Le astreintes sono compatibili con l’ordine pubblico italiano?
E’ questo l’interrogativo cui hanno dato una esauriente risposta i giudici della Corte di Cassazione con la recente sentenza n° 7613 del 15/04/2015.
Gli ermellini hanno affrontato la questione in un giudizio avente ad oggetto l’impugnazione di una pronuncia che aveva respinto l’opposizione avverso il decreto relativo alla esecutività in Italia di una ordinanza emessa da un giudice di Bruxelles con il quale il ricorrente era stato condannato al pagamento di una somma correlata al protrarsi dell’inadempimento.
Ci si è interrogati cioè in merito alla compatibilità con il nostro ordinamento di quelle misure coercitive cd. astreintes – di origine francese – disposte dal giudice, volte a coartare il debitore all’adempimento, mediante la prospettazione di una misura pecuniaria, la cui entità aumenta in relazione al perdurare dell’inadempimento al dictum giudiziale.
La problematica si è posta in quanto, al momento in cui il giudice belga ha comminato la condanna, non era ancora stato introdotto nel nostro ordinamento l’art. 614 bis c.p.c. che, al fine di garantire l’adempimento degli obblighi di fare infungibile o di non fare, prevede la facoltà per il giudice di imporre l’obbligo di pagare una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento dallo stesso adottato.
Allo stato attuale, la questione non avrebbe avuto ragion d’essere tenendo conto della disposizione appena citata, nonché della diversa misura sancita dall’art. 114 del Codice del processo amministrativo.
Tuttavia, ad avviso dei giudici di legittimità, ancor prima dell’introduzione di siffatti rimedi, “l’ordinamento già conosceva, a fronte dell’inadempimento di obblighi non coercibili in forma specifica, misure generali e speciali volte ad ottenerne l’adempimento mediante la pressione esercitata sulla volontà dell’inadempiente a mezzo della minaccia di una sanzione pecuniaria, che si accresce con il protrarsi o il reiterarsi della condotta indesiderata”.
Pertanto la Corte di Cassazione ha sancito la piena compatibilità di tali misure con l’ordine pubblico, ossia con il complesso dei principi cardine dell’ordinamento giuridico, ed in particolare con la funzione del risarcimento del danno, cui, “accanto al fine primario di riparare il pregiudizio patito dal danneggiato, vengono ricondotti fini eterogenei, quali la deterrenza o la prevenzione dei fatti illeciti”.
A ben diverse conclusioni – secondo l’opinione della Corte – si sarebbe dovuto pervenire qualora le astreintes fossero state qualificate alla stregua di danni punitivi, che in quanto aventi finalità sanzionatorio-afflittiva sono del tutto incompatibili con il nostro sistema della responsabilità civile, ancorato all’effettivo pregiudizio subito dal danneggiato.