Cassa forense obbligatoria per gli tutti gli avvocati iscritti agli albi professionali, senza alcuna distinzione di reddito. La questione arriva a Bruxelles: L’eurodeputato Ignazio Corrao, avvocato, ha infatti depositato una interrogazione alla Commissione Europea.
Non è la prima insidia giudiziaria che la riforma forense, introdotta con la legge n. 247/2012, deve affrontare. Dopo l’impugnativa del regolamento per le elezioni degli ordini forensi, e quella del regolamento sui corsi per l’iscrizione all’albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori (definito per ora con sentenza n. 12268/2014 con rigetto del ricorso), a tenere banco è la vicenda relativa alla Cassa Forense, che con il regolamento di attuazione, sarebbe diventata obbligatoria per tutti gli avvocati iscritti presso un albo professionale, a prescindere dall’effettivo reddito percepito annualmente.
L’avvocato Carmelo Giurdanella, nel corso di una trasferta presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (su un tema altrettanto caldo), ha incontrato l’europarlamentare Corrao, promotore e dell’interrogazione alla Commissione Europea.
1) Onorevole Corrao, quali sono le criticità più rilevanti, che l’hanno indotta ad interpellare le Istituzioni europee?
Francamente ritengo la legge in materia di riordino dell’ordinamento forense profondamente ingiusta e foriera di diseguaglianza. Di certo l’aspetto più vergognoso è quello per cui, ex art. 21 commi 8-9 L. 247/2012, l’iscrizione all’Albo comporta la contestuale iscrizione alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, pena la cancellazione dall’Albo stesso. Ciò determina che, anche in caso di reddito prossimo allo zero, il minimo da versare è di circa 850 euro all’anno, tra contributo soggettivo e contributo di maternità. Ciò rischia di spazzare via dalla professione migliaia di avvocati, soprattutto i più giovani, redditualmente più deboli. Penso che vi sia una vera e propria volontà di creare una avvocatura in base al censo, una professione cui possono accedere solo i più ricchi e non necessariamente i più meritevoli, in barba a tutti i principi sull’accesso alla professione e alla libera concorrenza sia interni che comunitari. Creare disparità in base al reddito ci riporta indietro di cinquanta anni, se non di più! E’ ingiusto imporre a un avvocato neo abilitato, che ha sopportato tanti sacrifici economici e non solo per raggiungere questo “traguardo”, di pagare circa €850,00 ai fini previdenziali per i primi anni di attività. Anche perché questo pagamento “agevolato” riconosce solo 6 mesi di copertura previdenziale. Questa somma si aggiunge a tutte le spese che già gli avvocati devono sostenere: il 4% sul fatturato annuo sempre e comunque dovuto a Cassa Forense, l’iscrizione all’Albo professionale, l’assicurazione professionale (non ancora obbligatoria), le spese per i software per adeguarsi al processo civile telematico. Quindi gli 850 euro, o la somma maggiore che viene imposta all’avvocato per una pensione che, a mio avviso, difficilmente raggiunge sono un vero sproposito.
Tuttavia, questo non è l’unico aspetto deplorevole della legge; un altro esempio è lo schema di regolamento sulla continuità professionale, recentemente diramato dal Ministero della Giustizia, che rischia di dare un’ulteriore mazzata agli avvocati. Esso subordina l’esercizio della professione ai requisiti di continuità, effettività, abitualità e prevalenza, quali vere e proprie pre-condizioni legali all’esercizio della professione forense. Tale qualità si dimostrano in pieno contrasto con l’art. 33, comma 5 della nostra Costituzione, che pone per l’accesso agli Ordini professionali solo il superamento dell’esame di Stato. La cancellazione dall’Albo in questa legge viene usata come minaccia contro gli avvocati. “O paghi o ti cancelliamo” sembra dire… Questo crea tanta amarezza poiché l’avvocato svolge un ruolo essenziale nella società civile che non può essere mortificata da questo genere di provvedimenti.
Inoltre reputo deplorevole anche la nuova procedura per il patrocinio alle Giurisdizioni superiori riservata a chi abbia maturato un’iscrizione all’albo di otto anni e abbia frequentato proficuamente e lodevolmente la Scuola superiore dell’Avvocatura istituita dal Consiglio Nazionale Forense, ovvero l’obbligo di frequentare le istituende scuole dei Consigli dell’Ordine per i ragazzi che svolgono il tirocinio (raramente retribuito in maniera dignitosa), al fine di poter sostenere l’esame di abilitazione, non sono altro che l’ennesima tassa. Ma poi mi chiedo, perché si deve imporre di preparare l’esame scritto di abilitazione attraverso la frequentazione di una scuola?Per alcuni può essere utile e per altri meno, per me ad esempio sarebbe stato del tutto inutile: ho superato l’esame di abilitazione senza aver mai frequentato un solo giorno le numerose scuole di preparazione per gli esami che già esistono. E’ giusto che ogni persona abbia la possibilità di organizzare il proprio studio come meglio crede e secondo le sue inclinazioni, non trovandosi a dover pagare l’ennesima somma di denaro obbligatoriamente. Vero è che vi è un elevato numero di Avvocati iscritti agli Albi che non riesce più a trovare uno spazio in un mercato ormai saturo.
Questo problema, però, non può essere affrontato o risolto adottando un sistema che discrimina in base a parametri economici, dopo che un giovane Avvocato ha dovuto affrontare lunghi anni di impegno didattico e sacrifici economici ed intellettuali.
Piuttosto, se si vuole riformare la professione e l’accesso alla stessa, una barriera numerica è da considerare accettabile solo se posta in un tempo utile che consenta al singolo soggetto di cambiare percorso formativo (quindi nelle prime fasi del percorso universitario). Tale eventuale barriera deve essere basata inderogabilmente ed esclusivamente su parametri meritocratici e non economici!
Ritengo pertanto che questa normativa mortifichi lo stesso codice deontologico poiché rende l’avvocato meno libero, meno autonomo e meno indipendente.
Ci tengo ad aggiungere che questo regolamento di Cassa Forense è stato approvato dal Comitato dei Delegati; ma alle ultime elezioni è stato impedito di votare proprio ai 56 mila avvocati che non erano ancora iscritti alla Cassa e a cui adesso è stata imposta l’iscrizione. Una beffa insomma! Ma vi è di più, l’attuale regolamento elettorale prevede uno sbarramento anagrafico di 5 anni d’iscrizione per potersi candidare, impedendo ai più giovani di governare il proprio futuro. Altra beffa!
Ma la democrazia nell’Avvocatura Italiana è un vero e proprio optional; si veda ad esempio come è eletto il CNF. Ma questa è un’altra storia, di cui avremo modo di parlare in futuro…
2) E’ anche vero che il sistema previdenziale deve pur reggere in qualche modo: quale soluzione alternativa proporrebbe?
Certo che un sistema previdenziale deve esserci. E infatti c’era pure prima di questa riforma. Lasciava la possibilità per chi fatturava meno di una certa soglia di scegliere se versare i contributi previdenziali all’INPS o a Cassa Forense. Era quindi un sistema fondato sulla discrezionalità, come è discrezionale ad esempio, la scelta per coloro i quali guadagnano cifre più consistenti, di potersi servire di fondi pensione privati e strumenti finanziari simili. E’ davvero scandaloso imporre per legge di pagare un importo senza che si tenga conto del fatturato annuo. Il tutto con la spada di Damocle che minaccia la cancellazione. Qui non si tratta di ripetere concetti elementari, ma lo capirebbe anche un bambino (ma non uno del CNF) che se non guadagni niente non puoi certo contribuire. Lo dice a chiare lettere la Costituzione Italiana, che per alcuni è evidentemente solo carta straccia, ma che all’articolo 53 recita testualmente che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
Il regime previdenziale precedente garantiva maggiore tutela e minore sacrificio economico per gli avvocati, quindi la soluzione l’avevamo già in casa. Una mia proposta è quella di dettare in tema di previdenza forense una normativa che sia comune a tutti i Paesi dell’UE. Infatti, ci troviamo in un momento storico in cui gli avvocati, così come gli altri liberi professionisti, sempre più spesso esercitano le proprie attività anche al di fuori dai confini nazionali, ed in un regime di accesso alla professione e di libera concorrenza che deve essere garantito a livello transnazionale. Tale normativa dovrebbe, ovviamente, tenere presente i principi contributivi ma soprattutto lo spirito di solidarietà, la parità nell’accesso alla professione e libera concorrenza che devono caratterizzare l’Unione Europea.
3) Quale futuro si prospetta per i giovani avvocati italiani? E’ stato fatto tutto il possibile o avrebbero potuto fare di più per far valere i propri diritti?
Temo che il futuro non sia per niente roseo per i giovani avvocati italiani, anzi direi che se non si cambia velocemente rotta il futuro è proprio nero, in cui l’esistenza di un sistema meritocratico diventa, giorno dopo giorno, sempre di più una chimera. Proprio per questo sto provando ad instaurare, con le maggiori organizzazioni rappresentative della categoria, un costante e spero proficuo dialogo e confronto. Sin dall’inizio del mio mandato ho posto la difesa dell’avvocatura italiana come una priorità. Io sono laureato in giurisprudenza all’università di Palermo e lo scorso novembre ho completato il percorso formativo superando l’esame di abilitazione. Conosco naturalmente centinaia di persone che hanno fatto o stanno facendo questo mio stesso percorso e mi voglio battere per impedire che, dopo anni di sacrifici, economici e non solo, vengano mortificati da normative, come questa legge, che crea di fatto una casta professionale.
Non si deve impedire a chi è meritevole e ha conseguito con tanta fatica il “titolo” di avvocato, ma non ha avuto il privilegio di nascere in una famiglia di tradizione giuridica o economicamente benestante, di poter svolgere questa professione sulla base di ostacoli che continuamente vengono inseriti per rendere sempre più difficoltosa la professione. Le associazioni di categoria hanno intrapreso un percorso di opposizione contro questa e le altre leggi che negli ultimi anni hanno danneggiato l’Avvocatura Italiana. Sono a conoscenza dei tavoli tecnici che erano stati aperti tra il Ministero della Giustizia e alcune associazioni, ad esempio Aiga Palermo, per cercare di avere un dialogo costruttivo, ma poi le concrete espressioni dei grandi portatori di interesse, dei cosiddetti poteri forti, come Cassa Forense, riescono a pesare di più. Almeno fino ad adesso.
4) Da giurista, che risposta si aspetta dalla Commissione Europea? Entrerà nel merito della vicenda italiana?
Mi tocca rispondere da politico e non da giurista o avvocato; credo e spero che la Commissione Europea entri nel merito della vicenda italiana perché sono, a mio avviso, numerosi i profili di censurabilità, oltre che a livello nazionale, anche a livello comunitario.
Limitandomi alle sole violazioni di rango comunitario della L. 247/2012, che sono quelle che ho segnalato alla Commissione, è palese l’incongruità della normativa italiana con l’art. 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea che vieta qualsiasi forma di discriminazione fondata anche sull’aspetto patrimoniale. Inoltre la legge forense si pone in pieno contrasto con i principi di libera concorrenza ex artt. 101 e 102 TFUE e avrà per effetto quello di creare ostacoli all’accesso alla professione, nonché ridurrà la libera circolazione dei servizi ex art. 106, 55 e ss. TFUE.
In conclusione, la logica che ispira questa normativa – della quale mi auspico intervengano modifiche significative per le quali mi batterò – è quella di creare in capo a pochi studi legali, in grado di generare grossi fatturati, una situazione di monopolio di fatto dei servizi legali e di assistenza giudiziaria. Sono scoraggiate la concorrenza e, in particolar modo, le giovani generazioni di professionisti. La legge determina una grave compromissione delle regole del libero mercato e, di conseguenza, di una più ampia offerta dei servizi legali e di assistenza al cittadino, vittima indiretta di questa scellerata normativa che va a comprimere quelle che sono delle basilari garanzie di effettività della tutela dei diritti e soprattutto della dignità della persona.