Abuso di contratti a termine. La Corte di Giustizi…

Abuso di contratti a termine. La Corte di Giustizia

Affinché una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che vieta in modo assoluto, nel settore pubblico, la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato di una successione di contratti a tempo determinato, possa essere considerata conforme all’accordo quadro, l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato deve prevedere, in tale settore, un’altra misura effettiva per evitare, ed eventualmente sanzionare, l’utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.

E’ contraria al diritto comunitario una normativa nazionale che, nell’ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento venga subordinato all’obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego, se poi detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, da parte del citato lavoratore, dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione.

Spetterà al giudice italiano valutare in che misura le disposizioni di diritto nazionale volte a sanzionare il ricorso abusivo, da parte della pubblica amministrazione, a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato siano o meno conformi ai principi stabiliti dalla Corte.

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Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Ottava Sezione)

Ordinanza del 12 dicembre 2013

«Rinvio pregiudiziale – Articolo 99 del regolamento di procedura della Corte – Politica sociale – Direttiva 1999/70/CE– Clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato – Settore pubblico – Successione di contratti – Abuso – Risarcimento del danno – Condizioni per il risarcimento in caso di apposizione illegale di un termine al contratto di lavoro – Principi di equivalenza ed effettività»

Nella causa C‑50/13,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale ordinario di Aosta (Italia), con decisione del 3 gennaio 2013, pervenuta in cancelleria il 30 gennaio 2013, nel procedimento

Rocco Papalia

contro

Comune di Aosta,

LA CORTE (Ottava Sezione),

composta da C. G. Fernlund, presidente di sezione, A. Ó Caoimh (relatore) e C. Toader, giudici,

avvocato generale: J. Kokott

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

vista la decisione, adottata sentito l’avvocato generale, di statuire con ordinanza motivata, conformemente all’articolo 99 del regolamento di procedura della Corte,

ha emesso la seguente

Ordinanza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro»), che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU L 175, pag. 43).

2 Questa domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. Papalia e il Comune di Aosta, in merito al risarcimento del danno che detto ricorrente avrebbe sofferto a causa del ricorso abusivo, da parte del citato comune, alla stipula di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

3 La direttiva 1999/70 si basa sull’articolo 139, paragrafo 2, CE e, ai sensi del suo articolo 1, è diretta ad «attuare l’accordo quadro (…), che figura nell’allegato, concluso (…) fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale (CES, CEEP e UNICE)».

4 L’articolo 2, paragrafo 1, della citata direttiva stabilisce quanto segue:

«Gli Stati membri mettono in atto le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva [e] devono prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla presente direttiva (…)».

5 Conformemente alla clausola 1 dell’accordo quadro, l’obiettivo di quest’ultimo è, da un lato, migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione e, dall’altro, creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato.

6 La clausola 5 dell’accordo quadro così recita:

«1. Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:

a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;

b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;

c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.

2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato:

a) devono essere considerati “successivi”;

b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato».

Diritto italiano

7 L’articolo 36 del decreto legislativo del 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (Supplemento ordinario alla GURI n. 106, del 9 maggio 2001) (in prosieguo: il «d. lgs. n. 165/2001»), dispone quanto segue:

«1. Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento previste dall’articolo 35.

2. Per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti. Ferma restando la competenza delle amministrazioni in ordine alla individuazione delle necessità organizzative in coerenza con quanto stabilito dalle vigenti disposizioni di legge, i contratti collettivi nazionali provvedono a disciplinare la materia dei contratti di lavoro a tempo determinato (…).

(…)

5. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative (…)».

Procedimento principale e questione pregiudiziale

8 Il sig. Papalia ha lavorato alle dipendenze del Comune di Aosta, quale direttore della banda municipale, in base a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, stipulati ininterrottamente dal 1983.

9 Con lettera datata 17 luglio 2012, il Comune di Aosta ha informato il sig. Papalia del fatto che, a partire dal 30 giugno 2012, data di scadenza del suo ultimo contratto di lavoro a tempo determinato, esso intendeva porre termine al loro rapporto di lavoro.

10 Il sig. Papalia ha proposto ricorso avverso questa decisione dinanzi al Tribunale ordinario di Aosta chiedendo, oltre all’accertamento dell’illegalità del termine apposto al contratto di lavoro, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e, in subordine, il risarcimento del danno che egli ritiene di aver subito a causa dell’utilizzo abusivo, da parte del suo ex datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.

11 Il Tribunale ordinario di Aosta constata che un lavoratore, illegalmente assunto nel pubblico impiego in base a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, non solo non ha diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in applicazione dell’articolo 36, quinto comma, del d. lgs. n. 165/2001, ma, in forza di una giurisprudenza consolidata della Corte suprema di cassazione italiana, può beneficiare del risarcimento del danno sofferto a causa di ciò solo qualora ne dimostri la concreta sussistenza. Una prova siffatta imporrebbe al ricorrente di essere in grado di dimostrare che egli abbia dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego.

12 Il giudice del rinvio si chiede se le disposizioni dell’articolo 36, quinto comma, del d. lgs. n. 165/2001 possano considerarsi tali da tutelare un lavoratore contro gli abusi derivanti dal ricorso a una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, e se queste stesse disposizioni siano compatibili con la clausola 5 dell’accordo quadro.

13 Alla luce di queste considerazioni, il Tribunale ordinario di Aosta ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se la direttiva 1999/70 (…) (articolo 1 nonché clausola 5 dell’allegato accordo quadro oltre ad ogni altra norma comunque connessa o collegata), debba essere intesa nel senso di consentire che il lavoratore assunto da un ente pubblico con contratto a tempo determinato in assenza dei presupposti dettati dalla normativa comunitaria predetta abbia diritto al risarcimento del danno soltanto se ne provi la concreta effettività, e cioè nei limiti in cui fornisca una positiva prova, anche indiziaria, ma comunque precisa, di aver dovuto rinunziare ad altre, migliori occasioni di lavoro».

Sulla questione pregiudiziale

14 Con la sua questione, il giudice del rinvio mira a determinare se l’accordo quadro debba essere interpretato nel senso che esso osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell’ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all’obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego.

15 Occorre constatare che la risposta a tali questioni può essere chiaramente dedotta dalla giurisprudenza, in particolare dalle sentenze del 4 luglio 2006, Adeneler e a. (C‑212/04, Racc. pag. I‑6057, punti da 91 a 105); del 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino (C‑53/04, Racc. pag. 1‑7213, punti da 44 a 57); Vassallo (C‑180/04, Racc. pag. I‑7251, punti da 33 a 42), e del 23 aprile 2009, Angelidaki e a. (da C‑378/07 a C‑380/07, Racc. pag. I‑3071, punti 145 e da 182 a 190), nonché dalle ordinanze del 12 giugno 2008, Vassilakis e a. (C‑364/07, punti da 118 a 137); del 24 aprile 2009, Koukou (C‑519/08, punti da 82 a 91); del 23 novembre 2009, Lagoudakis e a. (da C‑162/08 a C‑164/08, punto 11), e del 1° ottobre 2010, Affatato (C‑3/10, punto 37), nell’ambito delle quali veniva sollevata una questione analoga. Del resto, le citate sentenze Marrosu e Sardino nonché Vassallo riguardano la medesima normativa nazionale in questione nel procedimento principale.

16 Da tale giurisprudenza discende che la clausola 5 dell’accordo quadro non stabilisce un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato, così come non stabilisce nemmeno le condizioni precise alle quali si può fare uso di questi ultimi, lasciando agli Stati membri un certo margine di discrezionalità in materia (v. citate sentenze Adeneler e a., punto 91; Marrosu e Sardino, punto 47; Angelidaki e a., punti 145 e 183, nonché citate ordinanze Vassilakis e a., punto 121; Koukou, punto 85, e Affatato, punto 38).

17 Pertanto, affinché una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che vieta in modo assoluto, nel settore pubblico, la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato di una successione di contratti a tempo determinato, possa essere considerata conforme all’accordo quadro, l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato deve prevedere, in tale settore, un’altra misura effettiva per evitare, ed eventualmente sanzionare, l’utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato (v. citate sentenze Adeneler e a., punto 105; Marrosu e Sardino, punto 49; Vassallo, punto 34; Angelidaki e a., punti 161 e 184, nonché citate ordinanze Vassilakis e a., punto 123; Koukou, punti 67 e 86; Lagoudakis e a., punto 11, e Affatato, punto 42).

18 A questo proposito occorre ricordare che la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro impone agli Stati membri, per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, l’adozione effettiva e vincolante di almeno una fra le misure elencate in tale disposizione, in assenza di misure equivalenti nell’ordinamento nazionale (v. sentenze Adeneler e a., cit., punti 65, 80, 92 e 101; Marrosu e Sardino, cit., punto 50; Vassallo, cit., punto 35; del 15 aprile 2008, Impact, C‑268/06, Racc. pag. I‑2483, punti 69 e 70, e Angelidaki e a., cit., punti 74 e 151, nonché citate ordinanze Vassilakis e a., punti 80, 103 e 124; Koukou, punto 53, e Affatato, punto 43).

19 Le misure così elencate al punto 1, lettere da a) a c), di detta clausola 5, in numero di tre, attengono, rispettivamente, a ragioni obiettive che giustificano il rinnovo di tali contratti o rapporti di lavoro, alla durata massima totale degli stessi contratti o rapporti di lavoro successivi ed al numero dei rinnovi di questi ultimi (v. citate sentenze Impact, punto 69, e Angelidaki e a., punto 74, nonché citate ordinanze Vassilakis e a., punto 80, Koukou, punto 54, e Affatato, punto 44).

20 Inoltre quando, come nel caso di specie, il diritto dell’Unione non prevede sanzioni specifiche nel caso in cui siano stati comunque accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure che devono rivestire un carattere non soltanto proporzionato, ma altresì sufficientemente effettivo e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in attuazione dell’accordo quadro (v. citate sentenze Adeneler e a., punto 94; Marrosu e Sardino, punto 51; Vassallo, punto 36, e Angelidaki e a., punto 158, nonché citate ordinanze Vassilakis e a., punto 125; Koukou, punto 64, e Affatato, punto 45).

21 Anche se, in assenza di una regolamentazione dell’Unione in materia, le modalità di attuazione di siffatte norme rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi, esse non devono tuttavia essere meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza), né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (v., in particolare, citate sentenze Adeneler e a., punto 95; Marrosu e Sardino, punto 52; Vassallo, punto 37, e Angelidaki e a., punto 159, nonché citate ordinanze Vassilakis e a., punto 126; Koukou, punto 65, e Affatato, punto 46).

22 Ne consegue che, quando si è verificato un ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso ed eliminare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione. Infatti, secondo i termini stessi dell’articolo 2, primo comma, della direttiva 1999/70, gli Stati membri devono «prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla [detta] direttiva» (v. citate sentenze Adeneler e a., punto 102; Marrosu e Sardino, punto 53; Vassallo, punto 38, e Angelidaki e a., punto 160, nonché citate ordinanze Vassilakis e a., punto 127; Koukou, punto 66, e Affatato, punto 47).

23 A questo proposito, il sig. Papalia sostiene che l’unica forma di tutela esistente per i lavoratori del settore pubblico assunti con contratto a durata determinata in Italia sarebbe il risarcimento del danno sofferto, dato che l’articolo 35, quinto comma, del d. lgs. n. 165/2001 prevederebbe un diritto alla riqualificazione di un contratto a durata determinata in un contratto a durata indeterminata solo a beneficio dei lavoratori del settore privato. Ebbene, secondo l’interpretazione elaborata dalla Corte suprema di cassazione, per un lavoratore del settore pubblico sarebbe impossibile fornire le prove richieste dal diritto nazionale al fine di ottenere un siffatto risarcimento del danno, poiché gli si imporrebbe di fornire, segnatamente, la prova della perdita di opportunità di lavoro e quella del conseguente lucro cessante. Una prova siffatta non sarebbe imposta dalla giurisprudenza della Corte, la quale preciserebbe soltanto che il danno risarcibile a causa della violazione di una norma contenuta nella direttiva 1999/70 deve derivare immediatamente e direttamente dalla violazione delle norme finalizzate alla tutela dei lavoratori precari.

24 Per parte sua, il governo italiano sottolinea, segnatamente, che le misure che il diritto nazionale deve prevedere per prevenire e punire gli abusi ai sensi della clausola 5 dell’accordo quadro non dovrebbero presentare difficoltà eccessive di attuazione, ma dovrebbero risarcire adeguatamente il danno sofferto e avere un effetto dissuasivo, in modo da non essere meno favorevoli delle sanzioni applicabili a situazioni analoghe di natura interna. Al momento, il giudice nazionale non avrebbe effettuato nessuna di queste verifiche.

25 Come già sottolineato nel punto 21 della presente ordinanza, l’accordo quadro dev’essere interpretato nel senso che le misure previste da una normativa nazionale, quale quella in questione nel procedimento principale, destinata a punire l’uso abusivo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, non devono essere meno favorevoli di quelle disciplinanti situazioni analoghe di natura interna né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione (v., in tal senso, ordinanza Affatato, cit., punto 63).

26 A questo proposito, dalla decisione di rinvio si evince che la normativa interna in questione nel procedimento principale, nell’interpretazione datane dalla Corte suprema di cassazione, pare che imponga che un lavoratore del settore pubblico, quale il sig. Papalia, il quale desideri ottenere il risarcimento del danno sofferto, nell’ipotesi di utilizzo abusivo, da parte del suo ex datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, non goda di nessuna presunzione d’esistenza di un danno e, di conseguenza, debba dimostrare concretamente il medesimo. Secondo il giudice del rinvio, una prova siffatta, quanto all’interpretazione seguita nell’ordinamento nazionale, richiederebbe che il ricorrente sia in condizioni di provare che il proseguimento del rapporto di lavoro, in base a una successione di contratti a tempo determinato, l’abbia indotto a dover rinunciare a migliori opportunità di impiego.

27 Il governo italiano, nelle osservazioni scritte da esso presentate alla Corte, nega la rilevanza di un’interpretazione siffatta. Esso sostiene che nell’ordinamento nazionale il lavoratore del settore pubblico può provare con presunzioni l’esistenza del danno che egli ritenga di aver sofferto a causa dell’utilizzo abusivo, da parte del suo ex datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato e può invocare, in tale cornice, elementi gravi, precisi e concordanti i quali, benché non possano essere qualificati come prova compiuta, potrebbero tuttavia fondare il convincimento del giudice riguardo all’esistenza di un danno siffatto. Il governo italiano sottolinea anche la circostanza che la prova in tal modo richiesta non sarebbe tale da privare detto lavoratore della possibilità di ottenere il risarcimento del suo danno.

28 Occorre ricordare che la Corte deve prendere in considerazione, nell’ambito della ripartizione delle competenze tra i giudici comunitari e i giudici nazionali, il contesto in fatto e in diritto nel quale si inseriscono le questioni pregiudiziali, come definito dal giudice del rinvio (v., segnatamente, sentenza del 4 dicembre 2008, Jobra, C‑330/07, Racc. pag. I‑9099, punto 17 e giurisprudenza ivi citata). Di conseguenza, l’esame della presente questione pregiudiziale dev’essere effettuato alla luce dell’interpretazione del diritto nazionale fornita dal giudice del rinvio (v., per analogia, sentenze del 9 novembre 2006, Chateignier, C‑346/05, Racc. pag. I‑10951, punto 22; Angelidaki e a., cit., punto 51, nonché del 29 ottobre 2009, Pontin, C‑63/08, Racc. pag. I‑10467, punto 38).

29 Per quanto concerne il rispetto del principio di effettività, che è particolarmente evidenziato dalla questione proposta dal giudice del rinvio, dalla giurisprudenza della Corte si evince che accertare se una norma nazionale di procedura renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti ai cittadini dal diritto dell’Unione implica un’analisi, che tenga conto della collocazione della norma in questione nel complesso della procedura nonché dello svolgimento e delle particolarità che presenta quest’ultima nei diversi gradi di giudizio nazionali. Sotto tale profilo, si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (v. sentenze del 21 febbraio 2008, Tele2 Telecommunication, C‑426/05, Racc. pag. I‑685, punto 55 e giurisprudenza ivi citata, nonché Pontin, cit., punto 47).

30 Peraltro, spetta al giudice del rinvio, l’unico competente a pronunciarsi sull’interpretazione del diritto interno, valutare in che misura le disposizioni di tale diritto miranti a punire il ricorso abusivo, da parte della pubblica amministrazione, a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato rispettino i principi di effettività ed equivalenza (v., in tal senso, citata ordinanza Affatato, punto 60).

31 Tuttavia, la Corte, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, può, se necessario, fornire precisazioni dirette a guidare il giudice nazionale nella sua decisione (v. sentenze Marrosu e Sardino, cit., punto 54; Vassallo, cit., punto 39, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 143).

32 Nel caso di specie, secondo la decisione di rinvio, la prova richiesta in diritto nazionale può rivelarsi difficilissima, se non quasi impossibile da produrre da parte di un lavoratore quale il sig. Papalia. Pertanto, non si può escludere che questa prescrizione sia tale da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, da parte di questo lavoratore, dei diritti attribuitigli dall’ordinamento dell’Unione e, segnatamente, del suo diritto al risarcimento del danno sofferto, a causa dell’utilizzo abusivo, da parte del suo ex datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.

33 Spetta al giudice nazionale procedere alle verifiche del caso. In tale cornice, è suo compito anche esaminare in che misura, ammesso che risultino provate, le affermazioni del governo italiano, richiamate nel punto 27 della presente ordinanza, possano agevolare quest’onere della prova e, di conseguenza, incidere sull’analisi concernente il rispetto del principio di effettività in una controversia quale quella di cui al procedimento principale.

34 In considerazione di quanto sin qui esposto, occorre risolvere la questione proposta dichiarando che l’accordo quadro deve essere interpretato nel senso che esso osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell’ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all’obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego, se detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, da parte del citato lavoratore, dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione.

35 Spetta al giudice del rinvio valutare in che misura le disposizioni di diritto nazionale volte a sanzionare il ricorso abusivo, da parte della pubblica amministrazione, a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato siano conformi a questi principi.

Sulle spese

36 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Ottava Sezione) dichiara:

L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev’essere interpretato nel senso che esso osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell’ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all’obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego, se detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, da parte del citato lavoratore, dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione.

Spetta al giudice del rinvio valutare in che misura le disposizioni di diritto nazionale volte a sanzionare il ricorso abusivo, da parte della pubblica amministrazione, a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato siano conformi a questi principi.

Firme

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