CdS: negli appalti non sussiste il falso innocuo

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3014 del 7 luglio 2016, ha negato l’applicabilità  degli istituti di derivazione penalistica del falso innocuo e del falso inutile nelle procedure ad evidenza pubblica.

Il Collegio ha infatti chiarito che nelle procedure evidenziali il c.d. falso innocuo è istituto insussistente atteso che, nelle procedure di evidenza pubblica, la completezza delle dichiarazioni è già di per sé un valore da perseguire perché consente, anche in ossequio al principio di buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità, la celere decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla selezione; pertanto, una dichiarazione che è inaffidabile perché, al di là dell’elemento soggettivo sottostante, è falsa o incompleta, deve ritenersi già di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma, a prescindere dal fatto che l’impresa meriti sostanzialmente di partecipare.” ( cfr. ex multis CGA 710/2013 Cons.St. V Sez. n. 3397 del 2013).

A ciò si deve aggiungere che l’intero sistema della disciplina delle procedure di evidenza pubblica poggia sulla presentazione, da parte delle imprese concorrenti, di dichiarazioni sostitutive che le vincolano in base all’elementare principio dell’autoresponsabilità e che devono essere rese con diligenza e veridicità (Consiglio di Stato, sez. V, 01/12/2014, n. 5928).

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

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N. 03014/2016REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9436 del 2015, proposto dalla società Serra Wind s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Enrico Follieri, Ilde Follieri, con domicilio eletto presso Giammarco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

contro

Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e difesi dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, sono ope legis domiciliati,;
Gestore Servizi Energetici s.p.a, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avv. Arturo Cancrini, Francesco Vagnucci, con domicilio eletto presso Arturo Cancrini in Roma, piazza San Bernardo 101;

per la riforma della sentenza del T.A.R. del LAZIO –Sede di ROMA- SEZIONE III TER n. 12129/2015, resa tra le parti, concernente la decadenza dalla graduatoria e la non ammissione agli incentivi riconosciuti alla ricorrente per un impianto di produzione di energia elettrica fonte eolica;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dello Sviluppo Economico, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Gestore Servizi Energetici s.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 maggio 2016 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Enrico Follieri, Cancrini e l’Avvocato dello Stato Garofoli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.Con la sentenza in epigrafe impugnata n. 12129/2015 il Tribunale amministrativo regionale del Lazio – Sede di Roma – ha deciso, in parte respingendolo ed in parte dichiarandolo inammissibile, il ricorso, proposto dall’odierna parte appellante Serra Wind s.r.l., e volto ad ottenere l’annullamento del provvedimento prot. P20140158310 del 6.11.2014, con cui il GSE aveva disposto la decadenza dalla graduatoria e la non ammissione agli incentivi riconosciuti alla originaria ricorrente per un impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica, per una potenza nominale di 0,800 MW, realizzato in località Serra d’Isca nel Comune di Candela (FG).

2. La odierna appellante società Serra Wind, soggetto responsabile di un impianto per la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile eolica sito nel territorio del Comune di Candela, aveva fatto presente:

a) di avere inoltrato al Gestore dei servizi energetici, in data 3.12.2012, istanza di iscrizione nel registro informatico ex art. 9 d.m. 6.7.2012, con dichiarazione “di essere titolare del pertinente titolo autorizzativo del 27.5.2008”, data di presentazione all’amministrazione comunale della d.i.a. per la realizzazione dell’impianto;

b)di avere in seguito (ottenuta l’iscrizione ed entrato in esercizio l’impianto) rivolto al GSE domanda di accesso agli incentivi (3.7.2014), parimenti recante indicazione, quale titolo abilitante, della “DIA/SCIA rilasciat[a] dal Comune di Candela in data 27.5.2008”;

c) di avere tuttavia ricevuto dal Gestore preavviso di diniego (25.9.2014), sul duplice rilievo dell’indicazione della data di presentazione della d.i.a., anziché di quella di “conseguimento” del titolo (con indebito beneficio del vantaggio derivante dall’applicazione del criterio di priorità ex art. 10, co. 3, lett. h, d.m. cit., relativo all’anteriorità del provvedimento abilitativo), e della mancata pronuncia dell’ente locale sulla natura “non sostanziale” delle modifiche apportate al progetto originario (di cui a una denuncia inizio dei lavori del 20.10.2009, indirizzata alla Provincia di Foggia).

3.Essa aveva quindi impugnato il provvedimento del 6.11.2014, con cui il GSE, disattese le inerenti controdeduzioni, aveva disposto la decadenza dell’impianto dalla graduatoria e la non ammissione agli incentivi; avverso tale atto aveva prospettato articolate censure di violazione di legge (art. 23 d.P.R. n. 380/01, punti 2.2.6 e 2.2.8 delle procedure applicative del 24.8.2012;) ed eccesso di potere sotto varii profili sintomatici, tra cui il difetto di istruttoria.

4. Con la sentenza in epigrafe appellata il Tar ha anzitutto chiarito che – a suo avviso- il punto attinente alla natura sostanziale o non della variante, ancorché segnalato nel preavviso di rigetto, non integrava un presupposto del diniego (ad onta delle argomentazioni difensive svolte dal GSE nel corso del giudizio, cfr. n. 5 mem. 26.6.15, e indipendentemente dalla, pur corretta, osservazione della originaria ricorrente circa l’assenza di obiezioni del Gestore sulla “non sostanzialità” della variante).

Nel gravato provvedimento, infatti, il Gestore (che aveva richiamato il rilievo formulato nel preavviso sulla conformità dell’impianto alla d.i.l. del 20.10.2009; il par. 2.2.7 delle procedure applicative del 24.8.2012, nella parte concernente il regime della “data delle autorizzazioni in variante” per le ipotesi di “modifiche sostanziali”; nonché la comunicazione del Comune di Candela del 9.10.2014 -acquisita nel contraddittorio procedimentale- sulla “non sostanzialità” della variante di cui all’anzidetta d.i.l.) si era infatti limitato a rilevare la posteriorità dell’attestazione comunale rispetto all’iscrizione al registro (il “pronunciamento [sic] del Comune di Candela, datato 9 ottobre 2014, è pertanto successivo all’iscrizione al Registro dell’impianto, avvenuta il 3 dicembre 2012”), senza però farne sortire effetti sugli esiti della verifica.

Ciò era agevolmente desumibile dal tenore del provvedimento impugnato, che così recitava: “Tutto quanto premesso, la data dichiarata dal soggetto responsabile nell’istanza di iscrizione al registro, considerata dal GSE ai fini della formazione della graduatoria, risulta essere antecedente alla data di conseguimento del titolo autorizzativo. Pertanto il soggetto responsabile ha indebitamente beneficiato, ai fini della formazione della graduatoria, del vantaggio derivante dall’applicazione del criterio di priorità di cui all’art. 10, comma 3, lettera h), del Decreto [d.m. 6.7.2012].

In conformità a quanto previsto dal paragrafo 4.2 delle Procedure Applicative, il GSE dispone la decadenza dell’impianto dalla graduatoria e non ammette l’impianto agli incentivi”.

La questione della “variante” non era stata quindi posta a supporto della determinazione negativa, con conseguente inammissibilità, per difetto di interesse, degli inerenti profili di doglianza (n. 1.b ric.).

4.1. Nella impugnata sentenza è stato espresso il convincimento per cui la avversata statuizione negativa, invece, si fondava su altri aspetti e ciò imponeva una disamina sulla portata e sugli effetti della dichiarazione della originari ricorrente circa la data di “conseguimento” della d.i.a.

4.2. A tal proposito è stato in particolare rilevato dal Ta.r. che:

a)le procedure applicative del d.m. 6 luglio 2012 contenenti i regolamenti operativi per le procedure d’asta e per le procedure di iscrizione ai registri (Ai sensi dell’art. 24, comma 1 del D.M. 6 luglio 2012)”, nell’edizione 24.8.2012 (cfr. all. 1 amm.), al par. 2.2.7 (“formazione delle graduatorie”) disponevano quanto segue: “La graduatoria […] è formata sulla base dei dati dichiarati dai Soggetti Responsabili, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000, nella consapevolezza delle sanzioni penali e amministrative previste anche dall’art. 23 del D.Lgs. 28/2011, in caso di dichiarazioni false o mendaci e di invio di dati o documenti non veritieri, ciò anche in riferimento all’attestazione del ricorrere delle condizioni costituenti criteri di priorità.

Il Soggetto Responsabile è pienamente consapevole che:

– il Decreto non consente l’integrazione dei documenti e delle informazioni fornite successivamente alla chiusura del Registro;

– in base alle presenti Procedure è consentito modificare i dati e le informazioni fornite esclusivamente entro il periodo di apertura del Registro e secondo le modalità previste al paragrafo 2.2.4;

– la procedura di iscrizione al Registro è interamente basata su autodichiarazioni senza prevedere l’allegazione di documenti a supporto;

– la graduatoria viene formata sulla base dei dati dichiarati ai sensi del D.P.R. 445/2000.”.

b) il medesimo par. 2.2.7, richiamati i “criteri di priorità” ex art. 10, co. 3, d.m. 6.7.2012, tra i quali quello sub lett. h), sull’“anteriorità del titolo autorizzativo”, recava le seguenti ulteriori specificazioni (evidenziate in apposito riquadro):

“Ai fini dell’applicazione del criterio di cui alla lettera h), si precisa che il titolo autorizzativo/abilitativo si intende conseguito alla data in cui l’amministrazione competente ha rilasciato l’atto conclusivo del procedimento di autorizzazione. Il titolo autorizzativo/abilitativo non sarà pertanto ritenuto conseguito in presenza di un atto endoprocedimentale, quale, in via esemplificativa, il Verbale della Conferenza dei Servizi, seppur di contenuto positivo, in caso di Autorizzazione Unica.

Nell’ipotesi di Denuncia di Inizio Attività (DIA) o di Procedura Abilitativa Semplificata (PAS), il titolo abilitativo si intende conseguito decorsi 30 giorni dalla data di presentazione della relativa documentazione all’Ente comunale competente senza che siano intervenuti espliciti dinieghi e senza che si siano verificate cause di sospensione di detto termine, quali la necessità di acquisire, anche mediante convocazione di Conferenza di servizi, atti di amministrazioni diverse e di attivare il potere sostitutivo (art. 23 D.P.R. 380/2001 e art. 6, comma 5, D.Lgs. 28/2011). […]

Ai fini dell’applicazione del criterio di anteriorità del titolo autorizzativo, si considera la data di rilascio dell’autorizzazione o, in caso di modifiche sostanziali, la data delle autorizzazioni in variante. […]”

c) tale dato normativo imponeva di condividere l’eccezione di inammissibilità del primo motivo (prospettante la correttezza dell’indicazione della data di presentazione della d.i.a., anziché di quella del suo “consolidamento”), sollevata dal GSE sul rilievo dell’omessa impugnazione delle procedure applicative in parte qua (ossia della riportata puntualizzazione di cui al par. 2.7.7; mem. dep. 16.6.2015) in quanto:

I)secondo la originaria ricorrente la previsione in argomento doveva operare soltanto in sede di applicazione del criterio cronologico, non ai fini della compilazione delle istanze (ciò che sarebbe comprovato dal tenore, asseritamente ambiguo, dei moduli predisposti dal Gestore), e comunque le procedure applicative non avrebbero posseduto natura di atto generale, ma di “atto normativo regolamentare o sub-regolamentare o, comunque, interno (una sorta di circolare o di prassi applicativa consolidata in un testo normativo)”, con conseguente possibilità di disapplicazione officiosa (“quando fungono da parametro di legittimità di un provvedimento impugnato”).

II) ma tale tesi non era persuasiva perchè, da un lato, non era revocabile in dubbio la natura unitaria della precisazione di cui trattasi – non avendo senso ipotizzare una distinta configurazione del medesimo elemento a seconda delle diverse fasi del procedimento ammissivo in cui esso viene in rilievo (proposizione delle istanze e formazione della graduatoria), né potendo rilevare le testuali espressioni della modulistica, le quali vanno necessariamente lette insieme alle inerenti “istruzioni” operative (ferma restando, peraltro, la possibilità degli interessati di sottoporre all’amministrazione eventuali dubbi interpretativi);

III) per altro verso, doveva essere evidenziato che le “procedure applicative” risultavano emanate dal GSE ai sensi dell’art. 24, co. 1, d.m. 6.7.2012 (il Gestore adotta “apposite procedure applicative delle disposizioni del medesimo decreto, ivi incluso il regolamento operativo per le procedure di asta, per le procedure di iscrizione ai registri e per i rifacimenti parziali e totali […]”), ossia in base a una disposizione certamente non idonea a istituire o conferire potestà regolamentari ( nel sistema delle fonti la generale possibilità di prevedere fonti secondarie restava riservata alla legge ordinaria).

III) la circostanza che esse fossero state emanate in forza di una precisa disposizione (art. 24 cit.) ne consentiva al contempo di escludere la qualificazione alla stregua di circolari o di “prassi applicativa consolidata in un testo normativo”.

IV) ne doveva discendere l’inammissibilità, per omessa impugnazione della previsione generale, della doglianza prospettante l’illegittimità dell’orientamento del Gestore sulla necessità di dichiarare la data di “consolidamento” della d.i.a. (Cons. Stato, sez. IV, 15 ottobre 2014, nn. 4635, 4636 e 4637, ord. caut. sul “mancato rispetto delle esplicite prescrizioni per la presentazione della domanda e la consequenziale inconferenza delle valutazioni sulla natura giuridica della DIA”).

4.3. Il Tar ha poi scrutinato il secondo e il terzo motivo del mezzo di primo grado, attinenti agli effetti della dichiarazione laddove l’odierna appellante aveva sostenuto che, per un verso, non aveva ottenuto alcun beneficio dal contegno censurato dal GSE e, per altro verso, che l’“erronea indicazione” della data di conseguimento, non rientrando né tra le ipotesi di esclusione dalla graduatoria né tra quelle di decadenza dell’iscrizione al registro previste dalle procedure applicative (rispettivamente, ai parr. 2.2.6 e 2.2.8), avrebbe al più potuto consentire la rideterminazione del punteggio (operazione destinata a concludersi con la conferma della posizione in graduatoria della originaria ricorrente), ma non l’estromissione dal regime incentivante.

Alle obiezioni del GSE sull’impossibilità di invocare il c.d. falso innocuo, la società aveva replicato di non avere inteso far riferimento a tale figura, poiché “il giudizio formulato nella dichiarazione è un giudizio giuridico (di ‘applicazione’ della norma di cui all’art. 10. c. 3, lett. h, D.M. 6.7.2012), non un giudizio descrittivo”, con la conseguenza che “non poteva essere falso, ma al più errato”. Ad avviso dell’appellante, mancavano “la falsa o mendace dichiarazione e il vantaggio ritratto dalla dichiarazione errata”, ossia “i presupposti della decadenza dalla graduatoria” (in questi termini, avrebbe potuto esserle semmai ascritta una “dichiarazione errata in diritto, quindi non falsa o mendace”, avendo essa “al più errato sulla qualificazione giuridica del momento rilevante per la compilazione della domanda di iscrizione al registro e della domanda di accesso agli incentivi”;).

4.4. Nella sentenza gravata tali obiezioni sono state disattese in quanto:

a) collidenti con l’orientamento giurisprudenziale formatosi sulla questione, seppure in sede cautelare (Cons. Stato, sez. IV, ord. 4 marzo 2015, n. 984, che richiamava il par. 2.2.11 delle procedure applicative, in tema di conseguenze sanzionatorie; v. anche l’ord. 23 gennaio 2015, n. 323 del Tar, sulla necessità di una valutazione ex ante delle dichiarazioni non veritiere);

b)contrastanti con l’art. 24 (“procedure applicative, controlli e monitoraggio”), co. 3, d.m. 6.7.2012 che demandava al GSE l’effettuazione di “controlli sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive rese dai soggetti responsabili con le modalità di cui all’articolo 71 del DPR n. 445 del 2000”, stabilendo che “qualora dal controllo emerga la non veridicità del contenuto delle dichiarazioni, si applica l’articolo 23, comma 3, del decreto legislativo n. 28 del 2011” (quest’ultima disposizione prevede, tra l’altro, in linea generale che “non hanno titolo a percepire gli incentivi per la produzione di fonti rinnovabili […] i soggetti per i quali le autorità e gli enti competenti abbiano accertato che, in relazione alla richiesta di qualifica degli impianti o di erogazione degli incentivi, hanno fornito dati o documenti non veritieri, ovvero hanno reso dichiarazioni false o mendaci”).

c)contrastanti con le procedure applicative, laddove:

I)il par. 2.2.11, sulle “verifiche e controlli”, precisato che il GSE “si riserva di verificare, fin dalla data di apertura del Registro, la veridicità delle informazioni e dei dati resi con le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà che avviano la procedura di incentivazione di cui sono elemento costitutivo e parte integrante” (dichiarazioni che pertanto “ricadono nell’ambito di applicazione dell’art. 23 del d.lgs. 28/2011”), prevedeva che l’impianto è escluso dalla graduatoria o decade dagli incentivi “qualora dal controllo emerga la non veridicità del contenuto delle dichiarazioni” in questione;

II)il par. 2.2.8 (“decadenza dall’iscrizione al Registro”) stabiliva a sua volta la decadenza dell’impianto “nel caso in cui, nell’ambito dell’istruttoria afferente alla richiesta di iscrizione al Registro o alla richiesta di incentivazione, dai controlli effettuati ai sensi dall’art. 24 del Decreto, dovessero emergere differenze e difformità in ordine ai dati, ai documenti e alle informazioni fornite all’atto dell’iscrizione al Registro, con particolare riferimento a quelle rilevanti ai fini della formazione della graduatoria […]”;

III) lo stesso par. 2.2.7, sulla “formazione della graduatoria”, esordiva con la precisazione che “la graduatoria […] è formata sulla base dei dati dichiarati dai Soggetti Responsabili, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000, nella consapevolezza delle sanzioni penali e amministrative previste anche dall’art. 23 del d.lgs. 28/2011, in caso di dichiarazioni false o mendaci e di invio di dati o documenti non veritieri, ciò anche in riferimento all’attestazione del ricorrere delle condizioni costituenti criteri di priorità”;

IV) da ultimo, il par. 4.2 (“processo di valutazione della richiesta di incentivazione”), richiamato nel provvedimento impugnato, prevedeva che “nel caso in cui si accerti che, in relazione alla richiesta degli incentivi, il Soggetto Responsabile abbia fornito dati o documenti non veritieri ovvero abbia reso dichiarazioni false o mendaci, fermo restando il recupero di quanto eventualmente già indebitamente percepito, il GSE applica quanto previsto dall’art. 23 del D.Lgs. 28/2011 […]” (ult. cpv.).

d) il quadro normativo delineava un meccanismo incentrato sul principio di autoresponsabilità (cfr. anche par. 2.2.7 cit.: “la procedura di iscrizione al Registro è interamente basata su autodichiarazioni senza prevedere l’allegazione di documenti a supporto”; “la graduatoria viene formata sulla base dei dati dichiarati ai sensi del D.P.R. 445/2000”); esso poteva funzionare correttamente (attraverso la destinazione delle risorse agli effettivi aventi titolo) soltanto se i dati forniti fossero (stati) conformi alla situazione reale, indipendentemente dalle condizioni soggettive dei dichiaranti (non essendo cioè in alcun modo influente il complesso delle giustificazioni da costoro eventualmente addotte); la originaria ricorrente, nell’indicare la data di “conseguimento” del titolo edilizio, aveva comunicato un dato difforme (vale a dire il giorno di presentazione della denuncia, dato peraltro più favorevole per l’operare del criterio cronologico) da quello che avrebbe dovuto riportare ai sensi delle (giova sottolineare) univoche puntualizzazioni delle procedure applicative.

e)risultava dunque integrata la difformità richiesta per la configurazione della fattispecie decadenziale, non rilevando ai fini in questione aspetti soggettivi quali, a es., l’invocato errore qualificatorio (semmai la causa della dichiarazione oggettivamente non conforme), né la circostanza che la dichiarazione “non veridica” si fosse rivelata in concreto “innocua”, poiché la normativa di riferimento, ispirata a un rigore giustificato dalla peculiare materia in considerazione non contemplava tra i presupposti per l’integrazione della fattispecie il conseguimento di un beneficio, ma poneva al contrario particolare enfasi sull’“attestazione del ricorrere delle condizioni costituenti criteri di priorità” e sulle “differenze e difformità” in ordine alle informazioni “rilevanti ai fini della formazione della graduatoria” (v. proc. appl., parr. 2.2.7, 1° cpv., e 2.2.8.C citt.).

5.La originaria parte ricorrente rimasta integralmente soccombente ha impugnato la detta decisione criticandola sotto ogni profilo e riproponendo le tesi rappresentate in primo grado.

Ha in particolare sostenuto che:

a) la Dia si consegue al momento della presentazione della relativa istanza, in quanto la scadenza del successivo termine di trenta giorni è prevista ai soli fini del conseguimento della efficacia in capo al titolo abilitativo (art. 23 comma 5 del dPR n. 380/2001);

b)la riscontrata difformità integrava comunque, a tutto concedere, un errore e non una falsità: ne conseguiva che non poteva essere adottata la decadenza dagli incentivi, tanto più che l’errore era ininfluente in quanto la società che seguiva l’appellante in graduatoria, vantava un titolo posteriore di due anni: la discrasia di 30 gg non rilevava;

c)la invocata disapplicazione avrebbe potuto investire anche le disposizioni contenute nelle procedure applicative: il fatto che la “fonte” di tale atto riposasse in un regolamento ministeriale non poteva incidere sulla natura (pararegolamentare, o di circolare) delle medesime.

6. In data 11.12.2015 l’odierna parte appellata GSE (che si era costituita con atto di stile il 24.11.2015) ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione del ricorso in appello perché infondato, ed ha dedotto che:

a)la dichiarazione di parte appellante aveva violato il paragrafo 2.2.7 delle Procedure Applicative; detta disposizione non era stata impugnata e pertanto il primo motivo del mezzo di primo grado era inammissibile;

b)anche il secondo ed il terzo motivo del mezzo di primo grado, riproposti in appello, erano infondati, in quanto l’appellante aveva reso al GSE dichiarazioni oggettivamente non veritiere;la supposta innocuità delle stesse non rilevava, in armonia con consolidata giurisprudenza in punto di riconoscimento di incentivi, in cui ciò che rilevava era la idoneità astratta della dichiarazione ad incidere sulla graduatoria, e non si richiedeva certo una “prova di resistenza” sulla alterazione della graduatoria medesima.

7. All’adunanza camerale del 15 dicembre 2015 la Sezione, con ordinanza n. 05563/2015 ha accolto l’istanza cautelare (Ricorso numero: 9436/2015) ai soli fini della fissazione della udienza di merito, indicata nella prossima udienza del 28 aprile 2016 e per il resto ha mantenuto ferma la esecutività della sentenza impugnata, alla stregua della considerazione per cui “rilevato che l’appello prospetta delicate problematiche giuridiche da vagliare sollecitamente nella pertinente udienza di merito che si provvede a fissare sin d’ora al prossimo 28 aprile 2016; rilevato di converso che, quanto al periculum in mora non sussiste il pregiudizio grave ed irreparabile che imporrebbe la sospensione della esecutiVità della gravata decisione”.

8. In data 16.12.2015 il Ministero dello Sviluppo economico si è costituito depositando atto di stile.

9. In data 1.4.2016 la società appellante Serra Wind s.r.l. ha depositato una articolata memoria puntualizzando e ribadendo le proprie difese e facendo presente che il ricorso di primo grado era senz’altro ammissibile.

10. In data 13.4.2016 l’odierna parte appellata GSE ha depositato una memoria

di replica confutando le argomentazioni di parte appellante e ribadendo che il paragrafo 2.2.7 della lex specialis prescriveva proprio le modalità di compilazione del modulo di iscrizione al Registro e non invece soltanto la successiva attività di compilazione della graduatoria spettante al GSE, come arbitrariamente sostenuto.

11 .Alla odierna pubblica udienza del 5 maggio 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato.

1.1. Il centrale quesito cui rispondere riposa su una questione che è stata tenuta in considerazione secondaria da parte dell’appellante.

Ciò che invece, a monte, occorre chiedersi, è quanto segue: la data di conseguimento del titolo abilitativo edilizio rileva – o no- ai fini della formazione della graduatoria?

La risposta è positiva, senza alcun dubbio: l’anteriorità del titolo costituisce elemento premiante (vedasi lett. H). E la graduatoria è relativa ad un bene (l’elargizione dell’incentivo) “escludibile”, in quanto riconoscibile soltanto a coloro i quali si trovano meglio classificati in graduatoria.

2. Muovendo da tale dato, appare evidente che nessuna delle censure prospettate sia accoglibile (sebbene il ricorso di primo grado fosse ammissibile, in quanto l’appellante ha contestato la portata precettiva delle Procedure applicative ed il significato da esse attribuito dal GSE).

2.1 Si rammenta in proposito che il punto 2.2.7 (Formazione della graduatoria) delle procedure applicative del 24.8.2012, così dispone nella parte di interesse:” Nessuna responsabilità può essere attribuita al GSE in ordine ad asseriti errori commessi all’atto della richiesta di iscrizione al Registro dal Soggetto Responsabile, non potendosi invocare il principio del “soccorso amministrativo”, visti i principi stabiliti dal Decreto all’articolo 10, comma 2, la natura della procedura e la possibilità, offerta dall’applicazione informatica, di rivedere i dati già inseriti, di provvedere alla relativa modifica, nonché di annullare la richiesta originaria. “

Detta norma, poi, nel chiarire che (lett h) l’anteriorità del titolo autorizzativo concorre a determinare la graduatoria (la graduatoria è redatta applicando, in ordine gerarchico, i criteri di priorità indicati dall’articolo 10, del Decreto, di seguito elencati) così prevede:

“ai fini dell’applicazione del criterio di cui alla lettera h), si precisa che il titolo autorizzativo/abilitativo si intende conseguito alla data in cui l’amministrazione competente ha rilasciato l’atto conclusivo del procedimento di autorizzazione. Il titolo autorizzativo/abilitativo non sarà pertanto ritenuto conseguito in presenza di un atto endoprocedimentale, quale, in via esemplificativa, il Verbale della Conferenza dei Servizi, seppur di contenuto positivo, in caso di Autorizzazione Unica.

Nell’ipotesi di Denuncia di Inizio Attività (DIA) o di Procedura Abilitativa Semplificata (PAS), per esempio, il titolo abilitativo si intende conseguito decorsi 30 giorni dalla data di presentazione della relativa documentazione all’Ente comunale competente senza che siano intervenuti espliciti dinieghi e senza che si siano verificate cause di sospensione di detto termine, quali la necessità di acquisire, anche mediante convocazione di Conferenza di servizi, atti di amministrazioni diverse e di attivare il potere sostitutivo (articolo 23 D.P.R. 380/2001 e articolo 6, comma 5, D.Lgs. 28/2011).

Ai fini dell’applicazione del criterio di anteriorità del titolo autorizzativo, si considera la data di rilascio dell’autorizzazione o, in caso di modifiche sostanziali, la data delle autorizzazioni in variante.

La data del titolo autorizzativo originario può essere presa a riferimento solo se le modifiche apportate al progetto siano espressamente dichiarate non sostanziali dall’Amministrazione competente al rilascio del titolo autorizzativo originario.

Per i soli contingenti relativi alle fonti idraulica e geotermica, la graduatoria sarà formata applicando il criterio di cui alla lettera h) facendo riferimento prima agli impianti dotati di titolo autorizzativo alla costruzione e all’esercizio, poi, in caso di ulteriore potenza da assegnare, agli impianti dotati di titolo concessorio.

Nel caso in cui la richiesta di iscrizione al Registro sia presentata avvalendosi di titolo concessorio (impianti idroelettrici, geotermoelettrici), sarà tenuta in considerazione la data di rilascio della concessione o dell’eventuale subconcessione, ovvero, se oggetto di rinnovo, la data del relativo provvedimento.

In caso di iscrizione mediante titolo autorizzativo/abilitativo volturato, la data di riferimento è quella di conseguimento del titolo originario. “.

2.2. Come è agevole riscontrare, ci si trova al cospetto di una prescrizione univoca, che specificamente dispone: “nell’ipotesi di Denuncia di Inizio Attività (DIA) o di Procedura Abilitativa Semplificata (PAS), per esempio, il titolo abilitativo si intende conseguito decorsi 30 giorni dalla data di presentazione della relativa documentazione all’Ente comunale competente senza che siano intervenuti espliciti dinieghi e senza che si siano verificate cause di sospensione di detto termine.”.

2.3. Ed è incontestato che detta prescrizione venne violata da parte appellante.

2.3.1. A detta prescrizione, poi, si ricollegava un “beneficio”: la disciplina sopra riportata, infatti, prevede che “Ai fini dell’applicazione del criterio di anteriorità del titolo autorizzativo, si considera la data di rilascio dell’autorizzazione o, in caso di modifiche sostanziali, la data delle autorizzazioni in variante. ”.

2.4. In via di principio, quindi, deve convenirsi con due circostanze:

a) l’appellante indicò una data di conseguimento del titolo non corretta, avuto riguardo al criterio che avrebbe dovuto utilizzare per indicarla, armonicamente con le suindicate prescrizioni;

b) in linea di massima, una simile condotta (ove si indichi una data antecedente a quella di effettivo conseguimento del titolo, o almeno a quella che per il GSE doveva indicarsi quale data di conseguimento del titolo, ai sensi dei criteri specifichi ivi esposti) è idonea ad arrecare al dichiarante un vantaggio: ed il vantaggio riposa nel collocare in epoca anteriormente antecedente rispetto a quella effettiva il titolo, in quanto la anteriorità del titolo autorizzativo costituisce elemento preferenziale.

2.5. La società odierna appellante cerca di decolorare e svalutare di importanza detti elementi – che ove isolatamente letti dovrebbero indurre ad un giudizio di manifesta esattezza dell’operato dell’appellata amministrazione – introducendo plurimi argomenti di critica.

2.5.1. Nessuno di essi appare accoglibile o persuasivo.

2.5.2. Quanto al primo, incentrato sulla natura della Dia, e sulla necessità di “disapplicare” il dato normativo di cui al paragrafo 2.2.7. della lex specialis della procedura, per l’asserito contrasto della stessa con il disposto di cui all’ art. 23 comma 5 del dPR n. 380/2001, osserva il Collegio quanto segue.

2.5.3.Premesso che il dato normativo di cui al paragrafo 2.2.7. della lex specialis della procedura è rimasto inoppugnato, costituisce un errore prospettico non indifferente invocare il contrasto dello stesso con il disposto di cui all’art. 23 del dPR 06/06/2001, n.380 (“1. Il proprietario dell’immobile o chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività, almeno trenta giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori, presenta allo sportello unico la denuncia, accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie…( omissis)…6. Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 1 sia riscontrata l’assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all’interessato l’ordine motivato di non effettuare il previsto intervento e, in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l’autorità giudiziaria e il consiglio dell’ordine di appartenenza. È comunque salva la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio attività, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia.”).

2.5.4. E’ ben vero che la Dia, secondo i recenti approdi della giurisprudenza, si perfeziona con la presentazione della denuncia (ex aliis Consiglio di Stato, sez. IV , 04/09/2012 n. 4669 secondo cui ”la denuncia d’inizio attività non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge; pertanto, l’obbligo di corresponsione degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione sorge immediatamente in relazione alla situazione esistente al momento della presentazione della denuncia, onde sono inapplicabili le norme sopravvenute.”).

Il punto, è tuttavia un altro e riposa nella risposta al seguente interrogativo:

in via di principio, costituisce illegittimità/errore/vizio, la scelta di un ente aggiudicatore di stabilire che un certo requisito si intenda ottenuto (ai limitati fini della procedura selettiva, si badi) decorso un certo termine dal suo effettivo conseguimento?

All’evidenza la risposta è negativa: tale previsione non viola la par condicio (riguarda tutti i partecipanti) o altro principio.

Se così è, non si vede perché debba essere censurata/disapplicata la detta prescrizione: essa, -diretta a tutti i concorrenti- ha fissato un momento di conseguimento del titolo, che coincide con il decorso di trenta giorni dalla data di presentazione della relativa documentazione all’Ente comunale competente senza che siano intervenuti espliciti dinieghi.

Detta prescrizione, nota a tutti i concorrenti, e valevole per tutti i concorrenti, non interferisce a nessun fine ed su nessun versante con la prescrizione legislativa nazionale (semmai, si può rilevare, “serve” al Gse per evitare la proliferazione di domande ancora soggette a possibile diniego reso dall’Amministrazione competente).

Semmai, l’errore è di parte appellante che di tale disposizione non ha tenuto conto ed ha ritenuto di potere indicare una data “coincidente” con gli approdi della dottrina e della giurisprudenza in punto di effettiva formazione del titolo abilitativo: ma ciò è ascrivibile a sua distrazione (per dare credito alla critica appellatoria)ea non certo ad alcuna illegittimità della lex specialis.

2.5.6. La censura, quindi, non ha pregio e va respinta.

2.6. E parimenti non può essere condivisa la connessa sottocensura, secondo cui la detta prescrizione non avrebbe natura unitaria, ma si riferiva soltanto alla applicazione del criterio di priorità dell’anteriorità del titolo autorizzativo.

2.6.1. Premesso che la doglianza è apoditticamente formulata, non chiarendo univocamente quale sia la fonte di tale convincimento, è agevole riscontrare il contrario: trattasi di una prescrizione unitaria; riferirla soltanto alla applicazione del criterio di priorità dell’anteriorità del titolo autorizzativo implicherebbe che essa non avrebbe alcun senso; la modulistica di accesso agli incentivi non poteva indurre alcun fraintendimento in quanto la prescrizione è chiarissima.

Il GSE ha buon giuoco nel richiamare il disposto di cui all’art. 10 del dM 6.7.2012, recante sistema di incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, il quale, al comma 3, espressamente prevede che il GSE forma le graduatorie degli impianti iscritti a ciascun registro “secondo i seguenti criteri di priorità, da applicare in ordine gerarchico”, tra i quali, alla lettera h), si rinviene la “ anteriorità del titolo autorizzativo”. Ed il disposto di cui alla lex specialis chiariva proprio il “passaggio” da dovere necessariamente indicare in relazione al predetto criterio di priorità riposante nella “anteriorità del titolo autorizzativo”.

3. Le ulteriori censure di parte appellante invocano gli istituti di derivazione penalistica del falso innocuo e del falso inutile e ne invocano la traslazione nel sistema delle procedure evidenziali.

3.1. Anche tale tesi non persuade.

Il Collegio chiarirà di seguito perché l’innesto di tali categorie penalistiche (a loro volta derivazione del principio di offensività consacrato sub art. 49 comma 2 CP) sia stato sempre negato dalla giurisprudenza amministrativa, e la condivisibilità di tale opinamento.

3.1.1. In prima battuta però, si vuole evidenziare che anche volendo traslare i detti concetti penalistici al procedimento in esame la tesi appellatoria non avrebbe pratica possibilità di accoglimento.

3.1.2. Si ha falso innocuo, od inutile, (e quindi, una concreta manifestazione di un “reato impossibile “ per inesistenza dell’oggetto od inidoneità dell’azione ex art. 49 comma 2 cp) quando – secondo un giudizio da svolgersi ex ante – non v’era alcuna possibilità di offendere l’interesse protetto (es: il notaio che attesta il falso su un elemento distonico ed inconferente con l’oggetto dell’atto che roga; il falsario che falsifica una banconota in modo sì grossolano da non potere trarre in inganno neppure un bimbo etc).

3.1.3.Nel caso di specie, è ben vero (ciò è incontestato) che la falsa (o se si vuole, “errata”) dichiarazione circa il momento di conseguimento del titolo ai sensi della lex specialis non ha inciso sulla graduatoria.

Ma ciò appunto, secondo un giudizio ex post: ove la condotta si valuti ex ante (al momento in cui fu posta in essere, quindi) l’avere indicato una data anteriore avrebbe potuto avere l’effetto di far preferire l’appellante rispetto ad altro aspirante: i detti istituti di derivazione penalistica, quindi, appaiono già di per sé inapplicabili.

3.2. Più radicalmente, inoltre, il Collegio –come si è prima avvertito- non intende discostarsi dall’indirizzo giurisprudenziale secondo cui nelle procedure evidenziali il c.d. falso innocuo è istituto insussistente atteso che, nelle procedure di evidenza pubblica, la completezza delle dichiarazioni è già di per sé un valore da perseguire perché consente, anche in ossequio al principio di buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità, la celere decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla selezione; pertanto, una dichiarazione che è inaffidabile perché, al di là dell’elemento soggettivo sottostante, è falsa o incompleta, deve ritenersi già di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma, a prescindere dal fatto che l’impresa meriti sostanzialmente di partecipare.” ( cfr. ex multis CGA 710/2013 Cons.St. V Sez. n. 3397 del 2013).

A quanto dal Tar correttamente colto, deve aggiungersi che l’intero sistema della disciplina delle procedure di evidenza pubblica poggia sulla presentazione, da parte delle imprese concorrenti, di dichiarazioni sostitutive che le vincolano in base all’elementare principio dell’autoresponsabilità e che devono essere rese con diligenza e veridicità (Consiglio di Stato, sez. V, 01/12/2014, n. 5928).

Non rileva in questa sede di un elemento intenzionale in capo all’appellante , né la sua pretesa insussistenza-.

Ciò che è certo però è che – anche ad aderire alla dedotta assenza di intenzionalità asserita da parte appellante- l’assenza di diligenza è evidente, a fronte della chiara prescrizione del bando.

Ed è rimasto incontestato che ex art. 2.2.8 delle Procedure – ma anche ai sensi delle disposizioni primarie di cui al d.Lgs n. 28/2011- a tale dichiarazione non corrispondente al vero dovesse conseguire l’esclusione.

4. Quanto alla tesi (per il vero sviluppata quasi esclusivamente nelle memorie di parte appellante) per cui il paragrafo 2.2.7 (Formazione della graduatoria) delle procedure applicative del 24.8.2012,) riguardasse soltanto l’attività valutativa del GSE successiva alla presentazione delle domande, e non prescrivesse il contenuto della domanda/registrazione da compilarsi a cura e responsabilità della richiedente, se ne ribadisce l’inaccoglibilità, in quanto il modulo di iscrizione al Registro non poteva non essere in sintonia con il detto paragrafo delle Procedure Applicative, tanto che al punto 2.1. delle Procedure si precisava che il modulo doveva essere compilato in conformità a queste ultime, e come peraltro dimostrato dalla circostanza che non era prevista alcuna produzione documentale, per cui non si vede in base a quali dati (se non quelli ritratti dal modulo compilato dal Soggetto responsabile) il Gse avrebbe potuto formulare la graduatoria

Conclusivamente, l’appello deve essere respinto.

5.1. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663).

5.2.Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

6. Le spese processuali del grado seguono la soccombenza e pertanto l’appellante società deve essere condannata a corrispondere le medesime in favore del Gse e dell’Amministrazione centrale, nella misura che appare congruo quantificare in Euro cinquemila (€. 5.000//00) complessivi (€ 2500//00 in favore di ciascuna) oltre oneri accessori, se dovuti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge

Condanna l’appellante società al pagamento delle spese processuali in favore del Gse e dell’Amministrazione centrale, nella misura di Euro cinquemila (€. 5.000//00) complessivi (€ 2500//00 in favore di ciascuna), oltre oneri accessori, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 maggio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Nicola Russo, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Andrea Migliozzi, Consigliere

Carlo Schilardi, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 07/07/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Redazione

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