L’immigrazione irregolare è un tema di grande attualità, soprattutto alla luce dello scandalo Roma Capitale e dell’aumento vertiginoso del numero di immigrati provenienti clandestinamente dalle coste nord-africane.
Cesda.it di recente ha pubblicato un ebook dal titolo Lo statuto del migrante irregolare. Fra esigenze di rimpatrio e imperativi garantistici all’interno del quale vengono approfondite e commentate tutte le normative vigenti in tema di immigrazione e di rispetto dei diritti fondamentali dello straniero.
“Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”: quest’intercettazione riassume, in poche parole, uno degli aspetti più inquietanti su cui lo scandalo di Roma capitale ha fatto luce, ossia il giro di affari attorno ai centri di accoglienza per rifugiati e immigrati.
A parlare è Salvatore Buzzi, il signore delle cooperative romane, che svela così qual è il suo business principale; e la sua è un’affermazione che fa molto riflettere, poiché mostra, in tutta la sua crudezza, il degrado di una classe politica ed imprenditoriale in cui è possibile che un fenomeno come la migrazione irregolare venga sfruttato per appropriarsi indebitamente delle somme destinate al finanziamento per i centri d’accoglienza dei clandestini.
Tutto ciò rende così ancora più tragico il destino di chi, andato via dalla propria terra per cercare altrove un futuro migliore, vede i propri diritti calpestati ed asserviti alle logiche speculative di coloro che, senza scrupoli, si arricchiscono alle sue spalle, pur essendo sempre pronti a sollevare l’opinione pubblica contro un fenomeno che è nel loro stesso interesse coltivare.
Ritengo, quindi, che sia quanto mai utile, in questo momento, ricostruire, in un’ottica nazionale ed internazionale, il sistema di norme che riconosce e tutela i diritti dei migranti irregolari, perché non si dimentichi mai che, a differenza di quello che molti pensano, essi non sono merci, ma persone, la cui dignità va sempre tutelata.
Innanzitutto, va rilevato come, in ragione delle particolari caratteristiche del fenomeno, una risposta effettiva ed efficace allo stesso non possa essere data dalle politiche nazionali: vi è la necessità, cioè, che sia l’Unione europea a intervenire, al fine di armonizzare le politiche degli Stati membri e garantire standard di trattamento e tutela dei diritti dei migranti irregolari quanto più uniformi possibile. Si tratta di un compito non semplice, che sconta le reticenze degli Stati nel cedere porzioni della loro sovranità relativamente a un potere, quello del potere di limitare l’ingresso degli stranieri nel loro territorio, che essi vorrebbero invece gelosamente conservare; inoltre, non si può prescindere dall’influenza che, sull’opinione pubblica, hanno i mass media, i quali diffondono l’idea di una pericolosa equiparazione tra immigrazione e criminalità, che rende ancora più impopolare l’emanazione di una normativa in materia, che riesca ad assicurare ai migranti irregolari il rispetto delle garanzie proprie di uno Stato di diritto.
Alla luce di quanto precede, si procederà anzitutto a illustrare le tappe dell’evoluzione della politica comunitaria in materia di immigrazione, dalle origini fino ai giorni nostri. In particolare, verranno prese in considerazione le misure adottate dall’Unione europea al fine di prevenire e contrastare l’immigrazione clandestina, in relazione all’evoluzione della competenza comunitaria in materia, segnata dal passaggio dalla cooperazione intergovernativa, la cui più alta espressione è costituita dagli Accordi di Schengen del 1985, a una vera e propria politica comune dell’immigrazione, che costituisce presupposto indispensabile per la realizzazione di quello “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, che rappresenta oggi uno degli obiettivi più importanti dell’Unione.
Nel secondo capitolo, si passerà a esaminare gli strumenti internazionali in tema di tutela dei diritti fondamentali e di tutela dei richiedenti la protezione internazionale. Si tratta di strumenti che non possono non essere presi in considerazione, dal momento che essi risultano vincolanti per un gran numero di Stati e la stessa Unione europea si impegna a osservare quanto vi è sancito. In particolare, l’attenzione sarà rivolta alla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951 e sulla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: sulla prima, perché essa costituisce un punto di riferimento imprescindibile per la tutela di tutti coloro che, pur essendo giunti clandestinamente in uno Stato diverso da quello d’origine o di residenza, non possano essere respinti in quanto rischierebbero di essere, nel loro Paese, sottoposti a tortura o a trattamenti inumani o degradanti; sulla seconda, perché essa non solo riafferma una serie di diritti già riconosciuti da altri strumenti internazionali, ma gode anche dell’operatività della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale ha affermato, in tema di tutela dei diritti degli stranieri, una serie di principi la cui importanza va sottolineata, nella misura in cui consente di assicurare a tali soggetti delle garanzie che le norme non affermano esplicitamente. L’attenzione sarà focalizzata, dunque, su diverse pronunce della Corte EDU, al fine di valutare l’evoluzione che la stessa ha comportato in tema di protezione dei diritti dell’immigrato irregolare.
Nel terzo capitolo, dopo un esame preliminare della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, si passerà ad analizzare la direttiva 2008/115/CE, detta anche direttiva “rimpatri”. Essa costituisce il primo testo normativo europeo a occuparsi di stabilire una disciplina comune in materia di rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi che si trovino a soggiornare illegalmente nel territorio di uno Stato membro, ed è anche la prima direttiva a essere stata adottata utilizzando la procedura di codecisione, che vede Parlamento europeo e Consiglio nel ruolo di co-legislatori. Ci si soffermerà nel valutare l’impatto che il ricorso a tale procedura ha avuto sulla disciplina contenuta nella direttiva e sulle modifiche che, nel tempo, l’originaria proposta avanzata dalla Commissione europea ha subito. Si passerà, poi, a evidenziare i profili di criticità della direttiva, che sono in parte dovuti al fatto dell’essere la stessa frutto di un compromesso tra le istituzioni legiferanti, compromesso che ha visto prevalere le istanze del Consiglio e, con esse, le logiche securitarie degli Stati, pur avendo la direttiva introdotto una serie di garanzie che alcuni Stati membri non prevedevano prima del suo recepimento, una fra tutte la fissazione di un termine massimo per il trattenimento dello straniero irregolare. Anche in questo caso, si prenderanno infine in considerazione una serie di pronunce della Corte di giustizia dell’Unione europea, la quale ha avuto, e continua ad avere, un ruolo di primaria importanza nell’assicurare il rispetto, da parte degli Stati, della direttiva. L’analisi della giurisprudenza della Corte di giustizia permetterà di valutare quali siano stati i profili più controversi nell’attuazione della direttiva “rimpatri”, e quali soluzioni siano state ritenute dalla Corte più idonee a garantire l’effetto utile della stessa.
Infine, nel quarto e ultimo capitolo, si esamineranno i rapporti tra legislazione italiana in materia di immigrazione e normativa europea. In particolare, si prenderà anzitutto in considerazione l’evoluzione della normativa nazionale in materia, evidenziando, di volta in volta, i profili problematici della stessa e le pronunce della Corte costituzionale che ne hanno talvolta dichiarato l’illegittimità. Ci si soffermerà sulla sentenza resa nel caso El Dridi, con la quale la Corte di giustizia dell’Unione europea, dopo aver rilevato l’inadempimento dell’Italia, la quale non aveva recepito nel termine previsto la direttiva “rimpatri”, ha affermato che la previsione di una sanzione penale, volta a criminalizzare la permanenza dello straniero sul territorio italiano in violazione dell’ordine di espulsione, è incompatibile con le norme e gli obiettivi della direttiva stessa, perché ne ostacola l’applicazione. Si procederà, quindi, ad analizzare la normativa di attuazione della direttiva “rimpatri”, la quale ha sollevato una serie di dubbi riguardo alla possibilità che, con essa, il legislatore italiano abbia voluto, più che recepirne le disposizioni nel diritto interno, eluderne l’applicazione. Si prenderanno in considerazione altre pronunce, rese dalla Corte di giustizia dell’Unione europea dopo l’emanazione della legge di attuazione della direttiva 2008/115/CE, le quali, nondimeno, hanno avuto lo stesso, impietoso epilogo: la normativa italiana, anche dopo il recepimento della direttiva, continua a presentare profili di incompatibilità con gli obiettivi che la stessa si prefigge. Infine, si darà conto di un recente disegno di legge con il quale il legislatore italiano, forse anche dopo le continue censure mosse dai giudici del Lussemburgo nei confronti di tale fattispecie, depenalizza l’immigrazione clandestina, riportando così la normativa nazionale a un piano di maggiore coerenza con quella europea.
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Questo articolo è tratto dall’introduzione dell’ebook “Lo statuto del migrante irregolare. Fra esigenze di rimpatrio e imperativi garantistici“ di Graziana Muratore, febbraio 2015, edizione Cesda.