Aggiudicazione: annullamento in autotutela per omessa dichiarazione di precedenti penali

La Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha confermato la sentenza emessa dal TAR della Toscana, il quale aveva respinto il ricorso di una Banca avverso l’annullamento in autotutela da parte di un Comune del provvedimento di aggiudicazione del servizio di tesoreria comunale.

La mancata aggiudicazione era dovuta all’omessa dichiarazione da parte del vice Presidente dell’istituto bancario appellante di un precedente penale a suo carico.

Secondo l’appellante il provvedimento impugnato avrebbe violato il principio di tassatività delle cause di esclusione di cui al comma 1 degli artt. 38 e 46 1-bis del d. lgs n. 163 del 2006, potendosi pronunciare l’esclusione da una gara solo per i reati di cui al comma 1 lett. c) dell’art. 38, i quali soli andavano dichiarati; inoltre, ad avviso dell’appellante, si era verificata una causa di oggettiva impossibilità di dichiarare il precedente penale in questione, dal momento che il decreto penale non era stato regolarmente notificato e non era noto al dichiarante.

Il Consiglio di Stato, con sentenza del 20 luglio 2016 n. 3275, ha ritenuto infondato l’appello. “L’art. 38, comma 1, lett. c), del D. Lgs. n. 163 del 2006 stabilisce l’esclusione dalle pubbliche procedure di gara degli amministratori muniti del potere di rappresentanza nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna passate in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuta irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale”.

Inoltre, ad avviso del Collegio, se da un lato la non aggiudicazione di cui alla lett. c) del comma 1 costituisce una regola di immediata applicazione che non tiene conto di giudizi discrezionali della stazione appaltante, dall’altro l’art. 38, comma 2, stabilisce che la dichiarazione sostitutiva in cui vanno indicate tutte le condanne penali riportate è un obbligo per i soggetti chiamati a tale dichiarazione indipendentemente dalla gravità delle condanne, poiché in questo caso spetta alla P.A. ogni giudizio sull’affidabilità dei soggetti partecipanti, con la possibilità di effettuare una più accurata valutazione ai fini di una conoscenza effettiva e generale della moralità e della professionalità dei soggetti concorrenti, propedeutica alla fase di aggiudicazione.

Non rileva, infine,  l’assunto che il decreto penale non potesse essere menzionato perché non presente nel certificato del casellario giudiziale: infatti risultava prodotto in atti il certificato del vice presidente dell’istituto bancario aggiudicatario, a carico del quale era stato emesso decreto penale da parte del g.i.p. del Tribunale di Arezzo. Si trattava comunque di un provvedimento anteriore alla procedura di gara in controversia, posto che l’elemento della “non menzione” non riguarda i rapporti con le pubbliche amministrazioni.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

***

N. 03275/2016REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 8034 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Nuova Banca dell’Etruria e del Lazio Spa, già Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avvocato Alessandro Tozzi, con domicilio eletto presso lo studio Nunziante Magrone in Roma, in Piazza di Pietra, n. 26;

contro

Il Comune di Arezzo, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Stefano Pasquini, con domicilio eletto presso la Segreteria della V Sezione del Consiglio di Stato in Roma, p.za Capo di Ferro, n. 13;

nei confronti di

La Cassa di Risparmio di Firenze Spa;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Toscana, Sez. I n. 1465/2013, resa tra le parti, concernenti l’affidamento in concessione del servizio di tesoreria comunale;

Visti il ricorso in appello, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Arezzo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 maggio 2016 il Cons. Raffaele Prosperi e uditi per le parti gli avvocati Alessandro Tozzi e Stefano Pasquini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

All’esito della procedura selettiva per l’affidamento in concessione del servizio di tesoreria del Comune di Arezzo veniva dichiarata aggiudicataria con provvedimento del 22 novembre 2012 la Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio società cooperativa.

L’aggiudicataria presentava, tra i vari documenti, la dichiarazione sostitutiva del vicepresidente attestante l’inesistenza di sentenze di condanna passate in giudicato o di decreti penali di condanna irrevocabili. Successivamente il direttore del servizio finanziario del Comune di Arezzo, con nota del 10 dicembre 2012, evidenziava che il vicepresidente della società aggiudicataria, dal riscontro della banca dati del casellario giudiziale, risultava destinatario di un decreto penale di condanna esecutivo, per violazione dell’art. 650 c.p., ed invitava l’interessata a documentare eventuali circostanze giustificanti l’omessa attestazione della predetta condanna

La Banca replicava che il citato vicepresidente non era mai stato notificatario della pronuncia del giudice penale e manifestava l’intendimento di chiedere la remissione in termini ai fini dell’opposizione alla pronuncia stessa e di valutare la possibilità di presentare domanda di oblazione ex art. 162 bis c.p..

L’Amministrazione comunale, vista l’assenza di un accertamento giudiziale su tale difetto di notifica, riteneva di non accogliere le osservazioni dell’interessata e con provvedimento del 27 dicembre 2012 annullava in autotutela l’aggiudicazione, dando atto della prosecuzione del servizio da parte dell’attuale concessionaria Cassa di Risparmio di Firenze s.p.a., confermando poi tale provvedimento con successivo atto del 24 gennaio 2013.

Avverso le sopraddette determinazioni la Banca ricorreva dinanzi al TAR della Toscana deducendo:

1) Sussistenza dei requisiti di legge; eccesso di potere per irragionevolezza.

2) Eccesso di potere per irragionevolezza e contraddittorietà.

3) Violazione dell’art. 46, commi 1 e 1 bis, del d.lgs. n. 163 del 2006.

4) Quanto al contestato provvedimento confermativo: violazione della lex specialis di gara; affermazione perplessa; violazione dell’art. 46, comma 1 bis, del d.lgs. n. 163 del 2006; travisamento.

Si costituivano in giudizio il Comune di Arezzo e la controinteressata Cassa di Risparmio di Firenze s.p.a..

Il TAR, con la sentenza segnata in epigrafe, preceduta dalla pubblicazione del dispositivo n. 1298 del 25 settembre 2013.

In particolare il tribunale escludeva in primo luogo la fondatezza della prima censura, con la quale la ricorrente aveva lamentato che la stazione appaltante era tenuta comunque a valutare l’illecito e non poteva procedere ad esclusione per il solo fatto dell’assenza dell’apposita dichiarazione di qualsiasi condanna penale, anche se non determinante per il difetto dei requisiti previsti dalla legge, poiché l’art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006 impone l’indicazione di tutte le condanne penali riportate, costituendo un valore per tutelare la celere e consapevole decisione sull’ammissione dell’operatore economico alla gara e non potendo nemmeno soccorrere nel caso l’art. 46, comma 1 bis, del d.lgs. n. 163 del 2006, poiché esso legittima l’estromissione dal procedimento selettivo sia qualora una norma di legge o di regolamento la commini espressamente, sia qualora la norma di legge imponga adempimenti doverosi pur senza prevedere espressamente l’esclusione.

In ogni caso anche l’art. 75 del d.p.r. n. 445 del 2000, richiamato dall’art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, stabilisce che la non veridicità della dichiarazione sostitutiva comporta la decadenza dai benefici eventualmente conseguiti, senza che tale norma lasci alcun margine di discrezionalità all’Amministrazione; ciò senza contare che l’interessata era stata preventivamente edotta della necessità di attestare le eventuali condanne subite grazie al facsimile di dichiarazione sostitutiva allegato al disciplinare di gara, né la stazione appaltante avrebbe potuto concedere la remissione in termini richiesta, vista la conoscibilità del decreto penale da parte dell’interessato tramite la visura del casellario giudiziario ed inoltre la fase della superata aggiudicazione avrebbe impedito passaggi di tal genere.

Veniva ritenuta infondata anche la seconda censura, riguardante la buona fede della ricorrente nella omissione de qua, giacché il decreto penale di condanna era stato notificato presso il domicilio della parte interessata, risultava da quest’ultima sottoscritto ed il disconoscimento della firma non trovava riscontri oggettivi: solo dopo l’annullamento dell’aggiudicazione disposto in autotutela dal Comune era intervenuta l’ordinanza di restituzione in termini ai fini dell’opposizione, emessa dal g.i.p. sull’assunto della probabilità che l’istante non avesse avuto notizia del decreto di condanna.

In terzo luogo era destituita di fondamento la censura incentrata sulla violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione dalla gara, come recepito dall’art. 46, comma 1 bis, del d.lgs. n. 163 del 2006, nonché sulla violazione dell’art. 46, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006, secondo cui i concorrenti possono essere ammessi a completare o chiarire il contenuto dei certificati e documenti prodotti.

La mancata dichiarazione di un precedente penale non poteva costituire un’irregolarità sanabile, stante il chiaro precetto dell’art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006 sull’onere per il concorrente della presentazione di una corretta dichiarazione, né sussisteva la possibilità di regolarizzazioni, che potevano riguardare vizi o dimenticanze di carattere meramente formale, cui non potevano ricondursi le omissioni di dichiarazioni imposte dall’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006. Tra l’altro la stazione appaltante, in sede di verifica del possesso dei requisiti ex art. 11, comma 8, del d.lgs. n. 163 del 2006, aveva invitato l’interessata a documentare entro il 14.12.2012 la sussistenza di circostanze legittimanti l’omessa attestazione, e la ricorrente si era limitata al disconoscimento della firma apposta sull’avviso di ricevimento del decreto penale.

Infine il tribunale riteneva infondato anche il quarto motivo, concernente nuovamente la tassatività delle cause di esclusione e la asserita confusione da parte dell’Amministrazione tra la necessità del possesso dei requisiti di partecipazione e la sussistenza di precedenti penali irrilevanti: veniva ribadito il già espresso concetto sulla legittimità del provvedimento esclusivo qualora la norma di legge imponga adempimenti doverosi pur senza prevedere espressamente l’esclusione, stante il fatto che il citato art. 38 comma 2 aveva virtualmente introdotto un precetto autonomo, valevole anche nel caso di mancato recepimento espresso da parte del bando.

L’onere di visionare la banca dati del casellario giudiziale, cui faceva riferimento non solo l’atto atto confermativo impugnato, ma anche il facsimile di dichiarazione sostitutiva allegato al disciplinare di gara, rappresentava un obbligo di diligenza a carico di un soggetto che era comunque consapevole dell’illecito penale commesso (infatti l’U.S.L. aveva accertato, nel sopralluogo svolto alla presenza dell’attuale vicepresidente della Banca, l’inottemperanza all’ordinanza contingibile e urgente a lui rivolta , inottemperanza costituente il reato per il quale si è poi proceduto alla condanna con il decreto penale in questione).

Con ricorso in appello proposto dapprima avverso il dispositivo di sentenza e quindi tramite motivi aggiunti nei confronti della sentenza n. 1465 del 21 ottobre 2013, la Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio sosteneva che la pronuncia impugnata aveva omesso di considerare che l’introduzione del principio di tassatività non poteva aver determinato un ampliamento delle cause di esclusione oltre a quelle strettamente espresse dalla legge e ciò anche nel campo delle dichiarazioni di gara, soprattutto in presenza di fatti in realtà solo apparenti; né potevano avere valore in tal senso i contenuti del disciplinare di gara che prescrivono compilazioni ulteriori rispetto alle previsioni di legge; ciò soprattutto a fronte di un precedente ignoto al dichiarante, non risultante da ordinaria visura al casellario giudiziale, che non inficiava la moralità professionale del dichiarante e che aveva perduto retroattivamente la propria esecutività a seguito della concessa restituzione in termini e tempestiva proposizione di opposizione, trattandosi in definitiva di un’iscrizione illegittima che non doveva essere citata.

Né dal complesso della legge di gara emergeva che qualsiasi condanna penale potesse portare all’esclusione, dovendo piuttosto rilevarsi che la stazione appaltante non avrebbe potuto esimersi dalla valutazione della rilevanza del fatto di cui al decreto penale di condanna; del resto, secondo l’appellante, i contenuti dell’art. 38 cit. disciplinerebbero autonomamente quella gravità che può portare all’esclusione, senza tacere che l’omissione de qua non era comunque atta a far conseguire al concorrente alcuna posizione di vantaggio competitivo nell’ambito della gara e che la stessa legge di gara non aveva previsto, per il fatto in questione, alcuna autonoma cause di esclusione.

L’appellante ha formulato anche domanda risarcitoria, sia in forma specifica che per equivalente.

Il Comune di Arezzo si è costituita in giudizio, sostenendo l’infondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto.

All’odierna udienza del 26 maggio 2016 la causa è passata in decisione.

DIRITTO

Oggetto dell’appello è la sentenza con la quale il T.a.r. della Toscana ha respinto il ricorso della Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio – ora Nuova Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio – avverso l’annullamento in via di autotutela da parte del Comune di Arezzo del provvedimento di aggiudicazione del servizio di tesoreria comunale, annullamento dovuto alla mancata dichiarazione da parte del vice Presidente dell’istituto bancario appellante di un precedente penale a suo carico, consistente in un decreto penale di condanna non opposto al pagamento di un’ammenda di €. 103,00 per il reato di cui all’art. 650 del codice penale.

Secondo l’appellante il provvedimento impugnato avrebbe violato il principio di tassatività delle cause di esclusione di cui al comma 1 degli artt. 38 e 46 1 bis del d. lgs n. 163 del 2006, potendosi pronunciare l’esclusione da una gara solo per i reati di cui al comma 1 lett. C) del suaccennato art. 38, i quali soli andavano dichiarati; inoltre, ad avviso dell’appellante, si era verificata una causa di oggettiva impossibilità di dichiarare il precedente penale in questione, dal momento che, anche a prescindere dalla sua assoluta irrilevanza, il decreto penale non era stato regolarmente notificato ed era quindi del tutto ignoto al dichiarante, così come non era risultato anche da un’ordinaria misura al casellario giudiziale.

L’appello è infondato, essendo logiche e condivisibili le conclusioni raggiunte dai primi giudici, il che consente di prescindere dall’esame della eccezione di difetto di legittimazione attiva di Banca Etruria sollevata dall’appellato Comune di Arezzo.

L’art. 38, comma 1, lett. c), del D. Lgs. n. 163 del 2006 stabilisce l’esclusione dalle pubbliche procedure di gara degli amministratori muniti del potere di rappresentanza nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna passate in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuta irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale.

Detta previsione esprime una sorta di automatismo connesso ad un riconoscimento normativo di un insussistenza di requisiti morali e giuridici che colpiscono direttamente la figura degli amministratori – o del singolo amministratore – in quanto tali.

Altro genere di previsione si rinviene nel comma 2 dello stesso art, 38, ove si stabilisce nella prima parte che “il candidato il concorrente attesta possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle previsioni del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del presidente della Repubblica 28 dicembre 2000 n. 445, in cui indica delle condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali abbia beneficiato della non menzione”.

Mentre l’esclusione predetta di cui alla lett. c) del comma 1 costituisce una regola automatica che prescinde da valutazioni discrezionali della stazione appaltante, la dichiarazione di cui al comma 2 è un obbligo per i soggetti chiamati a tale dichiarazione indipendentemente dalla gravità delle condanne, poiché in questo caso spetta alla P.A. procedente la valutazione sull’affidabilità dei soggetti partecipanti, con la possibilità di effettuare un vaglio ulteriore a quello tassativo già operato dal legislatore allo scopo di una conoscenza effettiva e generale della moralità e della professionalità dei soggetti concorrenti e per verificarne a fondo la reale affidabilità: naturalmente, mentre le esclusioni di cui al comma lett. c) sono vincolanti, un’esclusione fondata su condanne di altro genere potrà sempre essere sindacata dal giudice amministrativo per quanto concerne la sua ragionevolezza e la sua attinenza con i requisiti per contrattare con le pubbliche amministrazioni.

Ciò dimostra che la dichiarazione di cui al comma 2 non è un inutile orpello o un passaggio burocratico ininfluente, ma costituisce lo strumento adeguato per svolgere un controllo generale sui rappresentanti delle ditte concorrenti.

Né può essere chiamato in causa l’art. 46 comma 1 bis del codice dei contratti pubblici concernente la tassatività delle cause di esclusione: stabilisce infatti tale comma 1 bis l’esclusione dei candidati o dei concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal codice, dal regolamento ed altre disposizioni di legge vigenti; quindi non si tratta tanto di una previsione di esclusione autonomamente inserita dalla legge di gara – come nel caso di specie – ma della violazione di una rilevante prescrizione dello stesso codice dei contratti pubblici, un’omissione di un importante passaggio previsto da questo stesso e come correttamente osservato dal T.a.r. della Toscana, l’art. 46 comma 1 bis in questione, nel circoscrivere l’ipotesi di esclusione dalle gare, non collega quest’ipotesi alla presenza di una specifica previsione di estromissione, ma anche all’omissione di adempimenti doverosi, la cui pregnanza deve essere desunta dal loro ruolo (Cons. Stato, VI, 13 ottobre 2015 n. 4703; id., 2 febbraio 2015 n. 462; V, 3 dicembre 2014 n. 5972).

Destituita di fondamento è poi l’asserzione che il decreto penale non potesse essere menzionato perché assente nel certificato del casellario giudiziale: è infatti stato prodotto in atti il certificato del vice presidente dell’istituto bancario aggiudicatario, a carico del quale risulta essere stato emesso il decreto penale in parola da parte del g.i.p. del Tribunale di Arezzo in data 7 gennaio 2010, esecutivo l’anno successivo. Si tratta di provvedimento antecedente la procedura di gara in controversia e l’elemento della “non menzione” riguarda i rapporti con i privati e non con le pubbliche amministrazioni.

Si deve poi aggiungere per completezza che la consultazione del casellario rappresenta un onere per gli amministratori tenuti alle dichiarazioni di cui all’art. 38 del codice dei contratti pubblici e che le vicende specifiche rappresentate in causa, disconoscimento della notifica, successiva remissione in termini per l’opposizione e revoca del decreto, costituiscono fatti successivi al provvedimento impugnato e non possono comunque inficiarne la legittimità.

Per le suesposte considerazioni l’appello deve essere respinto.

Le vicende successive al provvedimento da ultimo menzionate giustificano in ogni caso la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli, Presidente

Sandro Aureli, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere

Raffaele Prosperi, Consigliere, Estensore

Alessandro Maggio, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 20/07/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Redazione

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