L’AVCP ha inviato al Parlamento ed al Governo, in virtù dei suoi poteri di segnalazione previsti dall’art. 6, comma 7, lettera f), del Codice dei Contratti Pubblici (decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163), un apposito atto sulle modalità di recepimento in Italia delle nuove direttive europee sugli appalti pubblici.
L’Autorità auspica in particolare un “recepimento snello” delle direttive europee, osservando che:
“È opinione che il recepimento delle direttive possa costituire un importante punto di svolta nel modo in cui le pubbliche amministrazioni effettuano i propri acquisti. In tal senso si ritiene opportuno modificare l’attuale quadro normativo, prevedendo che nel recepimento delle direttive il legislatore si limiti ad individuare gli obiettivi che l’azione amministrativa deve conseguire, anche in conformità ai principi di cui all’art. 32, comma 1, lett. c), legge 24 dicembre 2012, n. 234, secondo cui ‘gli atti di recepimento di direttive dell’Unione europea non possono prevedere l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse, ai sensi dell’articolo 14, commi 24-bis, 24-ter e 24-quater, della legge 28 novembre 2005, n. 246”.
Di seguito, il testo della segnalazione.
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Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici
Atto di segnalazione n. 3 del 21 maggio 2014
Direttive n. 2014/24/UE sugli appalti pubblici, n. 2014/25/UE, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e n. 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione
Sommario
I. Premessa
II. Direttiva appalti pubblici di lavori, servizi e forniture e Direttiva utilities
1. Semplificazione
2. Orientamento alla qualità e all’innovazione
3. Favor per le piccole e medie imprese (PMI)
4. Tutela ambientale, sociale e del lavoro
5. Aggregazione della domanda: centralizzazione degli acquisti
III. Concessioni
1. Scopo della direttiva
2. Tratti distintivi della nuova disciplina
3. Recepimento: Codice delle concessioni
IV. Conclusioni
L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (nel prosieguo, Autorità), nell’esercizio del potere di segnalazione al Governo ed al Parlamento di cui all’art. 6, comma 7, lett. f), del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (nel prosieguo, Codice), intende formulare alcune osservazioni in merito alle tematiche strategiche ed ai profili innovativi contenuti nelle direttive n. 2014/24/UE sugli appalti pubblici (nel prosieguo, direttiva Appalti), n. 2014/25/UE, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali (nel prosieguo, direttiva Utilities) e n. 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione (nel prosieguo, direttiva Concessioni), in vista del relativo recepimento.
In seno alle direttive Appalti e Utilities emergono, in tutta evidenza, alcune fondamentali leve strategiche, essenzialmente riconducibili ai seguenti campi d’azione: maggiore semplificazione; maggiore incoraggiamento dell’orientamento alla qualità, all’innovazione, ivi compresa l’eco-innovazione; favor per le piccole e medie imprese (PMI); tutela ambientale, sociale e del lavoro, nell’ottica di assicurare una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva; maggiore impulso all’aggregazione della domanda, attraverso il potenziamento degli istituti di centralizzazione degli acquisti.
La direttiva Concessioni, dal canto suo, trae la sua ragion d’essere dalla necessità di superare la mancanza di certezza giuridica nel settore degli affidamenti delle concessioni che è alla base dei problemi e degli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di un’effettiva concorrenza nel settore e di condizioni di parità tra gli operatori economici.
Senza entrare nel dettaglio delle disposizioni contenute nella direttiva sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, giova in questa sede evidenziare l’intendimento del legislatore comunitario di disciplinare l’istituto perseguendo le seguenti direttrici: certezza giuridica, pubblicità e trasparenza, snellezza e flessibilità procedurale, tutela giuridica. Come si evidenzierà nel prosieguo, con riferimento ad ognuna delle direttive di nuova emanazione, è possibile trarre spunti di riflessione sia in ordine al recepimento di alcuni fondamentali istituti, ovvero di alcune modifiche fondamentali apportate agli istituti preesistenti, sia in ordine al ruolo strategico che potrà svolgere l’Autorità nel nuovo contesto delineato dalle direttive de quibus.
Preme rimarcare, in via preliminare, che l’impianto complessivo delle nuove direttive, anche perché riconosce un ruolo centrale alle scelte delle amministrazioni aggiudicatrici, costituisce un approccio alla disciplina degli appalti e delle concessioni di tipo sostanzialmente diverso dal contesto normativo italiano, nel quale, mediante una regolamentazione molto puntuale, si è cercato di limitare la discrezionalità delle stazioni appaltanti, soprattutto in considerazione del condivisibile obiettivo di prevenire fenomeni di corruzione o di infiltrazioni criminali.
Per converso, una regolamentazione molto spinta ha prodotto forti incentivi al contenzioso, senza ottenere risultati evidenti in termini di efficacia ed efficienza; in proposito l’Autorità ha potuto constatare come spesso l’aggiudicazione e l’esecuzione dei contratti venga rallentata dal contenzioso che origina dal presunto mancato rispetto di procedure puramente formali che possono non incidere sugli aspetti sostanziali dell’affidamento, con conseguente grave danno per la finanza pubblica e per la qualità dei servizi offerti alla e dalla pubblica amministrazione.
La scarsa efficienza che ne deriva per il sistema è testimoniata, tra l’altro, dai continui interventi che il legislatore si vede costretto ad effettuare sulla materia; interventi dovuti proprio alla eccessiva regolamentazione prodotta che necessita continuamente di essere modificata. Le continue modifiche normative, però, minano ulteriormente l’efficienza del sistema, in quanto, da un lato, la regolamentazione per via legislativa richiede tempi lunghi – sia per l’emanazione delle norme primarie che per il recepimento nella prassi – che potrebbero essere incompatibili con quelli necessari per risolvere i problemi del mercato e dall’altro, in quanto ciò impone continue modifiche nei comportamenti delle stazioni appaltanti e degli operatori economici, irrigiditi dal rispetto di regole per la cui adozione di norma non vengono coinvolti.
È opinione, pertanto, che il recepimento delle direttive possa costituire un importante punto di svolta nel modo in cui le pubbliche amministrazioni effettuano i propri acquisti. In tal senso si ritiene opportuno modificare l’attuale quadro normativo, prevedendo che nel recepimento delle direttive il legislatore si limiti ad individuare gli obiettivi che l’azione amministrativa deve conseguire, anche in conformità ai principi di cui all’art. 32, comma 1, lett. c), legge 24 dicembre 2012, n. 234, secondo cui “gli atti di recepimento di direttive dell’Unione europea non possono prevedere l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse, ai sensi dell’articolo 14, commi 24-bis, 24-ter e 24-quater, della legge 28 novembre 2005, n. 246”.
Nel contempo, quale risvolto di un recepimento snello, dovrebbe essere rafforzata la funzione di regolazione dell’Autorità nel senso indicato dall’art. 83, par. 4 della direttiva Appalti, secondo cui gli Stati Membri sono tenuti a provvedere: “a) che siano disponibili gratuitamente orientamenti e informazioni per l’interpretazione e l’applicazione del diritto dell’Unione sugli appalti pubblici, al fine di assistere le amministrazioni aggiudicatrici e gli operatori economici, in particolare le PMI, nella corretta applicazione della normativa dell’Unione in materia, e b) che sia disponibile il sostegno alle amministrazioni aggiudicatrici per quanto riguarda la pianificazione e la conduzione delle procedure d’appalto”.
Le suddette funzioni (di assistenza e sostegno alle amministrazioni aggiudicatrici ed agli operatori economici) sono, peraltro, già esercitate dall’Autorità attraverso i propri atti di Determinazione, oltre che attraverso le Deliberazioni di carattere generale, i Comunicati, secondo quanto prescritto dall’art. 8, comma 5 del Codice nonché attraverso i pareri di precontenzioso di cui all’art. 6, comma 7, lett. n) del Codice ed i Bandi-tipo di cui all’art. 64, comma 4-bis del medesimo Codice.
Tale funzione regolatoria dell’Autorità – svolta attraverso la soft regulation, che è più flessibile e, quindi, più facilmente adattabile alle esigenze del mercato e ai cambiamenti che si verificano nello stesso – potrebbe costituire, pertanto, l’asse portante nell’architettura di sistema di una disciplina snella ed essenziale attraverso cui dare recepimento alle direttive in materia di appalti e concessioni.
L’Autorità, infatti, ha già una serie di competenze che, se opportunamente sviluppate, potrebbero costituire strumenti essenziali per un efficientamento del mercato, sia sotto l’aspetto della soft regulation – le Determinazioni costantemente emanate dall’Autorità, che nel frattempo si è dotata anche di uno specifico Regolamento AIR, sono ormai comunemente citate e seguite sia nella prassi che dalla giurisprudenza amministrativa, ed analoga considerazione può essere fatta per i pareri di precontenzioso, – sia sotto il profilo di un costante e generale rilevamento delle disfunzioni di mercato, ivi compreso il mancato raggiungimento degli obiettivi previsti dalla normativa, effettuabile tramite l’uso delle banche dati a disposizione dell’Autorità: si pensi alla Banca dati nazionale dei contrati pubblici (BDNCP) – nonché ai vantaggi che derivano dall’ulteriore implementazione dell’anagrafe unica delle stazioni appaltanti operata dal D.L. 24 aprile 2014, n. 66 – e soprattutto alle potenzialità del sistema AVCPass, che non appena sarà pienamente operativo, consentirà di acquisire una mole di informazioni di rilevante interesse su tutti gli operatori economici di settore.
In altri termini, l’Autorità è già oggi in grado, da un lato, di fornire indicazioni per orientare il mercato ex ante e, dall’altro, di vigilarne i comportamenti ex post, anche tramite l’elaborazione dei dati contenuti nella BDNCP. In tale contesto l’Autorità è, evidentemente, l’organismo di riferimento più qualificato ed idoneo ad assolvere al ruolo di garante del controllo dell’applicazione delle norme sugli appalti pubblici, potendo esercitare i compiti di vigilanza (referto)su violazioni specifiche o problemi sistemici (art. 83, par. 2, comma 2), di segnalazione alla Commissione delle cause più frequenti di scorretta applicazione o di incertezza giuridica, compresi possibili problemi strutturali o ricorrenti nell’applicazione delle norme, sul livello di partecipazione delle PMI agli appalti pubblici e sulla prevenzione, l’accertamento e l’adeguata segnalazione di casi di frode, corruzione, conflitto di interessi e altre irregolarità gravi in materia di appalti (art. 83, par. 3, comma 2) nonché quello di raccolta dei dati di cui alla Relazione prevista dall’art. 84 (secondo quanto espressamente previsto al par. 3 del medesimo articolo) della direttiva Appalti. Queste ultime funzioni di raccolta dei dati relativi agli affidamenti pubblici sono, peraltro, già ampiamente svolte tramite l’azione dell’Osservatorio dei contratti pubblici. Con specifico riferimento alle attività di vigilanza, poi, che la direttiva prescrive, giova evidenziare come si tratti di compiti e funzioni già svolti ai sensi dell’art. 7, comma 6, lett. a), b), c), e), h), ma, soprattutto, dell’art. 6, comma 13 del Codice dei contratti.
L’Autorità potrebbe, altresì, essere chiamata a svolgere la funzione di “… punto di riferimento per la cooperazione con la Commissione per quanto riguarda l’applicazione della normativa in materia di appalti pubblici”, così come previsto dal medesimo art. 83, par. 5, come peraltro, già avviene attraverso la sua partecipazione al Public Procurement Network (PPN).
È evidente che le funzioni di vigilanza e regolazione, di gestione della Banca dati e di definizione dei costi standard(si pensi alla recente competenza attribuita dall’art. 9 del D.L. 24 aprile 2014, n. 66, in tema di prezzi di riferimento di beni e servizi), alla luce delle direttive di recente emanazione, dovrebbero essere potenziate in capo all’Autorità, da individuarsi quale unico punto di riferimento, dotato della massima expertise in materia, per l’applicazione della normativa in materia di appalti di lavori, servizi e forniture, unitariamente considerati.
Ciò soprattutto nell’ottica di realizzare un’efficiente ed efficace azione su tutto il sistema degli appalti – che non contempla solo i lavori ma anche i servizi e le forniture –, attraverso lo svolgimento sinergico delle diverse funzioni sopra menzionate.
Ciò premesso, con l’intento di fornire un primo contributo all’attività di recepimento delle direttive di nuova emanazione, si ritiene utile porre in luce alcuni aspetti peculiari della nuova disciplina in ordine alle tematiche di seguito illustrate.
II. Direttiva appalti pubblici di lavori, servizi e forniture e Direttiva utilities
Nell’ottica della semplificazione e dello snellimento delle procedure di aggiudicazione si pongono alcuni importanti nuovi istituti e la revisione di altri già esistenti.
Ci si riferisce, innanzitutto, al nuovo impulso dato alle comunicazioni elettroniche (art. 22 dir. Appalti e 40 dir. Utilities), espressione di una forte volontà del legislatore comunitario di creare un sistema tendenzialmente basato sulla massima semplificazione, sull’immediatezza, sulla sicurezza e sulla standardizzazione dei processi comunicativo-informativi che involga anche la presentazione delle offerte e delle domande di partecipazione. Ne deriva un quadro in seno al quale l’utilizzo di mezzi elettronici costituisce la regola, cui fanno eccezione casi specificamente disciplinati.
In tale quadro si inserisce, altresì, l’utilizzo dei cataloghi elettronici (art. 36 dir. Appalti e art. 54 dir. Utilities) in tutte le procedure disponibili ove sia richiesto l’uso di mezzi di comunicazione elettronici, ciò che consente un aumento della concorrenza e dell’efficacia della commessa pubblica, soprattutto in termini di risparmi di tempo e denaro. Il recepimento di tali disposizioni, stante anche la previsione di un ampio lasso di tempo per provvedervi (art. 90 dir. Appalti e 106 dir. Utilities), necessita di una forte opera di sensibilizzazione delle diverse stazioni appaltanti e degli operatori, anche attraverso l’adozione di misure graduali volte a favorire ed incentivare il processo di informatizzazione, già in atto, per quanto riguarda la verifica dei requisiti, attraverso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici (BDNCP) di cui all’art. 6-bis del Codice.
Il ruolo di quest’ultima acquista un’indubbia rilevanza strategica anche nel contesto comunitario, alla luce dello spirito che informa le nuove direttive, soprattutto se si ha riguardo alle previsioni concernenti il sistema elettronico e-Certis (art. 61 dir. Appalti), il cui scopo è agevolare lo scambio di certificati e altri documenti probatori, spesso richiesti dalle amministrazioni aggiudicatrici dei diversi Stati membri (in proposito si rimarca il dichiarato intento di rendere tale sistema obbligatorio in una fase successiva, v. cons. 87 nonché combinato disposto degli artt. 61, par. 2 e 90, par. 5, dir. Appalti).
Il ruolo centrale della BDNCP acquista ancor più rilevanza se si ha riguardo, altresì, alla disciplina del documento di gara unico europeo (DGUE) (art. 59 dir. Appalti), fornito esclusivamente in forma elettronica, tenuto conto, in particolare, di quanto previsto dal comma 5, del richiamato art. 59, a tenore del quale “In deroga al paragrafo 4, agli operatori economici non è richiesto di presentare documenti complementari o altre prove documentali qualora e sempre che l’amministrazione aggiudicatrice abbia la possibilità di ottenere i certificati e le informazioni pertinenti direttamente accedendo a una banca dati nazionale che sia disponibile gratuitamente in un qualunque Stato membro, come un registro nazionale degli appalti, un fascicolo d’impresa virtuale (Virtual Company Dossier), un sistema elettronico di archiviazione dei documenti o un sistema di preselezione”. Il DGUE comporta una notevole semplificazione a vantaggio sia delle amministrazioni aggiudicatrici che degli operatori, anche in termini di minori oneri economici. In tale contesto normativo la BDNCP rappresenta il fulcro di una leva particolarmente vantaggiosa per la rimozione del peso burocratico degli adempimenti posti a carico degli operatori economici e delle stazioni appaltanti e si pone in perfetta sintonia con gli obiettivi di semplificazione della direttiva Appalti, costituendo, di fatto, un’anticipata realizzazione di quanto enucleato dal cons. 85 della medesima direttiva, che pone in capo alla Commissione l’obiettivo di rafforzare gli strumenti che offrono accesso ai fascicoli d’impresa virtuali, o mezzi per facilitare l’interoperabilità tra banche dati. A tale riguardo, anche nell’ottica di eventuali, future razionalizzazioni delle diverse banche dati, si ritiene necessario mantenere, in fase di recepimento, la centralità della BDNCP nel quadro della complessiva disciplina dettata in materia di appalti pubblici e di concessioni, garantendo, altresì, il ruolo assegnato all’Autorità nella complessiva gestione, giuridica e tecnica, della medesima.
Nel senso di una più agevole gestione delle attività relative sia alla “preparazione” che allo “svolgimento” dell’appalto, si pone, altresì, il nuovo istituto delle “consultazioni preliminari di mercato” (art. 40 dir. Appalti, art. 58 dir. Utilities). Esso costituisce una forma nuova di flessibilizzazione procedurale e sostanziale, attraverso la quale è espressamente prevista la possibilità di richiedere consulenze oltre che ad esperti anche ad autorità indipendenti. A tal fine è da ritenersi preminente il ruolo dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, cui, nel recepimento delle norme richiamate potrà essere affidato un coinvolgimento preventivo rispetto all’indizione di specifiche procedure di gara – sulla falsariga di quello attualmente previsto dall’art. 69 del Codice (limitato alle condizioni particolari di esecuzione del contratto prescritte nel bando o nell’invito) – in modo da estenderlo all’intero ciclo dell’appalto. Ciò potrebbe rivelarsi di grande utilità ai fini della riduzione del contenzioso in fase di gara, spesso originato dalla carenza di conoscenze adeguate per una corretta impostazione e definizione del disegno d’asta da parte delle stazioni appaltanti.
Nel quadro complessivo della definizione di procedure meno rigide un ruolo centrale deve essere riconosciuto anche alla nuova disciplina del soccorso istruttorio (art. 56, par. 3 dir. Appalti), laddove si consente alle amministrazioni aggiudicatrici, salvo disposizione contraria del diritto nazionale che attua la direttiva, di richiedere agli operatori economici interessati, non solo di chiarire e completare le informazioni o la documentazione presentata, ma anche di presentare e integrare documenti mancanti, a condizione che tale richiesta sia effettuata nella piena osservanza dei principi di parità di trattamento e trasparenza. Si auspica che la legislazione nazionale, in fase di recepimento, venga orientata in quest’ultimo senso, con l’evidente beneficio che ne potrà derivare al maggiore effetto deflattivo che l’istituto svolge sul contenzioso. Anche in tal caso un ruolo centrale, nella definizione esatta dei documenti e delle informazioni suscettibili di soccorso istruttorio potrebbe essere affidato all’Autorità, in sede di redazione dei Bandi-tipo (art. 64, comma 4-bis, del Codice).
Infine, ma certamente non da ultimo, merita particolare attenzione la disposizione secondo cui nelle procedure aperte, le amministrazioni aggiudicatrici possono decidere di esaminare le offerte prima di verificare l’assenza di motivi di esclusione e il rispetto dei criteri di selezione ai sensi degli articoli da 57 a 64 dir. Appalti. Se si avvalgono di tale possibilità, le amministrazioni aggiudicatrici garantiscono che la verifica dell’assenza di motivi di esclusione e del rispetto dei criteri di selezione sia effettuata in maniera imparziale e trasparente, in modo che nessun appalto sia aggiudicato ad un offerente che avrebbe dovuto essere escluso a norma dell’articolo 57 o che non soddisfa i criteri di selezione stabiliti dall’amministrazione aggiudicatrice, da verificare solo per l’aggiudicatario. Gli Stati membri possono escludere o limitare l’uso della procedura appena descritta per determinati tipi di appalti o a circostanze specifiche (art. 56, par. 2, commi 1 e 2, dir. Appalti; art. 76, par. 7, commi 1 e 2, dir. Utilities).
Riguardo all’esercizio del potere riconosciuto agli Stati membri, preme evidenziare che nell’ordinamento italiano la verifica dei requisiti generali (ex art. 38 del Codice) avviene sui concorrenti o mediante campionatura o sulla totalità degli stessi; il sistema è posto, in relazione a molte delle cause di esclusione contemplate dal Codice, a presidio della tutela di interessi che l’ordinamento considera irrinunciabili (si pensi alla regolarità contributiva e fiscale per es.). Le verifiche cui sono sottoposti i concorrenti, infatti, fungono da deterrente al rispetto di norme, in molti casi, poste a tutela di specifici interessi che prescindono dal singolo appalto.
Diverso è il caso della verifica dei requisiti tecnico-organizzativi ed economico-finanziari (disposta ex art. 48 ed effettuata con una procedura di sorteggio, oltre che sul primo e sul secondo classificato). Anche in questa ipotesi, tuttavia, le sanzioni applicabili ex art. 48 costituiscono un forte deterrente alla partecipazione a gare d’appalto di soggetti privi di idoneità tecnica ed economica che, se ammessi, falserebbero anche il libero gioco della concorrenza. È evidente che l’ammissione della procedura in parola, con opportune limitazioni soggettive e oggettive (vale a dire solo per i requisiti tecnico-organizzativi ed economico-finanziari) potrebbe rappresentare una semplificazione a vantaggio soprattutto delle PMI (alla stessa stregua di quanto già previsto dal comma 4 dell’art. 13 della l. 11 novembre 2011, n. 180).
2. Orientamento alla qualità e all’innovazione.
L’obiettivo di incoraggiare maggiormente la qualità negli appalti passa, innanzitutto, per l’attribuzione di un ruolo centrale al criterio di aggiudicazione attualmente noto come “offerta economicamente più vantaggiosa” che risulta nettamente privilegiato (il cons. 89 della dir. Appalti parla di “concetto prioritario”) e diversamente denominato, vale a dire criterio del “miglior rapporto qualità/prezzo”. Nelle nuove direttive l’offerta economicamente più vantaggiosa è il criterio generale di aggiudicazione dell’appalto, ma secondo un diverso approccio prezzo/qualità “sulla base delprezzo o del costo, seguendo un approccio costoâefficacia, quale il costo del ciclo di vita conformemente all’art. 68 [ma che] può includere [anche] il miglior rapporto qualità/prezzo, valutato sulla base dei criteri quali gli aspetti qualitativi, ambientali e/o sociali”; l’elemento relativo al costo può inoltre assumere la forma di un prezzo o costo fisso sulla base del quale gli operatori economici competeranno solo in base a criteri qualitativi (art. 67, par. 2, dir. Appalti e 82, par. 2, dir. Utilities).
Il legislatore comunitario ritiene che gli enti aggiudicatori dovrebbero essere incoraggiati a scegliere criteri di aggiudicazione che consentano loro di ottenere lavori, forniture e servizi di alta qualità che rispondano al meglio alle loro necessità (cons. 92 dir. Appalti, cons. 97 dir. Utilities), e dovrebbe essere consentito agli Stati membri di proibire o limitare il ricorso al solo criterio del prezzo o del costo per valutare l’offerta economicamente più vantaggiosa qualora lo ritengano appropriato (cons. 90 dir. Appalti, cons. 95 dir. Utilities).
La qualità dovrebbe essere, in ogni caso, suscettibile di valutazione sulla base di fattori diversi dal solo prezzo o dalla sola remunerazione, qualora disposizioni nazionali determinino la remunerazione di taluni servizi o impongano un prezzo fisso per determinate forniture. In tal caso si dovrebbero prendere in considerazione, per es. le condizioni di consegna e di pagamento ovvero aspetti legati al servizio post-vendita nonché o aspetti ambientali o sociali (cons. 93 dir. Appalti, cons. 98 dir Utilities).
Ne deriva che il criterio del massimo ribasso non è abolito formalmente, dal momento che la valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa potrebbe essere effettuata anche soltanto sulla base del prezzo o di un approccio costo/efficacia (cons. 90 dir. Appalti, cons. 95 dir. Utilities), ma il suo utilizzo, in seno alle nuove direttive, ne risulta drasticamente ridimensionato.
In sostanza l’unico criterio di aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che contiene sempre un riferimento al prezzo o al costo (ma anche nel caso in cui sia utilizzato come unico elemento di valutazione quest’ultimo, deve essere seguito un approccio costo/efficacia nella valutazione) e che, di regola, è accompagnato da altri elementi di valutazione che attengono alla qualità e consentono un esame delle offerte sulla base di un rapporto prezzo/qualità.
Orbene, in tale nuovo contesto normativo, in fase di recepimento, non potrà non tenersi conto di questo nuovo approccio costo/efficacia, che andrà opportunamente valorizzato in sede di disciplina dei criteri d’aggiudicazione.
Si dovrà tener conto, altresì, dei rischi insiti nella completa abolizione del criterio del prezzo più basso (trattandosi di disposizione a recepimento facoltativo). Se è vero, infatti, che quest’ultimo costituisce il criterio che più di ogni altro consente il buon esito di eventuali accordi collusivi tra operatori, nella singola gara, è altrettanto vero che il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (secondo la vecchia dizione) espone al maggior rischio di accordi illeciti tra operatori e stazioni appaltanti e ne assicura il buon esito. Da tale ultima considerazione non si potrà prescindere per una corretta valutazione dei risvolti negativi insiti nell’eventuale recepimento del divieto assoluto di utilizzare il criterio del prezzo più basso.
La centralità conferita alla qualità della prestazione involge anche la classica distinzione tra criteri soggettivi di selezione dei concorrenti e criteri oggettivi di valutazione dell’offerta, tant’è che “qualora la qualità del personale addetto influisca sul livello dell’esecuzione dell’appalto, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero anche avere la facoltà di usare come criterio di aggiudicazione l’organizzazione, la qualifica e l’esperienza del personale incaricato di eseguire l’appalto in questione, in quanto ciò può incidere sulla qualità dell’esecuzione dell’appalto e, di conseguenza, sul valore economico dell’offerta” (cons. 94 dir. Appalti, cons. 99 dir. Utilities e rispettivamente art. 67, par. 2, lett. b) e 82, par. 2, lett. b).
Un ruolo fondamentale per migliorare l’efficienza e la qualità dei servizi pubblici e nello stesso tempo affrontare le principali sfide a valenza sociale è attribuito anche all’acquisto di prodotti, lavori e servizi innovativi; ciò che contribuisce ad ottenere un rapporto più vantaggioso qualità/prezzo nonché maggiori benefici economici, ambientali e per la società, ed a promuovere, in tal modo, una crescita economica sostenibile (cons. 47 dir. Appalti, cons. 57 dir. Utilities). A tal fine importanza fondamentale è attribuita ai partenariati per l’innovazione (art. 31 dir. Appalti, art. 49 dir. Utilities), in ordine ai quali è stabilito che “gli Stati membri prevedono la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di ricorrere a partenariati per l’innovazione [e al dialogo competitivo] come disposto dalla presente direttiva” (art. 26, par. 3, dir. Appalti, art. 44, par. 3, dir. Utilities), non residuando, quindi, spazio alcuno per una facoltà di veto, contrariamente a quanto era previsto dall’art. 29, comma 1, dalla direttiva n. 18/2004 per l’adottabilità del dialogo competitivo, accordata agli Stati membri in termini di possibilità. Lo scopo precipuo del partenariato per l’innovazione è sviluppare prodotti, servizi o lavori innovativi per il successivo acquisto da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, a condizione che essi corrispondano ai livelli di prestazioni e ai costi massimi concordati tra le amministrazioni aggiudicatrici e i partecipanti, senza bisogno di una procedura d’appalto distinta per l’acquisto.
In considerazione dell’importanza dell’innovazione, le direttive prevedono che occorra incoraggiare le amministrazioni aggiudicatrici a consentire varianti, in sede di offerta, quanto più possibile; con tale finalità le disposizioni che recano la relativa disciplina non si limitano ad attribuire la facoltà, alle stazioni appaltanti, di autorizzarle ma anche di esigerle, richiederle, con la sola condizione che le amministrazioni aggiudicatrici menzionino nei documenti di gara i requisiti minimi che le varianti devono rispettare, nonché le modalità specifiche per la loro presentazione (art. 45 dir. Appalti, art. 64 dir. Utilities). Anche in tal caso, la scelta è integralmente rimessa alle amministrazioni aggiudicatrici, cui le dispozioni richiamate riconoscono direttamente la facoltà di autorizzare e/o esigere varianti in sede di offerta. Si auspica, pertanto, che il recepimento delle disposizioni appena richiamate avvenga in perfetta sintonia con laratio sottesa alle medesime, riconoscendo alle amministrazioni aggiudicatrici la libera e piena facoltà di scelta circa l’utilizzo dei citati istituti.
3. Favor per le piccole e medie imprese (PMI)
Facilitare la partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici è obiettivo che vede la sua realizzazione attraverso specifiche previsioni contenute nelle direttive Appalti e Utilities.
A tal fine e per rafforzare la concorrenza, entrambe le direttive prevedono che le amministrazioni aggiudicatrici siano incoraggiate a suddividere in lotti i grandi appalti (ma gli Stati membri possono estendere agli appalti di entità minore la portata dell’obbligo di esaminare se sia appropriato suddividerli in lotti). Tale suddivisione potrebbe essere effettuata su base quantitativa, facendo in modo che l’entità dei singoli appalti corrisponda meglio alla capacità delle PMI, o su base qualitativa, in conformità alle varie categorie e specializzazioni presenti, per adattare meglio il contenuto dei singoli appalti ai settori specializzati delle PMI o in conformità alle diverse fasi successive del progetto (cons. 78, dir. Appalti, cons. 87, dir. Utilities). In quest’ottica è previsto l’obbligo delle amministrazioni aggiudicatrici di fornire una motivazione della decisione di non suddividere l’appalto in lotti ed è riconosciuta agli stati membri la facoltà di rendere obbligatoria la suddivisione in lotti in determinate condizioni (art. 46, par. 4, dir. Appalti, art. 65, par. 4, dir. Utilities). Allo stesso fine, gli Stati membri dovrebbero anche avere la facoltà di creare meccanismi per il pagamento diretto ai subappaltatori.
Pur essendo già previsto nell’ordinamento italiano l’obbligo di motivazione della mancata suddivisione dell’appalto in lotti (come anche la possibilità di pagamento diretto ai subappaltatori), l’articolata disciplina dell’aggiudicazione degli appalti suddivisi in lotti rappresenta una novità di rilievo ed il suo recepimento, che si auspica possa avvenire in maniera puntuale, consentirà di superare le incertezza normative con cui la prassi fino ad oggi si è dovuta confrontare. Spesso accade, infatti, che, per specifiche esigenze tecniche, le amministrazioni aggiudicatrici, nell’esercizio della loro discrezionalità, facciano ricorso a clausole disciplinanti l’ammissibilità dell’offerta per alcuni o per tutti i lotti ovvero dell’aggiudicazione esclusiva o plurima dei medesimi, senza un chiaro riferimento normativo al riguardo, ciò che ha spesso generato contenzioso con riferimento alla legittimità delle clausole in argomento.
Anche la disciplina dei requisiti di fatturato, innegabilmente connessa alla possibilità di accedere alle gare d’appalto per le PMI, risente del favor espresso nei confronti di queste ultime. È previsto, infatti, che le amministrazioni aggiudicatrici possano esigere che gli operatori economici abbiano un fatturato minimo purché proporzionato rispetto all’oggetto dell’appalto; il requisito non dovrebbe di norma superare, al massimo, il doppio del valore stimato dell’appalto e, in ogni caso risultare da motivazione espressa nei documenti di gara (cons. 83, art. 58, par. 3, comma 2, dir. Appalti). All’obbligo di motivazione, già espressamente previsto nell’ordinamento italiano (art. 41, comma 2, del Codice), si giustappone, pertanto, il divieto di fissare valori di fatturato superiori al doppio del valore dell’appalto, venendo codificato, in tal modo, un ben definito orientamento giurisprudenziale al riguardo.
Concorrono allo stesso fine di agevolare le PMI anche altri istituti. Si tratta del Documento di gara unico europeo (v. cons. 84 dir. Appalti), con tutte le implicazioni e connessioni con la BDNCP di cui all’art. 6-bis del Codice, come sopra illustrato; della facoltà che andrebbe riconosciuta alle amministrazioni aggiudicatrici di gestire il sistema dinamico di acquisizione articolandolo in categorie oggettivamente definite di prodotti, lavori o servizi, per offrire alle PMI ulteriori possibilità di parteciparvi (a tal fine andrebbero fissati l’importo o il quantitativo massimo degli appalti specifici da aggiudicare nell’ambito della categoria o un’area geografica specifica in cui gli appalti specifici devono essere eseguiti) (cons. 66 dir. Appalti); della disciplina dei termini che in ragionedella complessità dell’appalto e del tempo necessario per preparare le offerte, possono essere più lunghi rispetto a quelli minimi previsti, per non creare, alle medesime PMI, indebiti ostacoli all’accesso alla gara.
Al riguardo, anche se alcune delle novità che recano le direttive costituiscono già diritto positivo nel nostro ordinamento (ci si riferisce all’obbligo di motivazione per i requisiti di fatturato e per la mancata suddivisione in lotti, al pagamento diretto ai subappaltatori, peraltro direttamente disposto dalla stazione appaltante e non su richiesta dell’appaltatore), il recepimento delle ulteriori e più penetranti misure adottate a livello di legislazione europea, se puntualmente effettuato, costituisce un sicuro rafforzamento delle misure volte a tutelare lo sviluppo delle PMI, cui sarà, in tal modo, maggiormente garantita la partecipazione alle gare d’appalto pubbliche.
4. Tutela ambientale, sociale e del lavoro
Entrambe le direttive, Appalti e Utilities, considerano che, in vista di un’adeguata integrazione dei requisiti in materia ambientale, sociale e del lavoro nelle procedure di appalto pubblico, sia particolarmente importante che gli Stati membri e le amministrazioni aggiudicatrici adottino misure pertinenti per garantire il rispetto degli obblighi in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro (cons. 37, dir. Appalti, cons. 52 dir. Utilities).
Lavoro e occupazione contribuiscono all’integrazione nella società e sono ritenuti elementi chiave per garantire pari opportunità a tutti (cons. 36, dir. Appalti, cons. 51 dir. Utilities). A tal fine è riconosciuto un ruolo significativo ai laboratori protetti e ad altre imprese sociali il cui scopo principale è l’integrazione o reintegrazione sociale e professionale delle persone con disabilità e delle persone svantaggiate, quali i disoccupati, le persone appartenenti a minoranze svantaggiate o comunque a categorie socialmente emarginate. La riserva della partecipazione alle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici o di determinati lotti di appalti a tali laboratori o imprese è ritenuto lo strumento principe per consentire loro di ottenere accesso alle gare.
La disciplina di tale riserva (art. 20, dir. Appalti, art. 38 dir. Utilities) è stata innovata, rispetto a quella delle precedenti direttive, subendone un ampliamento soggettivo (non si citano solo i laboratori protetti ma anche le imprese sociali; non solo i disabili quindi ma anche persone svantaggiate) e oggettivo (la percentuale minima dei lavoratori con disabilità o svantaggiati è fissata al 30% del personale complessivo di impresa, in luogo della maggioranza).
All’interno dei nuovi parametri, definiti dalla nuova norma, possono rientrare, pertanto, anche le cooperative sociali di cui all’art. 1, lettera b), della legge n. 8 novembre 1991, n. 381 e s.m.i., senza necessariamente accreditarsi quali laboratori protetti, anche perché la percentuale (fissata al 30%) di persone svantaggiate/disagiate richiesta dalla direttiva coincide perfettamente con quella stabilita nella norma da ultimo richiamata.
Anche il ricorso a criteri di aggiudicazione o condizioni di esecuzione, riguardanti lavori, forniture o servizi oggetto dell’appalto pubblico, concernenti ogni loro aspetto e relativi a qualsiasi fase dei loro cicli di vita, rappresenta una facoltà, che se fosse riconosciuta alle amministrazioni aggiudicatrici consentirebbe loro di realizzare una migliore integrazione di considerazioni sociali ed ambientali nelle procedure di appalto (cons. 97, dir. Appalti, cons. 102 dir. Utilities). A tal fine è espressamente previsto che il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa possa includere il miglior rapporto qualità/prezzo, valutato sulla base di criteri, quali gli aspetti qualitativi, ambientali e/o sociali, connessi all’oggetto dell’appalto pubblico in questione (art. 67, par. 2, dir. Appalti, art. 82, par. 2, dir. Utilities). Tenuto conto del carattere esemplificativo dell’elenco contenuto agli artt. 67 e 82 citati, si ritiene oltremodo auspicabile che l’effettivo recepimento delle norme in questione sia fortemente informato dal contenuto dei considerando 97 e 99 della direttiva Appalti, 102 e 104 della direttiva Utilities. Analoga considerazione vale per quanto riguarda il recepimento delle disposizioni di cui agli artt. 70, della direttiva Appalti, e 87, della direttiva Utilities, entrambi relativi alle condizioni di esecuzione dell’appalto.
La vigilanza sull’osservanza delle disposizioni in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro dovrebbe essere svolta nelle fasi pertinenti della procedura di appalto, nell’applicare i principi generali che disciplinano la selezione dei partecipanti e l’aggiudicazione dei contratti, nell’applicare i criteri di esclusione e le disposizioni riguardanti le offerte anormalmente basse (cons. 40, dir. Appalti, cons. 55, dir. Utilities); con riferimento a queste ultime, è auspicabile che, in fase di recepimento, venga allargata la casistica delle giustificazioni inammissibili (allo stato limitate agli oneri per la sicurezza ed ai trattamenti salariali minimi inderogabili) inserendovi anche quegli elementi posti a tutela dei valori illustrati nei considerando da ultimo richiamati unitamente ad un intervento che sia volto a semplificare la farraginosa procedura attualmente in vigore.
5. Aggregazione della domanda: centralizzazione degli acquisti.
L’aggregazione della domanda da parte dei committenti pubblici consente di ottenere economie di scala, attraverso prezzi e costi delle transazioni più bassi, nonché un miglioramento e una maggior professionalità nella gestione degli appalti. Strumentale a tale obiettivo è la concentrazione degli acquisti attraverso una riduzione del numero delle amministrazioni aggiudicatrici coinvolte.
L’aggregazione della domanda attraverso la centralizzazione delle committenze può, tuttavia, essere foriera di un’eccessiva concentrazione del potere d’acquisto, con l’implicazione di un forte rischio di collusione, di riduzione della concorrenza a scapito proprio delle PMI (cons. 59, dir. Appalti, cons. 70, dir. Utilities), per altro verso ampiamente tutelate. Ciò, soprattutto, avuto riguardo sia alla fissazione dei requisiti di gara, che necessariamente risente dei maggiori volumi di spesa che l’aggregazione determina, sia ai maggiori importi della garanzia a corredo dell’offerta che inevitabilmente ne derivano, in base alla legislazione del nostro ordinamento.
Le centrali di committenza sono, innanzitutto, incaricate di procedere ad acquisti, gestire i sistemi dinamici di acquisizione o aggiudicare appalti pubblici/concludere accordi quadro destinati ad altre amministrazioni aggiudicatrici, con o senza remunerazione (cons. 69, dir. Appalti, cons. 78, dir. Utilities).
Restano, pertanto, confermate le precedenti modalità operative: agire come grossisti comprando, immagazzinando e rivendendo o agire come intermediari, aggiudicando appalti, gestendo sistemi dinamici di acquisizione o concludendo accordi quadro ad uso delle amministrazioni aggiudicatrici (art. 2, par. 14, lett. a) e b), dir. Appalti; art. 2, par. 10, lett. a) e b), dir. Utilities).
Si aggiungono, invece, quali novità, le attività di committenza ausiliarie che consistono nella prestazione di sostegno alle attività di committenza, in particolare nelle forme seguenti: 1) infrastrutture tecniche che consentano alle amministrazioni aggiudicatrici di aggiudicare appalti pubblici o di concludere accordi quadro per lavori, forniture o servizi; 2) consulenza sullo svolgimento o sulla concezione delle procedure di appalto; 3) preparazione e gestione delle procedure di appalto in nome e per conto dell’amministrazione aggiudicatrice interessata (art. 2, par. 15, lett. a), b) e c) dir. Appalti; art. 2, par. 11, lett. a), b) e c), dir. Utilities).
La combinazione dell’utilizzo degli strumenti di e-procurement (mediante il riuso delle piattaforme informatiche) con il ricorso a forme di acquisto centralizzate consente un’amplificazione dei vantaggi in termini di efficacia e di efficienza della commessa pubblica.
Particolare notazione merita la previsione secondo cui le amministrazioni aggiudicatrici, senza applicare le procedure di cui alla direttiva, possono aggiudicare a una centrale di committenza un appalto pubblico di servizi per la fornitura di attività di centralizzazione delle committenze; tali appalti pubblici di servizi possono altresì includere la fornitura di attività di committenza ausiliarie (art. 37, par. 4, dir. Appalti; art. 55, par. 4, dir. Utilities). In ogni caso la direttiva non dovrebbe applicarsi alle ipotesi in cui le attività di centralizzazione delle committenze o le attività di committenza ausiliarie non siano effettuate attraverso un contratto a titolo oneroso che costituisce appalto ai sensi della medesima direttiva (cons. 70, dir. Appalti; cons. 79, dir. Utilities).
Nel quadro sopra delineato, e tenendo conto dei rischi insiti nell’eccessiva aggregazione della domanda, deve essere inserito il recepimento delle norme che attribuiscono un nuovo ed amplificato ruolo alla centrale di committenza, apprestando gli opportuni accorgimenti volti ad evitare i fenomeni distorsivi strettamente connessi all’aggregazione, come sopra evidenziato.
A tal proposito, proprio in applicazione del nuovo istituto delle “consultazioni preliminari di mercato” (art. 40 dir. Appalti, art. 58 dir. Utilities), che rende possibile il coinvolgimento anche di autorità indipendenti nella definizione del disegno d’asta, in fase di recepimento, potrebbe essere attribuito uno specifico potere di “vigilanza preventiva” all’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici sulle gare bandite dalle centrali di committenza, al fine di assicurare che l’aggregazione della domanda non si riveli dannosa per la concorrenza e per l’accesso al mercato degli appalti delle PMI.
La direttiva sull’aggiudicazione dei contratti di concessione intende superare le significative differenze tra le varie discipline nazionali; si pensi, in particolare, ai requisiti di pubblicità e trasparenza, ai criteri di selezione e di aggiudicazione, per addivenire ad una convergenza delle legislazioni degli Stati membri ed alla parità di condizioni per tutti gli operatori economici nonché per integrare gli obblighi del trattato nel diritto derivato. Si è ritenuto necessario, infatti, a livello di Unione europea, applicare in maniera uniforme i principi del trattato in tutti gli Stati membri ed eliminare le discrepanze nell’interpretazione di tali principi nonché le persistenti distorsioni del mercato interno. Ciò al fine di favorire, altresì, l’efficienza della spesa pubblica, la parità di accesso e l’equa partecipazione delle PMI all’aggiudicazione dei contratti di concessione, sia a livello locale che a livello dell’Unione, in modo da promuovere il conseguimento di obiettivi sostenibili delle politiche pubbliche (cons. 4, dir. Concessioni)
A ciò si aggiunga, inoltre, che l’insufficienza della tutela giuridica degli offerenti ha sempre costituito un elemento di ostacolo al mercato delle concessioni. Infatti, alle concessioni di servizi e, in certa misura, alle concessioni di lavori, non si applicavano le norme relative ai mezzi di ricorso previste per il settore degli appalti pubblici individuate dalla direttiva ricorsi.
L’incertezza normativa, infatti, è stata, spesso, alla base della mancata utilizzazione del potenziale apporto di capitale privato negli investimenti pubblici in infrastrutture e servizi strategici. È per tale ragione, quindi, che, nell’attuale congiuntura economica, che richiede l’utilizzo di strumenti che consentano di non gravare sui bilanci pubblici, la disciplina delle concessioni svolge un ruolo determinante.
2. Tratti distintivi della nuova disciplina
Con il recepimento della direttiva i due istituti giuridici della concessione di lavori e della concessione di servizi dovranno essere assoggettati alla stessa disciplina normativa.
La direttiva introduce tre novità di rilievo: 1) l’esplicita previsione che l’affidamento di lavori o servizi in concessione comporta il trasferimento al concessionario del “rischio operativo” legato alla gestione dei lavori o dei servizi (di natura economica, che comporta la possibilità di non riuscire a recuperare gli investimenti effettuati e i costi sostenuti per realizzare i lavori nella gestione dei lavori o dei servizi in condizioni operative normali, anche se una parte del rischio resta a carico dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore)1 2) la puntuale definizione di tale grandezza economica e 3) l’esatta definizione dell’assunzione di tale rischio in capo al concessionario (conss. 18, 19, 20 ed art. 5, par. 1, lett. b), dir. Concessioni).
La direttiva delinea specificamente: (i) il “valore della concessione”; (ii) le caratteristiche del metodo di calcolo di detto valore; (iii) le grandezze economiche che ne debbono far parte (art. 8, dir. Concessioni).
Viene inoltre prevista l’estensione alle concessioni delle vigenti disposizioni in materia di procedure di ricorso valevoli per gli appalti nei settori ordinari e speciali (cons. 81, dir. Concessioni).
Quanto alle procedure per la scelta del concessionario, le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori sono liberi di organizzarle (art. 30, par. 1, dir. Concessioni), entro i limiti del rispetto dei principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità (art. 3, dir. Concessioni).
A presidio dei principi di trasparenza e parità di trattamento è imposto l’obbligo di pubblicazione di un bando sulla GUCE recante l’intenzione di affidare una concessione di importo superiore alla soglia di rilievo comunitario (art. 31, dir. Concessioni).
Oltre a ciò le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori sono comunque tenuti al rispetto di garanzie procedurali minime, individuate nell’art. 37 della dir. Concessioni.
In relazione ai criteri di aggiudicazione, secondo quanto previsto dall’articolo 41 della dir. Concessioni, non ne vengono indicati di specifici ma si prevede che quelli prescelti debbano avere uno stretto collegamento con l’oggetto del contratto da affidare.
Tra le garanzie procedurali spicca, in quanto espressione dell’estrema flessibilità di forma concessa dal legislatore, la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori di condurre negoziazioni con candidati ed offerenti, a condizione che l’oggetto della concessione, i criteri di aggiudicazione e i requisiti minimi non siano modificati nel corso della negoziazione (art. 37, par. 6, dir. Concessioni). Si tratta di una disposizione fortemente innovativa rispetto alla disciplina attualmente dettata dal Codice dei contratti pubblici per le concessioni di lavori – che non prevede procedure negoziate – e dunque meritevole di particolare attenzione in fase di recepimento.
L’esigenza di favorire la crescita sostenibile, l’occupazione e l’inclusione sociale si manifesta anche in seno alla direttive sull’aggiudicazione delle concessioni.
L’obiettivo finale di tutto l’impianto normativo posto a tutela delle esigenze ambientali, sociali e del lavoro (cons. 55 e cons. 64, dir. Concessioni) non solo assume un ruolo cardine nell’ambito della definizione delle condizioni di partecipazione alla procedura di aggiudicazione (cons. 70, dir. Concessioni), del novero delle modalità di selezione mediante le quali può essere affidato un contratto (art. 41, par. 2, dir. Concessioni), e della definizione delle specifiche condizioni di esecuzione del contratto medesimo, ma riveste, altresì, un’importanza considerevole anche nell’ambito di tutti i possibili sub-affidamenti che il contraente (concessionario) può effettuare (cons. 72, dir. Concessioni). Gli Stati Membri sono chiamati ad adottare misure appropriate per assicurare che gli operatori economici (concessionari e loro sub-contraenti), nell’esecuzione del contratto rispettino le prescrizioni nel settore ambientale, sociale e di lavoro.
Proprio con riferimento alla disciplina dell’esecuzione delle concessioni, si rileva come, per esse, più che per gli appalti, la fase dell’esecuzione contrattuale può essere foriera di problematiche correlate alla durata nel tempo dell’affidamento ed alla possibilità della sopravvenienza di condizioni diverse ed inaspettate che determinano l’esigenza di una revisione delle clausole contrattuali, per garantire l’equilibrio economico-finanziario della gestione. Nella direttiva Concessioni, il legislatore europeo ha ritenuto di dover dettare alcune disposizioni proprio con riferimento alla fase dell’esecuzione (artt. 42-45, dir. Concessioni), applicabili indistintamente ai lavori e ai servizi.
3. Recepimento: Codice delle concessioni
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, appare evidente l’importanza di avere individuato un quadro normativo chiaro e sistematico nonché di aver assoggettato allo stesso regime giuridico sia la concessione di lavori sia la concessione di servizi, al fine di ridurre l’incertezza giuridica, l’ampio contenzioso ed attrarre gli investitori.
Preme rilevare, tuttavia, che il quadro normativo, per quanto chiaro e sistematico, della sola fase di scelta del concessionario è da ritenere strumento inefficace alla realizzazione del fine di un effettivo controllo della spesa, di un reale incentivo alla cooperazione tra settore pubblico e settore privato nonché della maggiore certezza giuridica nel settore delle concessioni.
Appare, pertanto, essenziale che vengano disciplinate anche le fasi a monte della procedura selettiva – programmazione e progettazione – e la fase a valle, ossia l’esecuzione del contratto. In tale ottica, risulta necessaria, altresì, una puntuale disciplina delle modalità e della tempistica del monitoraggio e dei controlli da svolgersi durante l’intera durata del contratto nonché l’assoggettamento delle concessioni ad un efficiente sistema di raccolta ed elaborazione dati, alla stessa stregua di quanto accade per gli appalti, attraverso il ruolo svolto dall’Autorità.
A tal proposito giova rilevare come l’articolo 45 della direttiva Concessioni prevede che, al fine di garantire la corretta ed efficace attuazione della medesima, l’Autorità competente per il monitoraggio metta a disposizione del pubblico, attraverso appropriati mezzi di informazione, i risultati delle attività effettuate, affinché le informazioni e gli orientamenti sulla interpretazione e applicazione delle norme dell’Unione per l’aggiudicazione dei contratti di concessione siano disponibili gratuitamente per aiutare le amministrazioni, gli enti aggiudicatori e gli operatori economici ad applicarle correttamente.
Detta disposizione integra le previsioni nazionali di cui alla legge 6 novembre 2012, n. 190 (recante disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione) e di cui al D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 (recante il riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni) che, in attuazione del principio comunitario e costituzionale di trasparenza, dispongono la pubblicità dei dati e la conoscibilità delle informazioni riguardanti operatori economici e stazioni appaltanti, e attribuiscono all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture un ruolo strategico per gli adempimenti allo scopo previsti.
Tenuto conto di tutto quanto sopra esposto, in fase di recepimento, si potrebbe optare per una soluzione che, per quanto riguarda le concessioni, e più in generale per tutte le fattispecie di cui all’articolo 3, comma 15 ter, preveda la redazione di uno specifico testo normativo che disciplini, altresì, la fase della progettazione e programmazione nonché dell’esecuzione.
Ciò sarebbe, peraltro, in piena sintonia con l’iniziativa governativa denominata “Destinazione Italia”. Fra le misure in essa contenute, infatti, la n. 37, relativa allo sviluppo dei partenariati pubblico-privati (ppp) nel campo delle piccole e medie infrastrutture, intende creare nell’ordinamento nazionale una disciplina speciale per il PPP, esterna al Codice dei contratti pubblici, composta da poche, chiare e stabili regole2 ed applicare modelli giuridico-economici che siano “Eurostat compliant”, per evitare che complesse operazioni di finanza strutturata debbano poi essere riclassificate ai fini dei parametri di Maastricht.
Al di là delle specifiche considerazioni svolte in ordine alle direttrici fondamentali lungo le quali si muovono le nuove direttive in materia di appalti e di concessione – che si auspica saranno valorizzate anche in seno all’ordinamento interno –, nell’ottica di una semplificazione della disciplina di settore, si ritiene di porre in evidenza soprattutto la necessità di dar vita, in fase di recepimento, ad un corpus normativo che rechi una disciplina snella, essenziale, costituita da poche, chiare e stabili regole, sia in materia di appalti (ivi compresi i settori speciali) sia in materia di concessioni, attribuendo, nel contempo, un più ampio e specifico potere di regolazione all’Autorità, nei termini descritti in premessa.
L’Autorità, infatti, potrebbe essere chiamata a svolgere un ruolo determinante nella regolazione del mercato dei contratti pubblici, attraverso atti interpretativi delle norme esistenti, in seno ai quali sarebbero agevolmente individuabili, altresì, le best practices di settore, in modo tale da essere proiettate sull’intero mercato attraverso atti di soft regulation3 opportunamente individuati, oltre che nelle determinazioni e nei bandi-tipo, in specifiche comunicazioni interpretative e raccomandazioni4, per orientare i comportamenti dei soggetti regolati.
In tal modo si realizzerebbe l’apprezzabile obiettivo di avere regole certe e snelle, introdotte dalla norma primaria di recepimento, la cui attuazione, anziché essere irrigidita dall’applicazione di norme di natura regolamentare (attuative e/o esecutive delle prime), avverrebbe attraverso l’esercizio di un dinamico potere regolatorio riconosciuto ad un’autorità amministrativa indipendente.
Da ultimo, per una migliore realizzazione degli obiettivi proposti, si ritiene che non possa prescindersi da un fattivo coinvolgimento dell’Autorità nella fase di recepimento delle direttive comunitarie, attraverso un’auspicata partecipazione attiva ai tavoli che saranno appositamente costituiti.
L’Autorità, infatti, per la centralità del ruolo svolto nell’ambito della contrattualistica pubblica è già depositaria di un patrimonio conoscitivo che ben potrà essere messo a disposizione quale utile ausilio ai fini delle modifiche di sistema che il recepimento delle direttive renderà necessarie.
Approvato dal Consiglio nella seduta del 21 maggio 2014
Il Consigliere relatore : Sergio Gallo
Il Presidente: Sergio Santoro
Depositato presso la segreteria del Consiglio il 22 maggio 2014
Il Segretario: Maria Esposito
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1. L’applicazione di norme specifiche per la disciplina dell’aggiudicazione di concessioni non sarebbe giustificata se l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore sollevasse l’operatore economico da qualsiasi perdita potenziale garantendogli un introito minimo pari o superiore agli investimenti effettuati e ai costi che l’operatore economico deve sostenere in relazione all’esecuzione del contratto. Allo stesso tempo, occorre precisare che alcuni accordi remunerati esclusivamente dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore dovrebbero configurarsi come concessioni qualora il recupero degli investimenti effettuati e dei costi sostenuti dall’operatore per eseguire il lavoro o fornire il servizio dipenda dall’effettiva domanda del servizio o del bene o dalla loro fornitura (cons. 18, dir. Concessioni).
2. Sul tema, l’Autorità ha già, peraltro, preso posizione, rilevando come “Negli ultimi anni, il legislatore [abbia] dato vita a numerose modifiche normative in materia di partenariato. In particolare, con vari decreti legge, in considerazione dell’esigenza di rilanciare lo sviluppo economico del Paese e di fornire un aiuto alla crescita nonché alla stabilizzazione patrimoniale delle imprese, il Governo ha cercato di dare impulso al settore delle iniziative in partenariato con specifico riferimento alle grandi infrastrutture. Le innovazioni alla disciplina dell’istituto tuttavia sono state introdotte in modo disomogeneo e frammentato. (v. Documento di consultazione “Finanza di progetto. Revisione della determinazione n. 1/2009, Linee guida sulla finanza di progetto dopo l’entrata in vigore del c.d. “terzo correttivo”, e della determinazione n. 2/2010, Problematiche relative alla disciplina applicabile all’esecuzione del contratto di concessione di lavori pubblici, pubblicato sul sito dell’Autorità, www.avcp.it, nella sezione consultazioni).
3. Soft regulation che avrebbe luogo, in ogni caso, nel rispetto del principio del contraddittorio, della trasparenza, della motivazione e della pubblicità degli atti e con tutte le garanzie procedimentali, quantomeno della consultazione preventiva dei soggetti interessati.
4. Alle determinazioni dovrebbe essere attribuita la funzione di individuare ed interpretare la normativa vigente, e l’idoneità a fornire orientamenti sostanzialmente regolamentari, previa audizione delle stazioni appaltanti e degli operatori economici. Le comunicazioni interpretative svolgerebbero la medesima funzione ma prescindendo da preventive audizioni, laddove si tratti soltanto di interpretare le norme di settore ma non si ponga la necessità di audire il mercato. Le raccomandazioni dovrebbero avere la funzione di conformare l’agire dei soggetti vigilati in singoli casi concreti, in modo da costituire precedenti autorevoli per regolare anche in modo generale il comportamento degli Stakeholders.