Molestie su facebook. Ad avviso della Cassazione Penale, sentenza del 12 settembre 2014, n. 37596, la bacheca del profilo Facebook è luogo aperto al pubblico e quindi è configurabile la molestia “virtuale”.
Il caso riguardava un giornalista che molestava una collega con ripetuti e continui apprezzamenti volgari e a sfondo sessuale sul posto di lavoro ed anche sul profilo facebook di quest’ultima usando uno pseudonimo. Il Tribunale di Livorno in primo grado assolveva il giornalista dal reato di molestie con la formula “il fatto non sussiste” quanto ai fatti «commessi presso gli uffici del quotidiano», escludendo che il luogo di lavoro si trattasse di luogo pubblico o aperto al pubblico.
La Corte di appello di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado, invece ha dichiarato il giornalista colpevole del reato a lui ascritto, condannandolo alla pena di un mese di arresto, rilevando che la redazione di un giornale poteva considerarsi luogo aperto al pubblico, giacché si trattava di ufficio privato al quale avevano accesso sia la categoria dei dipendenti del giornale stesso sia eventuali estranei che ivi portavano notizie o chiedevano la pubblicazione di annunci. Ha inoltre ritenuto che il reato doveva ritenersi altresì integrato dalla condotta realizzata mediante i messaggi inviati sotto pseudonimo tramite internet sulla pagina Facebook della vittima, costituente un community aperta, sul profilo della persona offesa «evidentemente accessibile a chiunque».
Il giornalista si è rivolto alla Corte di Cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza di condanna.
La Cassazione ha rilevato che l’espressione “luogo pubblico o aperto al pubblico” “secondo dottrina e giurisprudenza consolidate sta a indicare: per luogo pubblico, quello di diritto o di fatto continuativamente libero a tutti, o a un numero indeterminato di persone; per luogo aperto al pubblico, quello, anche privato, ma al quale un numero indeterminato, ovvero un’intera categoria, di persone, può accedere, senza limite o nei limiti della capienza, ma solo in certi momenti o alle condizioni poste da chi esercita un diritto sul luogo.”
Quindi ad avviso della Corte “la effettiva possibilità di considerare un luogo privato “aperto al pubblico” è comunque questione di fatto, perché dipende dalle condizioni all’accesso poste dal titolare dello ius excludendi.”
Relativamente alla piattaforma sociale Facebook, la Cassazione osserva che di fatto “rappresenti una sorta di agorá virtuale. Una “piazza immateriale” che consente un numero indeterminato di “accessi” e di visioni, resa possibile da un evoluzione scientifica, che certo il legislatore non era arrivato ad immaginare. Ma che la lettera della legge non impedisce di escludere dalla nozione di luogo e che, a fronte della rivoluzione portata alle forme di aggregazione e alle tradizionali nozioni di comunità sociale, la sua ratio impone anzi di considerare”.
Per ulteriori approfondimenti si allega il testo della sentenza