Variante urbanistica semplificata: il CdS spiega quand’è legittima

Con la sentenza n. 27 dll’8 gennaio scorso, il Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi in merito allo strumento della variante urbanistica semplificata ex art. 5 del d.P.R. nr. 447 del 1998,  ha affermato che la norma suddetta consente la variante all’approvazione del progetto dell’insediamento produttivo, laddove l’area interessata dall’intervento abbia una destinazione incompatibile con lo stesso, soltanto a condizione che “lo strumento urbanistico non individui aree destinate all’insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato”.

Il collegio ha rilevato il carattere eccezionale e derogatorio della procedura disciplinata dal ricordato art. 5, la quale non può essere surrettiziamente trasformata in una modalità “ordinaria” di variazione dello strumento urbanistico generale: pertanto, perché a tale procedura possa legittimamente farsi luogo, occorre che siano preventivamente accertati in modo oggettivo e rigoroso i presupposti di fatto richiesti dalla norma, e quindi anche l’assenza nello strumento urbanistico di aree destinate ad insediamenti produttivi ovvero l’insufficienza di queste, laddove per “insufficienza” deve intendersi, in costanza degli standard previsti, una superficie non congrua (e, quindi, insufficiente) in ordine all’insediamento da realizzare (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 luglio 2011, nr. 4308; id., 25 giugno 2007, nr. 3593; id., 3 marzo 2006, nr. 1038).

Più specificamente, la stessa sezione aveva affermato che, se è vero che il concetto di sufficienza o insufficienza delle aree esistenti va verificato “in relazione al progetto presentato”, il che certamente significa che esiste un margine di flessibilità e adattabilità di quest’ultimo, per inserirlo nel contesto risultante dallo strumento urbanistico, resta fermo, però, che il parametro di riferimento è costituito dallo strumento vigente, il quale non può essere esso oggetto di modifiche per adeguarlo alle esigenze del proponente (cfr. Cons. Stato, sez. IV, nr. 3593/2007, cit.).

Il Collegio ha inoltre si è espresso anche in merito al principio tempus regit actum.  Gli appellanti sostenevano che il primo giudice aveva erroneamente applicato alla fattispecie una norma non in vigore all’epoca in cui la stessa si era verificata, con violazione del principio tempus regit actum.

Al riguardo, il Collegio ha richiamato il prevalente insegnamento giurisprudenziale secondo cui, in sèguito all’annullamento giurisdizionale di un titolo abilitativo (o di un diniego di esso), l’Amministrazione deve riesaminare la relativa istanza non già “ora per allora”, ma tenendo conto della normativa sopravvenuta medio tempore, con il solo limite – che qui non viene in rilievo – dell’inopponibilità delle modifiche legislative intervenute dopo la notifica della sentenza da parte del ricorrente vittorioso (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. V, 10 gennaio 2012, nr. 36; id., 22 febbraio 2002, nr. 1079).

Di conseguenza, a parere del Collegio, non è vero che il primo giudice abbia assunto a parametro della legittimità dei provvedimenti impugnati una norma non ancora in vigore al momento della loro venuta ad esistenza; molto più semplicemente, nella sentenza impugnata si è preso atto di un sopravvenuto mutamento della situazione di diritto, tale da privare di ogni utilità per la parte ricorrente un ipotetico accoglimento della censura de qua.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

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N. 00027/2016REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 3754 del 2012, proposto da MARFLOR S.r.l. e MACCHIA SUPERMERCATO S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avv.ti Antonio Brancaccio e Alberto La Gloria, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Taranto, 18,

contro

– la REGIONE CAMPANIA, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Angelo Marzocchella, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via Poli, 29;
– il COMUNE DI MONTECORVINO ROVELLA, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito;
– la PROVINCIA DI SALERNO, in persona del Presidente pro tempore, non costituita;
– la COMUNITÀ MONTANA “ZONA MONTI PIACENTINI”, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita;
– l’AUTORITÀ DI BACINO REGIONALE DESTRA SELE, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita;

nei confronti di

signori Sergio CORALLUZZO e Mario CARRAFIELLO e SEMAR S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’avv. Lorenzo Lentini, con domicilio eletto presso il dottor Giuseppe Placidi in Roma, via Cosseria, 2,

avverso e per l’annullamento e/o la riforma,

previa sospensione dei suoi effetti,

della sentenza del T.A.R. della Campania, Sezione di Salerno, Sezione Seconda, nr. 1838/11 del 16 novembre 2011, non notificata, che ha respinto il ricorso (nr. 1772/2008) proposto avverso la delibera del Consiglio Comunale di Montecorvino Rovella nr. 17 del 16 giugno 2008 (che ha approvato una variante urbanistica ex art. 5 del d.P.R. 20 ottobre 1998, nr. 447, per l’insediamento di una media struttura commerciale di vendita), nonché i successivi motivi aggiunti proposti, tra l’altro, avverso il provvedimento unico conclusivo del Responsabile del Settore Tecnico del S.U.A.P. Associato della Comunità Montana “Monti Piacentini” nr. 2/2010 del 4 marzo 2010 (che ha rilasciato il titolo edilizio per la costruzione dell’opificio commerciale e, nello stesso tempo, l’autorizzazione per l’apertura della struttura di vendita che dovrà esservi allocata).

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Campania e dei signori Sergio Coralluzzo e Mario Carrafiello e di Semar S.r.l., nonché l’appello incidentale proposto da questi ultimi;

Viste le memorie prodotte dagli appellanti (in date 15 giugno 2012, 16 e 26 novembre 2015) e dagli appellati signori Coralluzzo e Carrafiello e Semar S.r.l. (in date 12 giugno 2012, 16 e 26 novembre 2015) a sostegno delle rispettive difese;

Vista l’ordinanza di questa Sezione nr. 2350 del 19 giugno 2012, con la quale è stata accolta la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2015, il Consigliere Raffaele Greco;

Uditi l’avv. La Gloria, anche su delega dell’avv. Brancaccio, per gli appellanti, l’avv. De Ruggiero, su delega dell’avv. Lentini, per gli appellati e l’avv. Palma, su delega dell’avv. Marzocchella, per la Regione Campania;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Le società Marflor S.r.l. e Macchia Supermercato S.r.l., nelle rispettive qualità di acquirente e dante causa di un esercizio commerciale sito nel Comune di Montecorvino Rovella, hanno impugnato, chiedendone la riforma previa sospensione dell’esecuzione, la sentenza in forma semplificata con la quale la Sezione staccata di Salerno del T.A.R. della Campania ha respinto il ricorso, proposto da Macchia Supermercato S.r.l. e successivamente integrato da motivi aggiunti anche da Marflor S.r.l. (subentrata nella titolarità dell’esercizio in pendenza del giudizio), per l’annullamento dei provvedimenti con i quali, previa variante semplificata al Programma di Fabbricazione di Montecorvino Rovella approvata ai sensi dell’art. 5 del d.P.R. 20 ottobre 1998, nr. 447, sono state autorizzate a favore dei signori Sergio Coralluzzo e Mario Carrafiello, e quindi alla società Semar S.r.l. da questi costituita, l’autorizzazione e l’apertura di una struttura di vendita su un suolo in loro proprietà.

L’appello risulta affidato ai seguenti motivi:

1) error in iudicando; violazione del principio del tempus regit actum; violazione di legge (artt. 6 e 12 del decreto legislativo 3 aprile 2006, nr. 152, e s.m.i.); difetto e, comunque, erroneità della motivazione (in relazione alla reiezione della doglianza afferente alla mancata sottoposizione della variante urbanistica alle procedure in materia di V.A.S.);

2) error in iudicando; violazione di legge (art. 5 del d.P.R. 20 ottobre 1998, nr. 447, e s.m.i.); difetto e, comunque, erroneità della motivazione (in relazione alla reiezione della censura afferente alla insussistenza del presupposto per la variante semplificata, costituito dalla mancanza o insufficienza di aree destinate ad insediamenti produttivi);

3) error in iudicando; violazione di legge (art. 14 della legge regionale della Campania 7 gennaio 2000, nr. 1); difetto e, comunque, erroneità della motivazione (in relazione alla reiezione della censura afferente alla carenza di un’analisi della compatibilità dell’intervento con i flussi di traffico);

4) error in iudicando; omissione di pronuncia; difetto e, comunque, erroneità della motivazione (con riguardo alla sostanziale omessa pronuncia su plurime doglianze articolate nel ricorso introduttivo e nei motivi aggiunti).

Pertanto, le società appellanti hanno espressamente riproposto come segue, ai sensi dell’art. 101, comma 2, cod. proc. amm., i motivi di impugnazione di primo grado non esaminati dal T.A.R.:

i) violazione di legge (art. 5 del d.P.R. nr. 447 del 1998 e s.m.i.; l.r. nr. 1 del 2000; legge regionale della Campania 20 marzo 1982, nr. 14; legge regionale della Campania 22 dicembre 2004, nr. 16; d.lgs. nr. 152 del 2006, come modificato dal decreto legislativo 16 gennaio 2008, nr. 4; decreto legislativo 31 marzo 1998, nr. 114; artt. 1, 3 e 14 e segg. della legge 7 agosto 1990, nr. 241, e s.m.i.; art. 97 Cost.); violazione e falsa applicazione della deliberazione della Giunta Regionale della Campania nr. 676 del 7 maggio 2004; eccesso di potere (difetto assoluto di istruttoria e di motivazione, difetto assoluto e comunque erroneità dei presupposti, perplessità, arbitrarietà, illogicità, incongruità, contraddittorietà, travisamento, sviamento); violazione dei principi di trasparenza, correttezza e imparzialità dell’azione amministrativa; violazione del giusto procedimento (ancora con riferimento alla mancanza del presupposto di fatto della variante semplificata);

ii) violazione di legge (art. 5 del d.P.R. nr. 447 del 1998 e s.m.i.; l.r. nr. 1 del 2000; l.r. nr. 14 del 1982; l.r. nr. 16 del 2004; d.lgs. nr. 152 del 2006, come modificato dal d.lgs. nr. 4 del 2008; d.lgs. nr. 114 del 1998; artt. 1, 3 e 14 e segg. della legge nr. 241 del 1990 e s.m.i.; art. 97 Cost.); violazione e falsa applicazione della deliberazione della Giunta Regionale della Campania nr. 676 del 7 maggio 2004; eccesso di potere (difetto assoluto di istruttoria e di motivazione, difetto assoluto e comunque erroneità dei presupposti, perplessità, arbitrarietà, illogicità, incongruità, contraddittorietà, travisamento, sviamento); violazione dei principi di trasparenza, correttezza e imparzialità dell’azione amministrativa; violazione del giusto procedimento (attesa la circostanza che il Comune di Montecorvino Rovella non risultava essersi dotato del S.I.A.D. indispensabile per la pianificazione degli esercizi commerciali);

iii) violazione di legge (art. 5 del d.P.R. nr. 447 del 1998 e s.m.i.; l.r. nr. 1 del 2000; l.r. nr. 14 del 1982; l.r. nr. 16 del 2004; d.lgs. nr. 152 del 2006, come modificato dal d.lgs. nr. 4 del 2008; d.lgs. nr. 114 del 1998; artt. 1, 3 e 14 e segg. della legge nr. 241 del 1990 e s.m.i.; art. 97 Cost.); violazione e falsa applicazione della deliberazione della Giunta Regionale della Campania nr. 676 del 7 maggio 2004; eccesso di potere (difetto assoluto di istruttoria e di motivazione, difetto assoluto e comunque erroneità dei presupposti, perplessità, arbitrarietà, illogicità, incongruità, contraddittorietà, travisamento, sviamento); violazione dei principi di trasparenza, correttezza e imparzialità dell’azione amministrativa; violazione del giusto procedimento (ancora in relazione alla mancata effettuazione delle procedure in materia di V.A.S.);

iv) violazione di legge (art. 5 del d.P.R. nr. 447 del 1998 e s.m.i.; l.r. nr. 1 del 2000; l.r. nr. 14 del 1982; l.r. nr. 16 del 2004; d.lgs. nr. 152 del 2006, come modificato dal d.lgs. nr. 4 del 2008; d.lgs. nr. 114 del 1998; artt. 1, 3 e 14 e segg. della legge nr. 241 del 1990 e s.m.i.; art. 97 Cost.); violazione e falsa applicazione della deliberazione della Giunta Regionale della Campania nr. 676 del 7 maggio 2004; eccesso di potere (difetto assoluto di istruttoria e di motivazione, difetto assoluto e comunque erroneità dei presupposti, perplessità, arbitrarietà, illogicità, incongruità, contraddittorietà, travisamento, sviamento); violazione dei principi di trasparenza, correttezza e imparzialità dell’azione amministrativa; violazione del giusto procedimento (atteso il contrasto degli atti impugnati in prime cure con il P.R.G. adottato dal Comune di Montecorvino Rovella nel 2003 e l’illegittimità della previsione di cessione al Comune delle aree a standard);

v) violazione di legge (art. 5 del d.P.R. nr. 447 del 1998 e s.m.i.; l.r. nr. 1 del 2000; l.r. nr. 14 del 1982; l.r. nr. 16 del 2004; d.lgs. nr. 152 del 2006, come modificato dal d.lgs. nr. 4 del 2008; d.lgs. nr. 114 del 1998; artt. 1, 3 e 14 e segg. della legge nr. 241 del 1990 e s.m.i.; art. 97 Cost.); violazione e falsa applicazione della deliberazione della Giunta Regionale della Campania nr. 676 del 7 maggio 2004; eccesso di potere (difetto assoluto di istruttoria e di motivazione, difetto assoluto e comunque erroneità dei presupposti, perplessità, arbitrarietà, illogicità, incongruità, contraddittorietà, travisamento, sviamento); violazione dei principi di trasparenza, correttezza e imparzialità dell’azione amministrativa; violazione del giusto procedimento (ancora in relazione all’illegittimità della previsione della cessione delle aree a standard, come ripetuta nella sopravvenuta delibera consiliare di rettifica di alcuni punti della precedente variante, nonché alla carente motivazione della riduzione dell’entità originaria delle dette aree);

vi) violazione di legge (art. 5 del d.P.R. nr. 447 del 1998 e s.m.i.; l.r. nr. 1 del 2000; l.r. nr. 14 del 1982; l.r. nr. 16 del 2004; d.lgs. nr. 152 del 2006, come modificato dal d.lgs. nr. 4 del 2008; d.lgs. nr. 114 del 1998; artt. 1, 3 e 14 e segg. della legge nr. 241 del 1990 e s.m.i.; art. 97 Cost.); violazione e falsa applicazione della deliberazione della Giunta Regionale della Campania nr. 676 del 7 maggio 2004; eccesso di potere (difetto assoluto di istruttoria e di motivazione, difetto assoluto e comunque erroneità dei presupposti, perplessità, arbitrarietà, illogicità, incongruità, contraddittorietà, travisamento, sviamento); violazione dei principi di trasparenza, correttezza e imparzialità dell’azione amministrativa; violazione del giusto procedimento (in relazione all’illegittimità del sopravvenuto provvedimento unico autorizzatorio, stante il mancato adeguamento alla viabilità esistente);

vii) violazione di legge (art. 12 del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380; artt. 2 e 5 del d.P.R. nr. 447 del 1998 e s.m.i.; l.r. nr. 1 del 2000; d.lgs. nr. 114 del 1998; artt. 1, 3 e 14 e segg. della legge nr. 241 del 1990 e s.m.i.; art. 97 Cost.); eccesso di potere (difetto assoluto di istruttoria e di motivazione, difetto assoluto e comunque erroneità dei presupposti, perplessità, arbitrarietà, illogicità, incongruità, contraddittorietà, travisamento, sviamento); violazione dei principi di trasparenza, correttezza e imparzialità dell’azione amministrativa; violazione del giusto procedimento (stante l’inesistenza delle opere di urbanizzazione al momento del rilascio del titolo edilizio);

viii) violazione di legge (art. 11 del d.P.R. nr. 380 del 2001; art. 5 del d.P.R. nr. 447 del 1998 e s.m.i.; l.r. nr. 1 del 2000; d.lgs. nr. 114 del 1998; artt. 1, 3 e 14 e segg. della legge nr. 241 del 1990 e s.m.i.; art. 97 Cost.); eccesso di potere (difetto assoluto di istruttoria e di motivazione, difetto assoluto e comunque erroneità dei presupposti, perplessità, arbitrarietà, illogicità, incongruità, contraddittorietà, travisamento, sviamento); violazione dei principi di trasparenza, correttezza e imparzialità dell’azione amministrativa; violazione del giusto procedimento (in relazione al mutamento soggettivo intervenuto durante l’iter procedimentale nella titolarità dell’intervento, passata dai signori Coralluzzo e Carrafiello alla società Semar S.r.l.).

Si sono costituiti gli appellati, signori Coralluzzo e Carrafiello e Semar S.r.l., i quali, oltre a opporsi con diffuse argomentazioni all’accoglimento dell’appello e ad assumere l’infondatezza delle censure di primo grado come riproposte dalle appellanti, hanno spiegato appello incidentale avverso la medesima sentenza del T.A.R. salernitano, nel quale con unico articolato motivo hanno dedotto: error in iudicando; violazione di legge (art. 5 del d.P.R. nr. 447 del 1998 in relazione al decreto del Presidente della Giunta Regionale della Campania nr. 17 del 18 dicembre 2009); violazione di legge (artt. 12 e 35 del d.lgs. nr. 152 del 2006); violazione del principio del tempus regit actum (con riferimento al capo di decisione con il quale il primo giudice, nell’escludere la fondatezza della censura afferente alla mancata sottoposizione della variante a V.A.S. a cagione delle modifiche normative intervenute col decreto legislativo 29 giugno 2010, nr. 128, ha presupposto invece che nel regime normativo anteriore la sottoposizione a verifica di assoggettabilità sarebbe stata necessaria).

Si è altresì costituita la Regione Campania, la quale ha replicato ai rilievi di parte appellante limitatamente alla parte che chiamava in causa le sue competenze, assumendone l’infondatezza; le altre Amministrazioni intimate, così come avvenuto in primo grado, non si sono costituite.

All’esito della camera di consiglio del 19 giugno 2012, questa Sezione ha accolto la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata.

Di poi, le parti hanno ulteriormente sviluppato con memorie le rispettive tesi.

All’udienza del 17 dicembre 2015, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Il presente giudizio concerne gli atti relativi all’autorizzazione alla realizzazione ed all’apertura di una struttura di vendita nel Comune di Montecorvino Rovella, su un suolo in proprietà degli odierni appellati, signori Sergio Coralluzzo e Mario Carrafiello, ricadente in area destinata dal Programma di Fabbricazione vigente all’epoca dei fatti a zona E (“agricola semplice”).

Proprio a causa dell’incompatibilità di detta destinazione con l’intervento richiesto, la procedura è stata svolta previa variante urbanistica semplificata ai sensi dell’art. 5 del d.P.R. 20 ottobre 1998, nr. 447, approvata con deliberazione del Consiglio Comunale (nr. 17 del 16 giugno 2008) all’esito di apposita Conferenza di servizi, che ha modificato la destinazione delle aree da zona E a zona D (“industriale-artigianale”).

La società Macchia Supermercato S.r.l., titolare di altro esercizio di vendita situato nelle immediate vicinanze del suolo interessato dall’intervento (ed a cui, in corso di causa, è subentrata in qualità di acquirente la Marflor S.r.l.), si è fin dapprincipio opposta allo stesso, lamentando una serie di vizi di legittimità dell’intera procedura che la hanno indotta a impugnare in sede giurisdizionale la anzi detta delibera consiliare di approvazione della variante urbanistica.

In sèguito, con successivi motivi aggiunti, le due società suindicate hanno censurato:

– l’ulteriore delibera consiliare (nr. 36 del 29 dicembre 2008) con la quale, a modifica della precedente, è stata prevista la cessione gratuita al Comune delle aree da destinare a standard, in luogo della monetizzazione originariamente stabilita, ed inoltre di demandare alla Provincia di Salerno, anziché al Responsabile dell’Area Tecnica dello stesso Comune, come originariamente previsto, la definizione degli interventi idonei a rendere più idonea la viabilità locale, come da prescrizioni impartite in sede di Conferenza di servizi;

– la delibera del Commissario Straordinario del Comune di Montecorvino Rovella (nr. 10 del 24 novembre 2009) di approvazione dello schema della convenzione con cessione di aree;

– il provvedimento autorizzatorio unico rilasciato dal Responsabile dello Sportello Unico per le Attività Produttive (nr. 2/2010 del 4 marzo 2010), integrante sia il titolo ad aedificandum che l’autorizzazione all’apertura della struttura commerciale.

2. La Sezione di Salerno del T.A.R. della Campania, investita dell’impugnativa, all’esito di apposita verificazione, ha definito il giudizio ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm., con sentenza nella quale ha integralmente respinto il ricorso e i motivi aggiunti.

3. Avverso detta sentenza insorgono le originarie ricorrenti, censurandone i contenuti e riproponendo le plurime censure a loro dire non esaminate dal primo giudice (o, che è lo stesso, “liquidate” con poche generiche righe di motivazione).

4. Tutto ciò premesso, l’appello è fondato, e va dunque accolto nei sensi che saranno di sèguito precisati.

5. In ordine logico, anche per la sua connessione con l’appello incidentale proposto dagli appellati, signori Coralluzzo e Carrafiello e società Semar S.r.l., conviene principiare dal primo motivo di appello, col quale si lamenta in modo veemente l’erroneità della declaratoria di improcedibilità, per sopravvenuto difetto di interesse, cui il primo giudice è pervenuto in ordine alla doglianza afferente alla mancata sottoposizione della variante urbanistica alle procedure previste dal decreto legislativo 3 aprile 2006, nr. 152, in materia di valutazione ambientale strategica (V.A.S.).

In particolare il T.A.R., se per un verso ha ritenuto che, all’epoca in cui la variante fu posta in essere, essa avrebbe dovuto certamente essere sottoposta a V.A.S. sulla scorta del tenore dell’art. 6 del citato d.lgs. nr. 152 del 2006, ha però poi evidenziato doversi fare i conti con le modifiche a tale norma medio tempore intervenute per effetto del decreto legislativo 29 giugno 2010, nr. 128, che, con previsione certamente riferibile anche a interventi del tipo che qui interessa, ha inserito al comma 12 del medesimo art. 6 la seguente disposizione: “…Per le modifiche dei piani e dei programmi elaborati per la pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli conseguenti a provvedimenti di autorizzazione di opere singole che hanno per legge l’effetto di variante ai suddetti piani e programmi, ferma restando l’applicazione della disciplina in materia di VIA, la valutazione ambientale strategica non è necessaria per la localizzazione delle singole opere”.

Pertanto, secondo il giudice di prime cure, in ogni caso in sede di rinnovazione dell’attività amministrativa all’esito di un eventuale annullamento della delibera approvativa della variante sicuramente non sarebbe stato più necessario attivare la procedura di V.A.S.: donde il difetto di interesse delle istanti alla decisione sul punto.

Orbene, la Sezione non concorda con le odierne appellanti, che definiscono il ragionamento così sintetizzato affetto da un “clamoroso” o “inaudito” errore di diritto, che sarebbe costituito dall’avere il primo giudice applicato alla fattispecie al suo esame una norma non in vigore all’epoca in cui la stessa si era verificata, con violazione del principio tempus regit actum.

Al riguardo, va infatti richiamato il prevalente insegnamento giurisprudenziale secondo cui, in sèguito all’annullamento giurisdizionale di un titolo abilitativo (o di un diniego di esso), l’Amministrazione deve riesaminare la relativa istanza non già “ora per allora”, ma tenendo conto della normativa sopravvenuta medio tempore, con il solo limite – che qui non viene in rilievo – dell’inopponibilità delle modifiche legislative intervenute dopo la notifica della sentenza da parte del ricorrente vittorioso (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. V, 10 gennaio 2012, nr. 36; id., 22 febbraio 2002, nr. 1079).

Di conseguenza, non è vero che nel caso che qui occupa il primo giudice abbia assunto a parametro della legittimità dei provvedimenti impugnati una norma non ancora in vigore al momento della loro venuta ad esistenza; molto più semplicemente, nella sentenza impugnata si è preso atto di un sopravvenuto mutamento della situazione di diritto, tale da privare di ogni utilità per la parte ricorrente un ipotetico accoglimento della censura de qua (atteso che, come già evidenziato, in sede di riavvio della procedura di variante l’Amministrazione non avrebbe potuto che concludere nel senso della non necessità di V.A.S.).

Ed è appena il caso di aggiungere, ancorché le società istanti non ne abbiano fatto espressa richiesta, che neanche astrattamente può dirsi sussistente un interesse all’accertamento incidentale della divisata illegittimità a fini risarcitori, ai sensi dell’art. 34, comma 3, cod. proc. amm., dal momento che la sopravvenuta modifica normativa ha privato le ricorrenti medesime anche di ogni chance di ottenere un risultato diverso in relazione alla doglianza de qua.

6. Le conclusioni che precedono comportano anche l’improcedibilità dell’appello incidentale, con il quale gli originari controinteressati hanno censurato il capo di sentenza relativo alla ritenuta necessità di V.A.S. nel regime normativo anteriore alla novella del 2010, assumendo che neanche in tale assetto la valutazione ambientale sarebbe stata necessaria: è del tutto evidente che l’approfondimento di tale questione diventa superfluo alla luce dell’accertata correttezza della conclusione in rito raggiunta dal primo giudice sul punto.

7. La Sezione reputa invece fondato, come già anticipato in fase cautelare, il secondo mezzo, col quale si reitera la censura relativa all’improprio ricorso allo strumento della variante urbanistica semplificata ex art. 5 del d.P.R. nr. 447 del 1998, a cagione dell’insussistenza del presupposto fattuale richiesto dalla stessa norma; quest’ultima, come è noto, consente la variante in una all’approvazione del progetto dell’insediamento produttivo, laddove l’area interessata dall’intervento abbia una destinazione incompatibile con lo stesso, soltanto a condizione che “lo strumento urbanistico non individui aree destinate all’insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato”.

7.1. Al riguardo, giova premettere una sintetica ricostruzione dell’iter procedimentale per la parte che qui interessa, nel quale le odierne appellanti hanno ritenuto di cogliere un atteggiamento ondivago e contraddittorio da parte del Responsabile del Settore Urbanistica del Comune di Montecorvino Rovella.

Quest’ultimo, dopo avere genericamente attestato, nella fase iniziale della Conferenza di servizi convocata ai sensi del precitato art. 5 del d.P.R. nr. 447/1998, la indisponibilità di aree utili, in occasione dell’ultima seduta della Conferenza medesima (27 febbraio 2008) produsse un’apposita nota con la quale, in riscontro a sollecitazioni pervenute ab externo, precisava che per vero nel vigente assetto urbanistico – riveniente, come già rilevato, dal P.d.F. all’epoca in vigore nel territorio comunale – talune aree astrattamente idonee vi sarebbero state, ma che queste non erano in concreto sfruttabili per la realizzazione del progetto di cui alla proposta.

Più specificamente, a quanto era dato evincere dalla detta nota:

a) esistevano due comparti siti in zona C di espansione, per un’estensione complessiva di circa mq 80.000, fra le cui destinazioni vi era anche quella commerciale, ma per questi doveva ritenersi non possibile la realizzazione di una media struttura di vendita (quale era quella di cui alla proposta de qua) siccome incompatibile con la prevalente destinazione residenziale delle dette aree, sulle quali pertanto avrebbero potuto essere realizzati soltanto esercizi “di vicinato”;

b) esisteva, almeno formalmente, anche un’area destinata a P.I.P. (in località Pianella), ma su di essa vi era innanzi tutto un problema di salute pubblica, legato alle emissioni provenienti da un elettrodotto ivi situato, che fin dal 2002 l’A.R.P.A. aveva accertato essere superiori ai minimi consentiti dalla legislazione regionale, al punto da indurre il Comune a programmare l’abbandono dell’area in questione, incaricando i tecnici redattori del nuovo P.R.G. in itinere di individuare altra area P.I.P.;

c) in ogni caso, sempre con riguardo all’area in località Pianella, le N.T.A. del P.I.P. (art. 5) consentivano in loco solo le “attività commerciali all’ingrosso” (e non anche quelle al dettaglio, quale è quella per cui è causa).

7.2. Così sommariamente ricostruita la motivazione – ritenuta legittima dal primo giudice – che ha nella specie indotto l’Amministrazione a seguire la strada della variante semplificata ai sensi del più volte citato art. 5, d.P.R. nr. 447/1998, e acclarato che questa faceva perno non già sull’assenza, ma sull’insufficienza delle aree a destinazione commerciale (pure esistenti sul territorio comunale), è opportuno richiamare, sempre in via preliminare, alcuni principi desumibili dalla giurisprudenza in subiecta materia.

In particolare, questa Sezione ha sempre sottolineato in modo rigoroso il carattere eccezionale e derogatorio della procedura disciplinata dal ricordato art. 5, la quale non può essere surrettiziamente trasformata in una modalità “ordinaria” di variazione dello strumento urbanistico generale: pertanto, perché a tale procedura possa legittimamente farsi luogo, occorre che siano preventivamente accertati in modo oggettivo e rigoroso i presupposti di fatto richiesti dalla norma, e quindi anche l’assenza nello strumento urbanistico di aree destinate ad insediamenti produttivi ovvero l’insufficienza di queste, laddove per “insufficienza” deve intendersi, in costanza degli standard previsti, una superficie non congrua (e, quindi, insufficiente) in ordine all’insediamento da realizzare (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 luglio 2011, nr. 4308; id., 25 giugno 2007, nr. 3593; id., 3 marzo 2006, nr. 1038).

Più specificamente, si è affermato che, se è vero che il concetto di sufficienza o insufficienza delle aree esistenti va verificato “in relazione al progetto presentato”, il che certamente significa che esiste un margine di flessibilità e adattabilità di quest’ultimo, per inserirlo nel contesto risultante dallo strumento urbanistico, resta fermo, però, che il parametro di riferimento è costituito dallo strumento vigente, il quale non può essere esso oggetto di modifiche per adeguarlo alle esigenze del proponente (cfr. Cons. Stato, sez. IV, nr. 3593/2007, cit.).

A tali rilievi, poi, va aggiunto ciò che la logica suggerisce in relazione all’ipotesi in cui il progetto abbia a oggetto un insediamento commerciale, e non produttivo: ipotesi rientrante nel d.P.R. nr. 447/1998 per effetto dell’art. 1-bis ivi inserito dal d.P.R. 7 dicembre 2000, nr. 440, ed alla quale quindi si estende la previsione della variante semplificata di cui al più volte citato art. 5, originariamente elaborata per i soli insediamenti produttivi.

In tali casi, è evidente che il presupposto fattuale costituito dalla assenza o insufficienza nello strumento urbanistico di aree a destinazione specifica e coerente con il progetto va inteso nel senso della necessità di verificare preventivamente la disponibilità non soltanto di aree stricto sensu destinate a insediamenti produttivi (zone D), ma anche di aree con destinazione commerciale, anche se non in via esclusiva, quali certamente sono le aree con destinazione a zona C di espansione.

7.3. Tutto ciò premesso, nel caso che qui occupa il giudizio di “insufficienza” delle aree esistenti nel P.d.F. è scaturito non già da una ritenuta insufficienza delle superfici (ché non risulta contestato da nessuno, né durante il procedimento amministrativo, né nel presente giudizio, che la predetta zona C fosse per estensione ampiamente in grado di accogliere l’insediamento de quo), bensì da un apprezzamento tecnico-discrezionale dell’impatto che la realizzazione della struttura avrebbe avuto sulle diverse e residue destinazioni impresse alle medesime aree.

Se così stanno le cose, questa Sezione ritiene molto discutibile che in tal modo possa dirsi integrato il presupposto normativo de quo, attraverso un quanto meno opinabile giudizio tecnico che ha portato il rappresentante del Comune in sede di Conferenza di servizi a sostenere che nelle aree in questione avrebbero potuto essere insediati solo esercizi di vicinato (limitazione, quest’ultima, non presente nelle disposizioni urbanistiche vigenti e che a sua volta è discesa dal suindicato apprezzamento tecnico-discrezionale); è evidente, infatti, che quella dell’inserimento della struttura commerciale nell’area in discorso e del suo raccordo con le altre destinazioni a questa impresse dal P.d.F. era questione afferente alle modalità esecutive dell’insediamento, e da affrontare in una alle altre problematiche connesse al rilascio dell’autorizzazione unica per l’esercizio commerciale (così come, ad esempio, quanto al raccordo con la viabilità esistente, su cui si tornerà appresso).

L’aver elevato tale problematica a elemento impeditivo a monte dell’utilizzabilità delle aree in questione, in modo da integrare il presupposto normativo per procedere a variante urbanistica su altra e diversa porzione del territorio comunale, costituisce chiaro elemento indiziario di sviamento di potere, inteso a offrire ai proponenti il progetto la possibilità, non consentita alla stregua della vigente disciplina urbanistica, di operare su aree in loro proprietà non compatibili dal punto di vista urbanistico con l’insediamento de quo.

7.4. Quanto sopra evidenziato per le aree a destinazione C sarebbe già ex se sufficiente a fondare un giudizio di illegittimità dell’opzione per la procedura di variante semplificata ex art. 5, d.P.R. nr. 447/1998; tuttavia, la Sezione ritiene di dover spendere qualche parola anche in ordine alle circostanze ritenute ostative all’utilizzabilità dell’ulteriore area P.I.P. in località Pianella (della quale, a sua volta, non è contestata tra le parti l’idoneità a ospitare l’insediamento per cui è causa dal punto di vista dell’estensione).

E difatti, risponde al vero quanto al riguardo rappresentato dalle odierne appellanti, e cioè che, a sèguito dell’intervento della Corte costituzionale, che ha dichiarato illegittima per violazione della competenza statale in materia ambientale, la normativa regionale della Campania nella parte in cui introduceva parametri di riferimento per le emissioni elettromagnetiche più rigorosi di quelli stabiliti dal d.P.C.M. 23 aprile 1992 (sent. 7 ottobre 2003, nr. 307), dovevano ritenersi superate le misurazioni a suo tempo condotte dall’A.R.P.A.C. sulla scorta del caducato art. 2, comma 3, della legge regionale della Campania 24 novembre 2001, nr. 13.

Ne discende che, prima di assumere che nelle aree P.I.P. sussistesse un problema di salute pubblica ostativo all’insediamento commerciale per cui è causa, l’Amministrazione avrebbe dovuto quanto meno verificare la coerenza di tale conclusione con nuove misurazioni effettuate sulla scorta dei meno rigorosi parametri rivenienti dalla normativa nazionale.

È pur vero che, prima ancora dell’intervento della Corte, il Comune aveva preso la decisione di abbandonare le dette aree P.I.P., dando istruzioni ai tecnici incaricati della redazione del nuovo P.R.G. di provvedere a individuare nuove aree da destinare a P.I.P.; tuttavia, non risulta che tale iter procedimentale si sia concluso (o, quanto meno, esso non si era concluso all’epoca dell’adozione degli atti impugnati nel presente giudizio), di tal che anche la detta decisione avrebbe ben potuto essere rivista a sèguito del superamento dei suindicati rilievi dell’A.R.P.A.C.

Quanto poi all’ulteriore impedimento, costituito dall’art. 5 delle N.T.A. del P.I.P., laddove consentiva in zona solo gli esercizi all’ingrosso, e non anche quelli al dettaglio, è agevole rilevare che ben più semplice e lineare – e, quindi, anch’essa preclusiva del ricorso allo strumento derogatorio ed eccezionale della variante semplificata – avrebbe potuto essere l’opzione di una modifica del P.I.P. sul punto, piuttosto che un intervento sullo strumento urbanistico generale.

8. Le osservazioni fin qui svolte, se indubbiamente appaiono idonee e sufficienti ad un accoglimento del ricorso di primo grado (ancorché limitatamente alle modalità esecutive seguite per l’intervento, e non anche quanto a una sua pretesa irrealizzabilità totale), non esimono la Sezione – anche al fine di orientare l’eventuale futura azione amministrativa – dall’esame delle residue censure articolate dalle appellanti, con gli ulteriori motivi di appello ovvero con la rituale riproposizione dei motivi non esaminati dal primo giudice.

A tale riguardo, va disattesa l’eccezione preliminare degli odierni appellati di inammissibilità della detta riproposizione dei motivi di primo grado, motivata con la mancata impugnazione del capo di sentenza in cui detti motivi sarebbero stati esaminati e respinti; ed infatti, nella sentenza impugnata, tutti i motivi qui riproposti sono stati respinti in blocco sul generico rilievo che si trattava di censure a carattere procedimentale, da considerare irrilevanti agli effetti dell’esito finale del procedimento (che non avrebbe potuto essere in ogni caso diverso da quello già avutosi): trattasi dunque di un sostanziale mancato esame delle doglianze de quibus, a fronte del quale è del tutto ammissibile una pura e semplice riproposizione delle stesse ai sensi dell’art. 101, comma 2, cod. proc. amm.

Peraltro, le censure in discorso sono tutte infondate, per le ragioni di sèguito esposte.

9. Innanzi tutto, è infondata la doglianza (riproposta col terzo motivo di appello) afferente alla pretesa mancanza di una previa analisi dei flussi di traffico interessanti l’area, anche ai fini del raccordo con la viabilità ivi esistente.

9.1. Al riguardo, parte appellante lamenta il mancato rispetto dell’art. 14, comma 1, della legge regionale della Campania 7 gennaio 2000, nr. 1: tale disposizione, è opportuno chiarirlo, è specificamente riferita alla pianificazione urbanistica delle aree da destinare a insediamenti commerciali, che prescrive di verificare in tale fase la compatibilità dei futuri insediamenti con i flussi di traffico e con l’assetto esistente della viabilità.

Insomma, la norma citata non impone affatto adempimenti obbligatori, costituiti dalla produzione di una particolare analisi dei flussi di traffico, al soggetto che sia interessato a realizzare una singola struttura commerciale, rivolgendosi piuttosto al pianificatore nella fase a monte di definizione delle aree da destinare a tali insediamenti.

Ne discende che, nel caso di specie, trattandosi di apportare una variante urbanistica finalizzata a consentire sull’area interessata la realizzazione di una struttura commerciale, è in tale fase che s’imponeva la verifica di cui al precitato art. 14, l.r. nr. 1/2000; tanto risulta avvenuto, in sede di Conferenza di servizi, attraverso la condivisione di un apposito studio tecnico, prodotto dai proponenti, da parte dei rappresentanti della Provincia di Salerno, che era ex lege l’amministrazione competente in materia.

A fronte di ciò, le odierne appellanti, piuttosto che contestare nei suoi contenuti le risultanze del detto studio tecnico, si sono limitate a lamentare l’integrale inosservanza della disposizione regionale: censura che, però, alla luce di quanto detto, risulta basata su un evidente fraintendimento della disposizione, e quindi da respingere.

9.2. Diversa questione, solo impropriamente sollevata dalle appellanti in congiunzione alla censura qui trattata, è quella afferente alle prescrizioni impartite dall’A.R.P.A.C. in sede di Conferenza di servizi, con oggetto la necessaria realizzazione di opere infrastrutturali per raccordare l’insediamento alla viabilità esistente (e delle quali le istanti evidenziano la mancata successiva esecuzione, fino a tutt’oggi).

In questo caso, si tratta non di attività riconducibile alla previsione del più volte citato art. 14 della l.r. nr. 1 del 2000, ma molto più semplicemente di mere prescrizioni esecutive, che avrebbero al più potuto condizionare l’avvio dell’attività commerciale, ma giammai essere preclusive a monte del positivo esito della Conferenza; in altri termini, e contrariamente a quanto si assume da parte appellante, l’A.R.P.A.C. in sede di Conferenza non risulta aver espresso un dissenso, limitandosi a imporre condizioni e prescrizioni esecutive secondo un modello ben noto all’esperienza dell’istituto in questione.

10. Privo di pregio, poi, è il primo motivo riproposto ex art. 101, comma 2, cod. proc. amm., afferente alla mancata partecipazione della Regione Campania alla Conferenza di servizi per cui è causa.

Ed invero, parte appellante assume la violazione del comma 2 dell’art. 5, d.P.R. nr. 447/1998, il quale, pur ritenendo non necessaria l’approvazione della Regione ai fini dell’efficacia della variante semplificata disciplinata dalla norma stessa, faceva comunque salve le attribuzioni regionali ai sensi dell’art. 14, comma 3-bis, della legge 7 agosto 1990, nr. 241; quest’ultima disposizione è stata però abrogata dalla legge 24 novembre 2000, nr. 340, e pertanto non è più in vigore da epoca antecedente alla vicenda per cui è causa.

Risulta quindi confermata la non necessità di uno specifico apporto dell’Amministrazione regionale nella procedura de qua, col risultato di rendere recessivi gli ulteriori rilievi, svolti nel presente giudizio dalla difesa di detta Amministrazione, circa l’esistenza nella legislazione regionale di delega alle Province delle attribuzioni in materia di approvazione delle varianti urbanistiche (e fermo restando, come già più sopra evidenziato, che nella specie la Provincia di Salerno partecipò comunque alla Conferenza).

11. Infondato è anche il motivo con cui ci si duole dell’omesso esame delle osservazioni pervenute durante la procedura di variante urbanistica.

Al riguardo, giova premettere che il più volte citato art. 5, d.P.R. nr. 447/1998 impone di tener conto “delle osservazioni proposte e opposizioni formulate dagli aventi titolo ai sensi della legge 17 agosto 1990, n. 1150” (comma 1), e, quindi, delle osservazioni relative alla proposta di variante urbanistica ritualmente formulate da chi sarebbe legittimato a proporle in base alla legislazione urbanistica.

Orbene, non pare a questa Sezione che nella specie sia stata del tutto omessa la considerazione delle osservazioni pervenute: innanzi tutto, come già sopra evidenziato, è proprio sulla scorta delle dette osservazioni che il Responsabile del Settore Urbanistica del Comune procedette, superando l’iniziale generica attestazione di insussistenza di aree a destinazione commerciale, a quel peculiare “approfondimento” sulle aree esistenti nel P.d.F. e sulla loro insufficienza (del quale si è vista, per altro riguardo, l’illegittimità).

Quanto sopra dimostra che le osservazioni pervenute da parte degli aventi titolo sono state realmente esaminate e prese in considerazione, non essendo indispensabile, a tal fine, che nei verbali della Conferenza fosse inserita un’espressa e specifica motivazione in replica o a confutazione di ciascun singolo rilievo in esse formulato.

12. Va respinta anche la censura articolata in primo grado in ordine alla pretesa illegittimità degli atti impugnati a causa della mancanza della previa pianificazione degli insediamenti commerciali, non essendosi il Comune di Montecorvino Rovella ancora dotato del S.I.A.D. previsto dall’art. 13, comma 1, della già citata l.r. nr. 1 del 2000.

Ed invero, in tema di legislazione nazionale e regionale sulla pianificazione commerciale, condivisibile giurisprudenza di primo grado ha affermato che il principio di libertà dell’iniziativa economica privata contenuto nell’art. 41 Cost. impone di interpretare la disciplina di cui agli artt. 6 e 8 del decreto legislativo 31 marzo 1998, nr. 114 (che sono le norme base della pianificazione regionale e comunale in subiecta materia), non con criteri restrittivi, ma in modo da consentirne lo svolgimento concreto, potendo essa essere limitata solo per gravi e preminenti motivi di interesse pubblico: pertanto, non può essere legittimamente negato l’insediamento di nuove strutture di vendita, né l’ampliamento di quelle esistenti, ove il diniego sia motivato unicamente sulla base della mancanza della fissazione dei criteri inerenti la programmazione locale.

13. Infondato è anche il complesso di censure, articolato in via successiva con i diversi motivi aggiunti in primo grado, avverso le determinazioni assunte dall’Amministrazione in ordine al reperimento delle aree da destinare a standard ed alla realizzazione delle opere di urbanizzazione (essendosi passati da un’originaria previsione di monetizzazione degli standard ad una successiva di cessione gratuita al Comune delle relative aree).

13.1. Innanzi tutto, risultano del tutto generiche e immotivate le critiche mosse alla delibera consiliare nr. 36 del 29 dicembre 2008, nella parte in cui ha ricalcolato in minus la superficie delle aree all’uopo occorrenti rispetto alla precedente delibera nr. 17 del 16 giugno 2008, correggendo quest’ultimo provvedimento con richiamo ad un’apposita nuova istruttoria condotta dal Responsabile del Settore Urbanistica, all’esito della quale erano state individuate in zona aree ritenute agevolmente fruibili dalla collettività.

Può esser vero che tale ulteriore provvedimento si poneva in contraddizione con le determinazioni precedenti, che avevano fondato la scelta della monetizzazione proprio sulla ritenuta carenza nelle vicinanze di aree da destinare a standard; tuttavia, parte istante, piuttosto che limitarsi a contestare genericamente il revirement così operato, avrebbe dovuto fornire una prova di quale fosse a suo avviso il reale assetto dei luoghi, in modo da sostenere la tesi dell’erroneità delle conclusioni dell’Amministrazione nel primo o nel secondo momento.

Ciò non è stato fatto, e pertanto questa Sezione non può che ritenere ragionevolmente motivato il mutamento di indirizzo in questione, che non si è concretato – come già sottolineato – nella pura e semplice sostituzione della monetizzazione con la cessione gratuita, ma ha motivato tale scelta col sopravvenuto reperimento di aree fruibili, per una superficie giudicata idonea inferiore a quella inizialmente computata, che i proponenti hanno accettato di cedere gratuitamente al Comune.

13.2. Del pari inconferente è il richiamo di parte appellante alle norme che disciplinano il rilascio del permesso di costruire semplice, laddove la realizzazione delle urbanizzazioni ovvero il reperimento delle aree a standard costituisce condizione ineludibile per il rilascio del titolo edilizio.

Infatti, nel caso di specie è evidente che ben diversa era la fattispecie, trattandosi di procedimento complesso comportante il rilascio non del solo titolo ad aedificandum, ma di tutto l’insieme di condizioni e abilitazioni necessarie per la realizzazione e l’avvio dell’esercizio commerciale, e nel cui ambito sono stati affrontati anche gli aspetti relativi all’inserimento della struttura nel contesto urbanistico preesistente.

13.3. Infine, a proposito delle opere di urbanizzazione, la doglianza di carenza di qualsivoglia previsione in ordine alla loro realizzazione risulta essere stata formulata dalle società istanti dichiaratamente senza conoscere il contenuto definitivo della convenzione sottoscritta tra le parti in data 30 novembre 2009; al riguardo, le parti appellate hanno convincentemente documentato che nell’ambito di quest’ultima, all’art. 5, è stato disciplinato analiticamente l’impegno della società Semar S.r.l. a realizzare le predette urbanizzazioni, impegno assistito da apposita garanzia fideiussoria.

Ed invero, le stesse appellanti non contestano che nella specie la realizzazione delle opere di urbanizzazione non dovesse necessariamente precedere l’approvazione della variante e del progetto, condizionando soltanto l’avvio dell’attività commerciale.

14. Da ultimo, appare priva di pregio anche la censura qui riproposta in merito all’asseritamente illegittimo mutamento soggettivo che si sarebbe verificato, durante l’iter procedimentale, nella titolarità dell’intervento, essendo state le istanze presentate dai signori Carrafiello e Coralluzzo in qualità di comproprietari dei suoli, mentre la convenzione è stata stipulata dalla società Semar S.r.l.

Al riguardo, risulta per tabulas sulla scorta della documentazione prodotta dagli appellati:

– che la detta società è stata costituita al preciso scopo di gestire l’esercizio commerciale de quo, vedendo quali amministratori unici gli stessi originari proponenti;

– che, con apposito contratto di comodato, i medesimi proponenti, unitamente agli altri comproprietari dei suoli interessati dall’intervento, hanno ceduto alla società in questione la disponibilità degli stessi e delle opere su di essi autorizzate;

– che, con la già citata convenzione del 30 novembre 2009, i proponenti hanno consentito a che il Comune rilasciasse alla medesima società l’autorizzazione unica per l’esercizio commerciale.

15. In conclusione, si impone l’accoglimento dell’appello principale, previa declaratoria di improcedibilità di quello incidentale, con l’effetto di accogliere il ricorso di primo grado e pertanto annullare gli atti con lo stesso impugnati, nei sensi e con gli effetti che si sono chiariti.

16. In considerazione della complessità e della novità di molte delle questioni esaminate, sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:

– accoglie l’appello principale;

– dichiara improcedibile l’appello incidentale;

– per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado nei sensi e con gli effetti di cui in motivazione.

Compensa tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Nicola Russo, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere, Estensore

Silvestro Maria Russo, Consigliere

Leonardo Spagnoletti, Consigliere

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 08/01/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Redazione

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