Ricorso diretto in Corte di giustizia UE: intervista all’avv. Fantigrossi

La recente udienza dinanzi ai giudici europei sul contributo unificato appalti dà l’occasione di porre l’attenzione su un interessante rimedio giurisdizionale: il ricorso diretto in Corte di giustizia dell’Unione europea. Si tratta di un procedimento inquadrabile nella giurisdizione contenziosa, che si caratterizza per l’azione diretta dei soggetti interessati davanti alla CGUE (o al Tribunale di primo grado, o al Tribunale della funzione pubblica).

In particolare, ciò che di tale ricorso va assolutamente evidenziato è il costo, infinitamente più basso di quello previsto per la tutela dinanzi al giudice nazionale. Infatti, un’impresa italiana che, in materia di appalti pubblici, voglia far valere i propri diritti, rispetto all’amministrazione, dinanzi ad un giudice, si troverà a dover affrontare costi elevatissimi se l’amministrazione ed il giudice in questione siano nazionali, e costi nulli – o quasi – nel caso in cui, ricorrendone i presupposti, proponga un ricorso diretto dinanzi ai giudici europei.

Lo strumento in questione, pertanto, configura una nuova prospettiva di tutela per le imprese italiane, garantendo un mezzo di tutela giurisdizionale di certo non alternativo a quello nazionale, ma sicuramente importante – e più economico – in tutti quei settori in cui l’Unione possa incidere direttamente sui loro diritti ed interessi (appalti, finanziamenti, concorrenza in primis).

Ed è proprio sul tema del confronto tra giustizia italiana e giustizia comunitaria che, alla vigilia del Primo Congresso dell’Unione nazionale degli avvocati amministrativisti, che si terrà a Padova il 27 e 28 marzo prossimi, l’avvocato Carmelo Giurdanella, ha intervistato l’avvocato Umberto Fantigrossi, presidente dell’Unione.

Avvocato Fantigrossi, cosa ne pensa dello strumento del ricorso diretto in CGUE?

E’ certamente efficace ed è la comprova che quanto meno nei confronti delle istituzioni comunitarie i diritti previsti dai Trattati sono veri diritti. Solo infatti quando è possibile rivolgersi ad un giudice ed ottenere una sentenza si può sperare nell’effettività della tutela. Non si può peraltro sottacere che questo rimedio opera solo quando è in discussione un provvedimento delle istituzioni comunitarie, mentre per le violazioni delle norme europee, da parte delle amministrazioni nazionali, questo rimedio è escluso e occorre affidarsi ai giudizi nazionali, che sono peraltro spesso poco sensibili o non ancora abbastanza consapevoli del loro ruolo di giudici comunitari. Però anche in questa direzione ci sono alcune avanguardie e si può essere ottimisti.

C’è una grande differenza tra i costi di un ricorso diretto in CGUE e quello dinanzi ai Tribunali amministrativi italiani in materia di appalti; come è spiegabile questa cosa? Si può affermare che l’Unione assicuri una maggiore tutela del diritto di difesa?

Il contributo unificato (la c.d. tassa di ricorso) è stato trasformato in Italia in uno strumento di contenimento dei giudizi. Il che rappresenta un duplice errore: in primo luogo si combatte la crisi della giustizia sul fronte della domanda e non su quello dell’offerta, che si assume rigida per ragioni di risorse finanziarie. Ma così facendo si lascia sul campo una quota di ingiustizie senza rimedio, il che quindi rappresenta un fallimento delle istituzioni. Sotto un secondo profilo si tradisce la vera funzione del contributo che è quella di retribuire il servizio: servizio che ha caratteristiche e costi indipendenti dal valore della controversia. Bisognerebbe introdurre nei tribunali, di ogni ordine e grado, una cultura dell’organizzazione aziendale ed ottimizzare strutture e processi: in questo senso è da segnalare l’esperienza di alcuni Tribunali civili, come quello di Bologna, che con l’aiuto di un’associazione di cittadini (Civicum), ha recentemente redatto un vero e proprio bilancio, individuando un metodo che consente di confrontare entrate ed uscite e di evidenziare sprechi e margini di ottimizzazione delle risorse.

Al Congresso Nazionale dell’Unione Nazionale degli Avvocati Amministrativisti, che Lei presiede, si parlerà anche dell’utilità degli strumenti deflattivi; cosa ne pensa?

Nel campo del diritto amministrativo, la deflazione del contenzioso si può fare prioritariamente in due modi: ripristinando un sistema efficace di controlli e facendo funzionare il procedimento amministrativo secondo il modello della legge n. 241 del 1990, legge non ancora completamente “metabolizzata” dalle strutture burocratiche. Per quanto riguarda i controlli, la loro marginalizzazione ha fatto si che l’illegalità viene combattuta solo a posteriori e nelle aule dei tribunali. Qualcosa si è ripreso a fare con l’istituzione dell’Autorità anticorruzione, ma è un organismo centrale che non ha adeguata presenza nei rami bassi della macchina pubblica. Per quanto riguarda la disciplina del procedimento amministrativo occorre rispettare la regola del contraddittorio e il coinvolgimento preliminare di tutti i soggetti potenzialmente lesi o interessati dalla decisione: in questo modo la decisione che verrà assunta sarà di per sé migliore e comunque avrà meno possibilità di essere contestata in giudizio.

L’intervista è stata pubblicata anche dalla rivista leggioggi.it

Carmelo Giurdanella

Avvocato, patrocinante presso le giurisdizioni superiori, fonda nel 1990 lo studio legale<a href="http://www.giurdanellaepartners.it/"> Giurdanella & Partners</a>, nel 1998, la rivista di diritto amministrativo Giurdanella.it e nel 2011 la rivista giuridica LeggiOggi.it. Docente di diritto amministrativo e degli appalti pubblici, è direttore scientifico del CeSDA - Centro Studi di Diritto Amministrativo, del DAE (Conferenza nazionale sul Diritto Amministrativo Elettronico). Autore di numerosi libri e pubblicazioni in tema di diritto amministrativo, diritto degli appalti e contratti pubblici, diritto pubblico dell'informatica.