Il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione ,Raffaele Cantone, ha partecipato il 30 settembre 2014 all’Audizione della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati in relazione al decreto Legge 12 settembre 2014, n.133, cd “sblocca Italia”.
Riportiamo di seguito il testo della lettera
Ill.mo sig. Presidente Commissione Ambiente
Camera dei deputati
On Ermete Realacci
Audizione del 30 settembre 2014 relativa al decreto Legge 12 settembre 2014, n.133, cd “sblocca Italia”
Premetto che le brevi e non certo esaustive considerazioni che seguiranno si riferiscono soltanto agli articoli del decreto che si ricollegano alla competenza dell’Autorità che ho l’onore di presiedere, competenza, come è noto, che è stata notevolmente ampliata dal d.l. n. 90 del 2014, conv. in l. 114 del 2014 con l’”assorbimento” dell’autorità di vigilanza dei contratti pubblici (AVCP).
Prima di addentrarmi nelle valutazioni più di dettaglio, penso di poter esprimere un giudizio positivo in linea di massima sull’impianto del testo che, in relazione all’indicato obiettivo di utilizzare i lavori pubblici per il rilancio di un sistema economico in grave asfissia, tende a semplificare la disciplina normativa per alcuni appalti ritenuti di interesse strategico.
In alcuni aspetti, però, queste semplificazioni procedurali, dettate da obbiettivi di accelerazione dei lavori e quindi di condivisibile efficienza, rischiano, però, di poter avere involontariamente negativi effetti sul piano della legalità, per cui sembrerebbe opportuno mettere in campo alcuni correttivi o prevedere meccanismi di bilanciamento che possano sterilizzare il paventato indicato rischio.
In questa prospettiva, e nei limiti dei poteri concessi all’Autorità anticorruzione, rappresento che comunque verificherò la possibilità di far effettuare da parte degli uffici dell’Autorità il massimo controllo e monitoraggio possibile sui lavori pubblici compiuti attraverso le norme dello sblocca Italia.
Infine, una considerazione di carattere ancora più generale; il decreto oggi in esame certifica, per l’ennesima volta, l’inidoneità del sistema procedurale delineato dal codice degli appalti; se in ogni occasione in cui è necessario effettuare lavori pubblici di una certa entità bisogna ricorrere alle deroghe (sarebbe persino difficile individuare quanti sono i casi in cui si è ricorso di recente ad una legislazione speciale derogatoria!), è evidente che lo strumento generale necessita di una rivisitazione profonda, in una prospettiva di un sistema che possa operare con regole a regime e far a meno di deroghe ad hoc.
Ed in questo senso, appare pienamente condivisibile la scelta del governo, in sede di recepimento delle ultime direttive comunitarie in materia, di presentare un disegno di legge delega che consenta di riscrivere integralmente il codice degli appalti, in una logica di maggiore semplificazione che non sia ovviamente a discapito dell’esigenze di trasparenza e legalità.
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Il primo articolo da cui partire è proprio l’art. 1, che contiene norme finalizzate a consentire che si costruiscano gli assi ferroviari, ritenuti strategici sul piano infrastrutturale nazionale, Napoli-Bari e Palermo-Catania-Messina.
Le disposizioni contenute nella norma perseguono, in particolare, l’obiettivo di accelerare l’iter approvativo dei progetti e per questa ragione, riprendendo quella che appare essere diventata ormai un’abitudine legislativa, prevedono la nomina di un commissario straordinario dotato di rilevanti poteri.
Esso viene individuato nell’Amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, con una scelta che pur avendo una sua logica e precedenti nel sistema normativo (per i lavori dell’ expo 2015, ad esempio, l’amministratore delegato della società creata ad hoc per la gestione di quegli appalti è stato nominato anche commissario di governo), desta qualche perplessità oltre che per i possibili (teorici) conflitti di interesse, per l’ambito dei poteri ad esso riconosciuti di incidere su interessi di enti e comunità locali.
Ci si riferisce, in particolare, ai poteri conferiti al Commissario dall’art. 1, comma 4, in materia di decisioni da assumere, all’esito della conferenza di servizi con tutti gli enti anche locali interessasti, in caso di dissenso di un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico territoriale, del patrimonio storico-artistico o della salute e della pubblica incolumità.
E’ un punto su cui una riflessione si impone, anche per il precedente che in questo modo si verrebbe a creare di sostanziale commissariamento di scelte politiche locali da parte comunque dell’amministratore di una società per azioni, pur se pubblica; sarebbe forse più coerente prevedere che le scelte, in caso di mancato accordo in sede di conferenza di servizio, siano riservate al potere politico ed, in particolare, al presidente del Consiglio dei ministri; si tratterebbe di un’opzione in linea con quanto previsto dalla legge obiettivo e soprattutto coerente con quanto previsto dall’art. 33 del medesimo decreto in esame, relativo alle attività di bonifica dei siti contaminati.
Un altro aspetto della norma su cui pure è opportuna richiamare l’attenzione è quello relativo al potere del Commissario di bandire la gara anche sulla base dei progetti preliminari, ovviamente nell’ottica di una accelerazione dell’inizio delle attività; non si tratta, in verità, di un’assoluta novità nel sistema, in quanto la possibilità è contemplata anche nel previgente quadro normativo.
Escludendo il ricorso alla concessione e al c.d. “appalto integrato complesso”, nel quale i concorrenti presentano il progetto definitivo in sede di gara (modalità di affidamento che appaiono difficilmente applicabili alle opere in questione), si ritiene che gli appalti in questione potranno essere affidati attraverso il sistema del contraente generale, ammissibile in ragione della riconducibilità delle opere al programma delle infrastrutture strategiche di cui alla legge 443/2001.
L’intento acceleratorio, comprensibile e condivisibile, rischia però di essere frustato nei fatti; esperienze pregresse (fra tutte possono ricordarsi il sistema ferroviario AV/AC e la linea C della metropolitana di Roma) hanno evidenziato i rischi di opere affidate con tale procedura sulla base di progetti preliminari.
In particolare, quello di avventurarsi in contratti senza aver preventivamente individuato e superato i possibili impedimenti all’esecuzione di natura geologica, archeologica, ambientale, di interferenza con altre opere o sottoservizi, ecc.
La conferenza di servizi preliminare, cui generalmente sono sottoposti i progetti preliminari, non si è dimostrata in genere sufficiente ad assicurare un iter successivo privo di rilevanti ostacoli.
Anche il ricorso all’affidamento a contraente generale, che contempla in capo a quest’ultimo una obbligazione di risultato, non si è sempre dimostrato idoneo a garantire tempi e costi di realizzazione certi, essendosi constatato, anche nell’ambito di tale forma contrattuale, un rilevante ricorso a varianti e al contenzioso.
Una tale procedura implica, pertanto, la necessita di controlli preventivi attenti su quanto è posto a base dell’affidamento, in termini di qualità ed esaustività del progetto preliminare, pareri ed autorizzazioni preventivamente acquisiti sullo stesso, schemi contrattuali, al fine di evitare che l’accelerazione voluta si traduca in un deludente blocco successivo, con rilevante crescita delle esigenze finanziarie.
In questa prospettiva si potrebbero comunque prevedere come contrappesi ai poteri del commissario straordinario regole di massima trasparenza su tutte le sue scelte, imponendo l’applicazione del regime previsto dal d.lgs n. 33 del 2013 e la pubblicazione integrale di tutti gli atti connessi alle gare su un sito dedicato, in modo da consentire il controllo diffuso e collettivo.
Si potrebbe, altresì, imporre al commissario straordinario ex lege di adottare i protocolli di legalità non solo in materia di antimafia ma anche quelli, più recenti individuati dal Ministero dell’interno in accordo con l’ANAC, in materia di anticorruzione.
Va, infine, anche evidenziato come alcuni passaggi del comma 2 fissino scadenze temporali particolarmente ristrette per la consegna dei lavori, difficilmente compatibili con la tipologia delle opere; scadenze comunque ordinatorie, in quanto procrastinabili ove ciò fosse motivato.
Quanto, invece, all’ art. 2, la norma si inserisce nell’ambito delle concessioni relative ad infrastrutture strategiche, cioè opere usualmente realizzate mediante l’apporto, oltre che di finanziamenti pubblici, di finanziamenti privati, la cui redditività è assicurata dalla successiva gestione dell’opera stessa.
L’art. 2, comma 1, integrando l’art. 174 del Codice dei contratti, dispone che il bando di gara per l’affidamento della concessione possa prevedere, nel caso di sviluppo del progetto per stralci funzionali, l’integrale caducazione della relativa concessione e la possibilità di rimettere a gara la concessione per l’intera opera, qualora, entro un termine (indicato dal bando stesso) non superiore a tre anni dalla data di approvazione da parte del CIPE del progetto definitivo dello stralcio immediatamente finanziabile, la sostenibilità economico finanziaria degli stralci successivi non sia attestata da primari istituti finanziari.
Già l’art. 144 del Codice, cui l’art. 174 rinvia, dispone al comma 3-quater che l’amministrazione aggiudicatrice possa prevedere nel bando che il contratto di concessione stabilisca la risoluzione del rapporto in caso di mancata sottoscrizione del contratto di finanziamento o in mancanza della sottoscrizione o del collocamento delle obbligazioni del progetto, entro un congruo termine, comunque non superiore a due anni, dalla data di approvazione del progetto definitivo.
Tale ultima disposizione stabilisce, tra l’altro, che il concessionario non ha diritto ad alcun rimborso delle spese sostenute, ivi incluse quelle relative alla progettazione definitiva.
La disposizione introdotta dall’art. 2, comma 1 del decreto legge in argomento, pertanto, estende, nel caso di sviluppo dello stesso per stralci successivi, le cautele relative al venir meno della sostenibilità economica finanziaria del progetto anche ad interventi i cui lavori siano stati già avviati.
In sostanza, dà esplicita possibilità alla stazione appaltante di prevedere già nel bando la risoluzione della concessione ove non sia adeguatamente assicurata, entro un congruo termine, la finanziabilità dello stralcio successivo approvato.
La ratio dell’intervento normativo finalizzato a responsabilizzare il concessionario è pienamente condivisibile; sarebbe però opportuno, in analogia a quanto fatto dall’art. 144 del Codice, specificare le modalità di liquidazione del concessionario (ad es. rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione dei lavori eseguiti, esclusione delle spese relative al progetto definitivo di cui allo stralcio successivo).
Sarebbe, inoltre, utile evidenziare l’esigenza che, a seguito della caducazione della concessione e prima dell’avvio di una nuova procedura di gara per l’affidamento in concessione degli stralci successivi, il concedente valuti l’effettiva realizzabilità degli stessi e dell’intera opera mediante lo strumento concessorio.
L’art. 5, invece, introduce la possibilità per i concessionari autostradali di proporre modifiche alle concessioni in essere anche mediante l’unificazione di tratte interconnesse, contigue o complementari ai fini di una loro gestione unitaria.
La proposta deve essere accompagnata da un nuovo piano economico finanziario che contempli anche gli ulteriori investimenti ritenuti necessari per il potenziamento, adeguamento strutturale, tecnologico e ambientale delle infrastrutture.
La norma esclude ulteriori oneri a carico del bilancio dello Stato e prevede “il mantenimento di un regime tariffario più favorevole all’utenza”.
La disposizione appare, in verità, poco chiara, perchè non indica esplicitamente chi ed in che modo debba poi approvare il piano predisposto dai concessionari; non sembra, infatti, possibile ipotizzare che il piano diventi automaticamente esecutivo dopo la sua predisposizione, perché in tal modo si finirebbe per concedere un privilegio eccessivo ai concessionari.
Comunque, la disposizione sembra finalizzata a consentire l’affidamento, senza procedure concorsuali, di una “nuova concessione”, derivante dall’ampliamento e dall’unificazione delle precedenti concessioni e può diventare lo strumento per la proroga delle concessioni in essere, motivata dal necessario tempo di recupero dei nuovi investimenti e/o dall’esigenza di uniformare la durata delle concessioni di tratte contigue, con evidente slittamento delle procedure di gara per l’affidamento delle concessioni medesime alla scadenza naturale.
La previsione di cui all’art. 5, comma 3 stabilisce, infine, l’obbligo per i Concessionari autostradali di procedere all’affidamento di lavori, servizi e forniture di importo superiore alla soglia comunitaria, ulteriori rispetto a quelli previsti nelle convenzioni vigenti, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica di cui al Codice degli appalti.
La stessa, seppur estende l’obbligo delle procedure ad evidenza pubblica anche per l’affidamento di servizi e forniture (attualmente non previsto), sembrerebbe in contrasto con quanto le norme vigenti prevedono con riferimento agli appalti di lavori.
Infatti, l’art. 11, co. 5, lett. c) della l. 498/1992 sancisce il ricorso alle procedure del Codice degli appalti per tutti gli affidamenti a terzi di lavori, indipendentemente dal loro importo.
L’art. 9 è certamente una delle norme più importanti del decreto perche attraverso di esso si tende a consentire l’avvio di lavori in alcuni settori anche di grande impatto soprattutto sociale.
Essa, però, pone una serie di problemi anche da punto di vista interpretativo che è opportuno segnalare all’ecc.ma Commissione.
Il comma 1 stabilisce, in particolare, che costituisce “estrema urgenza” la situazione, attestata dall’Ente, di indifferibilità di interventi su impianti, arredi e dotazioni per:
- messa in sicurezza degli edifici scolastici e dell’AFAM;
- mitigazione dei rischi idraulici e geomorfologici;
- adeguamento alla normativa antisismica;
- tutela ambientale e del patrimonio culturale.
Tale casistica si configura, quindi, quale ulteriore specificazione di circostanze di urgenza qualificata, riconducibili all’art. 57, comma 2 del Codice e che consentirebbero già di per se di utilizzare le procedure “più snelle” previste dal codice.
La norma, però, introduce ulteriori disposizioni di carattere acceleratorio per la stipula del contratto – in deroga a quelle del Codice finalizzate ad assicurare la possibilità dei concorrenti di ricorrere al giudice amministrativo e che appaiono motivate dall’urgenza – e poi con l’ art. 9, comma 2, lett. a) stabilisce che le stazioni appaltanti, per lavori di importo inferiore alla soglia comunitaria, possono prescindere dalla richiesta di garanzia a corredo dell’offerta, di cui all’art. 75 del Codice.
Quest’ultima disposizione, pur evidentemente finalizzata a limitare gli oneri di partecipazione delle imprese, potrebbe rivelarsi controproducente ai fini della stessa accelerazione nella stipula dei contratti, stante la finalità della cauzione di coprire la mancata sottoscrizione del contratto.
Risulterebbe, infatti, possibile agli operatori economici non rispettare gli impegni assunti con la formulazione dell’offerta, senza subire danni da tale comportamento; non è escluso, in alcuni casi, che l’aggiudicatario possa volontariamente lasciare il passo ad offerte di concorrenti meno convenienti per l’Ente.
L’assenza di cauzione andrebbe forse compensata con misure sanzionatorie (economiche o di sospensione della partecipazione ad appalti pubblici), nel caso di mancata sottoscrizione del contratto, che, pur evitando oneri per la partecipazione degli operatori economici, assicurino comunque il rispetto degli impegni assunti da parte dei concorrenti.
Ulteriori disposizioni dell’articolo, sempre per importi inferiori alla soglia comunitaria, riducono nella logica dell’accelerazione, gli oneri di pubblicazione (da effettuarsi solo sul sito informatico della stazione appaltante – art. 9, comma 2, lett. b) e i termini di ricezione della domanda di partecipazione e di presentazione delle offerte (art. 9, comma 2, lett. c).
Le due norme che, però, più di altre appaiono più foriere di problemi sono quelle contenute nelle lett. d) ed e) del medesimo comma 2.
La prima consente, sempre per gli appalti sotto soglia comunitaria, il ricorso a procedure negoziate con le modalità previste dall’art. 57, comma 6 del Codice (quindi, senza previa pubblicazione del bando) con invito ad almeno tre operatori economici.
Non si comprende dalla lettura della disposizione il richiamo all’art. 57, comma 6 e cioè se per ricorrere, per l’affidamento dei lavori, alla procedura negoziata in sia o meno necessario che sussistano i presupposti indicati dalla norma e cioè che l’ente certifichi che gli interventi siano indifferibili ed urgenti; un’interpretazione, pur possibile, che dovesse consentire l’utilizzo della procedura anche in assenza di tali presupposti sarebbe discutibile, perche consentirebbe per importi anche elevatissimi (la soglia comunitaria è oggi 5 milioni ed 800 mila euro) di utilizzare una procedura poco garantita.
In ogni caso, andrebbe meglio precisato in che modo i principi di trasparenza, concorrenza e rotazione dovrebbero essere rispettati, imponendo in questo senso precisi oneri alle stazioni appaltanti.
La seconda (lett e) consente per importi fino a 200.000 euro, l’affidamento da parte del responsabile del procedimento, con procedura di fatto riconducibile all’affidamento in economia per cottimo fiduciario; in questo senso appare contraddittoria e comunque poco garantita la necessità che vi sia l’“invito rivolto ad almeno cinque operatori economici”.
Sarebbe opportuno prevedere accanto alla necessita dell’invito di cinque operatori, anche la previsione che il bando venga pubblicato sul sito dell’ente e che debbano essere comunque prese in considerazioni offerte ulteriori che dovessero giungere anche da soggetti non invitati.
L’articolo 13 introduce disposizioni finalizzate a favorire lo strumento dei project bond nella realizzazione di opere pubbliche.
Se la scelta di una norma su questo punto è decisamente opportuna, nell’ottica di provare a rilanciare un istituto che non ha di certo mostrato una grande vitalità, alcune soluzioni escogitate rischiano negative ricadute su un piano più generale.
In particolare il comma 1, estende condivisibilmente la platea dei possibili investitori, oltre agli investitori qualificati come definiti dal Regolamento recante norme di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 in materia di intermediari adottato dalla Consob con delibera n. 16190 del 29 ottobre 2007, anche alle società controllate da tali soggetti ai sensi dell’art. 2359 c.c..
Aggiunge, però, che i titoli “possono essere dematerializzati”, eliminando nel contempo la precedente previsione per cui tali titoli debbono essere “nominativi”.
La dematerializzazione dei titoli comporta la soppressione del supporto cartaceo, per cui la circolazione del credito avviene attraverso operazioni di giroconto contabile e non tramite la materiale consegna del titolo; tale disposizione appare in linea con la progressiva perdita di importanza del supporto cartaceo nei titoli di credito che ha interessato prevalentemente i titoli azionari ed obbligazionari.
L’eliminazione, però, del riferimento alla nominatività rende evidente il rischio della non identificabilità dei sottoscrittori dei bond con conseguenze pericolose in tema di utilizzo dell’investimento per riciclare proventi illeciti da reato.
Dell’art. 33, che si interfaccia a molte tematiche più squisitamente di tipo ambientale, si dirà molto brevemente.
Si ritiene in linea di principio condivisibile la scelta normativa di riportare nella competenza centrale nazionale gli interventi di bonifica ambientale e di rigenerazione di quelle aree che siano ritenute di rilevante interesse nazionale a seguito di una complessa procedura descritta nella norma; in materia, infatti, non sempre gli enti locali, soprattutto in alcune aree, avevano dato buona prova di ottimale gestione delle risorse pubbliche.
Si evidenzia, però, che appare decisamente problematica la disposizione che qualificando ex lege come area di interesse nazionale quella di Napoli, Bagnoli -Coroglio, prevede il trasferimento delle aree già nella disponibilità della società Bagnoli-Futura – fra l’altro prevedendo che il valore di cambio venga predeterminato dall’agenzia del demanio e che il corrispettivo venga versato con titoli che non appaiono né liquidi né esigibili – ad una nuova società in via di formazione, pur essendo tale società in stato di fallimento e quindi essendo sottoposta alle regole di diritto fallimentare.
L’art. 34, infine, introduce disposizioni in materia di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati.
Non è evidente la motivazione per cui (comma 1), per gli appalti relativi a tali interventi, è richiesta la documentazione comprovante i requisiti di capacità economica e tecnico organizzativa già in sede di offerta, come attualmente avviene nel caso in cui le stazioni appaltanti si avvalgono della facoltà di limitare il numero dei candidati idonei da invitare a presentare offerta (v. comma 1-bis dell’art. 48 del d.lgs. 163/2006).
Mentre in quest’ultimo caso la ragione è chiara, in quanto è necessario verificare preventivamente l’idoneità dei soggetti da invitare, nel caso in argomento di interventi di bonifica l’utilità della disposizione non appare esplicitamente chiaro. Presumibilmente la disposizione è finalizzata ad una maggiore cautela nella selezione dei soggetti per la particolarità degli interventi. Potrebbe, infatti, essere motivata dall’opportunità di valutare già in sede di offerta la presenza di raggruppamenti sovrabbondanti, che potrebbero costituire alterazione della procedura concorsuale o la presenza, con operatori economici già in grado di concorrere autonomamente, di soggetti non connotati da adeguata affidabilità sotto i profili soggettivo e tecnico.
La disposizione del comma 2 esclude molto condivisibilmente, la possibilità di ricorso all’avvalimento per il requisito di iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali; in tal senso si è già più volte espressa l’AVCP, evidenziando il carattere di soggettività del requisito.
Per detti interventi è contemplato (comma 3) il ricorso alla procedura negoziata ai sensi dell’art. 57, comma 2, lett. c); l’inserimento di tale fattispecie nell’art. 57, come indicato nel D.L., modifica il predetto comma c) dell’art. 57, nel seguente modo:
“c) nella misura strettamente necessaria, nei casi urgenti di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati ai sensi della Parte quarta, Titolo V, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, quando l’estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti,…., non è compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette,….”.
L’enunciato non appare chiaro; l’inserimento, infatti, nell’articolo della frase “nei casi urgenti di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati”, secondo una interpretazione letterale, sembrerebbe ridurre la casistica di urgenza di cui alla lett. c) ai soli casi urgenti di bonifica:
Siccome la ratio perseguita è evidentemente quella ben diversa di una particolare circostanza di urgenza, appare opportuno migliorare l’enunciato normativo.
Anche in questa ipotesi, come già si è detto con riferimento all’art. 9, non si comprende se il richiamo all’art. 57 consenta il ricorso alla procedura negoziata nei soli casi in cui le concrete circostanze, quali attestate dalla stazione appaltante, non risultino incompatibili con i termini per l’esperimento della gara, coerentemente con le disposizioni già vigenti o, invece, in ogni caso.
Richiamando le considerazioni sopra fatte, si tratta di un punto che meriterebbe di essere precisato.
Alcuni problemi si pongono anche con riferimento alle disposizioni che integrano l’art. 132 del Codice in tema di varianti.
Le disposizioni (comma 5, lett. b) specificano che, per tali opere, gli interventi di dettaglio disposti dal direttore dei lavori, che siano contenuti entro un importo non superiore al 20% e che non comportino aumento dell’importo del contratto stipulato per la realizzazione dell’opera, non costituiscono varianti; è lasciata, pertanto, un’ampia discrezionalità al direttore dei lavori di modificare in corso d’opera l’entità delle varie categorie delle lavori contemplate dal progetto, pur senza aumentare l’importo contrattuale.
E’ stabilito, inoltre, che la sola circostanza che trattasi di lavori di bonifica giustifica l’ammissibilità di varianti in corso d’opera (comma 5, lett. a).
Viene dato atto, pertanto, dei margini di incertezza che possono caratterizzare tali interventi, difficilmente puntualmente definibili in sede progettuale, escludendo a priori la necessità di qualsiasi valutazione della imprevedibilità, in sede di previsione progettuale, delle esigenze ravvisate in corso d’opera ai fini dell’ammissibilità della variante.
La norma, però rischia di ampliare eccessivamente l’ambito delle varianti, che, come è noto, rappresentano meccanismi ampiamente discrezionali di aumento della spesa per gli appalti, dietro i quali possono nascondersi fenomeni di accordi illeciti.
Ancor più le disposizioni introdotte (comma 6) riconducono tali opere a quelle relative a beni culturali, consistenti in beni mobili, superfici decorate o scavi archeologici, con il richiamo all’art. 203, comma 3 del Codice, consentendo l’affidamento, sulla base del progetto preliminare o definitivo, oltre che dell’esecuzione dei lavori, dei livelli successivi di progettazione avendo riguardo alle risultanze delle indagini svolte.
Tali disposizioni, pur considerando la specificità degli interventi, tuttavia rimettono ampi margini di discrezionalità all’appaltatore e al direttore dei lavori per attività che sono generalmente scarsamente verificabili a conclusione delle stesse.
La realizzazione di tali opere implica la necessità di attenti controlli; certamente una possibile opzione potrebbe essere quella della nomina dell’organo di collaudo in corso d’opera, di cui all’art. 141, comma 7 del Codice, con prescrizione, inoltre, che le verifiche di tale organo siano attivate dal direttore dei lavori non appena lo stesso ravvisi la necessità di ricorrere a modifiche delle previsioni progettuali, anche nei limiti indicati dall’art. 34, comma 5 lett. b) (ovvero anche nei casi in cui le modifiche non costituiscono variante).
Roma, 2 ottobre 2014
Raffaele Cantone