Il Consiglio di Stato, con sentenza della terza sezione, depositata il 5 maggio (2290/2014), ha ribadito che:
“L’interdittiva non si collega a fatti e attività oggetto di approfondimento d’ordine penale, essendo diversi i parametri di valutazione sul piano amministrativo, bensì alle stesse emergenze giudiziarie, indizi, collegamenti societari e intrecci imprenditoriali ed economici, contatti e frequentazioni e in definitiva a un quadro che, nel complesso di tutti gli elementi e prescindendo dalle singole circostanze, rende plausibile e giustifica l’adozione dell’interdittiva quale specifica misura di tutela anticipata volta a prevenire e/o stroncare ogni possibile ‘inquinamento’ delle aziende, degli appalti pubblici e quindi dell’attività della P.A., posto in essere notoriamente anche attraverso operazioni apparentemente legittime ma fittizie tipiche delle organizzazioni mafiose”.
Si rinvia, in tema, all’interessante scritto di Nicola Durante, giudice amministrativo, che studia il presupposto applicativo del controllo antimafia, il procedimento di rilascio, la valutazione sui tentativi di infiltrazione mafiosa, gli effetti dell’informazione antimafia interdittiva e, infine, l’informazione antimafia atipica.
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