Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia, con la sentenza n.76 del 2015, si è definitivamente pronunciato sul ricorso proposto per l’annullamento delle elezioni amministrative del Comune di Acate tenutesi il 9 e 10 giugno 2013. Sulla questione si era pronunciato in primo grado il TAR Catania (sentenza n. 437 del 2014), rigettando il ricorso proposto da uno dei candidati non eletti in quanto infondato e inammissibile.
Il CGA, con la sentenza in questione, ha sostanzialmente confermato la sentenza di primo grado, rigettando tutti i motivi di appello e accogliendo integralmendo le ragioni del Comune di Acate, rappresentato e difeso dall’Avv. Carmelo Giurdanella.
Il ricorrente aveva ribadito anche in appello l’illegittimità delle elezioni, fondando la sua richiesta principalmente su tre motivi:
- l’applicazione asseritamente illegittima alle elezioni in questione della “nuova” legge regionale n. 8 del 2013, con la qual sono state introdotte le nuove regole sulla doppia preferenza di genere;
- la presunta violazione del diritto comunitario e del Codice di Buona condotta in materia elettorale;
- l’illegittimità costituzionale della suddetta legge che consente ad ogni elettore di esprimere due preferenze, purchè esse siano relative a candidati di genere diverso.
In primo grado, il TAR Catania aveva già dichiarato il ricorso inammissibile, per carenza di un concreto interesse a ricorrere; infatti, anche nell’ipotesi in cui le nuove regole fossero realmente entrate in vigore a procedimento elettorale già avviato, tale situazione non avrebbe pregiudicato il solo ricorrente, poiché tutti i concorrenti erano allo stesso modo a conoscenza, sin dal momento delle presentazione delle liste, della nuova disciplina.
Anche il CGA ha così ribadito l’inammissibilità dell’originario ricorso elettorale per carenza di interesse, proprio perchè il ricorrente non ha dimostrato un pregiudizio specifico e ulteriore rispetto a quello eventualmente avvertibile da tutti i candidati, a causa dell’applicazione della nuova disciplina elettorale di cui alla L.r. 8/2013.
Il Collegio ha tuttavia ritenuto opportuno, per la complessità e l’importanza della questione, soffermarsi anche sugli altri motivi di merito dell’appello, dichiarandone l’infondatezza.
Con riguardo al primo motivo è stato affermato, così come fatto presente dal Comune all’interno delle proprie difese, che in materia elettorale vige la regola generale dell’immediata applicabilità al procedimento in corso dello jus superveniens, secondo cui ciascuna fase della procedura deve essere disciplinata dalla norma vigente al momento in cui questa si perfeziona, con la conseguenza che ciascuno degli atti che si susseguono nella sequenza procedimentale deve essere posto in essere nel rispetto di quella norma.
Anche con riferimento al secondo motivo di appello, relativo al contrasto con il diritto comunitario, il CGA ha recepito quanto affermato dalla difesa del Comune, ritenendo insussistente qualsiasi tipo di violazione, anche perchè le nuove norme sono finalizzate alla tutela di valori di rilievo costituzionale e non possono pertanto definirsi in alcun modo discriminatorie.
In ultimo, il Collegio ha rilevato che la questione di legittimità costituzionale della legge regionale non appariva in alcun modo fondata, avuto riguardo al fatto che la Corte Costituzionale si è già pronunciata su un’analoga disciplina della Regione Campania nel senso che “la legge che prevede l’opzione di genere femminile nel secondo dei due voti di preferenza consentiti,ove formulato non contrasta né con regola che vieta norme per prefigurare il risultato elettorale, né con il principio di libertà del voto enunciato dall’art. 48 Cost., perché la seconda preferenza è del tutto facoltativa, non essendo, dunque, escluso il permanere di un consiglio regionale ancora squilibrato sul genere maschile, e perché non vi sono candidati più favoriti o svantaggiati, ma è introdotta un’eguaglianza di opportunità, rafforzata da una norma volta solo a favorire il riequilibrio di genere nella rappresentanza consiliare. Quello previsto non è dunque un meccanismo costrittivo, ma solo promozionale nello spirito della normativa costituzionale e statutaria, nonché della giurisprudenza costituzionale” ( Corte cost. n. 4 del 2010).
Qui il testo della sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa