La Corte di cassazione, con due diverse ordinanze di remissione, una (ordinanza del 15 gennaio 2015 in Foro it., 2015, II, 147, con nota di S. Di Paola) della quinta sezione penale e l’altra della sezione tributaria (ordinanza 21 gennaio 2015), aveva sottoposto alla Corte costituzionale la questione relativa al rispetto del principio del ne bis in idemcome interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, nei casi di cosiddetto “doppio binario” sanzionatorio, cioè in casi nei quali la legislazione nazionale prevede un doppio livello di tutela, penale e amministrativo.
In particolare, le due ordinanze riguardavano le figure dell’abuso di informazioni privilegiate e della manipolazione del mercato, che sono sanzionate in sede penale come delitti (artt. 184 e 185 del Testo unico della finanza – TUF d.lgs. n. 58 del 1998) e come illeciti amministrativi (artt. 187-bis (insider trading) e 187-ter (manipolazione di mercato) del TUF, come novellato dalla l. 18 aprile 2005, n. 62, attuativa della direttiva n. 2003/6/CE (cosiddetta Market Abuse Directive, MAD), i quali hanno una formulazione tale da ricomprendere, di fatto, anche l’omologa fattispecie penale.
La sovrapposizione dell’ambito applicativo di ciascun delitto con il corrispondente illecito amministrativo è contemplata dallo stesso legislatore, come risulta dalla clausola di apertura degli artt. 187-bis e 187-ter «salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato», che, in tal modo, stabilisce, da un punto di vista sostanziale, il cumulo dei due tipi di sanzioni.
Proprio tale assetto legislativo è stato ritenuto nelle due ordinanze di rimessione non compatibile con l’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, alla luce della sentenza Corte EDU, 4 marzo 2014 (Grande Stevens contro Italia), divenuta definitiva il 7 luglio 2014, (in Giur. it., 2014, 1196 ss.), la quale ha specificamente censurato l’ordinamento italiano per aver previsto un sistema di “doppio binario” sanzionatorio, nel settore degli abusi di mercato. La decisione della Corte europea attribuisce infatti, in applicazione dei c.d. criteri Engel e altri contro Paesi Bassi, natura sostanzialmente penale alle sanzioni amministrative stabilite per l’illecito di manipolazione del mercato ex art. 187-ter del TUF, in considerazione della gravità desumibile dall’importo elevato delle sanzioni pecuniarie inflitte e dalle conseguenze delle sanzioni interdittive. La medesima pronuncia sottolinea poi la mancanza di un meccanismo che comporti l’interruzione del secondo procedimento nel momento in cui il primo sia concluso con pronuncia definitiva. Infine, essa evidenzia l’identità dei fatti, dato che i due procedimenti, dinanzi alla CONSOB e davanti al giudice penale, riguardano un’unica e stessa condotta, da parte delle stesse persone, nella stessa data. Da tali considerazioni, la Corte europea desume la violazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU.
In entrambi i casi, la Corte rimettente sottolinea che il vulnus al principio del ne bis in idem, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza Grande Stevens, avrebbe una valenza sistemica e potenzialmente riguarderebbe non solo gli abusi di mercato, ma tutti gli ambiti in cui l’ordinamento italiano ha istituito un sistema di doppio binario sanzionatorio, in cui il rapporto tra illecito amministrativo e penale non venga risolto nel senso di un concorso apparente di norme.
La Corte ha dichiarato inammissibili tutte le questioni poste per irrilevanza e perplessità della motivazione, rinviando al legislatore il compito di stabilire le soluzioni che debbano adottarsi per porre rimedio alle frizioni che tale sistema genera tra l’ordinamento nazionale e la CEDU.
In sostanza, la Corte ha ritenuto non percorribile la via della questione di costituzionalità per giungere ad una armonizzazione dell’ordinamento interno al principio dettato dalla Corte EDU ed ha quindi rimesso al legislatore la soluzione della questione.
Nello stesso tempo, però, la Corte ha precisato che, in base alla consolidata giurisprudenza europea, il divieto di bis in idem ha carattere processuale, e non sostanziale. Esso, in altre parole, permette agli Stati aderenti di punire il medesimo fatto a più titoli, e con diverse sanzioni, ma richiede che ciò avvenga in un unico procedimento o attraverso procedimenti fra loro coordinati, nel rispetto della condizione che non si proceda per uno di essi quando è divenuta definitiva la pronuncia relativa all’altro.
Il principio è stato affermato nella sentenza C. eur. dir. uomo, Quinta Sezione, 27 novembre 2014, Luky Dev c. Svezia, secondo la quale, l’art.4 del protocollo 7 non vieta la contemporanea apertura e svolgimento di procedimenti paralleli per lo stesso fatto, sanzionando soltanto la mancata interruzione degli altri nel momento in cui uno di essi è divenuto definitivo.
Esso trova tuttavia una deroga nel caso in cui la duplicazione delle sanzioni sia stata inflitta da autorità diverse e nell’ambito di procedimenti strettamente collegati dal punto di vista sostanziale e temporale: così, ad esempio, è stata esclusa la violazione del divieto di ne bis in idem nel caso Nilsson c. Svezia del 13 dicembre 2005, nel quale il ritiro della patente da parte dell’autorità amministrativa si è aggiunto, per il medesimo fatto, alla condanna (penale) sospesa condizionalmente per guida in stato di ebbrezza.