Come già indicato nel capitolo I, lo sviluppo dell’istituto dell’in house providing nella legislazione europea ha subito da ultimo un’improvvisa evoluzione con l’approvazione della direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014[1].
L’in house providing era stato sino ad allora regolamentato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, che aveva definito con precisione i confini dello stesso[2].
In generale si consideri che la previsione di una espressa disciplina normativa determina già di per se un cambiamento, in quanto si passa da una fonte prettamente giurisprudenziale ad una legislativa, con un effetto di cristallizzare le regole valevoli in una determinata materia. Una espressa disciplina di legge è in grado di definire con maggiore chiarezza i contorni di un istituto che ha avuto grande fortuna nella gestione concreta dei servizi pubblici e non solo.
La direttiva europea sugli appalti pubblici in esame, ha avuto una lunga fase di gestazione che si è conclusa con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 28 marzo 2014, n. L. 94[3]. Rispetto alla stessa direttiva, gli ordinamenti degli Stati membri dovranno adeguarsi entro il termine del 18 aprile 2016[4].
L’art. 12 della direttiva sugli appalti pubblici, rubricato “Appalti pubblici tra enti nell’ambito del settore pubblico” è la norma di riferimento per stabilire i nuovi caratteri dell’in house providing” e sulla stessa dovrà soffermarsi l’attenzione degli studiosi della materia[5].
Nonostante, come detto, la direttiva sugli appalti pubblici richiederà un’apposita normativa di attuazione da parte del legislatore italiano, la nuova regolamentazione dell’in house providing, contenuta nel testo dell’art. 12 della direttiva medesima, è in realtà una disciplina immediatamente vincolante e applicabile nei confronti degli Stati membri. A questa conclusione si può pacificamente giungere sulla considerazione che si tratta di una materia che fa capo alla competenza esclusiva del legislatore europeo, quale diretta attuazione dei trattati. La norma di riferimento, sulla quale trova fondamento la ricordata competenza esclusiva del legislatore europeo, è oggi contenuta nell’art. 106 del trattato sull’Unione europea e del trattato sul funzionamento dell’Unione europea[6], che corrisponde all’art. 86 del trattato delle comunità europee.
Il paragrafo 2 del citato art. 106, stabilisce che “Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi dell’Unione”. Il successivo paragrafo 3 precisa che potranno essere adottate delle direttive al fine di dare applicazione alla regola previamente fissata[7].
Da tale presupposto deriva che gli elementi essenziali dell’istituto dell’in house providing sono rimessi in via esclusiva alla normativa europea. Si tratta di un nucleo essenziale che risulta del tutto intangibile da parte del legislatore italiano, sia regionale che nazionale, che non può in alcun modo derogarvi[8]. La norma di cui all’art. 12 della direttiva sugli appalti pubblici è, in definitiva, direttamente applicabile dal momento dell’entrata in vigore della stessa, senza la necessità di attendere l’adeguamento della legislazione nazionale.
Questo comporta che la disposizione sovra indicata presenta una rilevanza immediata nell’ordinamento giuridico italiano, soprattutto in quanto la stessa introduce delle novità proprio in relazione ad uno dei suoi requisiti essenziali, quello della prevalenza delle attività svolte a favore della pubblica amministrazione proprietaria, che verrà approfondito nei successivi paragrafi.
[1] La direttiva sugli appalti pubblici fa parte di un più vasto intervento normativo del legislatore europeo, che è infine culminato nella direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE e nella direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE.
[2] A partire da Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal, in http://curia.europa.eu/juris, punto n. 50, ove si afferma che “A questo proposito, conformemente all’art. 1, lett. a), della direttiva 93/36, basta, in linea di principio, che il contratto sia stato stipulato, da una parte, da un ente locale e, dall’altra, da una persona giuridicamente distinta da quest’ultimo. Può avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel contempo, l’ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano. Un riferimento espresso all’istituto lo si ritrova nel Libro Bianco “Gli appalti pubblici nell’Unione Europea“, COM (98) 143 def., 1.3.1998, punto 2.1.3, p. 11, nt. 10.
[3] Le nuove direttive europee, tra cui anche le coeve direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione; direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE, sono state approvate dal Parlamento europeo il 15 gennaio 2014.
[4] In questi termini si esprime l’art. 90 della direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014.
[5] Norme consimili sono previste anche nelle altre due direttive citate in precedenza. Si vedano l’art. 17 della direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, rubricato “Concessioni tra enti nell’ambito del settore pubblico” e l’art. 28 della direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE, rubricato “Appalti tra amministrazioni aggiudicatrici”. L’analisi del citato art. 12 della direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 è dunque esaustiva anche delle altre norme appena indicate. Sull’estensione dell’istituto dell’in house providing anche alle concessioni si veda Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. III, 29 novembre 2012, causa C-183/11 e C-183/1 (Econord), in www.lexitalia.it, n. 12/2012, punto 26, per cui “Occorre altresì rilevare che, ai sensi della giurisprudenza della Corte, la questione se si tratti di una concessione di servizi o di un appalto pubblico di servizi – e, in quest’ultimo caso, se il valore dell’appalto raggiunga la soglia prevista dalle norme dell’Unione – è priva di rilevanza ai fini della risposta che la Corte deve dare alla questione pregiudiziale, dal momento che l’eccezione all’applicazione delle norme del diritto dell’Unione, ove siano soddisfatte le condizioni attinenti all’esercizio di un «controllo analogo», è applicabile in tutte le situazioni suddette (v., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2009, Sea, C-573/07, Racc. pag. I-8127, punti 31-40)”.
[6] Si richiama il testo consolidato dei trattati.
[7] Precisamente il comma 3 stabilisce che “La Commissione vigila sull’applicazione delle disposizioni del presente articolo rivolgendo, ove occorra, agli Stati membri, opportune direttive o decisioni”.
[8] Ad esempio si veda Corte costituzionale, 23 dicembre 2008, n. 439, in www.giurcost.org, per cui “la valutazione in ordine alla rilevanza preponderante dell’attività nei confronti dell’ente pubblico conferente deve essere effettuata mediante la diretta applicazione della normativa comunitaria, quale risulta dall’interpretazione datane dai giudici europei”. Si veda anche Corte costituzionale, 17 novembre 2010, n. 325, in www.giurcost.org.