La P.A. ha l’obbligo di invitare l’interessato ad integrare i documenti mancanti, non potendo, a distanza di anni, respingere genericamente l’istanza del cittadino sulla base dell’incompletezza della documentazione.
È quanto stabilisce la Corte di Cassazione, sezione I, con sentenza n. 2795 del 2014.
La decisione prende le mosse dal comportamento di un Comune campano il quale, dopo aver erogato le prime due quote del contributo per la ricostruzione di un immobile colpito dal sisma del 1980, corrispondeva al cittadino solo una parte di quanto richiesto con il terzo ed ultimo Sal sulla base della considerazione che “lo stato finale dei lavori era mancante della documentazione prevista dalla legge”.
Secondo la Corte il principio di collaborazione e lealtà contenuto nell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 vale anche nei procedimenti aventi ad oggetto il riconoscimento di contributi, sussidi e finanziamenti pubblici e, pertanto, il Comune era tenuto a precisare la carenza documentale e ad invitare il cittadino ad integrarla.
Se la legge pone a carico della P.A. l’accertamento della regolarità della documentazione amministrativo-contabile, la stessa P.A. è tenuta, nel contraddittorio con il privato e nel rispetto del principio di buona fede, a rendere conto della propria verifica al cittadino che ha presentato l’istanza.
Di seguito lo stralcio della sentenza
“deve evidenziarsi come la possibilità della notificazione di atti presso la cancelleria dalla Corte di cassazione sia subordinata alla duplice condizione della mancata elezione di domicilio in Roma da parte del ricorrente e della mancata indicazione, sempre da parte dal ricorrente, dell’indirizzo di posta elettronica certificata;
che, ove questo secondo requisito sussista, si deve ritenere che invece il destinatario della notificazione del ricorso che intenda a sua volta notificare il controricorso non possa avvalersi dalla notificazione presso la cancelleria dalla Corte, essendo egli tenuto ad eseguire la notificazione in forma telematica;
che del resto, le Sezioni Unite di questa Corte, nel ribadire la perdurante operatività dall’art. 82 del r.d. n. 37 del 1934 – secondo cui gli avvocati, i quali esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori dalla circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati, devono, all’atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso, intendendosi, in caso di mancato adempimento di detto onere, lo stesso eletto presso la cancelleria dall’autorità giudiziaria adita – hanno tuttavia precisato che << a partire dalla data di entrata in vigore delle modifiche dagli art. 125 e 366 cod. proc. civ., apportate dall’art. 25 della legge 12 novembre 2011, n.183, esigenze di coerenza sistematica e d’interpretazione costituzionalmente orientata inducono a ritenere che, nel mutato contesto normativo, la. domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria, innanzi alla quale è in corso il giudizio, ai sensi dell’art. 82 del r.d. n. 37 del 1934, consegue soltanto ove il difensore, non adempiendo all’obbligo prescritto dall’art. 125 cod. proc. civ. per gli atti di parte e dall’art. 366 cod. proc. civ. specificamente per il giudizio di cassazione, non abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine» (Cass., S.U., n. 10143 del 2012);”