“La gestione del verde pubblico è gestione di un servizio pubblico locale autonomo rispetto agli altri, ivi incluso il servizio rifiuti e gli altri servizi di igiene urbana”. Lo ha chiarito il Comitato per lo Sviluppo del Verde Pubblico, Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare, con la deliberazione n. 6/2015.
COMITATO PER LO SVILUPPO DEL VERDE PUBBLICO
MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA
DEL TERRITORIO E DEL MARE
Prot. 0005813 GAB del 19/03/2015
Deliberazione n. 6/2015
NELLA riunione del 16.3.2015, in presenza del cons. Massimiliano Atelli, Presidente, dell’ing. Giorgio Boldini, Componente, del dr. Bruno Cignini, Componente, della dr.ssa Anna Maria Maggiore, Componente, della dr.ssa Angela Farina, per delega del dr. Cesare Patrone, Componente, del dr. Andrea Sisti, Componente;
VISTA la legge n. 10/2013;
VISTA la richiesta di parere del 23.1 .2015 fatta pervenire da ATA Spa;
RELATORE il cons. Massimiliano Atelli;
il Comitato
delibera quanto segue.
1. Con la richiesta di cui in premessa, è stato chiesto a questo Comitato di esprimere il proprio avviso riguardo alla classificazione più appropriata per la gestione del verde pubblico, nell’alternativa fra servizio pubblico locale e attività strumentale ancillare ad un servizio pubblico principale. Il quesito così posto ha evidenti implicazioni, sia per quanto attiene alle forme di gestione ammissibili, che per quanto concerne le molteplici differenze di regime, a normativa vigente, fra servizi pubblici locali e attività strumentali.
2. Nel riscontrare la richiesta di parere pervenuta, occorre muovere anzitutto dalla nozione generale di servizio pubblico, quale ormai consolidatasi in ambito normativo e nelle decisioni delle corti giudicanti. Dal primo punto di vista, vale ricordare che, secondo la definizione di massima rinvenibile, ad esempio, nell’art. 18 della legge 26 aprile 1990 n. 86, per pubblico servizio deve intendersi un’attività che pur essendo disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione si caratterizza per la mancanza di poteri autoritari. Quanto all’orientamento che si è venuto consolidando nelle decisioni delle corti giudicanti, è ormai dato acquisito che “per identificare giuridicamente un servizio pubblico, non è indispensabile a livello soggettivo la natura pubblica del gestore, mentre è necessaria la vigenza di una norma legislativa che, alternativamente, ne preveda l’obbligatoria istituzione e la relativa disciplina oppure che ne rimetta l’istituzione e l’organizzazione all’Amministrazione. Oltre alla natura pubblica delle regole che presiedono allo svolgimento delle attività di servizio pubblico e alla doverosità del loro svolgimento, è ancora necessario, nella prospettiva di una definizione oggettiva della nozione, che le suddette attività presentino un carattere economico e produttivo (e solo eventualmente costituiscano anche esercizio di funzioni amministrative), e che le utilità da esse derivanti siano dirette a vantaggio di una collettività, più o meno ampia, di utenti (in caso di servizi divisibili) o comunque di terzi beneficiari (in caso di servizi indivisibili).
Né la circostanza, che per le attività de quibus non sia prevista l’erogazione di un corrispettivo da parte dei beneficiari (come si verifica invece per la normale attività di depurazione), è idonea a inficiare i riferiti connotati dell’attività quale attività di servizio pubblico, in quanto…. la previsione di un corrispettivo (così come di un profitto del gestore del servizio) non è essenziale sul piano della qualificazione giuridica delle attività di servizio pubblico…” (così, ex multis, Cons. Stato, sez. VI, sent. 5.4.2012, n. 2021).
Muovendo da questa premessa, il Comitato intende anzitutto chiarire che il verde pubblico, in ambito comunale, rientra senz’altro fra i servizi pubblici locali, atteso che:
1. è rinvenibile una norma legislativa che, alternativamente, ne preveda l’obbligatoria istituzione e la relativa disciplina oppure che ne rimetta l’istituzione e l’organizzazione all’Amministrazione,
2. anche nel caso del verde pubblico lo svolgimento delle attività di servizio pubblico ha il carattere della doverosità (SS.UU, Cassazione, ord. 27.5.2009, n. 12252);
3. dette attività possono presentare un carattere economico e produttivo;
4. le utilità da esse derivanti sono dirette a vantaggio di una collettività, più o meno ampia, di terzi beneficiari (rientrando il verde pubblico fra i servizi indivisibili).
Riguardo al punto 1), la norma va individuata nell’art. 112 del d.lgs. n. 267/2000, il quale come noto dispone che alla gestione dei servizi pubblici di competenza locale – vale a dire i “servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali” – provvedono gli enti territoriali di riferimento. L’indicazione è molto ampia, e ciò si spiega con la circostanza che gli enti locali sono enti a fini generali dotati di autonomia organizzativa, amministrativa e finanziaria (art. 3 TUEL), nel senso che essi hanno la facoltà di determinare da sé i propri scopi e, in particolare, di decidere quali attività di produzione di beni e di servizi siano assunte come doverose, purché genericamente rivolte a realizzare fini sociali ed a promuovere lo sviluppo economico e civile della Comunità locale di riferimento (art. 112 TUEL). Quel che rileva è perciò la scelta politico- amministrativa dell’ente locale di prendere in carico il servizio, al fine di soddisfare in modo continuativo obiettive esigenze della comunità.
Deve infatti distinguersi, riguardo ai servizi pubblici, fra assunzione del servizio e sua erogazione. Il servizio pubblico è assunto dal soggetto pubblico con legge o con un atto generale, che ne rende doverosa la conseguente attività. Il momento dell’assunzione è dunque riservato all’autorità pubblica perché consegue ad una valutazione dei bisogni riservata al decisore politico. Alla fase dell’assunzione del servizio segue quella della sua erogazione e, cioè, la concreta attività volta a fornire la prestazione agli utenti.
Riguardo al requisito di cui al punto 2, nonché a quello di cui al punto 4, entrambi sono indirettamente confermati, con riferimento al verde pubblico, dal combinato disposto degli artt. 1, commi 639 ss., della legge n. 147/2013 e 13 del DL n. 20112011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 216/2011, per un verso, e dei regolamenti dei singoli comuni recanti la disciplina del tributo per i servizi indivisibili (TASI), ovvero il tributo collegato all’erogazione e alla fruizione di quei servizi comunali non misurabili singolarmente in quanto non erogabili ad uno specifico utente bensì all’intera comunità (secondo la esemplificazione diffusamente in uso: manutenzione delle strade, manutenzione del verde pubblico, illuminazione pubblica etc.). Il che rileva, peraltro, anche nel senso di orientare la classificazione del verde pubblico, in ambito comunale, fra quelli che l’art. 149, comma 7, del d.lgs. n. 26712000, qualifica come “servizi pubblici ritenuti necessari per lo sviluppo della comunità”.
Riguardo, infine, al requisito di cui al punto 3, va premesso che se, effettivamente, il carattere economico ed imprenditoriale della maggior parte dei servizi pubblici è un dato oggettivo, è vero di contro che lo stesso d.lgs. n. 267/2000 distingue fra servizi pubblici locali con o senza rilevanza economica. Inoltre, anche con riguardo ai servizi pubblici locali con rilevanza economica, la normativa comunitaria consente, anche se non impone (Corte costituzionale, sent. nn. 325 del 2010 e 199 del 2012), la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell’ente locale, allorquando l’applicazione delle regole di concorrenza ostacoli: in diritto o in fatto, la «speciale missione» dell’ente pubblico (art. 106 TFUE), nella forma dell’in house providing.
E’ dunque chiaro che “In via di principio va considerato che la distinzione tra attività economiche e non economiche ha carattere dinamico ed evolutivo, cosicché non è possibile fissare a priori un elenco definitivo dei servizi di interesse generale di natura economica (secondo la costante giurisprudenza comunitaria spetta infatti al giudice nazionale valutare circostanze e condizioni in cui il servizio viene prestato, tenendo conto, in particolare, dell’assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, della mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche dell’eventuale finanziamento pubblico dell’attività in questione (Corte di giustizia CE, sentenza 22 maggio 2003, causa 18/2001). In sostanza, per qualificare un servizio pubblico come avente rilevanza economica o meno è ragionevole pensare che si debba prendere in considerazione non solo la tipologia o caratteristica merceologica del servizio (vi sono attività meramente erogative come l’assistenza agli indigenti), ma anche la soluzione organizzativa che l’ente locale, quando può scegliere, sente più appropriata per rispondere alle esigenze dei cittadini (ad esempio servizi della cultura e del tempo libero da erogare, a seconde della scelta dell’ente pubblico, con o senza copertura dei costi). Dunque, la distinzione di cui si sta parlando può anzitutto derivare da due presupposti, in quanto non solo vi può essere un servizio che ha rilevanza economica o meno in astratto ma anche uno specifico servizio che, per il modo in cui è organizzato nel caso di specie, presenta o non presenta tale rilevanza economica. Saranno, quindi, privi di rilevanza economica i servizi che sono resi agli utenti in chiave meramente erogativa e che, inoltre, non richiedono una organizzazione di impresa in senso obiettivo (invero, la dicotomia tra servizi a rilevanza economica e quelli privi di rilevanza economica può anche essere desunta dalle norme privatistiche, coincidendo sostanzialmente con i criteri che contraddistinguono l’attività di impresa nella previsione dell’art. 2082 Cod. civ e, per quanto di ragione, dell’art. 2195 o, per differenza, con ciò che non vi può essere ricompreso). Per gli altri servizi, astrattamente di rilevanza economica, andrà valutato in concreto se le modalità di erogazione, ne consentano l’assimilazione a servizi pubblici privi di rilevanza economica” (così, esemplarmente, Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 5409/2012).
Ancora, “la qualificazione di un servizio pubblico a rilevanza economica è correlata alla astratta potenzialità di produrre un utile di gestione e, quindi, di riflettersi sull’assetto concorrenziale del mercato di settore (cfr. Cons. Stato, n. 5097 del 2009), sicché non rileva l’irrisorietà dell’utile che in concreto un servizio per come svolto produca“, sicché, laddove non risulti che l’ente locale “abbia offerto il servizio gratuitamente o sopportandone parte dei costi“, ma, al contrario, sia provato che “abbia svolto in proprio un attività imprenditoriale vera e propria, seppure senza autonoma organizzazione” (ad es., integrando la gestione del servizio con le attività svolte da uffici comunali), esso andrà considerato servizio pubblico locale a rilevanza economica.
Tutto ciò considerato, se dunque a fini classificatori rileva non solo la tipologia o caratteristica merceologica del servizio, ma anche la soluzione organizzativa che l’ente locale, quando può scegliere, sente più appropriata per rispondere alle esigenze dei cittadini (ad esempio, appunto, servizi della cultura e dei tempo libero da erogare, a seconda della scelta dell’ente pubblico, con o senza copertura dei costi), e, inoltre, vi può essere uno specifico servizio che, per il modo in cui è organizzato nel caso di specie, presenta o non presenta tale rilevanza economica, questo Comitato ritiene che il servizio del verde pubblico, in ambito comunale, possa non essere sprovvisto di rilevanza economica.
Ciò nei casi, in particolare, in cui la realizzazione di operazioni di partenariato, nelle varie declinazioni ammesse dalla normativa vigente (ivi incluso l’art. 5 della legge n. 10/2013), abbia come esito quello di determinare una utilità per l’ente locale.
E’ infatti noto che i contratti che abbiano per parte un ente locale possono anche essere attivi, piuttosto che passivi. Possono cioè assicurare all’Amministrazione l’acquisizione di una utilità, anziché un’uscita.
Qualsivoglia operazione realizzata a mezzo di un contratto (in genere) può avere tre esiti economici alternativi, per i singoli contraenti (ivi inclusa la P.A.): saldo passivo, saldo attivo e, infine, saldo «zero ». Nel caso dei contratti pubblici, ciò che conta è la valutazione che la stazione appaltante è tenuta a compiere – ex ante – sull’onerosità o meno del negozio. Accanto ai contratti passivi vi sono infatti quelli attivi e – ove li si voglia distinguere, descrittivamente, da questi ultimi (atteso che una mancata spesa si risolve pur sempre in un incremento, sub specie di non decremento, patrimoniale) – quelli gratuiti (rectius, ideali e strutturati sin dal principio come gratuiti).
Premesso che i contratti attivi trovano (in parte almeno, anche per le concessioni,) un loro preciso punto di riferimento, sul piano normativo, fra l’altro nel dlgs. n. 163/2006 (si pensi all’art 26), nell’art. 43, comma 2, della legge n. 449/1997 e s.m., e negli artt. 3 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 e 3, comma 1, lett. g), prima parte, della l. n. 20 del 1994, ne consegue che, nel caso del servizio del verde pubblico, appare arduo negare situazioni di rilevanza economica dello stesso, quanto meno indiretta.
Detto altrimenti, laddove per la gestione del servizio pubblico del verde, l’ente locale, nell’adottare la soluzione organizzativa ravvisata come la più appropriata per rispondere alle esigenze dei cittadini, opti per un modello che in concreto assicuri – quanto meno – un risparmio di spesa (ad es., per la manutenzione), con conseguente destinazione ad altri impieghi pubblici della quota di risorse a bilancio che sarebbero state altrimenti assorbite dalla corrispondente voce di spesa, detto servizio finisce per acquisire rilevanza economica, seppure in via indiretta.
Conclusivamente, la gamma delle soluzioni a disposizione degli enti locali è oggi più ampia e diversificata, e – a seconda che i servizi pubblici siano organizzati per essere erogati in un modo piuttosto che in un altro – aperta alle forme di gestione consentite dalla normativa vigente (dunque, dalla gestione diretta, passando per l’azienda speciale, le società in house e quelle miste, sino alla esternalizzazione mediante affidamento a gestori privati selezionati attraverso il ricorso all’evidenza pubblica).
Come ha peraltro ben specificato la citata sentenza n. 5409/2012 della IV Sezione del Consiglio dì Stato, per la praticabilità in concreto dell’una o dell’altra soluzione andrà considerata non soltanto la fattibilità strettamente giuridica, alla luce della normativa di settore complessivamente vigente, bensì anche quella propriamente finanziaria, atteso che, al di là dell’attenzione per la tipologia o caratteristica merceologica del servizio, dovrà valutarsi con attenzione anche la soluzione organizzativa che l’ente locale, “quando può scegliere“, sente più appropriata per rispondere alle esigenze dei cittadini.
3. Il verde pubblico rientra dunque fra i servizi pubblici locali (1), e in concreto, nei termini sopra esposti (e nei limiti dunque tracciati anzitutto da Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 5409/2012), può acquisire anche rilevanza economica, seppure in via indiretta.
E, per vero, in senso contrario alla configurabilità del verde pubblico come servizio pubblico non si sono espressi neppure i due pareri delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti (Lombardia, n. 411/2013 e Puglia, n. 141/2013, reperibili, unitamente alle altre decisioni di organi giudiziari indicate nel presente parere, all’indirizzo Internet http://www.rninambiente.it/pagina/comitato-il-verde-pubblico), sinora emessi, a quanto consta, sul tema che ne occupa.
4. Del resto, se il verde pubblico non fosse un servizio pubblico locale sarebbe arduo attribuire un significato all’art. 4, comma 2, della legge n. 10/2013, il quale prevede che “I comuni che risultino inadempienti rispetto alle norme di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 e, in particolare, sulle quantità minime di spazi pubblici riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi da osservare in rapporto agli insediamenti residenziali e produttivi ,approvano le necessarie varianti urbanistiche per il verde e i servizi entro 31 dicembre di ogni anno.“.
Il rapporto fra carico urbanistico e verde pubblico è infatti aspetto essenziale, come confermato dal Consiglio di Stato in una recente decisione (sez. IV, sent. n. 4148/2013), nella quale un Comune aveva impressa ad una data zona, nello strumento urbanistico generale, una certa destinazione (in particolare, F3 – Verde pubblico attrezzato, così definita: “Territorio destinato a uso pubblico. E’ ammessa la realizzazione delle attrezzature pubbliche e di uso pubblico espressamente individuate nelle tavole di zonizzazione e rete viaria allegate, comprendenti attrezzature sportive, per lo svago, la cultura e il tempo libero, attrezzature commerciali compatibili con l’uso pubblico, con esclusione degli impianti rumorosi o comunque nocivi all’igiene fisica”).
Muovendo da ciò, nel confermare un proprio precedente (sentenza n. 4790 del 28 giugno 2004, sezione V), il Consiglio di Stato ha osservato che, “per effetto della indicata destinazione e delle prescrizioni previste, si deve ritenere che nella zona F3 valgano le regole seguenti: il territorio deve essere destinato all’uso pubblico e non a quello privato, il territorio deve essere prevalentemente conservato a verde, per la presenza di vegetazione che deve poter essere fruita della collettività; sono ammesse, in forma coerente con l’uso pubblico e la conservazione del verde, attrezzature sportive, culturali e per 11 tempo libero (anche eventualmente gestite da privati); sono ammesse anche attrezzature commerciali, che tuttavia debbono essere limitate e debbono essere compatibili con l’uso pubblico e debbono avere quindi una funzione meramente accessoria (come per esempio, un punto di ristoro e una rivendita di giornali).
Nelle aree ricadenti in zona F e destinate dallo strumento urbanistico a verde pubblico attrezzato, il verde, vale a dire la presenza di vegetazione distribuita sul territorio secondo modalità indicate, costituisce esso stesso la “attrezzatura pubblica o privata di uso pubblico” a cui tali zone sono riservate e la fruizione del verde da parte della collettività ne è la funzione tipica nell’ambito dell’organizzazione generale del territorio comunale (in tal senso, in termini,Consiglio di Stato, V, 28 giugno 2004, n. 4790).
E riguardo ai rapporti con l’iniziativa privata, la IV Sezione ha chiarito che “Nelle zone destinate a verde pubblico attrezzato, quando la loro particolare disciplina li ammette la presenza anche di altre attrezzature, la funzione di queste non può che essere gerarchicamente subordinata e servente rispetto a quella propria della intera zona. Pertanto, tali attrezzature in tanto sono ammesse in quanto, per caratteristiche edilizie ed architettoniche, per dimensioni o per le modalità in cui si inseriscono nel contesto, sono compatibili con la destinazione a verde pubblico.“.
E’ ammesso, cioè, solo ciò che può essere considerato un accessorio del verde attrezzato, mentre non è sufficiente a rispettare la funzione primaria del “verde attrezzato” la presenza di fontane, panchine, alberature, illuminazione, vari giochi per bambini.
Sulla base di tali principi riguardanti gli interventi compatibili con la destinazione a verde pubblico attrezzato, il Consiglio di Stato ha rigettato la tesi secondo cui un ristorante sarebbe perfettamente in linea con la destinazione a verde pubblico attrezzato, atteso che esso non può ritenersi mero punto di ristoro, ovvero un accessorio del verde attrezzato.
Si tratta, per vero, di un indirizzo pretorio in linea anche con la normativa più recente. A inizio 2013, è entrata infatti in vigore la l. n. 10/2013, intitolata Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani, la quale ha fra l’altro modificato l’art. 43, comma 1, della l. n. 449/1997, introducendovi una disposizione che prevede, nella sua parte finale, che: «Fermi restando quanto previsto dalla normativa generale in materia di sponsorizzazioni nonché i vincoli per la tutela dei parchi e giardini storici e le altre misure di tutela delle aree verdi urbane, lo sfruttamento di aree verdi pubbliche da parte dello sponsor ai tini pubblicitari o commerciali, anche se concesso in esclusiva, deve aver luogo con modalità tali da non compromettere, in ogni caso, la possibilità di ordinaria fruizione delle stesse da parte del pubblico.».
Questa impostazione, come si vede fatta propria con assoluta chiarezza dal legislatore, attribuisce un valore speciale al verde pubblico, e per vero tende, anche per questa via, a riaffermare la natura giuridica di servizio pubblico del verde urbano.
5. E’ il caso di puntualizzare che la richiamata decisione n. 479012014 della IV Sezione del Consiglio di Stato, nel far notare che il piano regolatore che definisca la zona F del territorio comunale come quella destinata ad “Attrezzature pubbliche o di uso pubblico” comporta che il verde, vale a dire la presenza di vegetazione distribuita sul territorio secondo modalità indicate, costituisce esso stesso la “attrezzatura pubblica o” (privata ma) “di uso pubblico” a cui queste zone sono riservate e la fruizione del verde da parte della collettività ne è la funzione tipica nell’ambito della organizzazione generale del territorio comunale, ha precisato che “se si considera che, a norma del citato D.M. del 1968, la dotazione minima di “spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggio” dovrebbe essere assicurata in ciascuna delle zone territoriali omogenee, si comprende come nelle zone a verde specificamente previste, quando la loro particolare disciplina vi ammetta la presenza anche di altre attrezzature, la funzione di queste non può che essere gerarchicamente subordinata e servente rispetto a quella propria dell’intera zona.”.
Sovente, “questa organizzazione gerarchica delle funzioni nell’ambito della zona è sancita dall’espressa condizione apposta alla realizzazione delle altre attrezzature, pur sempre “pubbliche o di uso pubblico”, diverse dal verde “sportive, per lo svago, la cultura e il tempo libero, commerciali” – le quali in tanto sono ammesse in quanto siano “compatibili con l’uso pubblico” cioè con la fruizione del verde. In altre parole, le attrezzature ora nominate sono consentite soltanto se, per le loro caratteristiche edilizie ed architettoniche, per le dimensioni o per le modalità con cui si inseriscono nel contesto, non siano tali da incidere in modo apprezzabile sulla fruizione dell’area in relazione alla sua destinazione a verde pubblico.“.
6. Certo, quello del verde pubblico è servizio pubblico locale dalle caratteristiche indubbiamente peculiari.
E, sul punto, è anzi il caso di precisare che negli anni si è andata sviluppando la tendenza, riguardo al tema qui trattato, ad identificare il servizio del verde pubblico, più esattamente, con la “manutenzione del verde pubblico”.
Il che, ad avviso di questo Comitato, ha finito con il creare e alimentare un equivoco di fondo, sul quale si intende cogliere l’occasione per fare per quanto possibile chiarezza.
Si ritiene, infatti, che aver spostato l’attenzione dal verde pubblico, in sé, alla “manutenzione del verde pubblico“, abbia avuto come conseguenza quella di ingenerare l’idea che il servizio pubblico sia la seconda, piuttosto che il primo. Mentre appare evidente che la manutenzione è parte della gestione del servizio pubblico, senza peraltro esaurirla.
Beninteso, si tratta di attività essenziale, perché il verde pubblico ha bisogno di costante e appropriata manutenzione. Non diversamente da quella di cui abbisognano gli altri servizi pubblici locali erogati all’utenza.
La manutenzione non esaurisce dunque in sé la gestione del servizio pubblico, la quale, in questo come negli altri casi, attiene alla realizzazione delle dotazioni e/o degli impianti essenziali ai fini dell’erogazione del servizio e ai comportamenti operativi allo scopo concretamente necessari a quest’ultimo fine (si pensi al servizio di trasporto pubblico locale svolto su ferro, che, in estrema sintesi, richiede la realizzazione dell’infrastruttura, l’acquisto dei veicoli e la conduzione di questi ultimi, il tutto, naturalmente, anche da manutenersi).
Anche per il servizio pubblico locale del verde pubblico si pone infatti, nei tradizionali termini sopra esposti, il tema della realizzazione delle dotazioni e/o degli impianti essenziali ai fini dell’erogazione del servizio e dei comportamenti operativi allo scopo concretamente necessari a quest’ultimo fine.
Da questa punto di vista, è il caso di richiamare il concetto di infrastruttura verde, essenziale all’interno della città, in ragione degli evidenti benefici che essa può arrecare all’ambiente urbano. Se una città ingloba al proprio interno aree verdi di apprezzabile dimensione, non v’è dubbio che queste possano svolgere anche una funzione ecologica di accrescimento del grado di naturalità dell’ambiente urbano. Il concetto di infrastruttura si presta ad una lettura in termini di rete, nella logica per cui “per avere una infrastruttura verde urbana, non basta un grande parco, ma occorre vi sia una rete di spazi verdi interna alla città. In una città dotata di una infrastruttura verde i parchi non sono spazi verdi isolati nel costruito. (…) Come minimo, dunque, l’elemento lineare della rete verde è un viale alberato. Ciò confermerebbe la scarsa valenza ecologica della rete dell’infrastruttura verde urbana, anche se non si può misconoscere l’importanza dei viali alberati per arricchire di verde la città e migliorarne la qualità ambientale a vantaggio della salute umana e del paesaggio urbano.” (così il working paper P11/07, dal titolo “L’infrastruttura verde urbana“, dell’Osservatorio Città sostenibili del Dipartimento Interateneo Territorio dell’Università e del Politecnico di Torino).
Del resto, nel maggio 2013 la Commissione europea ha adottato una strategia sulle infrastrutture verdi (COM (2013) 249 final) che rende molto evidente il ruolo essenziale che esse rivestono negli ambienti urbani. “Gli elementi di infrastrutture verdi nelle città comportano vantaggi per la salute, ad esempio aria pulita e una migliore qualità delle acque. Un ecosistema sano può ridurre anche la diffusione di patologie trasmesse da vettori. Realizzare elementi di infrastrutture verdi nelle aree urbane rafforza il senso di comunità, consolida i legami con azioni su base volontaria promosse dalla società civile e contribuisce a contrastare l’esclusione e l’isolamento sociale. Questo approccio giova ai singoli cittadini e alla comunità sul piano fisico, psicologico, emotivo e socio-economico. Le infrastrutture verdi forniscono opportunità di collegamento tra le aree urbane e rurali e creano spazi in cui è piacevole vivere e lavorare. Grazie alla produzione alimentare urbana e ai giardini comunitari, entrambi strumenti efficienti di educazione per gli scolari e di coinvolgimento, in particolare, dei ragazzi, le infrastrutture verdi riducono le distanze tra la produzione e la consumazione di alimenti e aiutano ad aumentarne il valore percepito. Gli investimenti in questo tipo di infrastrutture hanno un alto potenziale in termini di rafforzamento dello sviluppo rubano, anche mantenendo o creando posti di lavoro“.
Queste funzioni ecosistemiche racchiudono i beni e i servizi utilizzati dalla società umana per soddisfare il proprio benessere, definiti con la locuzione di sintesi “servizi ecosistemici”. Un esempio di servizio ecosistemico intrinsecamente legato, quale diretta e immediata conseguenza, al verde urbano, è quello relativo alla riduzione dell’effetto noto come “isola di calore urbano”, che – come ormai scientificamente dimostrato da qualificati studi – può avere conseguenze gravi, soprattutto in presenza di ondate di calore, per la salute di gruppi della popolazione vulnerabili (2).
Per tutte queste diversificate ragioni, dunque, dotare l’ambiente urbano di verde pubblico significa dotarlo dell’infrastruttura essenziale per l’erogazione del servizio pubblico locale all’utenza. Accrescere la dotazione di verde pubblico è gestione servizio pubblico locale (così come lo è accrescere la dotazione impiantistica nel caso degli altri servizi pubblici locali). Parimenti, è gestione del servizio pubblico locale anche la manutenzione del verde pubblico, cioè l’attività costante di conservazione dello stato di efficienza e sicurezza dell’infrastruttura e delle dotazioni essenziali per l’erogazione del servizio. Questo aspetto di gestione richiede lo svolgimento di attività strumentali (si pensi, nuovamente con riferimento al servizio di trasporto pubblico locale svolto su ferro, alla pulizia e alle riparazioni dei veicoli), riguardo alle quali il gestore potrà, nei modi consentiti dalla normativa vigente, approvvigionarsi ricorrendo a terzi per prestazioni di forniture e/o servizi oppure autoprodurle.
7. Infine, sotto il profilo giuridico e operativo, la gestione del verde pubblico è gestione di un servizio pubblico locale autonomo rispetto agli altri, ivi incluso il servizio rifiuti e gli altri servizi di igiene urbana.
Da questo punto di vista, che sovente gli enti locali decidano di affidare il servizio pubblico locale del verde pubblico allo stesso soggetto cui hanno affidato la gestione del servizio rifiuti e degli altri servizi di igiene urbana, oppure operino un affidamento congiunto e contestuale dei due distinti servizi al medesimo soggetto, è circostanza che assume rilievo in punto di fatto.
Al di là della gestione operativa e perfino della economie di scala eventualmente realizzabili concentrando l’affidamento di più servizi distinti in capo ad uno stesso gestore, i servizi restano infatti fra loro distinti, sul piano giuridico, sicché gli atti adottati dall’ente locale, così come quelli bilaterali (compresi i contratti di servizio), dovranno avere cura di riferirsi formalmente a tutti i (distinti) servizi affidati.
Note
1. Per TAR Piemonte, sez. I, sent. 22.7.2011, n. 805, “Un’area di proprietà pubblica destinata a “verde pubblico” non costituisce un’opera di urbanizzazione primaria né un bene strumentale all’esercizio delle funzioni istituzionali dell’ente proprietario, fino a quando su di essa non siano state realizzate concrete opere di trasformazione volte a rendere fruibile il verde pubblico da parte della collettività, imprimendo al bene una destinazione di fatto conforme a quello astrattamente prevista dal piano: solo in presenza di tali opere il bene acquista carattere strumentale rispetto ai fini dell’ente e rientra o far parte del patrimonio indisponibile dello stesso, ai sensi dell’art. 826, ultimo comma c.c., in quanto bene di proprietà pubblica concretamente destinato ad un pubblico servizio.”.
2. I riflessi, sul piano economico, anzitutto sotto il profilo dei costi anche sociali, sono del tutto evidenti alla Commissione, tanto da spingerla nella medesima Comunicazione a puntualizzare che: “Una delle ragioni principali per cui in centro città si registrano spesso temperature più elevate di diversi gradi rispetto all’ambiente circostante è dato da uao minore umidità nelle aree urbane, a sua volto causata dall’assenza dì vegetazione e dall’asfalto scuro o dalle superfici cementate che assorbono maggiormente l’energia solare. Questo fenomeno, noto come effetto “isola di calore urbano” può avere conseguenze gravi, soprattutto in presenza di ondate di calore, per la salute di gruppi della popolazione vulnerabili, ad esempio persone con patologie croniche a anziani. Il tenore di umidità dell’aria, una risorsa disponibile a costo zero, potrebbe essere ricreato artificialmente ricorrendo all’elettricità per fare evaporare l’acqua, ma si stima che questa tecnico costerebbe circa 500 000 EUR per ettaro. Fare leva sulla natura e ricorrere alle infrastrutture verdi negli ambienti urbani, ad esempio creando parchi ricchi in termini di biodiversità, spazi verdi e corridoi di aria fresca, può contribuire ad attenuare l’effetto “Isola di calore urbano.”