Come ampiamente illustrato, oggi è stata depositata la sentenza della Corte di Giustizia Europea relativa alla causa C-61/14, avente ad oggetto la questione circa la compatibilità della previsione di un elevato contributo unificato per i ricorsi dinanzi al giudice amministrativo in materia di appalti con la normativa comunitaria.
Con la sentenza la Corte di Giustizia non ha ritenuto il contributo unificato italiano confliggente con il diritto dell’Unione Europea così come non ritiene confliggente la somma dei contributi unificati in uno stesso giudizio.
Abbiamo intervistato gli avvocati Carmelo Giurdanella e Patrizio Menchetti, intervenuti nella causa come rappresentanti dell’associazione di consumatori Cittadini Europei, per analizzare e comprendere il contenuto della sentenza
Avvocato Menchetti, Avvocato Giurdanella, quali sono i punti fondamentali della decisione?
Avv. Menchetti: Innanzi tutto la Corte di Giustizia non ritiene il contributo unificato italiano confliggente con il diritto dell’Unione Europea così come non ritiene confliggente la somma dei contributi unificati in uno stesso giudizio.
A questo proposito i giudici europei sono andati nel merito, affermando che i tributi giudiziari per proporre ricorsi giurisdizionali amministrativi in materia di appalti pubblici che non siano superiori al 2% del valore dell’appalto in questione non sono tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione in materia di appalti pubblici.
Avv. Giurdanella: La Corte di Giustizia ha sostanzialmente affermato che il contributo unificato italiano non viola il principio di effettività della tutela per via del fatto che l’ammontare della tassazione non supera il 2% del valore dell’appalto.
Inoltre, secondo i giudici europei, se un’impresa partecipa alla procedura di appalto ciò implica che possiede, di per sé, la capacità di pagare dette imposte. Per non parlare del fatto la Corte dà del tutto per scontato che il contributo verrà rimborsato al ricorrente vittorioso, mentre sappiamo benissimo che nel processo amministrativo ciò avviene solo in una bassissima percentuale di occasioni.
Qual è l’opinione dei giudici europei, che emerge dalla sentenza, in materia di cumulo dei contributi nel medesimo giudizio?
Avv. Menchetti: Si tratta dell’unico elemento di novità in una sentenza che è, per il resto, del tutto conservativa.
Sostanzialmente si afferma che, da un lato, il moltiplicarsi di contributi nel medesimo processo non sia di per sé contrario al diritto comunitario, ma allo stesso tempo nulla vieti al Giudice Nazionale di valutare se nel giudizio di merito un’eventuale nuovo atto possa determinare una “modifica considerevole” dell’oggetto del giudizio tale da non richiedere il pagamento di un ulteriore contributo unificato.
In quest’ultimo caso, il giudice italiano potrà dispensare la parte dall’obbligo di pagamento dell’imposta, perché in questo caso applica immediatamente il diritto comunitario.
Ma onerare il giudice italiano di valutare di volta in volta la congruita dei contributi non è una vera tutela per il cittadino, poiché implicherà, dal punto di vista pratico, un ulteriore ricorso, questa volta al giudice tributario.
Si potrebbe immaginare, per esempio, che venga contestato un contributo richiesto in fase di regolarizzazione in modo ingiustificato e non congruo. Oppure, ancora, una società non italiana ma di un paese europeo potrebbe impugnare il provvedimento di tassazione, per via delle sproporzioni tra la tassazione nel proprio paese e quella in italia. Basti pensare, a titolo di esempio, che in Francia il giudizio in materia di appalti non richiede il pagamento di nessun tipo di imposta.
Avv. Giurdanella: Per quanto riguarda il cumulo, si afferma che la normativa italiana è ragionevole: e ciò sulla base del fatto che “la sola circostanza che la finalità di questa persona sia quella di ottenere un determinato appalto non comporta necessariamente l’identità di oggetto dei suoi ricorsi o dei suoi motivi”.
Ma è chiaro come si tratti di un ragionamento del tutto astratto, e il diritto così sembra allontarsi irrimediabilmente dalla vita vera, dalle esigenze vere delle persone.
Lo stesso potere del giudice di ridurre la tassazione è ipocrita, anche perché vuole aggiungere un’altra impugnazione tributaria, con nuove incombenze processuali e nuove spese (compreso un nuovo contributo unificato!) per fare affermare l’inesistenza di una “modifica sostanziale” dell’oggetto del giudizio e pertanto la riduzione dell’imposta.
C’era un certo ottimismo nei confronti della decisione, in particolare in seguito alle conclusioni dell’Avvocato Generale. Come vi spiegate questa svolta?
Avv. Menchetti: L’impressione che si ha è che la Corte, nell’attuale composizione, sia portatrice di una visione più conservatrice dell’ordinamento europeo, e probabilmente ciò è dovuto all’ultimo allargamento dell’UE a 28 paesi.
Molti dei provvedimenti emanati in questi giorni, non a caso probabilmente, sono molto favorevoli alle norme che consentono agli stati membri di incamerare più soldi. Si assiste insomma ad un’Unione Europea che mette al centro le questioni finanziarie a discapito della spinta innovatrice.
Avv. Giurdanella: Tutti i segnali di apertura e di interesse mostrati dalla Corte in sede di udienza sembrano svaniti nel nulla. E’ come se i giuristi in udienza avessero ancora conservato un’anima, che è stata totalmente persa nella decisione, perché i giudici sono schiacciati dalle esigenze di finanza.
Assistiamo all’Europa della finanza che ha sopraffatto l’Europa dei principi e degli ideali, compresi quelli di concorrenza leale tra le imprese.
Ci si dimentica dell’economia vera per guardare solo alle finanze degli stati: il risultato scontato è una risposta formalistica e finanziaria alle domanda di giustizia.
Vi date per vinti, o è ancora possibile faro qualcosa?
Avv. Menchetti: Ovviamente non ci sono mezzi di impugnazione per una sentenza della CGE, né in questo momento è possibile pensare al ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Tuttavia ciò non impedisce una nuova pronuncia dei giudici europei, tenuto conto che la stessa domanda potrebbe essere riproposta alla Corte in presenza di circostanze parzialmente diverse. In particolare ben potrebbe un’impresa straniera in Italia contestare la normativa italiana nel momento in cui le renda estremamente difficoltoso una difesa effettiva nei confronti di una discriminazione.
Avv. Giurdanella: Si potrebbe concludere non ci resta che l’ANAC, finché per i procedimenti dinnanzi all’Autorità Anticorruzione non vi sarà un ingente obolo fiscale da pagare. Al contrario il giudice amministrativo in questo momento declina la sua giurisdizione sulle procedure a evidenza pubblica, autorizzato a fare ciò dal giudice comunitario. Ma questo non vuol dire che ci fermeremo, perché in ogni caso si continua questa battaglia di civiltà giuridica contro una giustizia a pagamento, che non è vera giustizia.
Lo sproporzionato Contributo Unificato è in realtà uno snodo fondamentale, e pertanto non può essere abbandonato se non arrendendosi ad abbandonare un’intero sistema di tutele, che va al di la della singola impresa o del singolo appalto.
Si tratta di lottare contro le stesse persone che voglio abolire i Tar e rendere innocua e impotente la giustizia amministrativa.
Ma non bisogna mai dimenticare il messaggio che c’è dietro la difesa di un interesse legittimo che si svolge dinnanzi al giudice amministrativo: il processo amministrativo è perseguire l’interesse legittimo e quindi la buona amministrazione, e bloccando il processo amministrativo è bloccare la buona amministrazione.
Tutte queste motivazioni ci fanno continuare a lavorare, anche perché il revirement dei giudici è sempre possibile.
E poi è sempre meglio perdere le cause giuste che vincere le cause sbagliate.