizione e insussistenza dell’interesse ad agire, nel

merito ha rigettato le domande giudicando manifestamente infondate le

proposte eccezioni di illegittimita’ costituzionale.

Il giudizio svoltosi dinanzi alla Corte di appello di Milano, nel

quale i convenuti hanno reiterato le eccezioni preliminari gia’

proposte, e’ stato definito con sentenza 24 aprile 2012 che ha

rigettato l’appello, giudicando manifestamente infondate le proposte

questioni di costituzionalita’. Infatti, ad avviso dei giudici di

merito, il principio del voto uguale deve intendersi nel senso

formale che «nell’urna ogni voto e’ “uguale” agli altri voti, ha lo

stesso “valore” quale che sia il censo, il sesso o altra connotazione

del votante ed identica uguaglianza di “peso” si riscontra nello

scrutinio e nei conteggi»; anche il principio del voto diretto deve

intendersi nel senso formale di contribuire «direttamente

all’elezione dei rappresentanti parlamentari, a differenza di altri

sistemi elettorali di secondo grado in cui l’elettore designa un

proprio rappresentante a far parte di un collegio piu’ ristretto che

poi elegge il componente dell’assemblea legislativa»; quanto al

sistema delle cd. «liste bloccate», a causa dell’eliminazione del

voto di preferenza, la corte, premesso che la Costituzione non

garantisce ne’ assicura il voto di preferenza, ha osservato che

rimane pur sempre la liberta’ dell’elettore di scegliere tra l’una e

l’altra lista in cui e’ ricompreso il candidato cui eventualmente

avrebbe dato la preferenza; i dedotti effetti distorsivi sul consenso

elettorale (anche in relazione al premio di maggioranza) sono solo

indiretti e non integrano lesioni costituzionali, ma hanno rilevanza

come oggetto di valutazioni politiche ai fini dell’esercizio della

discrezionalita’ del legislatore; ne’ infine e’ ravvisabile alcun

pregiudizio delle prerogative del Capo dello Stato per effetto

dell’indicazione del nominativo del «capo della coalizione» sulla

scheda elettorale.

Aldo Bozzi e gli altri cittadini elettori ricorrono per

cassazione formulando tre motivi illustrati da memoria.

La Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero

dell’interno non hanno svolto attivita’ difensiva.

 

Motivi della decisione

1. – Nel primo motivo di ricorso, logicamente pregiudiziale, i

ricorrenti imputano ai giudici di appello di essersi limitati ad

esaminare e a rigettare la questione di legittimita’ costituzionale,

senza motivare la decisione di rigetto nel merito della proposta

domanda di accertamento, in tal modo violando il principio di

corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) e le

norme che prevedono l’obbligo di motivazione dei provvedimenti

giurisdizionali (artt. 111, comma 6, Cost.; 132 n. 4 c.p.c.; 118

disp. att. c.p.c.),

1.1. – Il motivo e’ infondato, La Corte territoriale, avendo

rigettato le eccezioni di illegittimita’ costituzionale delle norme

censurate della legge n. 270/2005, ha implicitamente rigettato nel

merito la domanda proposta, escludendo la rilevanza giuridica della

dedotta lesione del diritto di voto, in quanto imputabile

all’esercizio di un potere (legislativo) discrezionale e

insindacabile in materia elettorale.

2. – Nel secondo motivo i ricorrenti imputano alla corte di

merito di avere erroneamente rigettato l’eccezione di illegittimita’

costituzionale di norme nelle quali, secondo una diffusa opinione

dottrinaria, sono presenti diversi profili intrinsecamente

irrazionali e “aspetti problematici” (Corte cost. n. 13/2012, n. 15 e

16/2008). Essi reiterano l’istanza di rimessione alla Corte

costituzionale delle medesime questioni di costituzionalita’ gia’

sollevate (in particolare con riguardo al premio di maggioranza e

alle preferenze), che ritengono rilevanti e non manifestamente

infondate.

Con riguardo all’attribuzione del premio di maggioranza su base

regionale, ne deducono ulteriormente l’irrazionalita’ trattandosi di

norme concernenti l’elezione di un parlamento nazionale che deve

esprimere un governo nazionale (del tutto avulso dai consensi

riscossi in ogni singola regione) e non un governo regionale. In

altri termini, il premio di maggioranza non verrebbe a premiare il

partito o la coalizione che ha ottenuto il maggior numero di voti a

livello nazionale, ma irragionevolmente solo quelli che hanno

ottenuto il maggior numero di voti nelle regioni piu’ popolose, che

assegnano il maggior numero di seggi, con la conseguenza che esso si

traduce (e si e’ tradotto) in un “premio di minoranza”, con

conseguente venir meno della ratio del premio che e’ quella di

favorire una maggiore stabilita’ degli esecutivi, essendo invece

favorita la ingovernabilita’. I ricorrenti rilevano infine che la

legge elettorale del Senato era stata modellata dal legislatore del

2005 sui principi della contestuale riforma costituzionale (che

prevedeva la creazione del “Senato federale”) che successivamente fu

bocciata all’esito del referendum confermativo del 25 giugno 2006.

3. – E’ necessario, prima di entrare nel merito delle questioni

di costituzionalita’, valutare se sussista in capo ai ricorrenti

l’interesse (ex art. 100 c.p.c.) a proporre un’azione il cui petitum

sostanziale e’ diretto al riconoscimento della pienezza del diritto

di voto, quale diritto politico di rilevanza primaria, attraverso la

dichiarazione di illegittimita’ costituzionale delle norme della

legge n. 270/2005 che, in tesi, ne precludono l’esercizio in modo

conforme alla Costituzione.

Il tribunale, decidendo sull’eccezione sollevata dalle

Amministrazioni convenute nel giudizio di merito, ha valutato

positivamente l’interesse ad agire in capo ai ricorrenti,

implicitamente ritenendo “piu’ ampia [la] latitudine dell’interesse

ad agire, della legittimazione e della facolta’ di azione concessa a

ogni elettore” (in tal senso e’ Cass. n. 4103/1982). La corte di

appello, nel confermare “integralmente” la sentenza del tribunale, ha

rigettato l’eccezione che (come risulta dalla sentenza qui impugnata)

era stata riproposta in appello, ma le Amministrazioni non hanno

svolto attivita’ difensiva in questa sede di legittimita’ e quindi

non hanno proposto il ricorso incidentale in via condizionata che

sarebbe stato necessario per investire questa Corte della questione

della esistenza dell’interesse ad agire.

3.1. – E tuttavia, una volta riconosciuto l’interesse ad agire

per ottenere il riconoscimento della pienezza del diritto di voto in

conformita’ della disciplina costituzionale, quale diritto politico

di rilevanza primaria, in funzione del suo esercizio in occasione

delle elezione per il rinnovo delle Camere, ci si deve pur sempre

confrontare con la possibile obiezione secondo cui quella in esame

sarebbe un’azione di mero accertamento con l’unico fine di ottenere

dal giudice solo un “visto di entrata” per l’accesso al giudizio

costituzionale, in tal modo rivelandosi la sua pretestuosita’. In

questa prospettiva sarebbe un’azione inammissibile, per difetto di

meritevolezza o di rilevanza dell’interesse azionato, che si

risolverebbe in una mera ed astratta prospettazione di un pregiudizio

incerto quantomeno nel quando e percio’ inidoneo ad assurgere a

giuridica consistenza, in quanto strumentale alla soluzione di

questioni di diritto soltanto in via teorica.

3.1.1. – A prescindere dal rilievo che la (indagine sulla)

meritevolezza dell’interesse non costituisce un parametro valutativo

richiesto a norma dell’art. 100 c.p.c. (a differenza di quanto

previsto in materia negoziale dall’art. 1322, coma 2, c.c.), si puo’

replicare che, ai fini della proponibilita’ delle azioni di mero

accertamento (ammesso che quella proposta sia realmente tale), e’

sufficiente l’esistenza di uno stato di dubbio o incertezza oggettiva

sull’esatta portata dei diritti e degli obblighi scaturenti da un

rapporto giuridico di fonte negoziale o anche legale, in quanto tale

idonea a provocare un ingiusto pregiudizio non evitabile se non per

il tramite del richiesto accertamento giudiziale della concreta

volonta’ della legge, senza che sia necessaria l’attualita’ della

lesione di un diritto (v. Cass. n. 13556 e n. 4496/2008, n.

1952/1976, n. 2209/1966).

Del resto, come si e’ detto, e’ discutibile che si tratti

realmente di un’azione di mero accertamento, posto che l’interesse

dei ricorrenti non e’ tanto quello di sapere di non avere potuto

esercitare (nelle elezioni gia’ svolte) e di non potere esercitare

(nelle prossime elezioni) il diritto fondamentale di voto in modo

conforme a Costituzione, ma e’ quello di rimuovere un pregiudizio che

invero non e’ dato da una mera situazione di incertezza ma da una

(gia’ avvenuta) modificazione della realta’ giuridica che postula di

essere rimossa mediante un’attivita’ ulteriore, giuridica e

materiale, che consenta ai cittadini elettori di esercitare realmente

il diritto di voto in modo pieno e in sintonia con i valori

costituzionali. In tal modo ci si allontana dall’archetipo delle

azioni di mero accertamento per avvicinarsi a quello delle azioni

costitutive o di accertamento-costitutive.

Se cosi’ e’, senza affermare la natura in re ipsa dell’interesse

ad agire in siffatte tipologie di azioni (pure predicata da parte

della dottrina), sarebbe ben difficile sostenere che l’accertamento

richiesto abbia ad oggetto una questione astratta o meramente

ipotetica o che si risolva nella mera richiesta di un parere legale

al giudice.

L’espressione del voto – attraverso la quale si manifestano la

sovranita’ popolare (art. 1, coma 2, Cost.) e la stessa dignita’

dell’uomo – costituisce oggetto di un diritto inviolabile (artt. 2,

48, 56 e 58 Cost., art. 3 prot. 1 CEDU) e “permanente” dei cittadini,

i quali possono essere chiamati ad esercitarlo in qualunque momento e

devono poterlo esercitare in modo conforme a Costituzione. Lo stato

di incertezza al riguardo e’ fonte di un pregiudizio concreto e cio’

e’ sufficiente per giustificare la meritevolezza dell’interesse ad

agire in capo ai ricorrenti.

Una interpretazione della normativa elettorale che, valorizzando

la tipicita’ delle azioni previste in materia (di tipo impugnatorio o

concernenti l’ineleggibilita’, la decadenza o l’incompatibilita’ dei

candidati), escludesse in radice ovvero condizionasse la

proponibilita’ di azioni come quella qui proposta al maturare di

tempi indefiniti o al verificarsi di condizioni non previste dalla

legge (come, ad esempio, la convocazione dei comizi elettorali),

entrerebbe in conflitto con i parametri costituzionali (artt. 24 e

113, comma 2) della effettivita’ e tempestivita’ della tutela

giurisdizionale (diversa potrebbe essere la conclusione nel caso in

cui sia invocato nel giudizio di merito il riconoscimento preventivo

della pienezza del diritto di elettorato passivo, che si assuma leso

da una legge incostituzionale che preveda l’ineleggibilita’, quando

quel diritto non sia stato esercitato ne’ contestato: quella lesione

potrebbe materializzarsi soltanto dopo che il consiglio regionale

abbia deciso «sulle cause di ineleggibilita’ dei propri componenti»,

non potendo l’interesse ad agire desumersi dalla mera «intenzione» di

un cittadino di candidarsi in una competizione elettorale, v. Corte

cost. n. 84/2006).

3.2. – Si potrebbe ancora obiettare che non si potrebbe

distinguere tra l’oggetto del giudizio di merito principale e quello

del giudizio avente ad oggetto l’esame della questione di

costituzionalita’. In altri termini, non vi sarebbe la possibilita’

di configurare la questione di costituzionalita’ come incidentale

rispetto ad un giudizio principale che non sarebbe suscettibile di

essere definito con una pronuncia di merito.

Ci si riferisce evidentemente alla tesi secondo cui

l’incidentalita’ che caratterizza il giudizio costituzionale esige

una maggiore ampiezza del giudizio a quo e, dunque, la necessita’ di

una statuizione ulteriore da parte del giudice di merito in relazione

alla domanda proposta, pur dopo che la Corte costituzionale abbia

deciso la questione di costituzionalita’. Questa statuizione

ulteriore costituisce il segno ineludibile che la questione e’ stata

sollevata, appunto, davvero in via incidentale e non,

surrettiziamente, in via principale, perche’ altrimenti sarebbe

violato il divieto di accesso diretto alla Corte costituzionale che

distingue il nostro ordinamento da altri ordinamenti dove tale

accesso e’ consentito (l’art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87

stabilisce che e’ possibile sollevare una questione di legittimita’

costituzionale «nel corso di un giudizio dinanzi ad una autorita’

giurisdizionale» e «qualora il giudizio non possa essere definito

indipendentemente dalla risoluzione della questione»).

La tesi sopra ricordata (elaborata rispetto al problema della

c.d. fictio litis) e’ condivisibile nella misura in cui il giudizio a

quo deve effettivamente essere mirato a far ottenere un bene della

vita proprio o comunque «concettualmente» distinguibile dalla

caducazione della norma di legge all’esito del giudizio di

costituzionalita’, e cosi’ non e’ nei casi in cui il petitum del

giudizio di merito consista esclusivamente nell’impugnazione diretta

di una norma di legge ritenuta incostituzionale. La Corte

costituzionale ha ritenuto inammissibili le questioni di legittimita’

costituzionale che costituiscano «l’oggetto esclusivo del giudizio a

quo» (n. 256/1982, n. 127/1998), nei casi in cui non sia ravvisabile

alcuna questione di merito (n. 214/1986), o non sia possibile

individuare, venuta meno la norma censurata, un provvedimento

ulteriore emanabile dal giudice a quo per realizzare la tutela della

situazione giuridica fatta valere dal ricorrente nel processo

principale (n. 175/2003, n. 38/2009).

3.2.1. – A queste obiezioni i giudici di merito hanno replicato

evidenziando che la proposta questione di legittimita’ costituzionale

«non esaurisce la controversia di merito» ed ha rispetto ad essa una

«portata piu’ ampia in quanto introdotta mediante la formulazione di

una domanda di accertamento». Questa e’ un’affermazione

sostanzialmente condivisibile. Infatti non potrebbe ritenersi che vi

sia coincidenza (sul piano fattuale e giuridico) tra il dispositivo

della sentenza costituzionale e quello della sentenza che definisce

il giudizio di merito. Quest’ultima accerta l’avvenuta lesione del

diritto azionato e, allo stesso tempo, lo ripristina nella pienezza

della sua espansione, seppure per il tramite della sentenza

costituzionale. Il punto merita una riflessione ulteriore.

3.2.2.- Si deve considerare che l’autonomia tra l’oggetto del

giudizio di merito e di quello costituzionale risulta piu’ evidente

nelle azioni di condanna, ma non scompare nelle azioni di

accertamento e, a, maggior ragione, in quelle di

accertamento-costitutive.

Come osservato da una autorevole dottrina, ci sono leggi che

creano in maniera immediata restrizioni dei poteri o doveri in capo a

determinati soggetti, i quali nel momento stesso in cui la legge

entra in vigore si trovano gia’ pregiudicati da esse, senza bisogno

dell’avverarsi di un fatto che trasformi l’ipotesi legislativa in un

concreto comando. In tali casi l’azione di accertamento puo’

rappresentare l’unica strada percorribile per la tutela

giurisdizionale di diritti fondamentali di cui, altrimenti, non

sarebbe possibile una tutela ugualmente efficace e diretta.

L’esistenza nel nostro ordinamento di un filtro per l’accesso alla

Corte costituzionale, che e’ subordinato alla rilevanza della

questione di costituzionalita’ rispetto alla definizione di un

giudizio comune, di certo non puo’ tradursi in un ostacolo che

precluda quell’accesso qualora si debba rimuovere un’effettiva e

concreta lesione di valori costituzionali primari. Una

interpretazione in senso opposto indurrebbe a dubitare della

compatibilita’ del medesimo art. 23 della legge n. 87/1953 con l’art.

134 Cost. (v. Corte cost. n. 130/1971).

3.2.3. – E’ necessario tenere presente che il requisito della

rilevanza «va valutato allo stato degli atti al momento

dell’emanazione dell’ordinanza di rimessione» (Corte cost. n.

367/1991), esso riguardando «solo il momento genetico in cui il

dubbio di costituzionalita’ viene sollevato» (Corte cost. n.

110/2000), «essendo irrilevante questione di fatto se le parti del

giudizio a quo si possano o meno giovare degli effetti della

decisione con la quale si e’ chiuso il giudizio medesimo» (Corte

cost. n. 241/2008), ne’ ha effetti sulla rilevanza della questione

«l’avvenuto svolgimento della competizione elettorale» (Corte cost.

n. 236/2010). La medesima Corte ha puntualizzato che «nel giudizio di

legittimita’ costituzionale in via incidentale, la circostanza che la

dedotta incostituzionalita’ di una o piu’ norme legislative

costituisca l’unico motivo di ricorso innanzi al giudice a quo, non

impedisce di considerare sussistente il requisito della rilevanza,

ogni qualvolta sia individuabile nel giudizio principale un petitum

separato e distinto dalla questione di legittimita’ costituzionale,

sul quale il giudice rimettente sia chiamato a pronunciarsi» (Corte

cost. n. 4/2000).

Anche la giurisprudenza della Cassazione e’ nel senso che la

questione di costituzionalita’ puo’ formare oggetto autonomo di

impugnazione quando, attraverso la sua riproposizione, si tenda ad

ottenere, per effetto dell’eliminazione dall’ordinamento della norma

denunciata, una decisione diversa e piu’ favorevole di quella

adottata dalla sentenza impugnata (v., tra le altre, Cass. n.

5775/1987).

Fallace sarebbe quindi l’obiezione (cui si e’ gia’ in parte

risposto al p. 3.2.1) secondo cui l’eventuale pronuncia di

accoglimento della Corte cost. verrebbe a consumare ex se la tutela

richiesta al giudice remittente, nella successiva fase del giudizio

principale, con l’effetto di escludere l’incidentalita’ del giudizio

costituzionale. Infatti, il giudizio sulla rilevanza va fatto, come

si e’ detto, nel momento in cui il dubbio di costituzionalita’ e’

posto, dalla cui dimostrata fondatezza (per effetto della sentenza

della Corte costituzionale) e’ possibile avere solo una conferma e

non certo una smentita della correttezza di quel giudizio sulla

rilevanza.

4. – Sebbene la questione di giurisdizione sia coperta dal

giudicato interno (l’eccezione e’ stata rigettata dai giudici di

merito e non riproposta in questa sede) e’ opportuno evidenziare che

la conclusione qui raggiunta, in ordine all’ammissibilita’

dell’azione introdotta avanti al giudice ordinario, non collide con

la competenza riservata alle Camere tramite le rispettive Giunte

parlamentari (art. 66 Cost.), alle quali spetta di conoscere ogni

questione concernente le operazioni elettorali, ivi comprese quelle

relative all’ammissione delle liste in materia di convalida

dell’elezione dei propri componenti, nonche’ al giudizio definitivo

su ogni contestazione, protesta o reclamo presentati ai singoli

Uffici elettorali circoscrizionali e all’Ufficio centrale durante la

loro attivita’ o posteriormente (v. Cass., sez. un., n. 3731/2013, n.

9151/2008). Tale competenza, infatti, non interferisce con la

giurisdizione del giudice naturale dei diritti fondamentali e dei

diritti politici in particolare, che e’ il giudice ordinario, senza

bisogno di invocare il pur vigente art. 2 della legge n. 2248/1865,

all. E (non essendo parte nella controversia una Pubblica

amministrazione intesa come articolazione del potere esecutivo).

5. – Venendo ad esaminare il secondo motivo di ricorso, si deve

valutare se siano non manifestamente infondate le proposte questioni

di legittimita’ costituzionale della legge elettorale n. 270/2005, di

cui si e’ riconosciuta la rilevanza, non potendo il giudizio sulla

dedotta lesione del diritto di voto essere definito indipendentemente

da esse.

A seguire la tesi espressa dai giudici di merito, i quali le

hanno giudicato manifestamente infondate, sul presupposto della

particolare ampiezza della discrezionalita’ di cui gode il

legislatore in materia, si dovrebbe ritenere che le leggi elettorali

sfuggano di per se’ al sindacato di costituzionalita’, rappresentando

(come si e’ pure problematicamente sostenuto da una parte della

dottrina) una sorta di «zona d’ombra» o «zona franca» sottratta al

giudizio di costituzionalita’.

5.1. – Questa impostazione non e’ condivisibile.

Il fatto che la materia dei sistemi elettorali non abbia

costituito oggetto di un’espressa disciplina nella Costituzione, che

ha rimesso al legislatore ordinario la scelta e la configurazione del

sistema elettorale, non significa che le norme legislative in materia

non debbano essere concepite in un quadro coerente con i principi

fondamentali dell’ordinamento e, in particolare, con il principio

costituzionale di uguaglianza, inteso come principio di

ragionevolezza (art. 3 Cost.), e con il vincolo costituzionale al

legislatore di rispettare i parametri del voto personale, eguale,

libero e diretto (artt. 48, 56 e 58 Cost.), in linea con una

consolidata tradizione costituzionale comune agli Stati membri

(l’art. 3 prot. 1 CEDU riconosce al popolo il diritto alla «scelta

del corpo legislativo»; di «suffragio universale diretto, libero e

segreto» parla anche l’art. 39 della Carta dei diritti fondamentali

dell’Unione europea, a proposito dell’elezione dei membri del

Parlamento europeo; sulla stessa linea gli artt. 38 della

Costituzione tedesca, 61 di quella belga e, sull’uguaglianza del

voto, l’art. 3 di quella francese del 1958).

Ne’ varrebbe l’obiezione secondo cui, rientrando le leggi

elettorali nella categoria delle leggi costituzionalmente necessarie,

non ne sarebbe possibile l’espunzione dall’ordinamento nemmeno in

caso di illegittimita’ costituzionale poiche’ una eventuale sentenza

costituzionale avrebbe come effetto quello di creare un inammissibile

vulnus al principio (da ultimo ribadito da Corte cost. n, 13/2012) di

continuita’ e costante operativita’ degli organi costituzionali, al

cui funzionamento quelle leggi sono indispensabili.

In realta’, come evidenziato da un’autorevole dottrina, e’ dubbio

che tale principio, elaborato dalla giurisprudenza costituzionale ai

fini dell’ammissibilita’ dei referendum abrogativi, sia trasferibile

negli stessi termini anche in presenza di una illegittimita’

costituzionale conclamata (perche’ si finirebbe per tollerare la

permanente vigenza di norme incostituzionali, fatto questo grave se

si considera la rilevanza essenziale della legge elettorale per la

vita democratica di un Paese).

E’ opportuno puntualizzare che la proposta questione di

legittimita’ costituzionale non mira a far caducare l’intera legge n.

270/2005 ne’ a sostituirla con un’altra eterogenea impingendo nella

discrezionalita’ del legislatore, ma a ripristinare nella legge

elettorale contenuti costituzionalmente obbligati (concernenti –

cosi’ anticipando le conclusioni – la disciplina del premio di

maggioranza e delle preferenze), senza compromettere la permanente

idoneita’ del sistema elettorale a garantire il rinnovo degli organi

costituzionali. Tale conclusione – ad avviso del Collegio – non e’

contraddetta ne’ ostacolata dalla eventualita’ che si renda

necessaria un’opera di mera «cosmesi normativa» e di ripulitura del

testo per la presenza di frammenti normativi residui, che puo’ essere

realizzata dalla Corte costituzionale, avvalendosi dei poteri che ha

a disposizione (compreso quello di cui all’art. 27, ult. parte, legge

n. 87/1953), o dal legislatore in attuazione dei principi enunciati

dalla stessa Corte.

6. – Venendo al merito delle questioni di legittimita’

costituzionale, non sono manifestamente infondate quelle concernenti

l’attribuzione del premio di maggioranza per la Camera dei Deputati e

il Senato della Repubblica e l’esclusione del voto di preferenza; e’

manifestamente infondata quella concernente la dedotta menomazione

dei poteri del Capo dello Stato.

7. – Con riguardo al premio di maggioranza per la Camera, l’art.

83 del d.P.R. n. 361/1957, nel testo risultante dalla sostituzione

operata dalla legge n. 270/2005, prevede che l’Ufficio elettorale

nazionale verifica «se la coalizione di liste o la singola lista che

ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi abbia

conseguito almeno 340 seggi» (comma 1, n. 5); «Qualora la coalizione

di liste o la singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti

validi espressi ai sensi del comma i non abbia gia’ conseguito almeno

340 seggi, ad essa viene ulteriormente attribuito il numero di seggi

necessario per raggiungere tale consistenza. In tale caso l’Ufficio

assegna 340 seggi alla suddetta coalizione di liste o singola lista.

Divide quindi il totale delle cifre elettorali nazionali di tutte le

liste della coalizione o della singola lista per 340, ottenendo cosi’

il quoziente elettorale nazionale di maggioranza» (comma 2; la

ripartizione dei seggi restanti tra le altre liste e coalizioni e’

prevista nel comma successivo).

7.1. – La legge n. 270/2005 ha in tal modo introdotto un premio

di maggioranza assegnato (a livello nazionale per la Camera e a

livello regionale per il Senato) alla lista o coalizione di liste che

abbia ottenuto il maggior numero di voti. E’ sufficiente uno scarto

minimo di voti per fare attribuire alla lista o coalizione vincente

alla Camera un vantaggio in termini di seggi (340) rispetto a tutte

le altre liste o coalizioni, che e’ ancor piu’ evidente se si

considera che il premio e’ attribuito a prescindere dal

raggiungimento di un minimo di voti o di seggi. L’effetto e’ di

trasformare una maggioranza relativa di voti (potenzialmente anche

molto modesta) in una maggioranza assoluta di seggi, con un vantaggio

rispetto alle altre liste o coalizioni che determina una oggettiva e

grave alterazione della rappresentanza democratica (artt. 1, comma 2,

e 67 Cost.).

La Corte costituzionale ha piu’ volte segnalato al Parlamento

«l’esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici di

una legislazione che non subordina l’attribuzione del premio di

maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di

seggi» (Corte cost. n. 15/2008 e, per il Senato, n. 16/2008; v. anche

la n. 13/2012); il Capo dello Stato (nel discorso del 22 aprile 2013

al Parlamento in seduta comune) ha osservato che si tratta di un

premio «abnorme».

La finalita’ avuta di mira dalla legge n. 270/2005 e’ stata

quella di assicurare la durata della legislatura e la governabilita’.

Del resto, durante i lavori preparatori della Costituzione, l’ordine

del giorno Perassi (II Sottoc., 4 settembre 1946) aveva espresso

l’opportunita’ che la forma parlamentare venisse disciplinata «con

dispositivi costituzionali idonei a tutelare le esigenze di

stabilita’ dell’azione di Governo e ad evitare le degenerazioni del

parlamentarismo».

Se quindi e’ vero che tale finalita’ puo’ giustificare una

limitata deroga al principio della rappresentanza e la sottrazione

alla minoranza di un certo numero di seggi (cui essa avrebbe diritto

in base a un calcolo proporzionale), tuttavia occorre pur sempre che

il meccanismo che consente la traduzione dei voti in seggi non

determini una sproporzione talmente grave da risultare irragionevole

e, quindi, in violazione dell’art. 3 Cost.

Cio’ e’ quanto realizzato dalla legge n. 270/2005. Il premio per

la Camera, come si e’ detto, ha la funzione di trasformare anche

modeste maggioranze relative di voti in maggioranze assolute di

seggi, con un effetto ben piu’ grave del premio previsto dalla legge

n. 148/1953, che (sulla scia della legge francese n. 519/1951, cd.

loi scelerate) attribuiva alle liste che avessero gia’ ottenuto la

maggioranza assoluta dei voti una quota aggiuntiva di seggi (si

parlava di premio «alla» maggioranza) al fine di far raggiungere il

64% del totale dei seggi, e persino di quello previsto dalla legge n.

2444/1923 (cd. legge Acerbo) che richiedeva il raggiungimento del

venticinque per cento dei voti validi per far scattare il premio dei

due terzi dei seggi.

Si tratta di un meccanismo premiale che, da un lato, come e’

stato notato in dottrina, incentivando (mediante una complessa

modulazione delle soglie di accesso alle due Camere) il

raggiungimento di accordi tra le liste al fine di accedere al premio,

contraddice l’esigenza di assicurare la governabilita’, stante la

possibilita’ che, anche immediatamente dopo le elezioni, la

coalizione beneficiaria del premio si sciolga o i partiti che ne

facevano parte ne escano (con l’ulteriore conseguenza che

l’attribuzione del premio, se era servita a favorire la formazione di

un governo all’inizio della legislatura, potrebbe invece ostacolarla

con riferimento ai governi successivi, basati su coalizioni diverse);

dall’altro, esso provoca una ,alterazione degli equilibri

istituzionali, tenuto conto che la maggioranza beneficiaria del

premio e’ in grado di eleggere gli organi di garanzia che, tra

l’altro, restano in carica per un tempo piu’ lungo della legislatura.

Esso e’ quindi manifestamente irragionevole (art. 3 Cost.),

nonche’ lesivo dei principi di uguaglianza del voto (art. 48, comma

2, Cost.) e rappresentanza democratica (art. 1, comma 2, e 67 Cost.).

E’ vero, come ha ricordato la Corte di appello, che il principio

costituzionale dell’uguaglianza del voto «non si estende al risultato

delle elezioni ma opera esclusivamente nella fase in cui viene

espresso, con conseguente esclusione del voto multiplo e del voto

plurimo, considerato che qualsiasi sistema elettorale implica un

grado piu’ o meno consistente di distorsione nella fase conclusiva

della distribuzione dei seggi» (Corte cost. n. 15 e 16/2008 cit., n.

107/1996, n. 429/1992). Tuttavia la distorsione provocata

dall’attribuzione del suddetto premio costituisce non gia’ un mero

inconveniente di fatto (che puo’ riscontrarsi in vari sistemi

elettorali) ma il risultato di un meccanismo che e’ irrazionale

perche’ normativamente programmato per tale esito. Ed e’ per questo

che i ricorrenti correttamente invocano come norma-parametro anche

l’art. 48, comma 2, Cost., poiche’ ad essere compromessa e’ proprio

la “parita’ di condizione dei cittadini nel momento in cui il voto

viene espresso” nella quale l’uguaglianza del voto consiste (Corte

cost. n. 173/2005, n. 107/1996).

8. – Per il Senato, l’art. 17 del d.lgs. n. 533/1993, nel testo

sostituito dalla legge n. 270/2005, prevede che l’Ufficio elettorale

regionale verifica «se la coalizione di liste o la singola lista che

ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi nell’ambito

della circoscrizione abbia conseguito almeno il 55 per cento dei

seggi assegnati alla regione, con arrotondamento all’unita’

superiore» (comma 2); «Nel caso in cui la verifica di cui al comma 2

abbia dato esito negativo, l’ufficio elettorale regionale assegna

alla coalizione di liste o alla singola lista che abbia ottenuto il

maggior numero di voti un numero di seggi ulteriore necessario per

raggiungere il 55 per cento dei seggi assegnati alla regione, con

arrotondamento all’unita’ superiore» (comma 4; la ripartizione dei

seggi restanti tra le altre liste e coalizioni e’ disciplinata nei

commi successivi).

8.1. – Il dubbio di legittimita’ costituzionale del premio per il

Senato, oltre che per la mancanza di una soglia minima di voti e/o di

seggi (v. Corte cosa. n. 16/2008), sorge per l’ulteriore profilo di

irrazionalita’ intrinseco in un meccanismo che di fatto contraddice

lo scopo che dichiara di voler perseguire (quello di assicurare la

governabilita’). Infatti, essendo il premio diverso per ogni regione,

il risultato e’ una sommatoria casuale dei premi regionali che

finiscono per elidersi tra loro e possono addirittura rovesciare il

risultato ottenuto dalle liste e coalizioni di lista su base

nazionale. Le diverse maggioranze regionali non avranno mai modo di

esprimersi e di contare, perche’ il Senato e’ un’assemblea unitaria e

il governo e’ nazionale.

In tal modo si favorisce la formazione di maggioranze

parlamentari non coincidenti, pur in presenza di una distribuzione

del voto sostanzialmente omogenea tra i due rami del Parlamento, e si

compromette sia il funzionamento della nostra forma di governo

parlamentare nella quale, secondo i dettami del bicameralismo

perfetto, «il Governo deve avere la fiducia delle due Camere» (art.

94, comma 1, Cost.), sia l’esercizio della funzione legislativa che

l’art. 70 Cost. attribuisce paritariamente alla Camera e al Senato.

8.2. – La violazione dei principi di ragionevolezza e uguaglianza

del voto (artt. 3 e 48, comma 2, Cost.) e’ per il Senato ancor piu’

evidente se si considera che l’entita’ del premio, in favore della

lista o coalizione che ha ottenuto piu’ voti, varia regione per

regione ed e’ maggiore nelle regioni piu’ grandi e popolose, con

l’effetto che il peso del voto (che dovrebbe essere uguale e contare

allo stesso modo ai fini della traduzione in seggi) e’ diverso a

seconda della collocazione geografica dei cittadini elettori.

Ne’ varrebbe obiettare che l’art. 57, comma 1, Cost. prevede che

il Senato sia «eletto a base regionale», essendo qui in discussione

non l’attribuzione dei seggi su base regionale ma le caratteristiche

e gli effetti di un premio (alle singole liste o coalizioni di liste)

che se introdotto dal legislatore ordinario deve esserlo rispettando

il principio di uguaglianza di tutti i cittadini nel territorio

nazionale.

9. – Con riguardo all’abolizione del voto di preferenza, il

dubbio di legittimita’ costituzionale investe, per l’elezione della

Camera, l’art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 361/1957, nel testo

risultante dalla sostituzione operata dalla legge n. 270/2005,

secondo cui «Ogni elettore dispone di un voto per la scelta della

lista ai fini dell’attribuzione dei seggi in ragione proporzionale,

da esprimere su un’unica scheda recante il contrassegno di’ ciascuna

lista» (l’ulteriore disposizione censurata dai ricorrenti, secondo

cui il voto e’ «attribuito a liste di candidati concorrenti», era

gia’ contenuta nel testo originario dell’art. 1, comma 1, del d.P.R.

n. 361/1957). Inoltre la legge n. 270/2005, sopprimendo nell’art. 59

del citato d.P.R. il secondo comma (che cosi’ recitava: «Una scheda

valida per l’elezione del candidato nel collegio uninominale

rappresenta un voto individuale»), ha lasciato in vigore solo il

comma 1 («Una scheda valida per la scelta della lista rappresenta un

voto di lista») il quale e’ anch’esso investito, in via

consequenziale, dal dubbio di costituzionalita’ (gli artt. 58 e 60

ss. del d.P.R. n. 361/1957, in parte sostituiti o soppressi dalla

legge n. 270/2005, disciplinavano poi le modalita’ di espressione del

voto).

Per l’elezione del Senato, il dubbio investe l’art. 14, comma 1,

del d.lgs. n. 533/1993, come sostituito dalla legge n. 270/2005,

secondo cui «Il voto si esprime tracciando, con la matita, sulla

scheda un solo segno, comunque apposto, nel rettangolo contenente il

contrassegno della lista prescelta» (gli articoli successivi, ora

sostituiti e in parte soppressi, disciplinavano le modalita’ del voto

nel precedente sistema elettorale; l’ulteriore disposizione,

censurata dai ricorrenti, sulla attribuzione del seggio vacante

«nell’ambito della medesima circoscrizione, al candidato che nella

lista segue immediatamente l’ultimo degli eletti nell’ordine

progressivo di lista», era gia’ contenuta nel testo originario

dell’art. 19, comma 1, del medesimo d.lgs.).

9.1. – E’ stata cosi’ abolita qualsiasi possibilita’ per

l’elettore di esprimere una preferenza (i nomi dei candidati non

compaiono neppure sulla scheda e per conoscerli egli e’ costretto a

svolgere apposite ricerche). Come diffusamente evidenziato dalla

dottrina, l’elettore puo’ votare solo una lista «bloccata»;

l’elezione sara’ determinata esclusivamente dall’ordine di lista

stabilito dal partito all’atto della presentazione, poiche’ e’ tale

ordine, e non il voto del cittadino elettore, a distinguere la

posizione di candidato certamente eletto o, al contrario, non eletto.

I ricorrenti dubitano della legittimita’ costituzionale di questo

sistema. La questione non e’ manifestamente infondata per le ragioni

che seguono.

9.2. – Gli artt. 56, comma 1, e 58, comma 1, Cost. stabiliscono

che il suffragio e’ «diretto» (oltre che «universale») per l’elezione

dei deputati e dei senatori; l’art. 48, comma 2, Cost. stabilisce che

il voto e’ «personale» e «libero» (oltre che «eguale» e «segreto»);

l’art. 3 prot. 1 CEDU riconosce al popolo il diritto alla «scelta del

corpo legislativo», in linea con le costituzioni di altri paesi

europei (i deputati «sono eletti direttamente dai cittadini» secondo

l’art. 61 della Costituzione belga; l’art. 38 della Costituzione

tedesca stabilisce che «I deputati del Bundestag sono eletti con

elezioni a suffragio universale, dirette, libere, uguali e segrete»).

La nostra Carta fondamentale, nel prevedere il voto «diretto»,

esclude quindi implicitamente (ma chiaramente) il voto «indiretto» in

qualsiasi forma esso possa essere congegnato dal legislatore.

Il dubbio e’ se possa considerarsi come «diretto» oppure come

sostanzialmente «indiretto», e quindi incompatibile con la

Costituzione, un voto che non consente all’elettore di esprimere

alcuna preferenza, ad esempio indicando il nominativo di un candidato

sulla scheda, ma solo di scegliere una lista di partito, cui in

definitiva e’ rimessa la designazione dei candidati.

I partiti concorrono, con le altre formazioni sociali (art. 2

Cost.), «con metodo democratico a determinare la politica nazionale»

(art. 49 Cost.), ma non si identificano con le istituzioni

rappresentative da eleggere ne’ con il corpo elettorale. La loro e’

una funzione strumentale di proposta e di raccordo tra i cittadini e

le istituzioni, cioe’ di intermediazione; essi «concorrono alla

espressione del voto» (per usare le parole dell’art. 4 della

Costituzione francese), ma non possono sostituirsi al corpo

elettorale. Vi e’ da chiedersi se sia rispettato il nucleo

sostanziale dell’art. 67 Cost. che, prevedendo che «Ogni membro del

Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza

vincolo di mandato», presuppone evidentemente l’esistenza di un

mandato conferito direttamente dagli elettori.

Vi e’ anche da chiedersi se possa ritenersi realmente «libero» il

voto quando all’elettore e’ sottratta la facolta’ di scegliere

l’eletto (ad avviso di una parte della dottrina, l’espressione

«liberta’ di voto senza preferenza» assume il significato di un

«drammatico ossimoro») e se possa ritenersi «personale» un voto che

e’ invece «spersonalizzato».

Ne’ varrebbe sostenere in senso contrario che l’elettore sarebbe

libero di scegliere tra l’una e l’altra lista in cui e’ ricompreso il

candidato prescelto. La sua elezione infatti non dipenderebbe dal

numero di voti ottenuti ma dall’ordine di candidatura nella lista

assegnato dagli organi di partito.

In definitiva e’ dubbio che l’opzione seguita dal legislatore del

2005 costituisca il risultato di un bilanciamento ragionevole e

costituzionalmente accettabile tra i diversi valori in gioco.

10. – Nel terzo motivo di ricorso e’ censurato l’inserimento

nell’art. 14-bis del d.P.R. n. 361/1957, ad opera della legge n.

270/2005, della indicazione del nome e cognome della persona «come

unico capo della coalizione» da parte dei partiti o gruppi politici

organizzati, tra loro collegati in coalizione, che si candidano a

governare, con l’effetto che il Presidente della Repubblica non

potrebbe contraddire tale indicazione contenuta nel simbolo della

coalizione o lista di «minoranza» vincente anche per un solo voto. In

tal modo la convergente previsione del «premio di maggioranza»,

combinata con il «sistema delle liste bloccate» e con l’inserimento

nella scheda elettorale del nome del capo della lista o della

coalizione, quale indicazione coartante la discrezionalita’ del

Presidente della Repubblica nella nomina del Presidente del Consiglio

dei ministri, si tradurrebbe in una surrettizia trasformazione della

Repubblica da «parlamentare» a «presidenziale».

10.1. – La questione di costituzionalita’, che e’ alla base del

motivo in esame, e’ manifestamente infondata. E’ sufficiente

considerare che il richiamato art. 14-bis, comma 3, ult. parte, del

d.P.R. n. 361/1957, puntualizza che «Restano ferme le prerogative

spettanti al Presidente della Repubblica previste dall’articolo 92,

secondo comma, della Costituzione», risultando smentita la tesi della

menomazione dei poteri del Capo dello Stato nella formazione del

governo.

11. – Nella memoria illustrativa i ricorrenti adombrano ulteriori

profili di incostituzionalita’ della legge n. 270/2005, per la

diversita’ delle soglie di accesso alla Camera e al Senato e per la

previsione solo per la Camera di soglie piu’ basse (anche sotto il

2%) per le liste coalizzate.

11.1. – La generica deduzione, tuttavia, non si e’ tradotta in

una eccezione di legittimita’ costituzionale di specifiche

disposizioni di legge. E comunque la modulazione delle soglie di

accesso alle due Camere rientra nella piena discrezionalita’ del

legislatore il quale, al fine di evitare una frammentazione eccessiva

delle liste, puo’ provvedervi con una pluralita’ di soluzioni e di

meccanismi che, se configurati in modo non irragionevole, si

sottraggono al sindacato di costituzionalita’.

12. – In conclusione, sono rilevanti e non manifestamente

infondate le questioni di costituzionalita’ sollevate nel giudizio,

tutte incidenti sulle modalita’ di esercizio della sovranita’

popolare (artt. 1, comma 2, e 67 Cost.), aventi ad oggetto:

l’art. 83, commi 1, n. 5, e 2, del d.P.R. n. 361/1957, nel

testo risultante dalla legge n. 270/2005, sul premio di maggioranza

per l’elezione della Camera dei Deputati, in relazione agli artt. 3 e

48, comma 2, Cost.;

l’art. 17, commi 2 e 4, del d. lgs. n. 533/1993, nel testo

risultante dalla legge n. 270/2005, sul premio di maggioranza per

l’elezione del Senato della Repubblica, in relazione agli artt. 3 e

48, comma 2, Cost.;

gli artt. 4, comma 2, e 59, comma 1, del d.P.R. n. 361/1957,

nel testo risultante dalla legge n. 270/2005, sul voto di preferenza

per la Camera, in relazione agli artt. 3, 48, comma 2, 49, 56, comma

1, e 117, comma 1, Cost., anche alla luce dell’art. 3 Prot. 1 CEDU;

l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533/1993, nel testo

risultante dalla legge n. 270/2005, sul voto di preferenza per il

Senato, in relazione agli artt. 3, 48, comma 2, 49, 58, comma 1, e

117, comma 1, Cost., anche alla luce dell’art. 3 Prot. 1 CEDU.

 

P.Q.M.

Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate, in relazione

agli artt. 1, comma 2, 3, 48, comma 2, 49, 56, comma 1, 58, comma 1,

67 e 117, comma 1, della Costituzione, anche alla luce dell’art. 3

Prot. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle

liberta’ fondamentali, le questioni di’ legittimita’ costituzionale

degli artt. 4, comma 2, 59, comma 1, e 83, commi 1, n. 5, e 2 del

d.P.R. n. 361/1957, nel testo risultante dalla legge n. 270/2005; 14,

comma 1, e 17, commi 2 e 4, del d.lgs. n. 533/1993, nel testo

risultante dalla legge n. 270/2005.

Manda alla Cancelleria di notificare la presente ordinanza al

Presidente dei Consiglio dei ministri, nonche’ di darne comunicazione

al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della

Camera dei deputati ed alle parti del presente giudizio.

Dispone l’immediata trasmissione degli atti, comprensivi della

documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte

comunicazioni e notificazioni, alla Corte costituzionale;

Sospende il giudizio in corso.

Si comunichi a cura della Cancelleria.

Roma, 21 marzo 2013

Il Presidente: Vitrone 

Redazione

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