Danno ambientale: il ruolo del giudice amministrativo

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 126 del 1 giugno 2016 ha dettato importanti indicazioni in tema di danno ambientale, evidenziando il ruolo del giudice amministrativo.

La Corte era stata chiamata ad esprimersi sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 311, comma 1, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 9, 24 e 32 Cost., nonché al principio di ragionevolezza, ritenendola infondata.

In primo luogo, la Corte evidenzia come l’espressa collocazione, a seguito della riforma del Titolo V, della materia «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema», nell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., quale competenza esclusiva dello Stato, ha fotografato, una realtà già riconosciuta dalla giurisprudenza come desumibile dal complesso dei valori e dei principi costituzionali (a partire ad esempio dalla sentenza 247 del 1974). Inoltre, anche alla luce delle competenze trasversali in capo ai diversi enti territoriali, viene quindi evidenziato e confermato il punto fermo del sistema elaborato dalla giurisprudenza circa la pluralità dei profili soggettivi del bene ambientale (sentenza n. 378 del 2007).

In secondo luogo, la Corte ha ripercorso la disciplina del danno ambientale, evidenziando il mutamento di prospettiva imposto dalle direttive europee, con la conseguente collocazione del profilo risarcitorio in una posizione accessoria rispetto alla riparazione; così, in sede di attuazione della direttiva, con il d.lgs. n. 152 del 2006, è emersa la priorità delle misure di “riparazione” rispetto al risarcimento per equivalente pecuniario, quale conseguenza dell’assoluta peculiarità del danno al bene o risorsa “ambiente”.

Nella stessa ottica, prima con l’art. 5 bis, d.l.  25 settembre 2009, n. 135 − per rispondere a una procedura di infrazione della UE − si è precisato che il danno all’ambiente deve essere risarcito con le misure di riparazione «primaria», «complementare» e «compensativa», prevedendo un eventuale risarcimento per equivalente pecuniario esclusivamente se le misure di riparazione del danno all’ambiente fossero state in tutto o in parte omesse, ovvero attuate in modo incompleto o difforme rispetto a quelle prescritte ovvero risultassero impossibili o eccessivamente onerose. Quindi, con l’art. 25, l. 6 agosto 2013, n. 97, si è ulteriormente riordinata la materia, eliminando i riferimenti al risarcimento “per equivalente patrimoniale” e imponendo per il danno all’ambiente “misure di riparazione” (specificate dall’Allegato 3 alla Parte sesta del d.lgs. n. 152 del 2006).

In terzo luogo, la Corte individua i soggetti che sono tenuti al ripristino. In prima battuta le misure sono a carico del responsabile del danno; tuttavia, quando le misure risultino in tutto o in parte omesse, o comunque realizzate in modo incompleto o difforme, il Ministro dell’ambiente procede direttamente agli interventi necessari, determinando i costi delle attività occorrenti per conseguire la completa e corretta attuazione e agendo nei confronti del soggetto obbligato per ottenere il pagamento delle somme corrispondenti.

La riserva allo Stato del potere di agire, anche esercitando l’azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale (art. 311), oggetto di censura da parte del giudice remittente, viene reputata alla stregua di una conseguenza logica del cambiamento di prospettiva sopra ricordato. All’esigenza di unitarietà della gestione del bene “ambiente” non può infatti sottrarsi la fase risarcitoria.

In termini di possibile iniziativa autonoma, la Corte sottolinea come la riserva allo Stato non escluda che ai sensi dell’art. 311, d.lgs. n. 152 del 2006 sussista il potere di agire di altri soggetti, comprese le istituzioni rappresentative di comunità locali, per i danni specifici da essi subiti. La norma ha mantenuto «il diritto dei soggetti danneggiati dal fatto produttivo di danno ambientale, nella loro salute o nei beni di loro proprietà, di agire in giudizio nei confronti del responsabile a tutela dei diritti e degli interessi lesi» (art. 313, comma 7, secondo periodo).

In tale contesto la Corte ricorda come la Cassazione abbia più volte affermato che la normativa speciale sul danno ambientale si affianca (non sussistendo alcuna antinomia reale) alla disciplina generale del danno posta dal codice civile, non potendosi pertanto dubitare della legittimazione degli enti territoriali a costituirsi parte civile iure proprio, nel processo per reati che abbiano cagionato pregiudizi all’ambiente, per il risarcimento non del danno all’ambiente come interesse pubblico, bensì (al pari di ogni persona singola od associata) dei danni direttamente subiti: danni diretti e specifici, ulteriori e diversi rispetto a quello, generico, di natura pubblica, della lesione dell’ambiente come bene pubblico e diritto fondamentale di rilievo costituzionale.

Infine, rispetto al profilo di censura sollevato con riferimento al rischio di una inazione statuale, specie nel caso di sovrapposizione tra danneggiato e danneggiante, (nel caso di specie per la mancata costituzione di parte civile), lo stesso viene respinto con diversi argomenti: la proposizione della domanda nel processo penale è solo una delle opzioni previste dal legislatore, potendo lo Stato agire direttamente in sede civile, o in via amministrativa; l’interesse giuridicamente rilevante di cui sono portatori gli altri soggetti istituzionali è preso in considerazione dall’art. 309 del codice dell’ambiente secondo cui le Regioni, le Province autonome e gli enti locali, anche associati, oltre agli altri soggetti ivi previsti «…possono presentare al Ministro … denunce e osservazioni, corredate da documenti ed informazioni, concernenti qualsiasi caso di danno ambientale o di minaccia imminente di danno ambientale e chiedere l’intervento statale a tutela dell’ambiente». 

In particolare, la Corte conclude l’esame evidenziando come tale interesse sia suscettibile di tutela giurisdizionale già secondo principi generali, nonché in via peculiare secondo le norme dello stesso codice: infatti, l’art. 310 prevede espressamente l’azionabilità dinanzi al giudice amministrativo.

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Redazione

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