Sono arrivate da pochi giorni le attese motivazioni della sentenza n. 107 del 4 febbraio 2015, resa dalla I Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti, che ha assolto in appello Matteo Renzi, condannato in primo grado al pagamento di 14 mila euro per il danno erariale dallo stesso cagionato attraverso una serie di assunzioni illegittime effettuate al tempo in cui era alla presidenza della Provincia di Firenze.
La vicenda origina dal fatto che l’attuale Presidente del Consiglio dei Ministri, ai tempi, aveva indicato tra i componenti della propria segreteria una serie di soggetti sprovvisti della laurea (o di un valido percorso sostitutivo della stessa), retribuiti con il trattamento normalmente previsto per il personale laureato.
Nonostante ciò, i giudici della Corte dei Conti hanno ritenuto opportuno riformare le statuizioni del primo grado e mandare Renzi assolto da ogni responsabilità, affermando che, nonostante debba considerarsi che Renzi, avendo preso visione dei relativi curricula, era ben consapevole del livello culturale delle persone da lui nominate, non può non tenersi conto che l’istruttoria (con relativi pareri) che ha portato alla nomina di tali soggetti sia stata curata dalla struttura amministrativa provinciale, che ha “sottoposto all’organo politico una documentazione corredata da sufficienti, apparenti garanzie tanto da indurre ad una valutazione generale di legittimità dei provvedimenti in fase di perfezionamento. In ciò, invero, pur non ricorrendo gli estremi della cosiddetta “esimente politica”, questo Collegio ritiene di poter rilevare l’assenza dell’elemento psicologico sufficiente a incardinare la responsabilità amministrativa, in un procedimento amministrativo assistito da garanzie i cui eventuali vizi appaiono di difficile percezione da parte di un “non addetto ai lavori”.
In sostanza, dunque, la Corte dei Conti ha escluso che sia rilevabile, nel comportamento di Renzi, il contestato elemento psicologico della colpa grave, dal momento che lo stesso, in quanto “non addetto ai lavori”, non sarebbe stato in grado di percepire l’illegittimità del suo operato, indotto dai pareri favorevoli del suo entourage amministrativo.
La sentenza ha sollevato una serie di perplessità nell’opinione pubblica, dal momento che vi è chi ritiene che il principio affermato dalla Corte dei conti rischi di configurare un grimaldello idoneo a scardinare la responsabilità erariale. In particolare, c’è chi paventa il rischio che esso potrebbe servire anche a mandare assolti nei giudizi di responsabilità i politici di vertice i quali, essendo “non addetti ai lavori” non possono essere ritenuti responsabili degli atti da loro adottati.