La questione sulla illegittimità del bando di concorso per magistratura arriva in Parlamento. E’ stata infatti presentata una interrogazione parlamentare al Ministero della Giustizia con la quale si chiede di fare luce sulla vicenda. L’interrogazione porta la firma di MariaLucia Lorefice e di altri tre deputati appartenenti al gruppo M5S. Il caso, lo ricordiamo, è stato sollevato dall’Avvocato Carmelo Giurdanella che a distanza di pochi giorni dalla pubblicazione del bando, ha evidenziato le gravi discriminazioni nell’editoriale che ha fatto il giro del web e non solo. Diversi quotidiani nazionali infatti si sono interessati alla vicenda. (per l’articolo de “Il Fatto Quotidiano” clicca qui) (per l’articolo di “Leggioggi.it” clicca qui).
Si attende adesso la risposta scritta del Ministero della Giustizia che, vista l’urgenza, non dovrebbe tardare. Mancano pochi giorni alla scadenza del termine per presentare le domande di partecipazione al concorso fissato il 22 dicembre (tutte le info utili sul bando disponibili qui).
Sono tanti gli aspiranti magistrati che hanno fatto sentire la propria voce e che, essendo in possesso di tutti i requisiti (indicati qui in dettaglio), intendono adire le vie legali, per vedersi riconosciuto il diritto di partecipare al concorso dal quale sono stati illegittimamente esclusi.
Ulteriori aggiornamenti saranno pubblicati quanto prima nelle pagine di Giurdanella.it.
Di seguito il testo integrale dell’interrogazione presentata in Parlamento:
con decreto 5 novembre 2014 pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 91 del 21 novembre 2014 – 4a serie speciale – concorsi, è stato bandito il concorso, per esami, a 340 posti di magistrato ordinario;
tra i requisiti per l’ammissione al concorso elencati nell’articolo 2 del bando, al punto 11 si legge che possono parteciparvi anche «laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di un corso universitario di durata almeno quadriennale e che hanno concluso positivamente lo stage presso gli uffici giudiziari o hanno svolto il tirocinio professionale per diciotto mesi presso l’Avvocatura dello Stato»;
la disposizione di cui sopra è stata introdotta dall’articolo 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, nel testo vigente a seguito dell’entrata in vigore del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con legge 11 agosto 2014, n. 114;
si tratta di una novità riservata ai soli laureati di età inferiore ai 30 anni e che abbiano conseguito un voto di laurea pari o superiore a 105 ovvero una media di almeno 27/30 negli esami di diritto costituzionale, diritto privato, diritto processuale civile, diritto commerciale, diritto penale, diritto processuale penale, diritto del lavoro e diritto amministrativo;
la norma introduce la possibilità che i laureati in possesso di particolari requisiti, previsti dalla legge, e che abbiano svolto per 18 mesi uno stage formativo presso gli uffici giudiziari o la pratica forense presso l’Avvocatura dello Stato possano accedere, per ciò solo e senza necessità di frequentare una Scuola di specializzazione, al concorso;
ad una prima sommaria lettura la ratio della disposizione sembrerebbe essere quella di agevolare gli studenti più meritevoli, garantendo loro una via di accesso al concorso meno onerosa rispetto a quella ordinaria;
tuttavia la norma, come fatto notare dal direttore dell’autorevole rivista giuridica leggioggi.it, avvocato Carmelo Giurdanella, non è esente da critiche e lascia residuare molti dubbi in ordine alla disparità di trattamento che la stessa crea in relazione agli aspiranti candidati cui, pur in possesso degli stessi requisiti di merito richiesti dalla legge, viene negato l’accesso al concorso per il solo fatto di aver svolto il periodo di pratica forense presso uno studio legale privato o presso avvocatura pubblica diversa dall’avvocatura dello Stato;
una simile disparità di trattamento configura a giudizio degli interroganti manifesti e fondati profili di illegittimità costituzionale della norma in relazione agli articoli 2 e 3 della Costituzione, dal momento che porrebbe in essere una violazione irragionevole del principio di uguaglianza, il quale vieta di trattare in maniera diversa situazioni analoghe: non sembra, infatti, che intercorra una differenza tale, tra i due tipi di pratica, da giustificare l’introduzione di un tale discrimine;
la Corte costituzionale ha già dichiarato, con sentenza n. 296 del 2010, l’illegittimità di una previsione che «attribuisce rilievo decisivo ad un requisito di ordine meramente formale (era l’iscrizione all’albo forense) del quale non si comprende l’idoneità a rivelare il possesso, in capo all’aspirante magistrato, di una maggiore attitudine all’esercizio della funzione giudiziaria rispetto agli altri aspiranti solo abilitati a svolgere la professione di avvocato» –:
se non ritenga inopportuna l’introduzione di una simile discriminatoria differenza, meramente formale, tra uno studio professionale pubblico (l’avvocatura dello Stato) e tutti gli altri studi professionali, sia privati che pubblici e se non reputi necessario assumere iniziative per modificare la previsione normativa e, a cascata, il bando di concorso appena pubblicato, che esclude i praticanti provenienti da studi legali «privati» o da altri avvocature pubbliche diverse dall’avvocatura dello Stato. (4-07151)