Il Consiglio di Stato con l’ordinanza del 21 ottobre 2015 n. 4799 ha rimesso all’Adunanza Plenaria le questioni circa la sussistenza o meno della giurisdizione amministrativa nel caso di controversia in materia di durc prodotto in una gara di appalto e di regolarizzazione del durc negativo in sede di gara.
In particolare, il Collegio, in merito ai limiti entro i quali sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo in materia di legittimità del d.u.r.c., rileva che si sono formati due orientamenti giurisprudenziali nettamente contrastanti. La sezione V del Consiglio di Stato (con le sentenze 16 febbraio 2015, n. 781, 14 ottobre 2014, n. 5064, ed 11 maggio 2009, n. 2874), nonché la sezione VI (con la sentenza 4 maggio 2015, n. 2219) hanno rilevato che rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, adito per la definizione di una controversia avente ad oggetto l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’accertamento della regolarità del documento di regolarità contributiva, quale atto interno della fase procedimentale di verifica dei requisiti di ammissione dichiarati dal partecipante ad una gara (in quanto tale impugnabile non autonomamente, ma unitamente al provvedimento conclusivo), poiché in questo caso tale documento inerisce al procedimento amministrativo di aggiudicazione di un appalto. Anche la Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con sentenza 9 febbraio 2011, n. 3169, ha affermato che la produzione della certificazione attestante la regolarità contributiva dell’impresa partecipante alla gara di appalto costituisce uno dei requisiti posti dalla normativa di settore ai fini dell’ammissione alla gara, sicché il giudice amministrativo ben può verificare la regolarità di tale certificazione, sia pureincidenter tantum, cioè con accertamento privo di efficacia di giudicato nel rapporto previdenziale, ai sensi dell’art. 8 del c.p.a.
Vi è tuttavia un opposto orientamento giurisprudenziale che esclude la giurisdizione del giudice amministrativo nella materia de qua. Con la sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 12 marzo 2015, n. 1321, è stato infatti affermato che la giurisdizione del giudice amministrativo in materia deve escludersi in base ai principi affermati dalla sentenza del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 4 maggio 2012, n. 8.
Tale sentenza, in base all’esame dei momenti essenziali della disciplina de qua ha espresso il principio di diritto per cui «la verifica della regolarità contributiva delle imprese partecipanti a procedure di gara per l’aggiudicazione di appalti con la pubblica amministrazione è demandata agli istituti di previdenza, le cui certificazioni (d.u.r.c.) si impongono alle stazioni appaltanti, che non possono sindacarne il contenuto». La sentenza n. 1321 del 2015 ha rilevato che le precedenti osservazioni inducono ad escludere la giurisdizione del giudice amministrativo in materia di valutazione del d.u.r.c., perché gli eventuali errori contenuti in detto documento involgono posizioni di diritto soggettivo afferenti al sottostante rapporto contributivo e possono essere corretti dal giudice ordinario, o all’esito della proposizione di una querela di falso, o a seguito di una ordinaria controversia in materia di previdenza e di assistenza obbligatoria: oggetto di valutazione ai fini del rilascio del certificato sarebbe così la regolarità dei versamenti, ed in questo ambito ciò che viene in rilievo non sarebbe un rapporto pubblicistico, ma un rapporto obbligatorio previdenziale di natura privatistica sul quale non inciderebbero direttamente o indirettamente poteri pubblicistici.
Pertanto, in considerazione della giurisprudenza contrastante il Collegio ha ritenuto quindi di rimettere all’esame dell’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99, comma 1, del c.p.a., la seguente questione di diritto:
a)“ «Se rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo, adito per la definizione di una controversia avente ad oggetto l’aggiudicazione di un appalto pubblico, ovvero al giudice ordinario, accertare la regolarità del documento unico di regolarità contributiva, quale atto interno della fase procedimentale di verifica dei requisiti di ammissione dichiarati dal partecipante ad una gara”.
Di seguito il testo della sentenza.
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N. 04799/2015 REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL’ADUNANZA PLENARIA
sul ricorso numero di registro generale 2053 del 2015, proposto dalla Società Servizi Socioculturali Cooperativa Sociale Onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Andrea Manzi, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5;
contro
La s.r.l. Cooperativa Sociale Onlus Segni di Integrazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Girolamo Rubino e Fabrizio Paoletti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fabrizio Paoletti, in Roma, viale M. Pilsudski, n.118;
nei confronti di
La Provincia di Verona, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giancarlo Biancardi, Stefano Gattamelata e Isabella Sorio, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Stefano Gattamelata, in Roma, via di Monte Fiore, n. 22;
l’I.N.P.S. – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonino Sgroi, Lelio Maritato, Carla D’Aloisio, Emanuele De Rose, Giuseppe Matano ed Ester Sciplino, con domicilio eletto in Roma, via della Frezza, n. 17;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Veneto – Venezia, Sezione I, n. 218/2015, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della s.r.l. Cooperativa Sociale Onlus Segni di Integrazione, della Provincia di Verona e dell’I.N.P.S.;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 luglio 2015 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti l’avvocato Luca Mazzeo, su delega dell’avvocato Andrea Manzi, l’avvocato Fabrizio Paoletti, in proprio e su delega dell’avvocato Girolamo Rubino, l’avvocato Emanuele De Rose e l’avvocato Stefano Gattamelata;
I.1.- Con bando del 9 aprile 2014, la Provincia di Verona ha indetto una gara pubblica per l’affidamento, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, «del servizio di integrazione socio-didattica a favore degli allevi con disabilità sensoriali per gli anni scolastici 2014/2015 e 2015/2016», alla quale hanno partecipato la Società Servizi Socio Culturali Cooperativa Sociale Onlus ed il R.T.I. avente come mandataria la Società Cooperativa Sociale Onlus Segni di Integrazione a r.l. e come mandante la Società Cooperativa Sociale Elfo Onlus.
Nella seduta pubblica del 26 maggio 2014, la commissione di gara, dopo l’apertura delle offerte e l’attribuzione dei relativi punteggi, ha disposto l’aggiudicazione provvisoria a favore di detto R.T.I.
La stazione appaltante ha quindi effettuato il controllo dei requisiti di cui all’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 ed ha acquisito il d.u.r.c. I.N.P.S.-I.N.A.I.L. di Palermo prot. n. 30364143 del 16 luglio 2014, da cui risultavano – per l’anno 2014 – situazioni di irregolarità contributiva della Società Cooperativa Sociale Onlus Segni di Integrazione a r.l.
Con la determinazione n. 2903 del 17 luglio 2014, la Provincia di Verona ha quindi escluso dalla procedura di gara il R.T.I. suddetto, disponendo anche l’escussione della cauzione e la segnalazione alla Autorità di vigilanza sui contratti pubblici; ha inoltre aggiudicato provvisoriamente il servizio in questione alla Società Servizi Socio Culturali Cooperativa Sociale Onlus, classificatasi seconda in graduatoria, cui ha, successivamente, con determinazione n. 3009 del 28 luglio 2014, aggiudicato definitivamente il servizio medesimo.
I.2.- Con il ricorso n. 1241 del 2014, proposto al T.A.R. Veneto, la Società Cooperativa Sociale Omlus Segni di Integrazione a r.l. ha impugnato i provvedimenti sopra indicati, chiedendo anche la declaratoria di inefficacia del contratto, se stipulato, ed il subentro nel medesimo, sostanzialmente contestando che, anche se alla data di scadenza del termine di partecipazione alla gara in questione aveva un debito contributivo con l’I.N.P.S., era comunque creditrice di una somma maggiore nei confronti di un’altra pubblica Amministrazione, nonché sostenendo l’applicabilità al caso di specie dell’art. 13 bis del d.l. n. 52 del 2012, convertito in l. n. 94 del 2012, e l’illegittimità di detto «d.u.r.c. negativo» per mancato invito alla sanatoria del proprio debito contributivo (ex art. 7, comma 3, del decreto del Ministero del Lavoro del 24 ottobre 2007 ed ex art. 31, comma 8, del d.l. n. 69 del 2013, convertito in l. n. 98 del 2013).
I.3.- Con la sentenza in epigrafe indicata, il T.A.R. ha respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione, formulata dall’I.N.P.S. e dalla Società Sevizi Socio Culturali Cooperativa Sociale Onlus, rilevando che la questione non riguardava la gravità della irregolarità accertata, ma il suo carattere definitivo e che l’attestazione contenuta nel d.u.r.c. costituiva un requisito da valutare in sede di verifica dei requisiti di partecipazione, in quanto tale costituendo un atto impugnabile unitamente al provvedimento conclusivo della procedura.
Nel merito, il T.A.R. ha ritenuto fondata la censura di illegittimità del d.u.r.c. per mancato invito della società ricorrente a sanare la propria posizione contributiva, previa assegnazione di un termine di quindici giorni, ai sensi dell’art. 31, comma 8, del d. l. n. 69 del 2013, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame.
Il T.A.R. ha quindi accolto il ricorso, dichiarando l’inefficacia, ai sensi dell’art. 122 del c.p.a., del contratto nelle more stipulato e disponendo il subentro della ricorrente.
I.4.- Con il ricorso in appello in esame, la società Servizi Socio Culturali Cooperativa Sociale Onlus ha chiesto l’annullamento o la riforma della sentenza del T.A.R., deducendo i seguenti motivi:
a) Sul difetto di giurisdizione in ordine all’impugnazione della nota I.N.P.S. acquisita al prot. della Provincia di Verona al n. 69705 del 9 luglio 2014 e all’impugnazione del d.u.r.c. del 4 giugno 2014.
Non sussisterebbe la giurisdizione del T.A.R. sulle censure mosse dalla ricorrente in primo grado, sulla legittimità e sulla definitività del d.u.r.c. negativo emesso dall’I.N.P.S. e della successiva nota con cui l’Istituto aveva confermato la posizione di irregolarità contributiva, in quanto tale documento consisterebbe in una dichiarazione di scienza avente carattere meramente dichiarativo di dati in possesso dell’Ente previdenziale, assistita da pubblica fede ai sensi dell’art. 2700 del c.c. e facente prova fino a querela di falso, con giurisdizione del giudice ordinario sulle inesattezze ed errori in esso contenute.
Proprio al fine di consentire la partecipazione alle gare, nonostante la pendenza di un contenzioso con l’Ente previdenziale con riguardo alla sussistenza di irregolarità contributive, l’art. 8, comma 2, lettera b), del d.m. del 24 ottobre 2007 avrebbe stabilito che, in pendenza di contenzioso giudiziario, la regolarità è dichiarata sino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna; nel caso di specie non solo non sarebbe stato pendente alcun tipo di contenzioso, ma la stessa ricorrente di primo grado avrebbe confermato che, alla data di presentazione della domanda di partecipazione, si trovava in situazione di irregolarità contributiva.
b) Errore nell’applicazione dell’art. 31, comma 8, del d.l. n. 69 del 2013 in fase di verifica della sussistenza dei requisiti di cui all’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006; violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, dell’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000 e dell’art. 27 del d.lgs. n. 163 del 2006; violazione dell’art. 255 del d.lgs. n. 163 del 2006.
La sentenza del T.A.R. sarebbe erronea nell’aver ritenuto illegittimo il provvedimento di esclusione (per non essere stato assegnato alla ricorrente il termine di quindici giorni per sanare la propria posizione contributiva), per le seguenti ragioni:
b.1) L’art. 31, comma 8, del d.l. n. 69 del 2013 non ha introdotto alcuna espressa modifica del d. lgs. n. 163 del 2006, nonostante che l’art. 255 di quest’ultimo abbia stabilito che ogni modifica normativa incidente sul codice o sulle materie da esso disciplinate va attuata con una esplicita modifica, integrazione, deroga o sospensione delle specifiche disposizioni in esso contenute.
L’applicazione dell’art. 31, comma 8, non sarebbe quindi potuta essere estesa sino ad abrogare implicitamente l’art. 38 del d. lgs n. 163 del 2006.
b.2) L’art. 31, comma 8, del d.l. n. 69 del 2013 potrebbe al più essere applicato nei casi in cui l’Ente previdenziale si trovi ad emettere un d.u.r.c. o un documento attestante l’attuale situazione contributiva di un soggetto, ma non nel caso, come quello di specie, in cui era stata richiesta la certificazione di un dato storico ad una certa data al fine di verificare la veridicità della dichiarazione presentata al momento della formulazione dell’offerta, non essendo in tal caso in alcun modo ipotizzabile la regolarizzazione della posizione contributiva.
b.3) L’interpretazione della normativa di cui trattasi data dal T.A.R. non potrebbe essere giustificata dalla necessità di consentire la massima partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici, a meno che non si voglia garantire – anche alle società che in sede di offerta abbiano falsamente certificato la propria regolarità contributiva – la partecipazione alle procedure di affidamento.
Nel caso di specie la non veridicità della autodichiarazione presentata dalla Società Cooperativa Sociale Onlus Segni di Integrazione a r.l. avrebbe necessariamente imposto, ai sensi dell’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000, la sua esclusione dalla procedura di affidamento.
b.4) In ogni caso, l’applicazione dell’art. 31, comma 8, del d.l. n. 68 del 2013 alle procedure di affidamento dei contratti pubblici violerebbe sotto diversi profili i principi, di evidenza pubblica, di tutela dell’interesse pubblico alla scelta di un contraente affidabile e della par condicio tra le concorrenti, come ritenuto da numerosi precedenti giurisprudenziali, nonché dall’I.N.P.S. e dall’A.N.A.C..
Solo in caso di contenzioso giudiziario sulla regolarità del d.u.r.c., l’attestazione in esso contenuta, ex art. 8, comma 2, lett. b), del d.m. 24 ottobre 2007, sarebbe considerabile come «non definitiva», con possibilità del concorrente riguardo alla quale è stato emesso di partecipare alle gare pubbliche.
La diversa tesi sostenuta nell’impugnata sentenza comporterebbe anche una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti degli operatori economici stabiliti in Stati diversi dall’Italia, che, ex art. 47, comma 2, e 38, comma 2, del d. lgs. n. 163 del 2006, per essere ammessi alle procedure di affidamento di contratti pubblici dovrebbero trovarsi in una situazione di regolarità contributiva fin dal momento di presentazione dell’offerta.
c) Violazione e falsa applicazione dell’art. 122 del c.p.a.
La declaratoria di inefficacia del contratto effettuata con l’impugnata sentenza sarebbe stata non adeguata, ed anzi pregiudizievole, perché:
c.1) La dichiarazione di inefficacia del contratto non sarebbe la conseguenza necessaria dell’annullamento del provvedimento di aggiudicazione, né un effetto ordinario dello stesso, ma costituirebbe una scelta «facoltativa», riguardo alla quale nel caso di specie la sentenza non sarebbe specificamente motivata.
c.2) Sarebbe comunque mancata nel caso in esame una condizione essenziale prevista dall’art. 122 del c.p.a., perché la domanda di subentro nell’affidamento non sarebbe stata formulata dalla parte ricorrente (in quanto il ricorso in primo grado sarebbe stato proposto dalla Società Cooperativa Sociale Onlus Segni di Integrazione a r.l in proprio e non in nome e per conto del R.T.I. con il quale, in qualità di mandataria, aveva partecipato alla procedura di affidamento; né la mandante Società Cooperativa Sociale Elfo Onlus avrebbe mai impugnato il provvedimento di esclusione, rilevato l’inefficacia del contratto e chiesto il subentro nello stesso).
c.3) Lo stato di esecuzione e la stessa natura del servizio oggetto di affidamento non avrebbero giustificato le statuizioni sulla dichiarazione dell’inefficacia del contratto e sul subentro nel servizio da parte di un diverso operatore, essendovi un pregiudizio per la soddisfacente esecuzione del servizio stesso (in corso di espletamento sulla base di studi, valutazioni e progetti realizzati e da realizzarsi), con evidente danno per gli utenti.
Il soggetto subentrante, che avrebbe presentato una offerta tecnica diversa, non potrebbe che procedere ad una integrale riorganizzazione del servizio, con impossibilità del subentro senza la soluzione di continuità ipotizzata dal T.A.R. e con interruzione delle attività didattiche in corso di svolgimento a favore degli utenti.
Si sarebbe dovuta anche considerare la prevalenza dell’interesse alla corretta esecuzione del servizio pubblico rispetto agli interessi delle parti, con la possibilità di disporre in favore della ricorrente un risarcimento in forma specifica, anziché per equivalente.
I.4.- Con memoria depositata il 16 marzo 2015, si è costituita in giudizio la Società Cooperativa Sociale Onlus Segni di Integrazione a r.l.
I.5.- Con atto notificato il 20 marzo 2015 e depositato il 23 marzo 2015, ha proposto appello incidentale la Provincia di Verona a sostegno della impugnazione della sentenza in epigrafe indicata, deducendo i seguenti motivi:
a) errore nel giudicare applicabile alla materia dei contratti pubblici la norma di favore per le imprese non in regola con il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, di cui all’art. 31, comma 8, del d.l. n. 69 del 2013, in tema di c.d. preavviso di accertamento negativo di regolarità contributiva.
a.1) Sulla presunta applicabilità dell’art. 31, comma 8, del d.l. n. 69 del 2013 nell’ambito della verifica dei requisiti di partecipazione alle gare pubbliche.
La sentenza impugnata avrebbe recepito la tesi affermata dal Consiglio di Stato, Sezione V, con sentenza n. 5064 del 2014 (secondo la quale si evince dall’art. 7, comma 3, del d.m. 24 ottobre 2007 e dall’art. 31, comma 8, del d.l. n. 69 del 2013 un preciso indirizzo di politica legislativa volto a favorire la massima partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici), ma essa non sarebbe applicabile alle procedure ad evidenza pubblica, sia perché in nessuna parte dello stesso si farebbe riferimento ai contratti pubblici (mentre esplicito riferimento alla materia è contenuto nei commi da 2 a 7 ed inoltre, con riferimento alle cause di esclusione di cui all’art. 38 del d. lgs. n. 163 del 2006, una modifica espressa ad esso è stata introdotta con il comma 2 dell’art. 31 di detto d.l.), sia perché esso impegnerebbe solo l’I.N.P.S. l’I.N.A.I.L. e le Casse Edili, mentre le norme in materia di appalti pubblici sarebbero di origine e valenza comunitaria.
Il fine perseguito dalle norme contenute nel d.l. n. 69 del 2013 sarebbe quello di promuovere la crescita economica interna e non di introdurre ingiustificati regimi di favore per chi abbia violato gli obblighi contributivi.
Sotto il profilo logico contrasterebbe l’interpretazione di detta norma effettuata dal T.A.R. con il regime sanzionatorio posto a garanzia della veridicità delle dichiarazioni rese per essere ammessi alle procedure in questione.
Quindi l’istituto del preavviso di d.u.r.c. negativo non sarebbe applicabile in sede di verifica del possesso dei requisiti di ammissione alle procedure ad evidenza pubblica, che andrebbero verificati in modo compiuto al momento della scadenza dei termini di presentazione delle domande, anche perché non sarebbe possibile collegare a tale istituto l’intento di favorire la massima partecipazione alle gare pubbliche.
a.2) Sul carattere definitivo dell’accertamento delle violazioni contributive, attestate dal d.u.r.c.
Non sarebbe condivisibile la tesi secondo cui, ai fini dell’esclusionene dalla gara, per poter considerare le violazioni come definitivamente accertate occorre verificare che a fronte di esse sia stata applicata la procedura di regolarizzazione di cui al comma 8 dell’art. 31 del d.l. n. 69 del 2013, perché le stazioni appaltanti non potrebbero sindacare la legittimità del d.u.r.c., che potrebbe essere solo contestata dall’interessato con i mezzi e nelle forme previsti dall’ordinamento.
Infatti tale documento avrebbe natura di «dichiarazione di scienza avente carattere meramente dichiarativo» dei dati in possesso dell’Ente, sarebbe assistito da pubblica fede ex art. 2700 del c.c. e farebbe prova fino a querela di falso, sicché la declaratoria di non regolarità contributiva sarebbe grave indizio, ai fini di cui all’art. 38, comma 1, lettera i), del d. lgs. n. 163 del 2006, di violazione grave definitivamente accertata.
a.3) Sulla prospettata modifica (tacita o implicita), per incompatibilità, dell’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006.
La tesi della modifica implicita del d. lgs. n. 163 del 2006 si scontrerebbe con il testo dell’art. 255 del decreto legislativo medesimo, in base al quale ogni intervento normativo incidente sul codice o sulle materie da esso disciplinate andrebbe attuato mediante esplicita modifica o integrazione, deroga o sospensione delle specifiche disposizioni in esso contenute e con la circostanza che l’art. 31, comma 2, del d.l. n. 69 del 2013 contiene l’espressa modifica dell’art. 38, comma 3, del d. lgs. n. 163 del 2006.
Inoltre il citato d.l., emanato per il rilancio dell’economia, non potrebbe modificare per incompatibilità una norma di fonte comunitaria come l’art. 38 del d. lgs. sopra richiamato.
Comunque l’invito a sanare una posizione contributiva previdenziale risultata irregolare, volto a favorire ravvedimenti operosi nell’ambito dei rapporti contributivi previdenziali, non potrebbe essere idoneo a trasformare a posteriori una dichiarazione in via sostitutiva irregolare, pena la violazione della funzione della dichiarazione stessa, del principio di leale concorrenza e di quello di par condicio.
a.4) Sulla presunta avvenuta regolarizzazione integrale degli inadempimenti previdenziali-assistenziali I.N.P.S. – I.N.A.I.L.
L’assunto contenuto in sentenza, che la ricorrente esclusa avrebbe comunque regolarizzato la propria posizione contributiva in data precedente alle verifiche effettuate dagli Enti previdenziali, sarebbe frutto di confusione tra la data di rilascio del d.u.r.c. con la data in cui la regolarità contributiva doveva essere accertata.
Infatti, anche se il d.u.r.c. emesso in data 18 giugno 2014 certificava un saldo a debito il 28 maggio 2014, la verifica della regolarità avrebbe riguardato la situazione esistente al 20 maggio 2014 (di scadenza per la presentazione delle offerte nella gara de qua), data in cui la ricorrente non sarebbe stata comunque in regola con il pagamento dei contributi previdenziali.
Tale assunto non sarebbe peraltro fondato su alcun documento o riscontro oggettivo, a parte un generico riferimento effettuato dalla ricorrente esclusa, e comunque il d.u.r.c. impugnato avrebbe contenuto l’affermazione che essa non aveva «dichiarato le retribuzioni per gli anni 2013»
I.6.- In data 24 marzo 2015 si è costituito in giudizio l’I.N.P.S..
I.7.- Con memoria depositata il 26 marzo 2015, la s.r.l. Cooperativa Sociale Onlus Segni di Integrazione ha dedotto l’infondatezza dell’appello, concludendo per la sua reiezione.
I.8.- Con memoria depositata il 26 marzo 2015, l’I.N.P.S. ha sostenuto la fondatezza della domanda cautelare proposta dalla società appellante.
I.9. Con memoria depositata il 26 giugno 2015, la società appellante ha contestato le tesi svolte dalla società appellata ed ha sostanzialmente ribadito le proprie tesi e richieste.
I.10.- Con memoria depositata il 30 giugno 2015, la Provincia di Verona ha dedotto l’infondatezza delle censure della s.r.l. cooperativa sociale ONLUS Segni di integrazione, in particolare contestando che la Provincia di Palermo avesse certificato che prima della scadenza del termine di presentazione delle offerte sussistessero crediti in favore di detta società, ed ha ribadito la fondatezza del proposto appello incidentale.
I.11.- Alla pubblica udienza del 16 luglio 2015 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti, come da verbale di causa agli atti del giudizio.
II.- Ritiene la Sezione che il presente giudizio sollevi questioni di diritto che meritano di essere deferite all’esame dell’Adunanza Plenaria.
II.1.- Anzitutto, il primo motivo dell’appello principale solleva la questione dei limiti entro i quali sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo in materia di legittimità del d.u.r.c.
L’art. 76, comma 4, del c.p.a. e l’art. 276, comma 2, del c.p.c. stabiliscono che, nella decisione della causa, il giudice procede secondo un ordine che antepone le questioni pregiudiziali a quelle di merito, sicché, poiché la questione di giurisdizione costituisce il necessario presupposto processuale della domanda ed il fondamento imprescindibile della potestas iudicandi del giudice adito, essa deve essere esaminata in via necessariamente prioritaria ogniqualvolta venga posta in discussione, al fine di consentire la riproposizione della domanda completamente impregiudicata davanti al giudice al quale spetta la giurisdizione sulla controversia (Consiglio di Stato, sez. V, 31 marzo 2015, n. 1684).
Secondo la parte appellante non sarebbe condivisibile la sentenza appellata, che ha ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo sulla questione oggetto del giudizio, sul presupposto che la controversia non riguarda la «gravità» della irregolarità accertata, ma il suo carattere definitivo, costituendo la relativa attestazione contenuta nel d.u.r.c. un requisito da valutarsi in sede di verifica dei requisiti di partecipazione, impugnabile unitamente al provvedimento conclusivo della procedura.
Il d.u.r.c. negativo emesso dall’I.N.P.S. avrebbe infatti natura di «dichiarazione di scienza avente carattere meramente dichiarativo» di dati in possesso dell’Ente previdenziale, assistita da pubblica fede ai sensi dell’art. 2700 del c.c. e facente prova fino a querela di falso, con giurisdizione del giudice ordinario sulle censure relative alle attestazioni in esso contenute.
II.1.1.- In proposito rileva il collegio che si sono formati due orientamenti giurisprudenziali nettamente contrastanti.
II.1.2.- A favore della tesi sostenuta dal giudice di primo grado, si sono pronunciate la sezione V del Consiglio di Stato (con le sentenze 16 febbraio 2015, n. 781, 14 ottobre 2014, n. 5064, ed 11 maggio 2009, n. 2874), nonché la sezione VI (con la sentenza 4 maggio 2015, n. 2219), rilevando che rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, adito per la definizione di una controversia avente ad oggetto l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’accertamento della regolarità del documento di regolarità contributiva, quale atto interno della fase procedimentale di verifica dei requisiti di ammissione dichiarati dal partecipante ad una gara (in quanto tale impugnabile non autonomamente, ma unitamente al provvedimento conclusivo), poiché in questo caso tale documento inerisce al procedimento amministrativo di aggiudicazione di un appalto.
Anche la Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con sentenza 9 febbraio 2011, n. 3169, ha affermato che la produzione della certificazione attestante la regolarità contributiva dell’impresa partecipante alla gara di appalto costituisce uno dei requisiti posti dalla normativa di settore ai fini dell’ammissione alla gara, sicché il giudice amministrativo ben può verificare la regolarità di tale certificazione, sia pureincidenter tantum, cioè con accertamento privo di efficacia di giudicato nel rapporto previdenziale, ai sensi dell’art. 8 del c.p.a.
In particolare, con la citata sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 2874 del 2009, è stato rilevato che non sussiste la violazione degli artt. 442, comma 1, e 444, comma 3, del c.p.c., devolutivi alla giurisdizione ordinaria delle controversie relative agli obblighi dei datori di lavoro e all’applicazione delle sanzioni civili per l’inadempimento di tali obblighi, poiché è diverso lo scrutinio compiuto dal giudice ordinario sui diritti previdenziali del lavoratore che si assumono violati, rispetto al sindacato effettuato dal giudice amministrativo sul loro corretto adempimento, attestato dal certificato di regolarità contributiva che le imprese affidatarie di un appalto pubblico devono presentare alla stazione appaltante, a pena di esclusione.
Nell’accertare il mancato versamento di contributi dovuti all’Ente di previdenza, lo scrutinio del giudice ha per oggetto la sussistenza del diritto del lavoratore dipendente alla contribuzione in relazione all’attività prestata ed al diritto al trattamento di quiescenza, mentre, nelle controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture da parte di soggetti tenuti al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica, oggetto di indagine del giudice è la mera regolarità della certificazione prodotta attestante la regolarità contributiva dell’impresa partecipante alla gara di appalto, che rappresenta un requisito della normativa di settore ai fini dell’ammissione alla gara (cfr. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 11 dicembre 2007, n. 25818).
La sussistenza di tale giurisdizione può peraltro desumersi dalla natura che può essere attribuita al provvedimento dell’ente previdenziale, di per sé conclusivo di un procedimento, ma per sua natura decisamente rilevante nell’ambito di un procedimento diverso.
Non è l’unico caso, peraltro, in cui nel nostro ordinamento vi è il decisivo rilievo di un atto emesso in un procedimento autonomo, poiché i provvedimenti conclusivi delle gare d’appalto – a loro volta – non possono che prendere in considerazione le risultanze dei provvedimenti emessi in tema di certificazioni antimafia.
Sotto tale aspetto, negare la sussistenza della giurisdizione amministrativa significherebbe ridurre significativamente l’effettività della tutela, spettante all’impresa che fondatamente lamenti l’illegittimità dell’atto dell’ente previdenziale, in ragione del mancato potere del giudice amministrativo di annullare l’atto lesivo, inerente alla gara, per un vizio derivato dal vizio di un provvedimento posto a sua base.
II.1.3.- Vi è tuttavia un opposto orientamento giurisprudenziale che esclude la giurisdizione del giudice amministrativo nella materia de qua, sostanzialmente per le ragioni poste dalla società appellante a sostegno delle sue censure.
Con la sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 12 marzo 2015, n. 1321, è stato infatti affermato che la giurisdizione del giudice amministrativo in materia deve escludersi in base ai principi affermati dalla sentenza del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 4 maggio 2012, n. 8.
Tale sentenza, in base all’esame dei momenti essenziali della disciplina de qua (competenza tecnica degli enti previdenziali in merito alla valutazione della gravità o meno delle violazioni previdenziali; natura del d.u.r.c. quale documento pubblico certificante ufficialmente la sussistenza o meno della regolarità contributiva, da ascrivere al novero delle dichiarazioni di scienza, assistite da fede pubblica privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 del c.c., e facenti piena prova fino a querela di falso; impossibilità per le stazioni appaltanti di valutare la gravità o meno delle violazioni previdenziali; rinvio del codice degli appalti alle valutazioni di gravità degli altri settori dell’ordinamento; vincolo per le stazioni appaltanti alle valutazioni dei competenti enti previdenziali), ha espresso il principio di diritto per cui «la verifica della regolarità contributiva delle imprese partecipanti a procedure di gara per l’aggiudicazione di appalti con la pubblica amministrazione è demandata agli istituti di previdenza, le cui certificazioni (d.u.r.c.) si impongono alle stazioni appaltanti, che non possono sindacarne il contenuto».
La sentenza n. 1321 del 2015 ha rilevato che le precedenti osservazioni inducono ad escludere la giurisdizione del giudice amministrativo in materia di valutazione del d.u.r.c., perché gli eventuali errori contenuti in detto documento involgono posizioni di diritto soggettivo afferenti al sottostante rapporto contributivo e possono essere corretti dal giudice ordinario, o all’esito della proposizione di una querela di falso, o a seguito di una ordinaria controversia in materia di previdenza e di assistenza obbligatoria: oggetto di valutazione ai fini del rilascio del certificato sarebbe così la regolarità dei versamenti, ed in questo ambito ciò che viene in rilievo non sarebbe un rapporto pubblicistico, ma un rapporto obbligatorio previdenziale di natura privatistica sul quale non inciderebbero direttamente o indirettamente poteri pubblicistici (in senso conforme si è pronunciata anche la sezione V del Consiglio di Stato, con la sentenza 17 maggio 2013, n. 2682).
Per la sentenza n. 1321 del 2015, non rileva il richiamo alla natura esclusiva della giurisdizione amministrativa in materia di affidamento di appalti pubblici, in quanto l’ampiezza della cognizione si allargherebbe a coprire non solo i fatti ed i diritti da conoscere incidenter tantum, ma anche i fatti ed i diritti inerenti ad un «accertamento fidefaciente», riservati alla cognizione in via principale del giudice ordinario.
In tali sensi si sono pure espresse la sezione V del Consiglio di Stato, con le sentenze 26 marzo 2014, n. 1468, e 3 febbraio 2011, n. 789, nonché la sezione IV, con la sentenza 12 marzo 2009, n. 1458, rilevando che ciò che viene in rilievo non è un rapporto pubblicistico, ma un rapporto obbligatorio previdenziale di natura privatistica.
II.1.3.- Alla luce delle considerazioni che precedono, deve, quindi rimettersi all’esame dell’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99, comma 1, del c.p.a., la seguente questione di diritto, fonte dei sopra evidenziati contrasti giurisprudenziali sorti in giurisprudenza:
a)“ «Se rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo, adito per la definizione di una controversia avente ad oggetto l’aggiudicazione di un appalto pubblico, ovvero al giudice ordinario, accertare la regolarità del documento unico di regolarità contributiva, quale atto interno della fase procedimentale di verifica dei requisiti di ammissione dichiarati dal partecipante ad una gara”.
II.2.- Nell’ipotesi in cui la Adunanza Plenaria si pronunci nel senso che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo nella materiade qua, si prospetta come dirimente nel caso in esame, ai fini della decisione del merito, una ulteriore problematica che pure deve rimettersi al suo esame, a causa del contrasto giurisprudenziale che è sorto al riguardo.
II.3.- Con la sentenza impugnata, è stato accolto il profilo di doglianza con il quale la s.r.l. Cooperativa Sociale Onlus Segni di Integrazione aveva dedotto l’illegittimità del d.u.r.c. per il mancato invito della società ricorrente a sanare la propria posizione contributiva, previa assegnazione di un termine di quindici giorni, ai sensi del citato art. 31, comma 8, del d. l. n. 69 del 2013, applicabileratione temporis alla fattispecie in esame.
II.3.1.- Il T.A.R., richiamato il contrasto giurisprudenziale formatosi al riguardo, ha ritenuto che tale mancanza determinerebbe la violazione delle norme pubblicistiche che regolano lo svolgimento delle gare pubbliche.
Il T.A.R. ha aderito all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale è illegittima l’esclusione della concorrente dalla gara d’appalto, se disposta prima dello spirare del termine quindicinale fissato dal citato art. 31, comma 8, del d. l. n. 69 del 2013, in quanto, stante il carattere vincolante del d.u.r.c. quanto alla gravità della irregolarità rilevata (che si impone alla s.a. senza possibilità di vagliarne il contenuto), la irregolarità eventualmente commessa potrebbe essere attestata e definitivamente accertata solo dopo che la parte interessata sia stata invitata a regolarizzare la propria posizione ai sensi del comma 8 dell’art. 31 citato.
Pertanto, il requisito della regolarità contributiva dovrebbe essere valutato con riferimento non al momento di presentazione della domanda di partecipazione alla procedura di gara, ma al momento di scadenza del termine fissato dal medesimo art. 31, comma 8.
II.3.2.- Con l’atto d’appello principale, come già evidenziato, è stato sostenuto in proposito che l’art. 31, comma 8, del d.l. n. 69 del 2013 non avrebbe introdotto alcuna espressa modifica del d. lgs. n. 163 del 2006, dovendosi anche considerare che l’art. 255 del medesimo dl.gs ha stabilito che ogni intervento normativo incidente sul codice o sulle materie da esso disciplinate va attuato mediante esplicita modifica, integrazione, deroga o sospensione delle specifiche disposizioni in esso contenute.
L’applicazione dell’art. 31, comma 8, non potrebbe essere estesa sino a ritenere abrogato implicitamente l’art. 38 del d. lgs n. 163 del 2006.
Il comma 8 potrebbe trovare applicazione solo nei casi in cui l’Ente previdenziale si trovi ad emettere un d.u.r.c. o un documento attestante l’attuale situazione contributiva di un soggetto, ma non nell’ipotesi in cui sia stata richiesta la certificazione di un dato storico.
L’interpretazione della normativa data dal T.A.R. non troverebbe giustificazione nella necessità di consentire la massima partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici (perché in tal modo verrebbe sanata la posizione delle società che in sede di offerta abbiano certificato la propria regolarità contributiva, in realtà insussistente) e violerebbe sotto diversi profili il principio di evidenza pubblica di tutela dell’interesse pubblico alla scelta di un contraente affidabile e quello della par condicio tra le concorrenti, nonché determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti degli operatori economici stabiliti in Stati diversi dall’Italia.
Solo in caso di contenzioso giudiziario sulla regolarità del d.u.r.c. l’attestazione in esso contenuta, ex art. 8, comma 2, lett. b), del d.m. 24 ottobre 2007, sarebbe considerabile come ‘non definitiva’.
Simili considerazioni sono state effettuate con l’appello incidentale della Provincia di Verona.
II.3.3.- Rileva il collegio che anche in proposito coesistono due orientamenti giurisprudenziali contrastanti.
II.3.4.- Nel senso fatto proprio dalla sentenza appellata si è pronunciata la sezione V del Consiglio di Stato con la sentenza 14 ottobre 2014, n. 5064, con la quale, premesso che con sentenza n. 8 del 2012 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha attribuito al d.u.r.c. carattere vincolante quanto al diverso requisito della ‘gravità’ dell’irregolarità contributiva (che si impone alle stazioni appaltanti che non possono sindacarne il contenuto), è stato affermato che a diverse conclusioni deve invece pervenirsi con riguardo al requisito del carattere ‘definitivo’ di dette irregolarità, richiesto dalla normativa in materia in aggiunta a quello della ‘gravità’ delle stesse.
Infatti, in base al comma 3 dell’art. 7 del d.m. Lavoro e Previdenza Sociale 24 ottobre 2007 (relativo appunto al documento unico di regolarità contributiva), l’Ente previdenziale è obbligato ad invitare l’impresa a regolarizzare la propria posizione in caso di mancanza dei requisiti di cui all’art. 5. Inoltre, la necessità del previo invito alla regolarizzazione è stato recepita, a livello di legislazione primaria, dall’art. 31, comma 8, del d.l. n. 69 del 2013, costituente la conferma di un preciso indirizzo di politica legislativa volto a favorire la massima partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici; pertanto la stazione appaltante è tenuta a procedere ad accertare in via autonoma la sussistenza di una irregolarità definitiva del rapporto previdenziale e non già limitarsi ad una presa d’atto della irregolarità.
Con la successiva sentenza 16 febbraio 2015, n. 781, la medesima sezione V ha aggiunto che non rilevavano nella specie i principi affermati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 8 del 2012, in quanto il d.l. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, in l. n. 98 del 2013, ha sostanzialmente modificato l’art. 38 del d. lgs. n. 163 del 2006, laddove stabilisce che il requisito della regolarità contributiva deve sussistere alla data di presentazione della domanda di partecipazione alla procedura concorsuale e, in base a quanto stabilito dall’art. 31, comma 8, del d.l. stesso, il requisito della regolarità contributiva deve sussistere al momento di scadenza del termine di quindici giorni assegnato dall’Ente previdenziale per la regolarizzazione della posizione contributiva.
Per quest’ultima sentenza, in assenza della assegnazione del termine, il d.u.r.c. negativo è da ritenersi irrimediabilmente viziato ed inidoneo a giustificare la esclusione della impresa cui è relativo, in quanto non si verte in materia di sindacabilità del suo contenuto da parte della stazione appaltante, ma di definitività dell’accertamento della violazione.
Anche la sezione III del Consiglio di Stato, con la sentenza 1° aprile 2015, n. 1733, ha ritenuto che, qualora in pendenza del termine assegnato dall’ente previdenziale per la regolarizzazione, ai sensi dell’art. 31, comma 8, del d.l. 69 del 2013, venga presentata la domanda di partecipazione alla gara e venga effettuato il pagamento di quanto dovuto o comunque la situazione di irregolarità venga altrimenti estinta, la situazione di irregolarità dell’impresa non può dirsi ‘definitivamente accertata’; in tali casi, la stazione appaltante deve tener conto di detta qualificazione giuridica, che discende direttamente dalla norma, e dell’effetto di regolarizzazione verificatosi in corso di gara ai fini del giudizio definitivo sull’ammissione dell’offerta e dell’eventuale aggiudicazione.
Ciò potrebbe essere effettuato integrando i modelli di dichiarazione posti a corredo della domanda di partecipazione, al fine di considerare l’eventuale esistenza di una fase di regolarizzazione e, comunque (anche qualora la circostanza emerga solo attraverso il contraddittorio con l’impresa in sede di verifica dei requisiti), acquisendo dall’Ente previdenziale una attestazione riferita alla data di scadenza del termine assegnato per la regolarizzazione.
II.3.5.- In senso del tutto diverso e sostanzialmente convergente con le tesi delle appellanti si è espressa invece la sezione V del Consiglio di Stato con la sentenza 23 febbraio 2015, n. 874, con la quale è stato sostenuto che l’art. 31, comma 8, del d.l. n. 69 del 2013 riguarda l’Ente preposto al rilascio, o all’annullamento, del d.u.r.c., ma non concerne la stazione appaltante, e non può quindi pregiudicare la legittimità degli atti di gara.
Come chiarito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in tema di gare ad evidenza pubblica, ai sensi e per gli effetti dell’art. 38, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 163 del 2006, anche nel testo vigente anteriormente al d.l. n. 70 del 2011, costituiscono causa di esclusione dalle gare di appalto le ‘gravi violazioni’ alle norme in materia previdenziale e assistenziale) la nozione di “violazione grave” non è rimessa alla valutazione caso per caso della stazione appaltante, ma si desume dalla disciplina previdenziale e in particolare dalla disciplina del d.u.r.c.; a tanto è stato fatto conseguire che la verifica della regolarità contributiva delle imprese partecipanti a procedure di gara per l’aggiudicazione di appalti con la P.A. è demandata agli Istituti di previdenza, le cui certificazioni si impongono alle stazioni appaltanti, che non possono sindacarne il contenuto e a maggior ragione non possono sindacare la legittimità del d.u.r.c., che deve invece essere contestata dall’interessato in altra sede, con le forme e i mezzi previsti dall’ordinamento.
Nello stesso senso si è espressa la sezione VI con la sentenza 4 maggio 2015, n. 2219, con la quale – premesso che la verifica della regolarità contributiva delle imprese partecipanti alle procedure di gara per l’aggiudicazione di appalti con la P.A. è demandata agli Istituti di previdenza, le cui certificazioni si impongono alle stazioni appaltanti, che non possono quindi sindacarne né il contenuto (come rilevato dalla sentenza della Adunanza Plenaria 4 maggio 2012, n. 8) né la legittimità, che deve essere contestata dall’interessato con le forme e i mezzi previsti dall’ordinamento – è stato affermato che l’art. 31, comma 8, del d.l. n. 69 del 2013 – pur mirando a mitigare la rigidità di situazioni di irregolarità – non ha inciso sulle modalità di controllo della situazione contributiva da parte della stazione appaltante con riferimento alle gare pubbliche, né ha introdotto una sorta di sanatoria per l’impresa che anche al momento della scadenza del termine per la presentazione dell’offerta (e anche dopo) continui a non trovarsi in una situazione di regolarità contributiva.
Per tale orientamento, può anche considerarsi definitiva la irregolarità della posizione contributiva soltanto allo scadere del termine previsto per la sua regolarizzazione ai sensi del citato comma 8, ma sempre nel rispetto dei termini per presentare l’offerta per partecipare alla gara, in quanto l’interpretazione di favore non può far sostenere la avvenuta regolarità anche quando sia ormai scaduto ogni termine, pena la violazione dei principi di tutela dell’interesse pubblico alla scelta del contraente affidabile e della par condicio tra i concorrenti.
II.3.5.- Alla luce delle pregresse considerazioni, deve quindi rimettersi all’esame dell’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99, comma 1, del c.p.a., la seguente ulteriore questione di diritto, rilevante ai fini della decisione della causa:
a) “Se la norma di cui all’art. 31, comma 8, del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni, nella l. 9 agosto 2013, n. 98, sia limitata al rapporto tra impresa ed Ente preposto al rilascio del d.u.r.c. senza che lo svolgimento di tale fase riguardi la stazione appaltante (dovendo essa applicare comunque l’art. 38 del d. lgs. n. 163 del 2006, che richiede il possesso dei requisiti al momento della partecipazione alla gara), ovvero se la disposizione abbia sostanzialmente modificato, per abrogazione tacita derivante da incompatibilità, detto art. 38 e si possa ormai ritenere che la definitività della irregolarità sussista solo al momento di scadenza del termine di quindici giorni da assegnare da parte dell’Ente previdenziale per la regolarizzazione della posizione contributiva”.
III.- In conclusione, stante gli evidenziati contrasti giurisprudenziale in atto, il presente appello viene deferito all’esame dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, co. 1, c.p.a.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) non definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe n. 2053 del 2015, ne dispone il deferimento all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Manda alla segreteria della sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all’adunanza plenaria.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 luglio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Carlo Schilardi, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il 21/10/2015.