Danno da ritardo della PA: onere della prova in capo al danneggiato

Con la sentenza n. 1239 del 25 marzo scorso, la V Sezione del Consiglio di Stato ha ribadito principi consolidati nella giurisprudenza amministrativa in relazione alla riconducibilità della fattispecie del danno da ritardo a quella di cui all’art. 2043 c.c., con conseguente applicazione rigorosa del principio dell’onere della prova in capo al danneggiato, circa la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi dell’illecito (si veda ex multisCons. St., sez. V, 13 gennaio 2014, n. 63; sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1406; sez. IV, 4 maggio 2011, n. 2675; nonché, più di recente, sez. V, 10 febbraio 2015, n. 675, che ha precisato come nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo, sancito in generale dall’art. 2697, primo comma, c.c., opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento).

In particolare il Collegio rileva che un consistente indirizzo giurisprudenziale riconnette l’accertamento del danno da ritardo ovvero del danno derivante dalla tardiva emanazione di un provvedimento favorevole, da un lato al danno da lesione di interessi legittimi pretensivi, per l’ontologica natura delle posizioni fatte valere, dall’altro, in ossequio al principio dell’atipicità dell’illecito civile, alla fattispecie dell’art. 2043 c.c. per l’identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità. Di conseguenza, l’ ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo nell’adozione del provvedimento amministrativo favorevole, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda (si veda ex multis Consiglio di Stato, sez. IV, 4 maggio 2011, n. 2675).

Ad avviso del Collegio, la prova dell’elemento soggettivo della fattispecie risarcitoria deve considerarsi raggiunta a fronte della dimostrazione di un esito favorevole del procedimento (con conseguimento da parte del privato del bene della vita richiesto) e a fronte di una palese ed oggettiva inosservanza dei termini procedimentali, non giustificata da parte dell’Amministrazione, né in sede procedimentale né in sede giudiziale, con riferimento a difficoltà oggettive di tipo tecnico o organizzativo rispetto al concreto affare trattato.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

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. 01239/2016REG.PROV.COLL

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7029 del 2015, proposto da:
Regione Campania, rappresentata e difesa per legge dall’avv. Angelo Marzocchella, domiciliata in Roma, via Poli, 29;

contro

Sacco Antonio & Figli Srl (già Snc), rappresentata e difesa dall’avv. Antonino Spinoso, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, via Antonio Mordini, 14/Scala D;

nei confronti di

Provincia di Caserta;
Comune di Pastorano;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE V n. 02848/2015, resa tra le parti, concernente il progetto di intervento di messa in riserva di rifiuti – procedura di VIA.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Sacco Antonio & Figli Srl (già Snc);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 gennaio 2016 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti gli avvocati Alba Di Lascio, su delega dell’avv. Angelo Marzocchella, e Antonino Spinoso;

FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sez. V, con la sentenza 21 maggio 2015, n. 2848, ha accolto il ricorso proposto dall’attuale parte appellata Sacco Antonio & Figli S.r.l. (già S.n.c.) per l’annullamento del decreto dirigenziale 26.3.2014, n. 458 del Dipartimento della Salute e delle Risorse Naturali della Giunta Regionale della Campania, nei limiti di cui in motivazione, e, per l’effetto, ha condannato la Regione Campania al pagamento della somma di euro ottantamila in favore della società appellata Sacco Antonio & Figli S.r.l.
Il TAR ha rilevato sinteticamente che:
– Dal provvedimento con cui si dispone l’assoggettamento alla valutazione di impatto ambientale del progetto presentato dalla Sacco Antonio S.r.l., sono chiaramente evincibili tutti i motivi che hanno indotto l’Amministrazione a tale determinazione precauzionale;
– L’unanime giurisprudenza è incline ad attribuire, per la ratio dei corrispondenti procedimenti, e per l’obiettiva gravosità che essi impongono alle attività produttive private, natura inderogabile a tutti i termini previsti in materia di verifiche ambientali;
– L’istruttoria dibattimentale ha consentito di individuare la violazione dei suddetti termini, e tuttavia va anche sottolineato che questa è imputabile alla sola Regione, essendo il Comune di Pastorano, competente per le sole fasi di pubblicità del progetto, estraneo alla successiva gestione del procedimento gravato;
– Va escluso, a norma di legge, tutto il tempo occorso per evadere le richiesta di chiarimenti ed integrazioni documentali, oltre che quello dedicato al contraddittorio procedimentale così come quello che è stato necessario alla parte interessata per esaudire le richieste di approfondimento istruttorio rivoltegli;
– A norma dell’ultima parte dell’art. 20, comma 4, d.lgs. n. 152-2006, dopo la ricezione dei chiarimenti l’Amministrazione aveva 45 giorni di tempo per l’emissione del provvedimento, dunque, ricevuti i documenti il 20 marzo, essa aveva termine fino al 4 maggio successivo per l’emanazione dell’atto; invece il provvedimento viene emesso solo nella seduta del 13 giugno 2013, cioè, presenta un ritardo di 38 giorni.
– L’atto veniva comunicato alla società il 22 agosto 2013, che contestualmente era invitata alle controdeduzioni ex art.10-bis; queste ultime venivano trasmesse alla Regione, dopo una proroga concessa dall’ente, in data 25 ottobre 2013; da questa data si deve ritenere ricominciasse a decorrere il termine di 45 giorni di cui al citato art. 20, comma 4, ed entro il successivo 9 dicembre, dunque, si sarebbe dovuto emettere il provvedimento di assoggettabilità;
– Dopo che la pratica era stata riportata in Commissione solo il 29 gennaio 2014, viene definitivamente emesso il 26 marzo 2014, ossia con 116 giorni di ritardo rispetto al 9 dicembre; questi giorni vanno pertanto sommati ai primi 38, per un totale di 154 giorni complessivi di ritardo;
– Poiché la società era giunta ad una definizione di 611 giorni di ritardo, con determinazione di un danno di euro 445.791,80, è facile, sulla base di una mera operazione proporzionale, rideterminare lo stesso in euro 112.000;
– A tale cifra va, in via equitativa, detratta la somma di euro trentaduemila, considerato sia che il danno è stato richiesto in via presuntiva, con calcoli approssimativi e difficilmente dimostrabili quanto ai ricavi, sia che parte del ritardo è stato obiettivamente imputabile al ritardo nel fornire le integrazioni documentali da parte della ditta.
La Regione appellante contestava la sentenza del TAR, deducendo:
– Violazione del d.lgs. n. 152-2006 – Natura ordinatoria dei termini del procedimento VIA – Carenza dei presupposti in fatto e diritto della pretesa – Illogicita della motivazione – Travisamento – Error in iudicando;
– Violazione del d.lgs. n. 152-2006 – Natura ordinatoria dei termini del procedimento VIA – Violazione dell’art. 1227 c.c. – Carenza di prova nell’an e nel quantum della pretesa – Illogicità e contraddittorietà della motivazione – Error in iudicando;
Con l’appello in esame si chiedeva l’integrale reiezione del ricorso di primo grado.
Si costituiva la parte appellata, chiedendo il rigetto dell’appello e proponendo appello incidentale ove si deduceva l’erronea quantificazione del ritardo accumulato dalla P.A. procedente nella conclusione del procedimento e la conseguente erronea quantificazione dell’ammontare del risarcimento.
All’udienza pubblica del 19 gennaio 2016 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Il Collegio rileva in punto di fatto che la società appellata Sacco Antonio, che gestisce un impianto nel comune di Pastorano alla via Torre Lupara, Località Scassata, dove esegue attività di cernita, trattamento di rifiuti di tipo carta, cartone e plastica, aveva proposto istanza in data 5.7.2012 di verifica di assoggettabilità a V.I.A., ex art. 20 d.lgs. n. 152-2006 per l’ampliamento delle quantità trattate, poiché l’intervento rientrava nella categoria progettuale dì cui al punto 7, Progetti di Infrastrutture, lett. aa) Impianto di smaltimento e recupero rifiuti non pericolosi con capacità complessiva superiore a 10t/giorno.
Con delibera in data 28.8.2012 il Comune di Pastorano esprimeva parere negativo, ma con nota 12.10.2012 la Regione appellante richiedeva integrazioni documentali e, con nota 6.12.2012 la G.R. richiedeva ulteriori documentazioni e chiarimenti sulla Relazione Tecnica e lo Studio Preliminare presentati dall’impresa istante.
Con la nota del 22.8.2013 la Regione comunicava che in data 13.6.2013 era stato deciso di assoggettate a VIA il progetto presentato, concedendo il termine di giorni 10 per far pervenire osservazioni.
Dopo avere ottenuto la proroga del termine, la società appellata faceva pervenire le proprie osservazioni in data 25.10.2013.
In data 27.1.2014 la G.R. comunicava la data della seduta della Commissione VIA per consentire la partecipazione all’interessata e, con il decreto impugnato del 26.3.2014 la G.R. disponeva di assoggettare a VIA il progetto in quanto le controdeduzioni non superavano i motivi ostativi rappresentati dalla Commissione VIA.
2. La Regione sostiene che i termini per la conclusione del procedimento di VIA, previsti dall’art. 20 del Codice dell’Ambiente non avrebbero natura di termini perentori, bensì ordinatori.
Il Collegio rileva sul punto che effettivamente i suddetti termini possono ritenersi non perentori, bensì ordinatori, poiché l’inosservanza dei medesimi non comporta alcuna causa inficiante la validità della procedura con conseguente illegittimità dei relativi atti; né implica alcuna decadenza per l’Amministrazione dal potere di provvedere, benché tardivamente.
Tuttavia, la violazione dei termini prevista dal suddetto art. 20 implica effetti di altro genere: responsabilità disciplinari, penali, contabili e, per quanto qui interessa, risarcitorie per danni da ritardo, in presenza dei relativi presupposti.
3. Pertanto, il nucleo della contestazione della Regione appellante si incentra sulla responsabilità civile riconosciuta dal TAR e discendente dal cd. danno da ritardo.
In proposito, deve rammentarsi che secondo la giurisprudenza della Sezione (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 13 gennaio 2014, n. 63), il solo ritardo nell’emanazione di un atto è elemento sufficiente per configurare un danno “ingiusto”, con conseguente obbligo di risarcimento, nel caso di procedimento amministrativo lesivo di un interesse pretensivo dell’amministrato, quando tale procedimento sia da concludere con un provvedimento favorevole per il destinatario o se sussistano fondate ragioni per ritenere che l’interessato avrebbe dovuto ottenerlo.
Nel caso in esame, in primo grado il TAR ha rilevato espressamente che, dalle memorie depositate in prime cure successivamente, è sopravvenuto il decreto di VIA favorevole al richiesto ampliamento e tale circostanza non è contestata in sede di appello, con conseguente acquisita prova del danno ingiusto.
E’ pur vero che un consistente indirizzo giurisprudenziale riconnette l’accertamento del danno da ritardo ovvero del danno derivante dalla tardiva emanazione di un provvedimento favorevole, da un lato al danno da lesione di interessi legittimi pretensivi, per l’ontologica natura delle posizioni fatte valere, dall’altro, in ossequio al principio dell’atipicità dell’illecito civile, alla fattispecie dell’art. 2043 c.c. per l’identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità.
Di conseguenza, l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo nell’adozione del provvedimento amministrativo favorevole, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda (si veda ex multis Consiglio di Stato, sez. IV, 4 maggio 2011, n. 2675).
In particolare, occorre verificare la sussistenza sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quello di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante): in sostanza, il mero “superamento” del termine fissato ex lege o per via regolamentare alla conclusione del procedimento costituisce indice oggettivo, ma in integra “piena prova del danno”.
Nel caso in esame, tuttavia, a fronte della dimostrazione di un esito favorevole del provvedimento finale, che ha consentito al privato l’ottenimento del bene della vita, ovvero l’ampliamento dell’attività economica da esso gestita, e a fronte di una palese ed oggettiva inosservanza dei termini procedimentali non giustificata da rilievi da parte dell’Amministrazione, in sede procedimentale, ovvero in sede giudiziale, di difficoltà oggettive di tipo tecnico o organizzativo rispetto al concreto affare trattato, deve considerarsi raggiunta la prova dell’elemento soggettivo della fattispecie risarcitoria.
D’altra parte, la spessa Regione appellante, in appello, muove contestazioni legate ad una mancata considerazione degli elementi di cui all’art. 1227 c.c. che è del tutto generica e priva di concreti appigli fattuali.
Peraltro, in un caso come quello di specie, in cui è dimostrato l’esito favorevole del provvedimento finale, che ha consentito al privato l’ottenimento del bene della vita, e l’oggettiva inosservanza dei termini procedimentali non si vede come possa in altro modo il privato che aspiri al risarcimento del danno dimostrare l’elemento colpa della P.A.
4. Per quanto riguarda la quantificazione del danno, contestata per opposte ragioni dall’appellante principale e dall’appellante incidentale, si deve rilevare che dall’esame degli atti emerge la correttezza e la ragionevolezza delle valutazioni assunte dal TAR nella sentenza impugnata.
Infatti, in primo luogo deve ritenersi del tutto logico e coerente il riferimento al mancato guadagno dell’imprenditore privato che poteva soltanto dimostrare all’evidenza rapportando l’utile risultante dal bilancio 2012 aumentato in ragione della maggiore quantità di rifiuti che essa avrebbe potuto trattare in virtù della tempestiva concessione dell’autorizzazione.
E’ evidente che un tale calcolo è approssimativo ma è connaturato ed insito nel procedimento di quantificazione e liquidazione di un danno per mancato esercizio di un’attività economica conseguente al ritardo ingiustificato dell’Amministrazione, altrimenti dovendosi concludere che un tale danno sarebbe sempre di fatto irrisarcibile.
Pertanto, il parametro utilizzato dal TAR è pienamente condivisibile ed ancorato a dati oggettivi, gli unici che ragionevolmente potevano venire in rilievo per dimostrare l’entità del danno in un’ipotesi come quella in esame, con la conseguenza che deve ritenersi corretta l’operazione proporzionale effettuata dal TAR che ha rideterminato il danno in euro 112.000, con abbattimento ad 80.000euro per effetto dell’approssimazione insita in tale operazione di calcolo.
Per quanto riguarda i giorni di ritardo da considerare ai fini della predetta operazione proporzionale per la determinazione del danno, ritiene il Collegio che il TAR abbia ben rilevato il ritardo calcolandolo in 154 giorni, sommando ai 38 giorni di ritardo, decorrenti dal termine del 4 maggio 2013 al giorno di emanazione dell’atto (13 giugno 2013), i 116 giorni di ritardo calcolati facendo riferimento alle date: del 25 ottobre 2013 in cui sono state trasmesse le controdeduzioni ex art. 10-bis da parte dalla società istante; del 9 dicembre 2013 in cui si sarebbe dovuto emettere il provvedimento di assoggettabilità; del 26 marzo 2014, in cui è stato emesso definitivamente il provvedimento impugnato in questo giudizio.
5. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, sia l’appello principale che l’appello incidentale devono essere respinti in quanto infondati.
Le spese di lite del presente grado di giudizio possono essere compensate, sussistendo giusti motivi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),
definitivamente pronunciando sugli appelli principali ed incidentale come in epigrafe proposti, li respinge.
Compensa le spese di lite del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 gennaio 2016 con l’intervento dei magistrati:
Claudio Contessa, Presidente FF
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere, Estensore
Nicola Gaviano, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/03/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm

Redazione

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