Comunicazioni di cancelleria via PEC e decorrenza del termine breve per impugnare
Il termine breve per le impugnazioni decorre solo in caso di atto di impulso di controparte. E dunque, la comunicazione, da parte della cancelleria, del testo integrale del provvedimento depositato non è in ogni caso idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 cod. proc. civ..
Il regime alternativo di introduzione dell’impugnazione non è stato dunque innovato, di per sé solo almeno, dalla sostituzione della comunicazione per estratto o del solo dispositivo con la comunicazione, ove fosse poi integrale, del documento via p.e.c., intendendosi anzi “neutralizzare gli effetti della generalizzazione della modalità telematica della comunicazione, se integrale, di qualunque tipo di provvedimento, ai fini della normale decorrenza del termine breve per le impugnazioni solo in caso di atto di impulso di controparte”.
Questo il principio di diritto stabilito dalla Corte di Cassazione, con ordinanza depositata il 5 novembre:
La novella del secondo comma dell’art. 133 cod. proc. civ., di cui all’art. 45, co. 1, lett. b), del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014 n. 114, secondo cui la comunicazione, da parte della cancelleria, del testo integrale del provvedimento depositato non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 cod. proc. civ., è finalizzata a neutralizzare gli effetti della generalizzazione della modalità telematica della comunicazione, se integrale, di qualunque tipo di provvedimento, ai fini della normale decorrenza del termine breve per le impugnazioni solo in caso di atto di impulso di controparte; la novella stessa non incide peraltro, lasciandole in vigore, sulle norme processuali, derogatorie e speciali (come l’art. 348 – ter, comma terzo, cod. proc. civ., nella parte in cui fa decorrere il termine ordinario per proporre il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado dalla comunicazione dell’ordinanza che dichiara l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348-bis cod. proc. civ.), che ancorino la decorrenza del termine breve di impugnazione alla mera comunicazione di un provvedimento da parte della cancelleria, restando irrilevante che la comunicazione sia integrale o meno.
Compensazione delle spese di giudizio e ulteriore importo dovuto a titolo di contributo unificato
La Corte ha altresì stabilito, sul pagamento del contributo unificato, che “nonostante la disposta compensazione (e mancando sul punto ogni discrezionalità: Cass. 14 marzo 2014, n. 5955), deve trovare applicazione l’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: ai sensi di tale disposizione, il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che la definisce, a dare atto – senza ulteriori valutazioni discrezionali – della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, a norma del comma 1-bis del medesimo art. 13″.
“Non vi è altra scelta – conclude la Corte – anche nel presente caso e nonostante la disposta compensazione delle spese del giudizio di legittimità, che dare atto della dichiarazione d’inammissibilità del ricorso, quale presupposto per il versamento, da parte della ricorrente principale ed ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/02 come modif. dalla l. 228/12, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso principale”.
Di seguito, le motivazioni dell’ordinanza della Corte.
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Suprema Corte di Cassazione, sezione VI civile
Ordinanza del 5 novembre 2014 n. 23526
(…)
Motivi della decisione
II – Non sono state presentate conclusioni scritte, ma la ricorrente ha depositato memoria ed il suo difensore è comparso in camera di consiglio per essere ascoltato.
III. – A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, ritiene il Collegio di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti nella su trascritta relazione e di doverne fare proprie le conclusioni, non comportandone il superamento gli argomenti sviluppati nella memoria depositata dal ricorrente.
III.1. Infatti, in nessun luogo della relazione è asserito – e tanto meno, quindi, falsamente, come con affermazioni esse sì avulse dalla verità processuale più volte ripete la ricorrente nella memoria difensiva – che l’ordinanza di inammissibilità della corte di appello sia stata notificata. Al contrario, con tutta evidenza invece nella relazione si legge, quale motivo di inammissibilità del ricorso avverso la sentenza di primo grado, che era stato “documentato dal controricorrente essere avvenuta la comunicazione, via p.e.c., dell’ordinanza di inammissibilità dell’appello fin dal 7.6.13, a fronte del dispiegamento del ricorso per cassazione non prima del 9.10.13″.
III.2. La sufficienza della comunicazione, sia essa via p.e.c. che per via tradizionale, dell’ordinanza di secondo grado ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare la sentenza di primo grado – nel nuovo sistema dell’art. 348-ter cod. proc. civ. – è stata ribadita da questa Corte con ord. 15 maggio 2014, n. 10723, alla quale può bastare qui un integrale richiamo, ribadendosi i principi di diritto ivi affermati:
– è inammissibile per tardività il ricorso per cassazione, ai sensi del secondo periodo del secondo comma dell’art. 348-ter cod. proc. civ., avverso l’ordinanza che ha dichiarato inammissibile l’appello per carenza di ragionevole probabilità di accoglimento, ai sensi dell’art. 348-tó- cod. proc. civ., ove sia proposto oltre il termine di sessanta giorni dalla comunicazione, quand’anche eseguita a mezzo posta elettronica certificata, dell’ordinanza stessa;
– è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 348-ter, comma terzo, cod. proc. civ. in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui fa decorrere il termine ordinario per proporre il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado dalla comunicazione dell’ordinanza che dichiara l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348-bis cod. proc. civ.:
a) in primo luogo, perché l’ordinamento prevede già da tempo numerosi altri analoghi casi di decorrenza del termine di impugnazione dalla mera comunicazione di un provvedimento;
b) in secondo luogo, perché il provvedimento da impugnare non è quello oggetto di comunicazione, ma quello di primo grado, compiutamente conosciuto dall’appellante fin da tempo di molto anteriore alla comunicazione stessa;
c) in terzo luogo, perché il termine ordinario comunque non decorrerebbe, in estensione delle conclusioni già raggiunte per fattispecie analoghe, ove in concreto fosse del tutto impossibile ricavare dalla comunicazione trattarsi di ordinanza resa ai sensi dell’art. 348-bis cod. proc. civ. e, in quanto tale, idonea a far decorrere il termine ordinario suddetto avverso il provvedimento di primo grado;
d) in quarto luogo, perché l’appello non è oggetto di garanzia costituzionale ed il relativo grado di giudizio è affetto da crescenti criticità, sicché è coerente con un tentativo di recupero di funzionalità del sistema la semplificazione del relativo processo ed il mantenimento di un livello di garanzia – mediante il ricorso per cassazione diretto contro la sola pronuncia di primo grado – ancorato a requisiti, anche temporali, di ammissibilità che sono sì rigorosi, ma tutt’altro che in grado di impedire, sia pure a prezzo di un modesto maggior impegno dell’interessato, l’esercizio del diritto di difesa.
IV. – La conclusione non muta affatto a seguito della modifica del secondo comma dell’art. 133 cod. proc. civ., di cui all’art. 45, co. 1, lett. b), del di 24 giugno 2014, n. 90, conv. con modif. in legge 11 agosto 2014, n. 114, il quale risulta ora del seguente tenore testuale: “Il cancelliere da atto del deposito in calce alla sentenza e vi appone la data e la firma, ed entro cinque giorni, mediante biglietto contenente il testo integrale della sentenza, ne da notizia alle parti che si sono costituite. La comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’articolo 325”.
IV.1. In disparte la questione dell’applicabilità – o meno – della norma così modificata alla fattispecie, siccome avveratasi in tempo anteriore alla sua entrata in vigore, visto che nella specie la comunicazione via p.e.c. si è avuta il 7.6.13, in via dirimente osserva il Collegio che la modifica dell’art. 133 cod. proc. civ. attiene al regime generale delle comunicazioni dei provvedimenti da parte della Cancelleria, sicché non può investire, neppure indirettamente, le previsioni speciali che, appunto in via derogatoria, comportino la decorrenza di termini – anche perentori – dalla semplice comunicazione del provvedimento.
La teoria generale del processo delle impugnazioni conosce, invero, quale regola, l’alternatività tra il termine breve e quello lungo, attivandosi – ma, appunto, di norma – il primo soltanto a seguito di uno specifico atto d’impulso della controparte, consistente nella notificazione del provvedimento suscettibile di impugnazione.
IV.2. In questo contesto, la novella dell’art. 133 cod. proc. civ. ha generalizzato la comunicazione via posta elettronica certificata come modalità ordinaria – e del resto coerente con le esigenze di snellimento del lavoro e razionalizzazione dei tempi di lavorazione – di messa a conoscenza della parte, ad opera della cancelleria, del documento in cui il provvedimento reso è consacrato; e, poiché le materiali modalità di trasferimento potrebbero comportare che oggetto della comunicazione diventi il provvedimento nel suo integrale tenore, ci si è posti la questione della conseguita o sopravvenuta idoneità di tale nuova forma di comunicazione, per via elettronica, a dare contezza al destinatario dell’integralità dell’atto e ad attivare – di conseguenza – nei suoi confronti il termine breve per impugnarlo.
È parso allora opportuno al legislatore, significativamente in sede di conversione del decreto legge e su segnalazione allarmata di molte categorie di operatori del diritto, specificare che il regime alternativo di introduzione dell’impugnazione non era innovato, di per sé solo almeno, dalla sostituzione della comunicazione per estratto o del solo dispositivo con la comunicazione, ove fosse poi integrale, del documento via p.e.c.; in tal modo, si sono neutralizzati o sterilizzati gli effetti della pienezza della conoscenza del provvedimento, derivanti dalla nuova forma di comunicazione, ai fini del regime ordinario di impugnabilità: e quindi si è certo mantenuta ferma, quale regola generale, l’alternatività suddetta e la decorrenza del termine breve, di norma, dall’atto di impulso della controparte.
IV.3. Tuttavia, né dal tenore letterale del nuovo testo dell’art. 133 cod. proc. civ., né dalla sua ratio appena ricostruita può ricavarsi alcuna abrogazione delle numerose norme speciali che a quel regime ordinario avevano apportato deroga, ancorando, per evidenti finalità di accelerazione del processo, la decorrenza del termine breve non all’atto di impulso della controparte, ma comunque alla comunicazione, proprio ad opera della cancelleria e quindi ufficosa, del provvedimento da impugnare.
IV. 4. Non è infatti nuova, nel vigente ordinamento processuale, la previsione della decorrenza di termini perentori per impugnare ancorata alla mera comunicazione del provvedimento che ne sarebbe oggetto, come nel caso del termine per proporre:
– il regolamento di competenza: art. 47 cpv. cod. proc. civ.;
– le impugnazioni del pubblico ministero: penult. co. dell’art. 72 cod. proc. civ.;
– il reclamo avverso le ordinanze di estinzione dei processi di cognizione e di esecuzione: rispettivamente, art. 178, co. terzo, nonché art. 630, co. terzo, cod. proc. civ.;
– l’istanza di pronunzia di sentenza in caso di emissione di ordinanza ex art. 186-quater cod. proc. civ.: v. ult. co. di tale norma;
– l’impugnazione del decreto di estinzione per rinuncia del giudizio di legittimità: art. 391, co. terzo, cod. proc. civ.;
– lo stesso ricorso per cassazione, avverso la sentenza su pregiudiziale questione di efficacia, validità o interpretazione di contratti o accordi collettivi: v. art. 420-tó, co. secondo, cod. proc. civ.;
– il reclamo cautelare: art. 669-terdecies, co. primo, cod. proc. civ.;
– il reclamo camerale: art. 739, co. primo, cod. proc. civ., quanto ai procedimenti camerali ed all’impugnazione della parte privata; art. 740 cod. proc. civ., quanto alle impugnazioni del pubblico ministero;
– il reclamo avverso il diniego di esecutorietà al lodo: art. 825, ult. co., cod. proc. civ., quanto a quello nazionale.
In tutti tali casi è sempre stato irrilevante, fin dalla formulazione della relativa disposizione, che la comunicazione ad opera della cancelleria – con la sola cautela che se da essa fosse stato impossibile desumere la natura del provvedimento, il termine non sarebbe decorso – fosse stata integrale oppur no.
IV. 5. Ora, pare evidente al Collegio che la specialità di tali disposizioni – in virtù di principi generalissimi in tema di conflitto apparente tra norme (per i quali lex generalis posterior non derogai legi speciali anteriori) – rimane allora ferma, per la persistente preminenza delle valutazioni legislative speciali della prevalenza della conoscenza suscitata dall’iniziativa dell’ufficio sull’atto di impulso di controparte.
IV. 6. In conclusione, va applicato il seguente principio di diritto:
la novella del secondo comma dell’art. 133 cod. proc. civ., di cui all’art. 45, co. 1, lett. b), del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, conv. con modif. in 1.11 agosto 2014, n. 114, secondo cui la comunicazione, da parte della cancelleria, del testo integrale del provvedimento depositato non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 cod. proc. civ., è finalizzata a neutralizzare gli effetti della generalizzazione della modalità telematica della comunicazione, se integrale, di qualunque tipo di provvedimento, ai fini della normale decorrenza del termine breve per le impugnazioni solo in caso di atto di impulso di controparte; la novella stessa non incide peraltro, lasciandole in vigore, sulle norme processuali, derogatorie e speciali (come l’art. 348-ter, comma terzo, cod. proc. civ., nella parte in cui fa decorrere il termine ordinario per proporre il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado dalla comunicazione dell’ordinanza che dichiara l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348-bis cod. proc. civ.), che ancorino la decorrenza del termine breve di impugnazione alla mera comunicazione di un provvedimento da parte della cancelleria, restando irrilevante che la comunicazione sia integrale o meno.
V. – In applicazione di tale principio alla fattispecie, pertanto, non rileva che la comunicazione dell’ordinanza di appello sia avvenuta a mezzo posta elettronica certificata e sia stata integrale oppur no, visto che essa è pacificamente avvenuta in tempo anteriore di oltre sessanta giorni alla proposizione del ricorso per cassazione previsto dall’art. 348-ter cod. proc. civ. e che da essa si evinceva la definizione dell’appello con le forme speciali previste dalla novella del 2012 del giudizio di secondo grado, così risultando pienamente idonea ad attivare il termine breve per impugnare, con il ricorso per cassazione, la già ben nota sentenza di primo grado.
In definitiva, tanto preclude in rito l’ammissibilità del ricorso avverso il provvedimento di primo grado – confermandosi, invece, per i motivi già indicati in relazione, non idoneamente contestati, l’inammissibilità del ricorso per cassazione avverso quello di secondo grado – e l’esame di ogni altro profilo in rito e nel merito agitato dalla ricorrente.
VI. – Pertanto, ai sensi degli artt. 3$0-bis e 385 cod. proc. civ., il ricorso va dichiarato in ogni sua parte inammissibile; tuttavia, l’assoluta novità delle questioni processuali in base alle quali è stato sostanzialmente definito il ricorso, rende di giustizia – ad avviso del Collegio – la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
VII. – Nondimeno, nonostante la disposta compensazione (e mancando sul punto ogni discrezionalità: Cass. 14 marzo 2014, n. 5955), deve trovare applicazione l’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: ai sensi di tale disposizione, il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che la definisce, a dare atto – senza ulteriori valutazioni discrezionali – della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, a norma del comma 1-bis del medesimo art. 13.
Non vi è altra scelta, pertanto, anche nel presente caso e nonostante la disposta compensazione delle spese del giudizio di legittimità, che dare atto della dichiarazione d’inammissibilità del ricorso, quale presupposto per il versamento, da parte della ricorrente principale ed ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/02 come modif. dalla l. 228/12, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso principale.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; compensa le spese del giudizio di legittimità; ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, d.P.R. 115/02, come modif. dalla l. 228/12, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.