Illegittimità contributo unificato: intervista all’avvocato Carmelo Giurdanella

A ridosso dell’udienza in Corte di Giustizia dell’Unione europea sul rinvio pregiudiziale del Tar Trento relativo alla legittimità della normativa italiana che ha introdotto un elevato contributo unificato per i ricorsi dinanzi al giudice amministrativo in materia di appalti, intervistiamo, al fine di avere alcuni chiarimenti sulla questione, l’Avvocato Carmelo Giurdanella, in veste di rappresentante dell’associazione di avvocati Amministrativisti.it, la quale è intervenuta nella causa di cui sopra nell’interesse di un’associazione catanese di consumatori, Cittadini Europei.

Avvocato, da cosa nasce il dubbio che ha determinato il rinvio pregiudiziale da parte del Tar Trento?

Il dubbio riguarda la compatibilità della normativa italiana con il diritto europeo in relazione alla previsione di un contributo unificato, dovuto da chi intende proporre un’azione giudiziale, che in materia di appalti risulta eccessivamente oneroso e lesivo del diritto di difesa. In particolare, le norme che hanno introdotto tale tassazione, ossia gli artt. 13, commi 1 bis, 1-quater e 6-bis, e 14, comma 3-ter, del D.P.R. n. 115/2002, potrebbero porsi in contrasto con la cosiddetta Direttiva “ricorsi” (Direttiva 89/665/CEE), la quale impone agli Stati membri dell’Unione di garantire, in materia di appalti, un ricorso “effettivo”.

Come mai la questione si pone in particolar modo per le controversie amministrative in materia di appalti? Ci sono differenze con le altre materie?

Sì, ci sono delle differenze non ragionevoli né giustificate. Mi spiego meglio: il contributo unificato è dovuto, nelle controversie dinanzi al giudice ordinario, per un importo commisurato al valore della causa e comunque, per il primo grado, mai superiore ai 1686 euro; per le controversie in materia di appalti, invece, il contributo unificato dovuto viene individuato in uno dei tre scaglioni previsti dal legislatore a seconda del valore dell’appalto e può arrivare fino a 6000 euro per il solo primo grado di giudizio. Dunque, è evidente come vi sia una discriminazione palese tra le controversie instaurate dinanzi ai due giudici. Ma c’è di più: le controversie in materia d’appalto rientrano tra quelle per le quali l’art. 119 c.p.a. prevede un rito speciale abbreviato, caratterizzato dal dimezzamento di quasi tutti i termini. Ebbene, per tutte le controversie relative a materie riconducibili a tale norma, il contributo unificato in primo grado è dovuto nella misura massima di 1800euro! Per tutte, tranne che per gli appalti pubblici, per cui anche tra materie per le quali il legislatore ha previsto il medesimo rito sussiste una discriminazione in tema di contributo unificato.

Il contributo unificato è previsto anche in altri Paesi dell’Unione?

Non in tutti. Ci sono delle forme di tassazione anche in alcuni altri Stati membri, ma, dati alla mano, ci si rende subito conto del fatto che in nessuni di tali Stati l’imposizione è equiparabile a quella prevista in Italia. Basti pensare che nei Paesi Bassi, in Belgio, in Austria il contenzioso amministrativo in primo grado costa al ricorrente non più di 180 euro; è evidente come, in questi Paesi, la previsione di una “tassa per il ricorso” configuri un giusto ed equilibrato contributo ai costi delle spese di giustizia e non, invece, uno strumento che, al fine di deflazionare il contenzioso, priva il cittadino del fondamentale diritto ad un ricorso effettivo.

Ci spieghi meglio come viene calcolato il contributo unificato per le controversie amministrative in materia di appalti.

Le norme sopra richiamate prevedono che il contributo unificato sia dovuto nella misura di 2000 euro quando il valore della controversia è pari o inferiore ad euro 200.000; nella misura di 4000 euro quando il valore della controversia è compreso tra euro 200.000 e 1.000.000; nella misura di 6000 euro quando il valore della controversia supera euro 1.000.000. Un’ulteriore anomalia, che va ad aggiungersi a quelle già evidenziate, è caratterizzata dal fatto che per “valore della controversia” si intenda l’importo della base d’asta individuato dalle stazioni appaltanti negli atti di gara e non, invece, l’utile che effettivamente l’impresa potrebbe ricavare dall’aggiudicazione del contratto. Deve, poi, considerarsi, che anche ulteriori atti, quali la presentazione di motivi aggiunti (che si rendono necessari per il fatto che, essendo molto brevi i termini per proporre ricorso, il ricorrente non conosce già tutti gli atti di gara e, quindi, non può immediatamente contestarli) o di ricorso incidentale, sono sottoposti al pagamento del contributo unificato in misura pari a quella prevista per il ricorso principale. Per i giudizi di impugnazione, poi, il contributo unificato è aumentato della metà rispetto a quello previsto per il primo grado.

Quali sono, in conclusione, gli effetti negativi di un’imposizione tanto elevata?

L’effetto negativo principale è quello che le imprese si trovano, sempre più spesso, a dover rinunciare al seppur costituzionalmente garantito diritto alla difesa. Infatti, nel caso in cui un ricorso potrebbe costare loro più di quanto potrebbero presuntivamente ricavare da un’eventuale aggiudicazione dell’appalto, esse desisterebbero dall’esperire ogni mezzo giurisdizionale a tutela dei propri interessi, con l’ulteriore conseguenza che, nel settore degli appalti pubblici, potrebbero dilagare, incontrastati, fenomeni di criminalità ed irregolarità di ogni tipo. Un altro effetto negativo è l’eccessiva discriminazione delle imprese medio-piccole, le quali, sempre più onerate dal sistema non sempre in grado di far fronte a spese di giustizia tanto elevate, rischierebbero di scomparire dallo scenario degli appalti pubblici, perché troppo deboli per far sentire la loro voce.

 

 

 

Redazione

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