Articolo 2.
Il comma 1 innova le previsioni del decreto legislativo n. 185 del 2000, recante «Incentivi all’autoimprenditorialità e all’autoimpiego, in attuazione dell’articolo 45, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144», al fine di adeguare le misure di sostegno dell’autoimprenditorialità alle mutate condizioni di contesto, che rendono necessario provvedere ad una concentrazione degli obiettivi e alla semplificazione delle forme di aiuto ora previste.
A tal fine la norma dispone una completa revisione del titolo I, che comporta la sostanziale sostituzione delle misure di aiuto attualmente in esso previste con una nuova agevolazione, caratterizzata da una forte funzione anticiclica e di contrasto alla disoccupazione giovanile e femminile.
Si tratta di un intervento complementare alla strumentazione già avviata dalle amministrazioni regionali nonché in linea con le novità previste in ambito europeo ed i nuovi indirizzi in tema di politiche di incentivazione per l’occupazione.
La misura che introduce è, in particolare, diretta a sostenere la creazione e lo sviluppo di piccole imprese (micro e piccola dimensione), possedute in prevalenza da giovani o da donne. Rispetto all’attuale formulazione del titolo I, l’intervento pubblico è, pertanto, esteso anche all’imprenditoria femminile.
Ai soggetti ammessi alle agevolazioni sono concedibili aiuti nella sola forma del mutuo agevolato per gli investimenti, a tasso zero, da restituire al massimo in otto anni e di importo sino al 75 per cento della spesa ammissibile. L’assenza del contributo a fondo perduto (previsto, invece, nel testo ora vigente del titolo I), definisce una maggiore selettività e sostenibilità dello strumento, nonché una forte qualificazione del target di riferimento dello stesso.
Gli incentivi sono applicabili su tutto il territorio nazionale (non vi è più, quindi, una limitazione alle aree svantaggiate del Paese) e sono concessi in regime de minimis.
L’opera di revisione del titolo I comporta, altresì, l’espressa abrogazione delle norme non più coerenti con il quadro normativo generale e l’integrazione del capo III del titolo I, relativo alle agevolazioni per il subentro in agricoltura. Le funzioni relative a queste ultime, infatti, con il decreto 28 dicembre 2006 e il successivo 18 ottobre 2007 del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono state trasferite all’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA). Si è, pertanto, reso necessario un intervento integrativo del citato capo al fine di mantenere una copertura normativa completa dei predetti interventi, fino ad oggi contenuta nelle disposizioni del titolo revisionato.
La norma non interviene, invece, sul titolo II del decreto legislativo n. 185 del 2000 (recante incentivi in favore dell’autoimpiego), le cui misure agevolative (lavoro autonomo, microimpresa e franchising), conservano la propria efficacia e mostrano dimensioni significative coinvolgendo giovani (il 51 per cento ha meno di 35 anni) e donne (il 44 per cento dei proponenti è di sesso femminile), con un tasso di aggiuntività molto alto (62 per cento).
Le modifiche apportate al titolo III del decreto legislativo n. 185 del 2000, recante «Disposizioni comuni transitorie e finali» si rendono, infine, necessarie per adeguare la disciplina attuativa delle misure alle nuove previsioni introdotte.
La disposizione di cui al comma 2 elimina il vincolo di applicazione introdotto dall’articolo 27 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, del regime di aiuto di cui agli articoli, 6, 7 e 8 del decreto-legge 1º aprile 1989, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 maggio 1989, n. 181, consentendo in tal modo di utilizzare il predetto regime in tutte le aree o distretti del Paese interessati da fenomeni di crisi industriale con impatto significativo sullo sviluppo dei territori e sull’occupazione. Le modalità di attuazione degli interventi e di individuazione delle situazioni in cui il regime di aiuto risulta applicabile sono definite dal Ministro dello sviluppo economico, con decreto di natura non regolamentare.
La necessità di riattivare il regime di aiuto anche al di fuori dei territori interessati da crisi industriali complesse di rilievo nazionale, a cui il regime resta prioritariamente destinato, deriva dalla numerosità delle situazioni di crisi oggi esistenti che pur determinando significativi effetti per la politica industriale italiana non rientrano nella definizione più stringente di crisi industriale complessa.
La crisi industriale complessa e lo strumento del «Progetto di riconversione e riqualificazione industriale» previsto per farvi fronte operano, infatti, entro un perimetro assai ristretto, sia sotto il profilo sostanziale sia sotto quello procedurale, tracciato dall’attuale formulazione dell’articolo 27 del citato decreto-legge n. 83 del 2012 e dalle disposizioni di attuazione dell’intervento, adottate con il decreto del Ministro dello sviluppo economico 31 gennaio 2013.
I ristretti margini entro i quali attivare l’intervento pubblico sono, in tali casi, giustificati dalla considerazione dell’importanza (in termini di ampiezza e di complessità) delle situazioni interessate, che sono destinate a mobilitare azioni a vari livelli, compreso quello normativo e amministrativo, con attività integrata e coordinata di amministrazioni centrali, regioni, enti locali e di soggetti anche privati.
La nozione di crisi industriale complessa fa riferimento a situazioni di crisi che riguardano specifici territori soggetti a recessione economica e perdita occupazionale di rilevanza nazionale derivante da una crisi di una o più imprese di grande o media dimensione con effetti sull’indotto ovvero da una grave crisi di uno specifico settore industriale con elevata specializzazione nel territorio.
Tali crisi hanno impatto significativo sulla politica industriale nazionale nella misura in cui riguardino:
a) settori industriali con eccesso di capacità produttiva o con squilibrio strutturale dei costi di produzione che necessitano di un processo di riconversione in linea con gli indirizzi europei e nazionali in materia di politica industriale;
b) settori industriali che necessitano di un processo di riqualificazione produttiva al fine di perseguire un riequilibrio tra attività industriale e tutela della salute e dell’ambiente.
Il riconoscimento della situazione di crisi industriale complessa, necessario presupposto ai fini dell’attivazione del complesso iter volto all’adozione del Progetto di riconversione e riqualificazione industriale, è operato dal Ministero dello sviluppo economico, anche su istanza della regione o delle regioni interessate.
Sotto il profilo procedurale, a seguito del riconoscimento della situazione di crisi industriale complessa, è previsto il coinvolgimento di una pluralità di soggetti fin dalla fase della definizione degli interventi, con la costituzione di un apposito organismo («gruppo di coordinamento e controllo») formato dai rappresentanti delle molteplici amministrazioni – centrali e regionali – interessate, il supporto dell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti Spa e il possibile svolgimento di procedure di evidenza pubblica per l’individuazione delle proposte di investimento.
Per l’adozione del Progetto è, poi, prevista la sottoscrizione di un accordo di programma, nonché l’attivazione di conferenze di servizi istruttorie e decisorie dei provvedimenti amministrativi funzionali alla realizzazione del Progetto.
La rapida evoluzione dei fenomeni di crisi industriale prodottasi in conseguenza della stagnazione della domanda domestica e internazionale, in particolar modo di quella derivante dall’area euro, rende necessario prevedere, ferma restando l’indispensabile selettività delle operazioni, un impiego più flessibile dello strumento di intervento offerto dal decreto-legge 1 aprile 1989, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 maggio 1989, n. 181, per tutte le situazioni che non potrebbero trovare copertura nella descritta nozione di crisi industriale complessa e che prescindono dall’attivazione sulla base di un’iniziativa regionale.
Articolo 3.
La misura in oggetto è tesa a favorire gli investimenti in ricerca e sviluppo da parte del sistema delle imprese.
La norma, non prevedendo alcun criterio di selettività, né territoriale, né settoriale, né di premialità, è da ritenere a tutti gli effetti una norma non rientrante tra i regimi di aiuto previsti dalla Commissione europea e quindi non soggetta ad obbligo di notifica, ma di mera comunicazione ai sensi del regolamento (CE) n. 800/2008.
Nello specifico la misura prevede un credito d’imposta pari al 50 per cento delle spese incrementali sostenute dalle imprese rispetto all’anno precedente, con un’agevolazione massima di 2,5 milioni di euro per impresa, ed è prevista una spesa minima di 50.000 euro in ricerca e sviluppo per poter accedere all’agevolazione.
Inoltre, la misura definisce quali siano le attività di ricerca e sviluppo soggette all’agevolazione e quali spese sono ammissibili.
Per ciascuna annualità a partire dal 2014 fino al 2016 è previsto il riconoscimento di crediti d’imposta per un ammontare massimo complessivo pari a 600 milioni di euro per il triennio. La fruizione dell’agevolazione avverrà tramite piattaforma informatica che consentirà di realizzare una procedura priva di graduatorie e di eventuali code da parte dei soggetti beneficiari, rendendo disponibile l’ammontare esatto di risorse ancora utilizzabili.
Al fine di evitare dichiarazioni non veritiere in merito all’ammontare effettivo delle spese sostenute è prevista una riduzione della misura di agevolazione concessa in caso di scostamento superiore al 20 per cento tra spese dichiarate e spese sostenute.
Qualora il plafond annuale non dovesse essere utilizzato, le relative risorse inutilizzate saranno rese disponibili per l’anno successivo.
Articolo 4.
Al comma 1 è sostituito l’articolo 252-bis (siti inquinati nazionali di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale) del decreto legislativo n. 152 del 2006 (codice ambiente). La finalità della norma è quella di consentire la stipula, da parte del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro dello sviluppo economico, d’intesa con la regione interessata e, per le materie competenti, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di accordi di programma con i soggetti interessati per l’attuazione di progetti di recupero ambientale e di riconversione industriale nei siti di interesse nazionale individuati entro la data del 30 aprile 2007 ai sensi della legge n. 426 del 1998. Si evidenzia che la risalenza dell’individuazione dei siti testimonia la necessità dell’intervento, posto che finora nessuno dei predetti interventi di bonifica ha avuto avvio e tantomeno attuazione, mentre, al contrario, l’intervento appare suscettibile di consentire finalmente il recupero delle aree in esame, che alla stregua della nuova disciplina si auspica possa contribuire a contrastare i sempre più frequenti fenomeni di delocalizzazione dei siti produttivi all’estero, considerato che le aree in questione sono di regola già ampiamente infrastrutturate in vista dell’utilizzo a fini produttivi. La norma mira, quindi, a rilanciare l’economia dei territori coinvolti e a promuovere il riutilizzo produttivo dei siti inquinati, restando escluse le aree interessate dalle misure di cui al decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 89. La norma individua le modalità, i criteri e i contenuti obbligatori degli accordi di programma, nonché i requisiti dei soggetti interessati e gli impegni da essi assunti, con l’individuazione delle rispettive responsabilità.
In relazione al comma 2, le disposizioni sono finalizzate a sostenere interventi di bonifica dei siti di interesse nazionale (SIN) individuati ai sensi dell’articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006, mediante il riconoscimento di un credito d’imposta in favore delle imprese sottoscrittrici degli accordi di programma di cui all’articolo 252-bis del medesimo decreto, a fronte dell’acquisizione di nuovi beni strumentali nell’ambito di unità produttive ubicate nei predetti SIN acquisiti dai soggetti che hanno sottoscritto l’accordo.
La norma prevede l’ammissibilità alle agevolazioni anche delle imprese localizzate al di fuori delle aree svantaggiate (articolo 107, paragrafo 3, lettere a) e c), del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – TFUE), in quanto non tutti i SIN insistono in tali aree. Nei SIN esterni alle aree comprese nella Carta italiana degli aiuti a finalità regionale, per la gran parte riferite alle zone del centro-nord, che in base alla prima formulazione della norma sarebbero stati esclusi dalle agevolazioni, sono comunque applicabili le discipline europee in materia di aiuti di Stato alle piccole e medie imprese e per la tutela dell’ambiente. L’individuazione della potenziale platea dei beneficiari del credito d’imposta trova in ogni caso il suo limite nella dotazione finanziaria prevista in bilancio, essendo l’intervento ad essa parametrato. Pertanto non sussiste l’eventualità che si determini una spesa superiore a quella preventivata.
Ai sensi del comma 3, tale credito d’imposta è riconosciuto nella misura massima consentita in applicazione delle intensità di aiuto previste dalla normativa europea in materia di aiuti di Stato agli investimenti e, per le aree ammissibili agli aiuti a finalità regionale, di quelle previste dalla Carta italiana degli aiuti a finalità regionale per il periodo 2007-2013, fino alla data di vigenza della stessa e, successivamente, nella misura massima consentita in applicazione delle intensità di aiuto previste dalla disciplina europea in materia di aiuti di Stato e, per le aree ammissibili agli aiuti a finalità regionali, dalla Carta italiana degli aiuti a finalità regionale per il periodo 2014-2020, subordinatamente all’approvazione della stessa da parte della Commissione europea.
Il credito d’imposta previsto dalla norma non è cumulabile con altri aiuti di Stato che abbiano ad oggetto i medesimi costi ammissibili, anche concessi a titolo di de minimis.
Al comma 4 si prevede che sono agevolabili le spese relative alla realizzazione di fabbricati e all’acquisto, anche mediante contratti di locazione finanziaria di macchinari, impianti e attrezzature varie, nonché di programmi informatici, brevetti concernenti nuove tecnologie di prodotti e processi produttivi.
Ai sensi del comma 5, il credito d’imposta è commisurato alla quota del costo complessivo dei beni eccedente gli ammortamenti dedotti nel periodo d’imposta, relativi alle medesime categorie dei beni di investimento della stessa struttura produttiva, ad esclusione degli ammortamenti dei beni che formano oggetto dell’investimento agevolato effettuati nel periodo d’imposta della loro entrata in funzione. Per gli investimenti effettuati mediante contratti di locazione finanziaria si assume il costo sostenuto dal locatore per l’acquisto dei beni.
Con riguardo al comma 6, è previsto che il credito d’imposta sia determinato con riferimento ai nuovi investimenti eseguiti in ciascun periodo d’imposta e sia indicato nella relativa dichiarazione dei redditi. Esso non concorre alla formazione del reddito né della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive, non rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), ed è utilizzabile in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.
Il comma 7 prevede che con decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, siano stabiliti modalità e termini di utilizzo del credito d’imposta, in particolare al fine di assicurare il rispetto del previsto limite di spesa.
Il comma 8 disciplina l’esercizio dei controlli sulla fruizione del credito d’imposta da parte del Ministero dello sviluppo economico e dell’Agenzia delle entrate.
Il comma 9 prevede l’esclusione di settori o attività economiche dalla concessione del beneficio in applicazione di specifiche prescrizioni europee.
Il comma 10 subordina l’efficacia delle agevolazioni al rispetto delle disposizioni della Commissione europea in materia di aiuti di Stato.
Con riguardo al comma 11, al fine di assicurare la realizzazione degli interventi necessari alla gestione dell’area di crisi industriale complessa di Trieste, di cui al comma 7-ter dell’articolo 1 del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2013, n. 71, si prevede che, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il presidente della regione Friuli Venezia Giulia sia nominato, senza diritto ad alcun compenso e senza altri oneri per la finanza pubblica, Commissario straordinario, al fine di assicurare la realizzazione degli interventi necessari in relazione alle tematiche della produzione siderurgica e della riqualificazione delle attività industriali e portuali e del recupero ambientale. Il Commissario resta in carica per la durata di un anno, prorogabile con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Al comma 12 è stabilito che, per assicurare la realizzazione degli interventi urgenti, il Commissario straordinario può avvalersi degli uffici e delle strutture di amministrazioni pubbliche, centrali, regionali e locali, nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Sono fatte salve, inoltre, le attribuzioni e le competenze dell’Autorità portuale, come individuate dalla legge 28 gennaio 1994, n. 84, sulle aree demaniali marittime.
Al comma 13 è prevista l’applicazione al Commissario delle disposizioni di cui all’articolo 2, commi 2-septies e 2-octies, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, relative rispettivamente alla sottoposizione degli atti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti e all’obbligo di rendiconto alla Presidenza del Consiglio dei ministri.
Il comma 14 prevede l’autorizzazione di spesa pari a 20 milioni di euro per l’anno 2014 e a 50 milioni di euro per l’anno 2015.
Articolo 5.
La disposizione di cui al comma 1 viene incontro all’esigenza di intervenire con tempestività ed urgenza a sostegno delle imprese italiane che affrontano i mercati internazionali. Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale per il commercio (WTO), infatti, l’Italia nel 2012 è risultata – con una quota di mercato pari a circa il 2,7 per cento – il nono Paese esportatore al mondo, preceduta da Cina, Stati Uniti d’America, Germania, Giappone, Paesi Bassi, Francia, Corea del sud e Russia. I segnali dell’attrattiva del made in Italy nei mercati mondiali si possono anche desumere dalla crescita che le esportazioni italiane hanno conosciuto durante il 2012, pari al 3,7 per cento (fonte Istituto nazionale di statistica – ISTAT). In termini assoluti le nostre vendite all’estero sono state pari a circa 389,7 miliardi di euro, miglior risultato di sempre. Di conseguenza si è consolidato l’attivo della nostra bilancia commerciale: dopo otto anni i conti dell’Italia con l’estero sono ritornati positivi ( 11 miliardi di euro). Escludendo dal computo finale l’energia, il nostro saldo 2012 avrebbe realizzato un surplus di poco superiore ai 74 miliardi di euro. È evidente, pertanto, come nell’attuale prolungata fase recessiva il sostegno all’internazionalizzazione delle nostre imprese sia l’unico elemento anticiclico immediatamente utilizzabile per sostenere il prodotto interno lordo (PIL) nazionale. In tale ottica la norma proposta mira a incrementare di 22.594.000 euro per il 2014 lo stanziamento annuale del bilancio del Ministero dello sviluppo economico destinato alla realizzazione del piano di attività dell’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane – ICE. Al momento tale finanziamento è una frazione di quanto correntemente speso dai nostri principali competitori internazionali e l’incremento compenserà solo parzialmente tale differenziale.
In relazione al comma 2, l’articolo 1 del decreto legislativo n. 374 del 1990 disciplina l’orario di apertura degli uffici dell’Agenzia delle dogane, ora Agenzia delle dogane e dei monopoli. In particolare, il comma 1 prevede che l’orario ordinario di apertura degli uffici doganali sia fissato dalle 8 alle 18 nei giorni dal lunedì al venerdì e dalle 8 alle 14 nella giornata di sabato. Il successivo comma 2 prevede, inoltre, che le sedi frontaliere (ossia gli uffici doganali di confine, di mare e aeroportuali), siano aperte 24 ore su 24, quindi oltre l’orario ordinario, ma solo per i controlli e per le formalità relativi al traffico passeggeri o su mezzi di trasporto che circolano vuoti o che trasportano merci in regime doganale di transito. Con la norma prospettata, al fine di incrementare i traffici internazionali, si propone una più ampia articolazione dell’orario di apertura degli uffici doganali frontalieri con riferimento a tutte le merci che circolano in regimi diversi dal transito. In particolare si prevede che con determinazione del Direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli sono individuati gli uffici doganali in cui l’operatività di 24 ore sia assicurata anche per l’espletamento dei controlli e delle formalità inerenti le merci che circolano in regimi diversi dal transito, sempre che in tali uffici le acquisizioni di personale per trasferimenti, per mobilità o per concorso superino le cessazioni dal servizio registrate nell’anno precedente in misura tale da garantire la turnazione del personale necessario al prolungamento dell’orario di servizio, fermi restando i vincoli assunzionali previsti dalla legislazione vigente. La norma è in linea con le disposizioni europee di settore che non precludono agli Stati membri la facoltà di disciplinare autonomamente gli orari di apertura degli uffici doganali, ma prevedono che le autorità nazionali possano imporre oneri, in particolare in relazione alla presenza, ove richiesta, del personale doganale, fuori degli orari d’ufficio ufficiali o in locali diversi da quelli delle dogane.
Con la disposizione di cui al comma 3 si modifica l’articolo 42 del citato decreto-legge n. 83 del 2012 che ha istituito i Consorzi per l’internazionalizzazione. Con la modifica proposta anche le imprese agricole – che sono sempre più orientate ai mercati esteri – potranno far parte di tali Consorzi e potranno partecipare ai progetti di internazionalizzazione ammessi a contributo pubblico. L’esigenza di ricomprendere anche tali imprese si muove nell’ottica di garantire l’accesso al settore agricolo alla misura di sostegno pubblico prevista per i Consorzi per l’internazionalizzazione (esigenza tra l’altro rappresentata in più occasioni dall’associazione di categoria Confagricoltura). Tenuto conto che l’Unione europea ha previsto una disciplina ad hoc per gli aiuti de minimis al settore agricolo, nel testo dell’articolato è stato fatto espresso richiamo al regolamento (CE) n. 1535/2007 che disciplina le sovvenzioni pubbliche che rientrano nella regola de minimis in favore delle imprese attive nella produzione primaria dei prodotti di cui all’allegato I del Trattato CE. Si evidenzia, infine, che – sempre in attuazione della normativa europea – ogni Stato membro ha a disposizione un plafond nazionale che costituisce l’importo cumulativo che può essere corrisposto alle imprese del settore della produzione agricola nell’arco di tre esercizi finanziari. Per l’Italia il plafond è ripartito tra le regioni, le province autonome e lo Stato a titolo di riserva. Alla luce di ciò nel testo si è inserito il riferimento al rispetto di tale plafond.
La norma di cui al comma 4 dispone che le informazioni di cui le imprese necessitano ai fini dell’export, per l’installazione all’estero di un’impresa o per la partecipazione a gare di appalto internazionali, che sono contenute in gran parte nel registro delle imprese, possano essere certificate dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (CCIA) in lingua inglese.
Tale proposta si fonda sul presupposto che, oggi, sono molti i documenti e le dichiarazioni che vengono richiesti alle imprese nell’ambito delle operazioni con l’estero (sia ai fini dell’export, che per l’installazione all’estero di un’impresa o per la partecipazione a gare di appalto internazionali) e i cui contenuti in sostanza coincidono con le informazioni contenute nel registro delle imprese. A fronte di tali richieste, le imprese sono spesso costrette ad agire con traduzioni giurate degli atti rilasciati dalle CCIA, con conseguenti costi di traduzione ed oneri amministrativi.
Con riguardo al comma 5, si evidenzia che sempre più spesso le imprese richiedono agli sportelli delle CCIA un insieme di certificazioni e di attestazioni che, abbracciando un ventaglio ampio di casistiche, non trovano una specifica collocazione in una norma che ne definisca contenuti e che individui le CCIA come istituzioni competenti al rilascio (certificazioni di autenticità di firma di rappresentanti aziendali, procure ad agire per conto, attestazioni tecniche di produzione o qualità anche su atti privati tra partner commerciali). Specifiche attestazioni sono richieste alle CCIA per certificare la libera commercializzazione nello Stato di vari prodotti, in particolare quando non siano espressamente previste per gli stessi apposite certificazioni del Ministero della salute, come «garanzia indiretta» in favore dei Paesi destinatari. Si tratta di documenti – a valere all’estero – propedeutici ad avviare una relazione commerciale e per i quali l’alternativa all’intervento camerale risiede nel ricorso a studi notarili, con conseguenti maggiori costi per le imprese. In questo quadro la norma proposta amplia il quadro delle competenze camerali in materia, regolando delle prassi già in vigore sul territorio e andando incontro alle esigenze di semplificazione delle procedure e di riduzione dei costi a carico delle imprese.
Con riguardo al comma 6 la norma dispone l’abrogazione dell’articolo 6-decies del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2013, n. 71, prevedendo che vengano meno gli effetti prodotti dal medesimo articolo e con salvezza degli effetti giuridici degli atti eventualmente adottati dai soggetti titolari di incarichi negli organi statutari dichiarati decaduti ai sensi della predetta disposizione.
Le disposizioni di cui ai commi da 7 a 9 sono volte ad agevolare l’ingresso in Italia di investitori, studenti, ricercatori e lavoratori altamente qualificati. Il comma 7 dispone che i Ministeri competenti individuino forme di agevolazione per la concessione di visti di ingresso in Italia connessi a start-up, nonché ad iniziative di investimento e di mecenatismo. Il comma 8 prevede alcune facilitazioni per categorie di richiedenti il visto particolarmente significative per la promozione del sistema Italia, in coerenza con quanto previsto nel piano «Destinazione Italia». Si tratta, in particolare, di quanto segue:
la possibilità di convertire il permesso di soggiorno per studio in permesso di soggiorno per lavoro subordinato, anche per i titolari di master di primo livello, così come previsto per i possessori di master di secondo livello [lettera a)]: la misura dà coerenza al sistema e risponde alla finalità di attrarre studenti in Italia;
l’ampliamento dei casi e la semplificazione della procedura per l’attestazione delle risorse economiche necessarie per il soggiorno in Italia di ricercatori stranieri [lettera b)]: la misura è molto attesa dal settore della ricerca e aumenta l’attrattività del nostro Paese per ricercatori stranieri, nell’ambito di iniziative concordate con istituti di ricerca nazionali;
l’eliminazione dell’obbligo di idoneità abitativa nel caso di ricongiungimento di familiari di ricercatori stranieri [lettera c)]: la misura è molto attesa dal settore della ricerca e aumenta l’attrattività del nostro Paese per ricercatori stranieri, nell’ambito di iniziative concordate con istituti di ricerca nazionali;
l’eliminazione della necessità di coerenza tra titolo di studio posseduto e qualifica professionale per i lavoratori altamente qualificati, così come previsto dalla direttiva 2009/50/CE [lettere d) ed e)]: la misura supera un’incertezza interpretativa che, nella prassi, ha ostacolato l’applicazione in Italia della nuova normativa europea sulla blue card;
l’eliminazione delle quote per studenti stranieri nelle università, fatto salvo il rispetto delle procedure di accesso per le facoltà a numero chiuso [lettera f)]: le quote non sono state finora mai superate e la loro eliminazione corrisponde, quindi, ad una finalità di semplificazione, coerente con l’intento di attrarre in Italia il maggior numero possibile di studenti stranieri.
Le misure non richiedono lo stanziamento di risorse aggiuntive per la loro realizzazione e saranno realizzate con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
Articolo 6.