Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 5041 del 4 novembre 2015 ha precisato che un concorrente non può essere escluso dalla gara per il solo e semplice fatto di aver reso una dichiarazione sintentica.
Ad avviso del Collegio il principio secondo cui l’esclusione dalla gara va disposta non già per il semplice fatto della mera incompletezza della dichiarazione relativa alla sussistenza dei requisiti di moralità (fatto puramente formale), ma solamente nel caso in cui i requisiti risultino effettivamente mancanti – principio informato a criteri di giustizia sostanziale e già formulato per una fattispecie concernente le dichiarazioni dei soggetti cedenti rami d’azienda (C.S., Ad.Pl., 16.10.2013 n.23) – ben può essere predicato come principio di portata generale.
Non appare, infatti, giusto né equo al Collegio, che un soggetto che possa dimostrare – eventualmente anche facendo ricorso agli strumenti procedimentali di c.d. “soccorso istruttorio” previsti dall’Ordinamento – di avere tutti i prescritti requisiti morali (oltre agli altri richiesti dal bando), e che abbia inteso dichiarare in buona fede di esserne in possesso, sia escluso da una procedura concorsuale per il solo e semplice fatto (formale) di aver errato (rectius: di aver commesso un errore materiale, per omissione) nella esposizione delle sue affermazioni al riguardo (o per il semplice fatto di essersi discostato dalla pedissequa riproduzione del modello di dichiarazione prescritto nel bando).
Ovvero – ciò che è peggio – che venga escluso dalla gara (lo si ribadisce: non ostante il possesso di tutti i requisiti e non ostante la possibilità di ricorrere al meccanismo procedimentale del c.d. ‘soccorso istruttorio’) per il solo e semplice fatto di aver reso una dichiarazione che, pur se sostanzialmente ‘omnicomprensiva’ delle informazioni richieste dalla PA, sia stata espressa in forma sintetica (ma non per questo linguisticamente e sintatticamente meno completa) anzicchè in forma analitica.
Essendo ben noto – come teorizzato ed affermato in ogni sistema speculativo che si basi su criteri logici – che le formule definitorie ‘sintetiche’ non sono – per il semplice fatto di essere tali – fisiologicamente (e strutturalmente) meno efficaci e meno complete di quelle ‘analitiche’.
Il Collegio nella sentenza ha inoltre ribadito ( Leggi l’articolo sulla precedente sentenza) che allorquando un’impresa intenda avvalersi (mediante stipula di ‘contratto di avvalimento’) dei requisiti finanziari di un’altra (c.d. “avvalimento di garanzia”), la ‘prestazione’ (oggetto specifico dell’obbligazione) è costituita non già dalla messa a disposizione da parte dell’impresa ausiliaria di strutture organizzative e mezzi ‘materiali’, ma dal suo impegno a “garantire” con le proprie complessive risorse economiche – il cui indice è costituito dal fatturato – l’impresa ‘ausiliata’ (munendola, così, di un requisito che altrimenti non avrebbe e consentendole di accedere alla gara nel rispetto delle condizioni poste dal Bando) (C.S., III^, 2.3.2015 n.1020; Id., 6.2.2014 n.584 e 4.12.2014 n.5978). In altri termini, ciò che la impresa ausiliaria ‘presta’ alla (rectius: mette a disposizione della) ‘impresa ausiliata’ è il suo valore aggiunto in termini di “solidità finanziaria” e di acclarata “esperienza di settore”, dei quali il fatturato costituisce indice significativo.
Ne consegue, specifica il Collegio, che non occorre che la dichiarazione negoziale costitutiva dell’impegno contrattuale si riferisca a specifici beni patrimoniali (o ad indici materiali atti ad esprimere una determinata consistenza patrimoniale) e dunque alla messa a disposizione di beni da descrivere ed individuare con precisione, essendo sufficiente che da essa (dichiarazione) emerga l’impegno (contrattuale) della società ausiliaria a ‘prestare’ (ed a mettere a disposizione della c.d. società ausiliata) la sua complessiva solidità finanziaria ed il suo patrimonio esperienziale, garantendo con essi una determinata affidabilità ed un concreto supplemento di responsabilità (C.S., V^, 27.4.2015 n.2063; nonché già citate: C.S., III^, 2.3.2015 n.1020; Id., 6.2.2014 n.584 e 4.12.2014 n.5978).
Di seguito il testo della sentenza.
***
N. 05041/2015REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1940 del 2015, , proposto dalla società TUNDO VINCENZO s.r.l , in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Saverio Sticchi Damiani, presso il cui studio, in Roma, Piazza San Lorenzo in Lucina n. 26, è elettivamente domiciliato;
contro
AZIENDA SANITARIA LOCALE BARI, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Giovanna Corrente, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Alfredo Placidi in Roma, Via Cosseria N. 2;
nei confronti di
Società CAPOGNA AUTOSERVIZI s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., in proprio e nella qualità di capogruppo mandataria del raggruppamento temporanei di imprese con le società mandanti AUTONOLEGGI DIGIULIO s.r.l. e con BAGLIVI TOURS s.r.l., in persona dei rispettivi rappresentanti legali, rappresentati e difesi – tutti – dagli Avv.ti Sante Nardelli e Giovanni Vittorio Nardelli, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Alfredo Placidi in Roma, Via Cosseria, 2;
per la riforma
della sentenza n.12/2015 del T.A.R. PUGLIA – BARI: SEZIONE I^
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Azienda Sanitaria Locale Bari e della società Capogna Autoservizi s.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Nominato Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 maggio 2015 il Cons. Avv. Carlo Modica de Mohac e uditi per le parti l’Avv. Saverio Sticchi Damiani, l’Avv. Donati su delega dell’Avv. Giovanna Corrente e l’Avv. Giovanni Vittorio Nardelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO
I. Con deliberazione DG n.535 del 22.3.2012 l’ASL Bari indiceva una gara (mediante c.d. “procedura aperta” ai sensi dell’art.55 del D.Lgs. n.163/2006), suddivisa in quattro lotti, per l’affidamento del servizio di trasporto agli utenti diversamente abili presso i centri riabilitativi di tutti i Comuni della provincia di Bari (per un periodo pari a tre anni eventualmente prorogabili per altri dodici mesi), da aggiudicare mediante il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per i seguenti importi annuali:
– Lotto n.1: €.3.341.100;
– Lotto n.2: €.3.453.500;
– Lotto n.3: €.3.002.700;
– Lotto n.4: €.2.009.100.
Il punteggio relativo all’offerta economicamente più vantaggiosa era ripartito nei seguenti termini:
– offerta economica: punti assegnabili: 70/100;
– offerta tecnica: punti assegnabili: 30/100.
La ricorrente presentava la propria offerta per l’appalto di cui al Lotto n.1.
In data 3.12.2012 il Seggio di gara, in seduta pubblica, procedeva all’apertura delle buste contenenti la documentazione amministrativa delle ditte partecipanti, all’esame della stessa ed all’ammissione delle ditte medesime alle successive fasi di gara che si risolvevano:
– nell’esame e valutazione delle offerte tecniche, con attribuzione dei relativi punteggi da parte della Commissione giudicatrice;
– nella pubblica lettura dei punteggi relativi all’offerta tecnica;
– nell’apertura delle buste contenenti le offerte economiche con attribuzione dei relativi punteggi (e conseguente operazione di sommatoria con i punteggi attribuiti alle offerte tecniche;
– nella conseguente formazione della graduatoria ed aggiudicazione provvisoria – nella seduta pubblica del 18.11.2013 – dell’affidamento relativo a ciascun lotto.
Per il Lotto n.1 risultava aggiudicataria la società CAPOGNA AUTOSERVIZI s.r.l. in raggruppamento temporaneo di imprese con le società mandanti AUTONOLEGGI DIGIULIO s.r.l. e BAGLIVI TOURS s.r.l. (d’ora in poi denominata, per maggior semplicità, “CAPOGNA AUTOSERVIZI”); ed in seconda posizione veniva collocata la società TUNDO VINCENZO s.r.l. (d’ora in poi denominata semplicemente “TUNDO”).
Infine, con deliberazione DG n.932 del 26.5.2014, l’ASL Bari procedeva all’aggiudicazione definitiva del Lotto n.1 in favore della società CAPOGNA AUTOSERVIZI.
II. Con ricorso (n.939/2014) innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, la società TUNDO impugnava tale ultima deliberazione chiedendone l’annullamento per le conseguenti statuizioni dichiarative conformative e di condanna.
Con il primo articolato mezzo di gravame lamentava violazione del Bando e del Disciplinare di gara (paragrafo 17), nonché violazione e falsa applicazione degli artt.37 e 49 del D.Lgs. n.163 del 2006, e degli artt. 88 e 275 del D.P.R. n.207 del 2010 sotto tre differenti profili.
Con il primo profilo di doglianza deduceva che il c.d. contratto di ‘avvalimento’ sottoscritto dalla società aggiudicataria “avvalente” (rectius: ‘avvalentesi’, e cioè la CAPOGNA AUTOSERVIZI s.r.l. in qualità di capogruppo mandataria) con le società mandanti “ausiliarie” (AUTONOLEGGI DI GIULIO s.r.l. e BAGLIVI TOURS s.r.l.), è eccessivamente generico (circa l’indicazione delle risorse); e ciò in quanto da esso non si evince il quantum ‘prestato’, né quali siano, in concreto,i mezzi messi a disposizione.
Con il secondo profilo di doglianza deduceva che il disciplinare di gara vietava – a pena di inammissibilità – che più di un ‘concorrente’ si avvalesse della medesima impresa ausiliaria, ciò che invece è avvenuto all’interno del raggruppamento CAPOGNA AUTOSERVIZI.
Con il terzo profilo di doglianza di cui al primo articolato mezzo di gravame deduceva, infine:
– che la mandataria avrebbe dovuto possedere comunque i requisiti;
– che in capo ad ogni componente del medesimo raggruppamento temporaneo d’imprese dev’esservi una corrispondenza tra quote proporzionali di partecipazione al raggruppamento, quote proporzionali relative all’esecuzione della prestazione e quote proporzionali dei relativi requisiti finanziari; che, nella fattispecie, la mandataria capogruppo CAPOGNA AUTOSERVIZI e la mandante AUTONOLEGGI DIGIULIO hanno dichiarato di partecipare al raggruppamento per le quote, rispettivamente, del 50% e del 40%, e che pertanto avrebbero dovuto partecipare alle spese per la realizzazione del servizio nella stessa quota e possedere il requisito economico-finanziario ciascuna in pari proporzione alla propria quota.
Con il secondo mezzo di gravame la ricorrente società TUNDO lamentava violazione e falsa applicazione dell’art.38, comma 1, lett.’c’ del D.Lgs. n.163 del 2006, e violazione del bando di gara sotto altro profilo, deducendo che la dichiarazione dell’aggiudicataria in ordine al possesso dei cc.dd. ‘requisiti morali’ era incompleta in quanto espressa con formula sintetica eccessivamente generica ed inammissibilmente “omnicomprensiva”.
Ritualmente costituitasi, l’Amministrazione sanitaria eccepiva l’infondatezza del ricorso.
Si costituiva altresì l’aggiudicataria CAPOGNA AUTOSERVIZI eccependo l’infondatezza del ricorso e proponendo ricorso incidentale, nel quale rappresentava che il ‘contratto di avvalimento’ sottoscritto dalla società TUNDO era certamente meno specifico di quello da essa sottoscritto; e sottolineava, conseguentemente, il carattere puramente emulativo della doglianza di parte avversa (inammissibilmente volta a contestare un preteso altrui difetto senza considerare di esserne affetto in maniera maggiore).
Nel corso del giudizio le parti insistevano con ulteriori scritti difensivi nelle rispettive richieste ed eccezioni.
III. Con sentenza n.12 del 3.12.2014 (pubblicata in data 8.1.2015), il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sez.I^, ha respinto il ricorso principale e dichiarato improcedibile quello incidentale.
IV. Con l’appello in esame la società TUNDO – già ricorrente e soccombente in primo grado – ha impugnato la predetta sentenza e ne chiede l’annullamento e/o la riforma per i motivi indicati nella successiva parte della presente decisione.
Ritualmente costituitasi l’Amministrazione ha eccepito l’infondatezza del ricorso, chiedendone il rigetto con vittoria di spese.
Si è costituita anche l’aggiudicataria CAPOGNA AUTOSERVIZI che ha eccepito l’infondatezza dell’appello; e che ha altresì proposto appello incidentale con il quale ha riproposto i motivi dedotti con il ricorso incidentale proposto in primo grado (e non esaminati per effetto della pronuncia di improcedibilità relativa a tale atto).
Nel corso del giudizio le parti hanno insistito – anche con ulteriori scritti difensivi – nelle rispettive domande giudiziali, eccezioni e controdeduzioni.
Infine, all’udienza fissata per la discussione conclusiva sul merito dell’appello, la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è infondato.
1.1. Va innanzitutto rilevata la inammissibilità per difetto d’interesse (e per irrilevanza) della ‘censura’ di cui al primo motivo di appello, con cui l’appellante ha ritenuto di precisare – in punto di fatto ma senza trarne alcuna conseguenza pratica in punto di diritto – che il Giudice di primo grado ha assunto erroneamente che la gara si è svolta “con la partecipazione di più di due concorrenti”, mentre ad essa hanno partecipato solamente i due contendenti.
Poiché a tale ‘puntualizzazione’ la ricorrente non ha ricollegato alcuna precisa e connessa domanda giudiziale, è evidente che per il dedotto profilo la sentenza resiste comunque alla ‘doglianza’.
1.2. Con il secondo motivo di gravame l’appellante (società TUNDO VINCENZO s.r.l.) si duole dell’asserita ingiustizia della sentenza appellata, lamentando che il Giudice di primo grado ha erroneamente respinto il primo motivo di doglianza del ricorso introduttivo.
Con esso la ricorrente (odierna appellante) lamentava – e con l’appello in esame reitera tale doglianza – violazione e falsa applicazione violazione dell’art.38, comma 1, lett.’c’, del D.lgs. n.163/2006, deducendo:
– che la dichiarazione dell’aggiudicataria in ordine al possesso dei cc.dd. requisiti morali è incompleta in quanto espressa con formula sintetica ed “omnicomprensiva”;
– che, in particolare, nella dichiarazione in questione è stato omesso lo specifico riferimento al mancato compimento dei fatti di reato ritenuti più gravi (nella specie: il riferimento specifico a quelli consistenti in partecipazione ad un’organizzazione criminale, corruzione, frode e riciclaggio);
– e che anche le dichiarazioni sottoscritte dai singoli soggetti interessati (amministratori e/o soci) sono da considerare incomplete per la medesima ragione.
L’articolata doglianza è infondata sotto più profili.
1.2.1. Innanzitutto per una ragione di carattere logico-linguistico di immediata percezione.
Posto che è incontrovertibile – come ben rappresentato da un proverbiale detto (idoneo ad esprimere con sintetica semplicità una intuitiva verità) – che “nel più sta il meno”, appare evidente che la dichiarazione attestante l’assenza – in capo al soggetto ‘controllato’ – di qualsiasi reato che incida sulla moralità e sulla capacità professionale (dichiarazione che comporterebbe, nel caso di opposto contenuto, un onere di valutazione da parte della Stazione appaltante), non possa non includere, seppur implicitamente (dunque: non possa che implicare), anche l’affermazione dell’assenza – in capo al medesimo soggetto – dei ‘più gravi’ fatti di reato, tassativamente menzionati dall’art.38 cit. (partecipazione ad una organizzazione criminale, corruzione, frode e riciclaggio), per i quali è prevista la c.d. ‘esclusione automatica’.
1.2.2. Ma anche a prescindere da tale ovvia considerazione, non può essere ignorato che nella fattispecie dedotta in giudizio era lo stesso Disciplinare di gara (all’art.10 lett. C) che consentiva di formulare la dichiarazione di cui all’art.38 del codice degli appalti “in modo omnicomprensivo”; utilizzando, cioè, una pericope attestante (con formula sintetica, ma non perciò imprecisa) la inesistenza di tutte le cause di esclusione previste dalla norma.
Ciò significa che – in conformità al c.d. ‘principio della libertà delle forme’ – non era richiesta alcuna formula rigidamente predefinita; essendo richiesto esclusivamente che quella utilizzata fosse esaustiva.
Il che appare tranciante.
1.2.3. E ciò non senza sottolineare che la questione relativa all’asserita invalidità o inefficacia delle dichiarazioni rese dai singoli soci ben poteva ritenersi definitivamente superata e comunque non realmente costitutiva di alcun reale intralcio all’aggiudicazione – come correttamente ha fatto l’Amministrazione – per effetto (ed in ragione) dell’avvenuta formulazione e produzione delle più analitiche, dettagliate e formalmente complete dichiarazioni rese per loro (e sul loro conto) dalle società delle quali essi sono soci.
E poiché in nessuna parte del bando o del disciplinare di gara era previsto, e tanto meno a pena di esclusione, che i singoli soggetti interessati dovessero rendere autonome dichiarazioni (pur in presenza di dichiarazioni rese, per loro, dalle imprese partecipanti ai raggruppamenti), e la sussistenza di un obbligo di tal fatta non è ricavabile neanche dall’art,38, comma 1, lett. ‘c’ del codice dei contratti pubblici (norma che ha la funzione di assicurare che la stazione appaltante riceva ed acquisisca la prescritta ‘informativa’ concernente la effettiva sussistenza dei requisiti morali in capo ai soggetti ivi indicati, e non certo lo scopo di aggravare inutilmente il procedimento), la sentenza appellata resiste alla doglianza anche sotto l’esposto profilo.
1.2.3. Ma la doglianza si appalesa infondata anche per un ulteriore motivo.
Non appare revocabile in dubbio che prima di pervenire alla drastica e radicale decisione di escludere dalla gara un partecipante, la Stazione appaltante abbia l’obbligo di avviare un minimo di istruttoria volta all’accertamento della verità (nella specie: all’accertamento in ordine alla effettiva inesistenza dei requisiti di moralità); ciò che di regola va fatto mediante lo strumento procedimentale del c.d. “soccorso istruttorio”.
Né potrebbe opporsi che nel caso dedotto in giudizio tale rimedio era da considerare comunque inammissibile (e dunque vietato); e che pertanto l’esclusione immediata dell’aggiudicataria era – come prospettato dall’appellante – l’unica soluzione praticabile (e si atteggiava come ‘atto dovuto’).
Per smentire tale assunto – e ferme restando le precedenti considerazioni (che escludono in radice che le dichiarazioni fossero ‘generiche’ e/o comunque inidonee ad attestare quanto richiesto dalla legge) – è sufficiente rilevare che nel caso di specie non si verteva in ipotesi di mancanza assoluta (e cioè di omessa produzione) di documenti richiesti dal bando, ma – al più – di avvenuta produzione di documenti assoggettabili a verifiche e ad analisi.
Sicchè, contrariamente a quanto l’appellante mostra di credere, l’obiettivo (e/o l’effetto) del ‘soccorso istruttorio’ non sarebbe stato quello di ‘sanare’ una lacuna documentale (e ciò in violazione del c.d. ‘principio della par condicio dei partecipanti’ e del ‘principio della tassatività dei termini per le produzioni richieste’), ma – più semplicemente – quello di integrare una fonte documentale. Più in particolare: di acquisire lumi in ordine al preciso senso da attribuire alle dichiarazioni in questione, al fine di eventualmente consentirne l’integrazione (in funzione puramente chiarificatrice), affinchè potessero realizzare in pieno la loro fisiologica funzione (consistente non già nell’introduzione di un ennesimo insidioso ostacolo per l’imprenditore, ma nel conseguimento – nell’interesse della stessa Amministrazione – del più efficace risultato della procedura concorsuale).
Dal che deriva, concludendo sul punto, l’infondatezza della tesi propugnata dall’appellante (società TUNDO), volta ad affermare il principio secondo cui la semplice incompletezza delle dichiarazioni richieste, in sede di gara, ai sensi dell’art.38 del codice dei contratti pubblici, comporterebbe l’obbligo della Stazione appaltante di procedere alla immediata esclusione dei soggetti che le hanno rese.
1.2.4. Non ostante le osservazioni fin qui svolte siano assorbenti (e comunque univocamente concludenti), il Collegio non si esime dal puntualizzare che, a suo avviso, la doglianza è comunque infondata anche sotto un ennesimo e (più) pervasivo profilo.
Ad avviso del Collegio il principio secondo cui l’esclusione dalla gara va disposta non giàper il semplice fatto della mera incompletezza della dichiarazione relativa alla sussistenza dei requisiti di moralità (fatto puramente formale), ma solamente nel caso in cui questi ultimi (id est: i requisiti) risultino effettivamente mancanti – principio informato a criteri di giustizia sostanziale e già formulato per una fattispecie concernente le dichiarazioni dei soggetti cedenti rami d’azienda (C.S., Ad.Pl., 16.10.2013 n.23) – ben può essere predicato come principio di portata generale.
Non appare, infatti, giusto né equo che un soggetto che possa dimostrare – eventualmente anche facendo ricorso agli strumenti procedimentali di c.d. “soccorso istruttorio” previsti dall’Ordinamento – di avere tutti i prescritti requisiti morali (oltre agli altri richiesti dal bando), e che abbia inteso dichiarare in buona fede di esserne in possesso, sia escluso da una procedura concorsuale per il solo e semplice fatto (formale) di aver errato (rectius: di aver commesso un errore materiale, per omissione) nella esposizione delle sue affermazioni al riguardo (o per il semplice fatto di essersi discostato dalla pedissequa riproduzione del modello di dichiarazione prescritto nel bando).
Ovvero – ciò che è peggio – che venga escluso dalla gara (lo si ribadisce: non ostante il possesso di tutti i requisiti e non ostante la possibilità di ricorrere al meccanismo procedimentale del c.d. ‘soccorso istruttorio’) per il solo e semplice fatto di aver reso una dichiarazione che, pur se sostanzialmente ‘omnicomprensiva’ delle informazioni richieste dalla PA, sia stata espressa in forma sintetica (ma non per questo linguisticamente e sintatticamente meno completa) anzicchè in forma analitica.
Essendo ben noto – come teorizzato ed affermato in ogni sistema speculativo che si basi su criteri logici – che le formule definitorie ‘sintetiche’ non sono – per il semplice fatto di essere tali – fisiologicamente (e strutturalmente) meno efficaci e meno complete di quelle ‘analitiche’.
1.3. Con il terzo mezzo di gravame la società appellante si duole dell’asserita ingiustizia della sentenza appellata, lamentando che erroneamente il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia ha respinto il secondo motivo del ricorso proposto in primo grado.
Con esso la ricorrente (oggi appellante) lamentava – e con l’appello in esame reitera tale doglianza – violazione ed erronea applicazione dell’art.49 del D.Lgs. n.163 del 2006, dell’art.88 del DPR n.207 del 2010, nonché violazione del bando ed eccesso di potere per erronea presupposizione, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, illogicità manifesta, contraddittorietà, perplessità e sviamento, articolando tre differenti profili di doglianza autonomamente volti a contestare e criticare l’uso, da parte dell’aggiudicataria, dell’istituto del c.d “avvalimento”.
Al riguardo valga quanto segue.
1.3.1. Con il primo profilo del gravame in esame, l’appellante società TUNDO deduce che i ‘contratti di avvalimento’ sottoscritti rispettivamente dalla CAPOGNA AUTOSERVIZI (con la società BAGLIVI TOURS s.r.l. e ) e dalla società AUTONOLEGGI DIGIULIO s.r.l (con la predetta società BAGLIVI TOURS s.r.l.) sono eccessivamente generici (circa l’indicazione delle risorse), in quanto da esso non si evince il c.d. quantum ‘prestato’ né, in concreto, quali mezzi materiali siano stati posti a disposizione della c.d. società “ausiliata”.
La doglianza non merita accoglimento.
Al riguardo non può non concordarsi con quanto ritenuto dal Giudice di primo grado; e cioè che i ‘contratti di avvalimento’ sottoscritto dalla società controinteressata (aggiudicataria), non sono affatto generici.
La Stazione appaltante aveva richiesto di dimostrare la esistenza di un “fatturato globale”, relativo al triennio corrente dal 2008 al 2010, pari (o superiore) a €.5.000.000,00.
Orbene, in ciascuno dei ‘contratto di avvalimento’ è chiaramente stabilito che la società ausiliaria ‘presta’ alla (rectius: mette a disposizione della) c.d. “ausiliata”, “la sua capacità economico-finanziaria, nonché tutte le risorse, nessuna esclusa, per consentire l’esecuzione del servizio”.
Ciascuno dei due contratti in questione precisa, inoltre – ed è ciò che maggiormente rileva – che le risorse messe a disposizione sono costituite:
– da “parte del proprio fatturato globale di impresa conseguito nel triennio 2008-2010, complessivamente pari ad €.4.449.705,21 (i.v.a. esclusa), necessaria per il raggiungimento del requisito speciale mancante all’avvalente”;
– da“tutte le risorse, mancanti all’avvalente, economico-finanziarie adeguate ed idonee per l’esecuzione del servizio in appalto”
– nonché da “ogni bene” e dalle “risorse di qualsiasi genere e tipo nella disponibilità dell’impresa ausiliaria, ivi comprese eventuali consulenze e supporto, ove necessario, organizzativo e direzionale per l’esecuzione del servizio in appalto”.
Sicchè è evidente che la somma delle due frazioni (letteralmente: “parti”) del fatturato messe a disposizione dalla società ausiliaria è sufficiente ad integrare il complessivo requisito finanziario richiesto dal bando.
I contratti specificano, infine, che l’operatore ausiliario assume “la responsabilità solidale con l’operatore economico ausiliato nei confronti della stazione appaltante, relativamente al servizio”; e che “la predetta responsabilità si estende per tutta la durata dell’appalto, fino alla regolare esecuzione e, dopo quest’ultima, in relazione alle eventuali responsabilità di cui agli artt. 1667 e 1669 cod. civ.”.
Sicchè non appare revocabile in dubbio:
– che il contenuto dei contratti e delle relative obbligazioni è chiaro e sufficientemente specifico (essendo obiettivamente individuabili anche i beni oggetto della prestazione);
– e che le dichiarazioni negoziali sono idonee ad impegnare tutte le risorse della società ausiliaria (precisamente e letteralmente: la sua “capacità economico-finanziaria, nonché tutte le risorse, nessuna esclusa, per consentire l’esecuzione del servizio”); ed a garantire in pieno le cc.dd. ‘società ausiliate’.
D’altra parte la Sezione ha già chiarito – in più d’un precedente analogo – che allorquando un’impresa intenda avvalersi (mediante stipula di ‘contratto di avvalimento’) dei requisiti finanziari di un’altra (c.d. “avvalimento di garanzia”), la ‘prestazione’ (oggetto specifico dell’obbligazione) è costituita non già dalla messa a disposizione da parte dell’impresa ausiliaria di strutture organizzative e mezzi ‘materiali’, ma dal suo impegno a “garantire” con le proprie complessive risorse economiche – il cui indice è costituito dal fatturato – l’impresa ‘ausiliata’ (munendola, così, di un requisito che altrimenti non avrebbe e consentendole di accedere alla gara nel rispetto delle condizioni poste dal Bando) (C.S., III^, 2.3.2015 n.1020; Id., 6.2.2014 n.584 e 4.12.2014 n.5978).
In altri termini, ciò che la impresa ausiliaria ‘presta’ alla (rectius: mette a disposizione della) ‘impresa ausiliata’ è il suo valore aggiunto in termini di “solidità finanziaria” e di acclarata “esperienza di settore”, dei quali il fatturato costituisce indice significativo.
Ne consegue che non occorre che la dichiarazione negoziale costitutiva dell’impegno contrattuale si riferisca a specifici beni patrimoniali (o ad indici materiali atti ad esprimere una determinata consistenza patrimoniale) e dunque alla messa a disposizione di beni da descrivere ed individuare con precisione, essendo sufficiente che da essa (dichiarazione) emerga l’impegno (contrattuale) della società ausiliaria a ‘prestare’ (ed a mettere a disposizione della c.d. società ausiliata) la sua complessiva solidità finanziaria ed il suo patrimonio esperienziale, garantendo con essi una determinata affidabilità ed un concreto supplemento di responsabilità (C.S., V^, 27.4.2015 n.2063; nonché già citate: C.S., III^, 2.3.2015 n.1020; Id., 6.2.2014 n.584 e 4.12.2014 n.5978).
E poiché dai ‘contratti di avvalimento’ esaminati emerge che le volontà negoziali dei contraenti sono orientate nel senso sopra descritto, e che i rispettivi impegni si sono perfezionati, il provvedimento di aggiudicazione impugnato resiste, sotto il profilo in esame, alla censura.
1.3.2. Con il secondo profilo di doglianza di cui al terzo motivo d’appello, l’appellante (società TUNDO) deduce che tanto l’art.49, comma 8, del Codice dei contratti pubblici che il disciplinare di gara vietano – a pena di inammissibilità – che più di un ‘concorrente’ si avvalga della medesima impresa ausiliaria, ciò che invece è avvenuto nel caso dedotto in giudizio (posto che del requisito finanziario posseduto dalla società BAGLIVI TOURS s.r.l. si sono avvalsi sia la società CAPOGNA AUTOSERVIZI (capogruppo) che la società AUTONOLEGGI DIGIULIO s.r.l (mandante).
La doglianza non merita accoglimento.
La norma invocata dall’appellante stabilisce che “non è consentito che della stessa impresa ausiliaria si avvalga più di un concorrente (…)”.
E poiché nelle gare d’appalto vanno definiti “concorrenti” i soggetti che, singolarmente ovvero associati in gruppi, partecipano alla competizione al fine di aggiudicarsi l’appalto (e non già i singoli associati di ciascun raggruppamento, che ai fini dell’aggiudicazione non costituiscono entità soggettive autonome), il significato della norma è chiaro.
Essa statuisce, all’evidenza (ed in claris non fit interpretatio) che è vietato che un’impresa ausiliaria di cui si avvale un ‘concorrente’ – inteso nel senso sopra indicato (e dunque anche un ‘raggruppamento’ nel caso in cui partecipi alla gara utilizzando tale formula associativa) – possa prestare i propri requisiti anche ad un altro ‘concorrente’; e cioè ad un soggetto in fisiologica e strutturale competizione con il primo.
E della norma in esame, oltre ad essere chiaro il testo, è chiara anche la ratio; volta ad evitare che la medesima impresa ausiliaria ‘serva’, al tempo stesso, un ‘concorrente’ ed il suo avversario (e cioè due concorrenti in conflitto tra loro); ciò che finirebbe con il costituire una evidente distorsione.
Dal che l’infondatezza della censura in esame che è volta ad interpretare la norma – oltre il suo chiaro significato testuale (e finanche oltre la sua ratio evidente) – come introduttiva di un divieto operante anche ‘all’interno’ dei vari raggruppamenti, come se gli associati fossero in conflitto fra loro (anzicchè agenti in cooperazione e collaborazione). Divieto che costituirebbe un’assurdità, in quanto si porrebbe in antitesi (ed in controtendenza) con la ratio sottesa all’intera normativa (anche europea) in esame, normativa che consente alle imprese di raggrupparsi proprio al fine di conseguire insieme (in gruppo) risultati – in termini di capacità finanziaria – che da sole non sarebbero in grado di raggiungere (cfr., C.S., V^, 18.2.2013 n.965; nonché, per un orientamento ancor più estensivo, secondo cui il c.d. ‘doppio avvalimento’ è consentito anche ‘extra gruppo’: C.S., VI^, 29.12.2010 n.9577).
1.3.3. Con il terzo profilo di doglianza (di cui al terzo motivo d’appello) l’appellante deduce, infine:
– che in capo ad ogni componente del medesimo raggruppamento temporaneo d’imprese dev’esservi una corrispondenza tra quote proporzionali di partecipazione al raggruppamento, quote proporzionali relative all’esecuzione della prestazione e quote proporzionali dei relativi requisiti finanziari;
– che, nella fattispecie, la mandataria capogruppo CAPOGNA AUTOSERVIZI e la mandante AUTONOLEGGI DIGIULIO hanno dichiarato di partecipare al raggruppamento per le quote, rispettivamente, del 50% e del 40%;
– e che pertanto avrebbero dovuto partecipare alle spese per la realizzazione del servizio nella stessa quota e possedere il requisito economico-finanziario ciascuna in pari proporzione alla propria quota.
La doglianza non merita accoglimento.
A seguito delle novelle che hanno modificato l’art.37 del codice dei contratti pubblici (DL n.95/2012 convertito, con modifiche, in L. n.135/2012, in vigore dal 15.8.2012; e, successivamente, art.12, comma 8, DL n.47/2012 convertito in L. n.80/2014 in vigore dal 28.5.2014), il c.d. “principio di corrispondenza fra quote di partecipazione, quote di qualificazione e quote di esecuzione” (d’ora innanzi denominato, per semplicità, “principio di corrispondenza fra quote”) non è operante (e non si applica) agli appalti pubblici di servizi (per i quali a carico dei raggruppamenti di imprese sopravvive esclusivamente l’obbligo di indicare in sede di offerta le parti del servizio da eseguirsi da ciascun operatore; obbligo previsto dal comma 4 della predetta norma).
Né ha pregio l’argomento secondo cui la precedente normativa continuerebbe ad applicarsi alle procedure esperite (o avviate) sotto il suo vigore.
Ed invero già fin da tempo anteriore alla scadenza della data fissata per la presentazione delle offerte, tale normativa (che prescriveva l’osservanza, anche per gli appalti di servizi, del c.d. “principio di corrispondenza fra quote”), non era più in vigore.
1.4. Dalla infondatezza dei motivi esaminati deriva anche, per logica conseguenza, la infondatezza delle domande giudiziali introdotte con il quarto motivo d’appello, volte a censurare la sentenza appellata nella parte in cui ha respinto l’istanza di declaratoria dell’inefficacia del contratto stipulato dall’Amministrazione a seguito dell’aggiudicazione e ad ottenere il risarcimento dei danni.
2. Dal rigetto delle domande giudiziali sopra esaminate deriva altresì la improcedibilità di quelle introdotte con l’appello incidentale, connesso a quello principale – nella fattispecie – da un nesso di mera accessorietà.
3. In considerazione delle superiori osservazioni ed assorbito quant’altro, il ricorso principale va respinto e quello incidentale va dichiarato improcedibile.
La delicatezza delle questioni dibattute, che ha visto impegnate le parti in difese tecniche ed in operazioni ermeneutiche particolarmente analitiche e dettagliate, e la sussistenza di orientamenti giurisprudenziali in evouzione, giustificano pienamente la compensazione delle spese processuali fra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sez. III^, respinge il ricorso principale e dichiara improcedibile il ricorso incidentale.
Compensa le spese fra le parti costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2015 con l’intervento dei Signori Magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Salvatore Cacace, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
Carlo Modica de Mohac, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/11/2015