La tutela degli interessi legittimi e il giudice del lavoro

La Corte di Cassazione, con sentenza n° 7495 del 14 aprile 2015 è intervenuta sulla questione relativa alla natura giuridica della posizione giuridica soggettiva vantata dal pubblico dipendente a fronte dei poteri esercitati dalla pubblica amministrazione nelle procedure aventi ad oggetto il conferimento di incarichi dirigenziali.

I criteri di cui la pubblica amministrazione deve tener conto nella selezione del soggetto cui conferire l’incarico, come noto, rinvengono il proprio fondamento normativo nell’art. 19 del d.lgs 165/2001.

Allo stato attuale, come sostenuto anche nella pronuncia di cui ci si occupa, gli atti di conferimento degli incarichi dirigenziali sono da considerare alla stregua di atti negoziali, adottati dalla pubblica amministrazione con la capacità ed i poteri del datore di lavoro privato.

Per tale ragione, il giudice – come sostengono anche gli ermellini – non può sostituire la propria valutazione a quella compiuta dall’amministrazione procedente, salvo che non venga in rilievo un’attività vincolata, e non discrezionale.

Da una siffatta asserzione non potrebbe comunque desumersi una irragionevole facoltà in capo alla pubblica amministrazione di disattendere i criteri di massima individuati dall’art. 19 del d.lgs. 165/2001, i quali vanno peraltro interpretati avendo riguardo alle clausole generali di buona fede e correttezza, nonché ai principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost.

Diversamente opinando, si lascerebbe il campo ad inaccettabili arbitrii.

La pubblica amministrazione, quindi, in sede di conferimento degli incarichi dirigenziali, sarà comunque tenuta al rispetto di particolari garanzie procedimentali, tra cui notevole rilievo assumono l’adozione di adeguate forme di partecipazione, nonché l’esternazione delle ragioni giustificatrici delle proprie scelte.

Qualora l’amministrazione si discosti da un siffatto modus agendi sarà configurabile un inadempimento contrattuale.

A fronte dell’esercizio di siffatti poteri – ad avviso della Cassazione – non può che ravvisarsi in capo al dipendente la titolarità di un interesse legittimo di diritto privato.

Per maggiore chiarezza si riporta per intero la motivazione della sentenza:

“Deve rilevarsi che, secondo l’ormai consolidato orientamento di questa Corte (cfr, ex plurimis, Cass., SU, nn. 21671/2013; 10370/1998; Cass., nn. 13867/2014; 21700/2013; 18836/2013; 21088/2010; 18857/2010; 20979/2009; 5025/2009; 28274/2008; 9814/2008; 4275/2007; 14624/2007; 23760/2004), anche gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall’amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro e che le norme contenute nell’art. 19, comma 1, dl.vo n. 165/01 (pure nel testo vigente all’epoca dei fatti per cui è causa) obbligano l’amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cc, applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione, senza peraltro che la predeterminazione dei criteri di valutazione comporti un automatismo nella scelta, che resta rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro, al quale non può sostituirsi il giudice, salvo che non si tratti di attività vincolata e non discrezionale.

Gli artt. 1175 e 1375 cc, applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all’art. 97 della Costituzione, obbligano la pubblica amministrazione a valutazioni anche comparative, all’adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte, sicché, ove l’amministrazione non abbia fornito nessun elemento al riguardo, è configurabile inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile.

Non essendo peraltro configurabile un diritto soggettivo a conservare – o ad ottenere – un determinato incarico di funzione dirigenziale, in sede giudiziale va controllato che il mancato rinnovo o il mancato conferimento dell’incarico sia avvenuto nel rispetto delle garanzie procedimentali previste, nonché con l’osservanza delle regole di correttezza e buona fede.

Essendo gli atti inerenti al conferimento degli incarichi dirigenziali ascrivibili alla categoria degli atti negoziali, ad essi si applicano le norme del codice civile in tema di esercizio dei poteri del privato datore di lavoro, con la conseguenza che le situazioni soggettive del dipendente interessato possono definirsi in termini di “interessi legittimi”, ma di diritto privato, e, come tali, pur sempre rientranti nella categoria dei diritti di cui all’art. 2907 cc; tali posizioni soggettive di interesse legittimo di diritto privato sono configurabili anche rispetto agli atti preliminari al provvedimento di conferimento dell’incarico dirigenziale e ad ogni altro atto che preceda la stipulazione del relativo contratto e sono suscettibili di tutela giurisdizionale anche in forma risarcitoria, a condizione che l’interessato alleghi e provi la lesione dell’interesse legittimo suddetto, nonché il danno subito, in dipendenza dell’inadempimento di obblighi gravanti sull’amministrazione, ma senza che la pretesa risarcitoria possa essere fondata sulla lesione del diritto al conferimento dell’incarico dirigenziale, che è insussistente in assenza del contratto stipulato con l’amministrazione”.

Redazione

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