Intese restrittive della Concorrenza: i chiarimenti del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 2947 del 30 giugno scorso, si è espresso in tema di intese restrittive della Concorrenza.

In particolare il Collegio ha chiarito che al fine di verificare l’esistenza di una restrizione alla concorrenza non occorre dimostrare che i comportamenti delle imprese siano stati volontariamente diretti a restringere la concorrenza, quanto che tali comportamenti abbiano effettivamente e obiettivamente avuto questo scopo (Cons. Stato, VI, 1° marzo 2012, n. 1192).

In merito all’illecito anticoncorrenziale, sanzionato dall’Antitrust, il Collegio ha evidenziato che è sufficiente  la sussistenza del dolo generico e non di un dolo specifico, richiedendosi la volontarietà delle condotte ma non anche dei suoi effetti pregiudizievoli per il mercato (Cons. Stato, VI, 24 settembre 2012, n. 5067).

Inoltre, sempre ai fini antitrust, non è la legittimità o meno di una specifica condotta, ma [..] la portata anticoncorrenziale di una serie di atti, anche, in tesi, in sé legittimi. Pertanto atti quali la sottoscrizione di un’ATI, di un consorzio o di un accordo quadro anche se legittimi da quel punto di vista settoriale, si colorano come elementi indicatori di questo sproporzionato intento o effetto anticoncorrenziale -(Cons. Stato, sez. VI, 15 maggio 2015, n. 2479)

Infine, ha inoltre precisato che lo strumento della “copertura normativa” dei comportamenti anticoncorrenziali delle imprese si deve intendere,  in senso restrittivo, potendo essere ammessa solo in presenza di condotte specificamente imposte che rappresentino puntuale attuazione di disposizioni normative inequivocabili (così Cons. Stato, VI, 12 novembre 2003, n. 7243 e Tar Lazio, I, 9 gennaio 2013, n. 125).

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

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N. 02947/2016REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

-sul ricorso numero di registro generale 1192 del 2016 proposto dall’azienda agricola Allevi srl, rappresentata e difesa dagli avvocati Filippo Lattanzi e Pietro Ferraris, con domicilio eletto presso l’avv. Filippo Lattanzi in Roma, Via G. Pierluigi Da Palestrina, 47;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (in seguito anche AGCM o Antitrust o Autorità), in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Eco-Trass srl, Alan srl, Evergreen Italia srl, CRE -Centro Ricerche Ecologiche spa, Sud Seveso Servizi spa; Uniacque spa, quest’ultima rappresentata e difesa dagli avvocati Marco Amorese, Andrea Di Lascio e Saul Monzani, con domicilio eletto presso l’avv. Giuseppe Cerulli Irelli in Roma, Via delle Quattro Fontane, 20;

-sul ricorso numero di registro generale 9692 del 2015 proposto dal Centro Ricerche Ecologiche spa (CRE spa), rappresentato e difeso dagli avvocati Diego Vaiano e Fabio Todarello, con domicilio eletto presso l’avv. Diego Vaiano in Roma, Lungotevere Marzio, 3;

contro

AGCM, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Sud Seveso Servizi spa, Eco-Trass srl, Evergreen Italia srl, Alan srl; Uniacque spa, come sopra rappresentata, difesa ed elettivamente domiciliata; Azienda Agricola Allevi srl, rappresentata e difesa dagli avvocati Filippo Lattanzi e Pietro Ferraris, con domicilio eletto presso lo Studio LCA in Roma, Via G. P. Da Palestrina, 47;

-sul ricorso numero di registro generale 10749 del 2015 proposto da Evergreen Italia s.r.l. , rappresentata e difesa dagli avvocati Gabriele Bricchi, Stefano Cassamagnaghi ed Ermanno Vaglio, con domicilio eletto presso lo Studio legale ass. Pirola Pennuto Zei in Roma, viale Castro Pretorio, 122;

contro

AGCM, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Sud Seveso Servizi spa, Alan srl, Azienda Agricola Allevi srl, Eco-Trass srl, CRE – Centro Ricerche Ecologiche spa; Uniacque spa, come sopra rappresentata, difesa ed elettivamente domiciliata;

-sul ricorso numero di registro generale 688 del 2016 proposto da Eco-Trass srl, rappresentata e difesa dagli avvocati Enzo Robaldo, Pietro Ferraris e Francesco Cardarelli, con domicilio eletto presso l’avv. Francesco Cardarelli in Roma, Via G. Pierluigi Da Palestrina, 47;

contro

AGCM, come sopra rappresentata, difesa e domiciliata;

nei confronti di

Azienda Agricola Allevi srl, Alan srl, Evergreen Italia srl, Centro Ricerche Ecologiche spa, Sud Seveso Servizi spa; Uniacque spa, come sopra rappresentata, difesa ed elettivamente domiciliata;

per la riforma

-quanto al ricorso n. 1192 del 2016:

della sentenza del Tar Lazio -Roma -Sezione I, n. 12933 del 2015, resa tra le parti, concernente irrogazione di sanzione amministrativa pecuniaria;

-quanto al ricorso n. 9692 del 2015:

della sentenza del Tar Lazio- Roma -Sezione I, n. 12934 del 2015, resa tra le parti, concernente irrogazione di sanzione amministrativa pecuniaria;

-quanto al ricorso n. 10749 del 2015:

della sentenza del Tar Lazio – Roma: Sezione I n. 12932 del 2015, resa tra le parti, concernente irrogazione di sanzione amministrativa pecuniaria;

-quanto al ricorso n. 688 del 2016:

della sentenza del Tar Lazio -Roma -Sezione I, n. 12931 del 2015, resa tra le parti, concernente irrogazione di sanzione amministrativa pecuniaria;

 

Visti i ricorsi in appello, con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’AGCM e dell’interveniente “ad opponendum” Uniacque spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti delle cause;

Relatore nell’udienza pubblica del 5 maggio 2016 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti gli avvocati Cardarelli per delega di Lattanzi, Giuseppe Cerulli Irelli per delega di Amorese, Sarrocco per delega di Vaiano, Todarello, Cassamagnaghi, e gli avvocati dello Stato Varrone e Colelli;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.Gli appelli in epigrafe (n. 9692 del 2015 -CRE, n. 10749 del 2015 -Evegreen, n. 688 del 2016 –Eco –trass e n. 1192 del 2016 –Allevi) hanno a oggetto le sentenze nn. 12934, 12932, 12931 e 12933 del 2015, pressoché identiche tra loro nelle motivazioni in diritto, con le quali la prima sezione del Tar del Lazio ha respinto, con la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese in favore dell’Autorità, i ricorsi proposti dalle società citate avverso il provvedimento proc. n. I /765, adottato nell’adunanza del 3 febbraio 2015, con il quale l’AGCM, a conclusione del procedimento I /765, avviato in data 11 giugno 2013, ai sensi dell’art. 14 della l. n. 287 del 1990 nei confronti delle società CRE, Alan, Sangalli Giancarlo, Eco –trass, Var e Redaelli Piergiorgio, successivamente esteso alle società Evergreen e Allevi, ha stabilito, per quanto in questa sede più rileva, che CRE, Evergreen, Eco trass e Allevi hanno posto in essere un’unica complessa e continuata intesa orizzontale in violazione dell’art. 2 della legge n. 287/90, avente per oggetto il coordinamento del proprio comportamento per la partecipazione a un complesso di procedure di affidamento del servizio di smaltimento dei fanghi civili; e ha irrogato, alle società ricorrenti e odierne appellanti, sanzioni amministrative pecuniarie rispettivamente pari a € 1.235.045 (CRE), 1.040.026 (Evergreen), 463.946 (Eco –trass) e 847.256 (Allevi).

Nel gennaio del 2012 era pervenuta all’Autorità una segnalazione, successivamente integrata nel maggio 2012, da parte di una stazione appaltante -la società Sud Seveso-, relativa a una possibile intesa anticoncorrenziale tra le società CRE, Alan, Sangalli, Eco -trass, Var e Redaelli, nell’ambito della partecipazione a una gara svoltasi nel 2011 per la gestione del servizio di recupero e smaltimento dei fanghi provenienti dalla depurazione delle acque reflue, in alcuni comuni della Provincia di Como.

Le segnalazioni evidenziavano che le imprese suddette, tutte attive nel settore della gestione dei rifiuti, dalla fase della raccolta fino allo smaltimento e al riciclaggio, avevano inizialmente mostrato un interesse concreto a partecipare alla gara, giungendo fino all’effettuazione del c. d. “sopralluogo” degli impianti. Tuttavia, solo l’impresa già affidataria del servizio, vale a dire la società CRE, aveva poi formulato un’offerta per aggiudicarsi nuovamente l’appalto, avvalendosi del suo principale concorrente, la società Alan, per soddisfare la richiesta dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e organizzativo previsti nel bando. Tutte le altre imprese -che, ad avviso della denunciante, sarebbero state in grado di partecipare autonomamente alla gara- avevano, invece, rinunciato. La stazione appaltante segnalante lamentava, in particolare, il modestissimo ribasso del prezzo formulato da CRE, rispetto alla base di gara (73,90 Euro/T, rispetto a 74 Euro/T), ritenendo tale offerta giustificabile solo dalla certezza di essere l’unica impresa concorrente.

A seguito di ulteriori verifiche compiute d’ufficio, l’11 giugno 2013 l’Autorità deliberava l’avvio del procedimento istruttorio n. I/765 nei confronti di CRE, Alan, Sangalli, Eco-trass, Var e Redaelli, per intesa restrittiva della concorrenza in violazione dell’art. 2 della l. n. 287 del 1990, allo scopo di accertare l’esistenza di un coordinamento volto a limitare il confronto concorrenziale fra tali imprese nella partecipazione alle procedure, per l’affidamento del servizio di raccolta, trattamento e smaltimento dei fanghi che derivano dalla depurazione delle acque di fognatura, svoltesi nelle Regioni Lombardia e Piemonte dal 2008 al 2012, e quindi alla ripartizione degli appalti aggiudicati.

Il 19 giugno 2013 venivano svolti accertamenti ispettivi presso le sedi delle società Alan, Eco-trass, CRE, Var, Sangalli e Redaelli, e il 15 gennaio 2014 l’Autorità deliberava di estendere soggettivamente il procedimento a Evergreen e Allevi, presso le cui sedi venivano eseguiti accertamenti ispettivi ulteriori.

Con atto in data 8 ottobre 2014 l’Autorità comunicava alle società le risultanze istruttorie (CRI) precisando le contestazioni mosse in sede di avvio del procedimento. Su istanza delle imprese il termine di chiusura del procedimento veniva prorogato all’8 febbraio 2015.

Al termine del procedimento l’Autorità, con provvedimento n. 25302 del 3 febbraio 2015, ha deliberato, come accennato sopra:

a) che le società ALAN S.r.l., AZIENDA AGRICOLA ALLEVI S.r.l., CRE S.p.A., ECOTRASS S.r.l. e EVERGREEN ITALIA S.r.l. hanno posto in essere un’unica complessa e continuata intesa orizzontale in violazione dell’art. 2 della legge n. 287/90, avente per oggetto il coordinamento del proprio comportamento per la partecipazione ad un complesso di procedure di affidamento del servizio di smaltimento dei fanghi civili;

b) che le società ALAN S.r.l., AZIENDA AGRICOLA ALLEVI s.r.1., CRE S.p.A. ECOTRASS S.r.l. e EVERGREEN ITALIA S.r.l. si astengano in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto dell’infrazione accertata» (non sono risultati, invece, sussistere elementi idonei a comprovare che le società Redaelli, Sangalli e Vara avessero partecipato alla intesa contestata in violazione dell’art. 2 della l. n. 287 del 1990-v. § 241 della delibera impugnata, pag. 66).

Sub c) l’Autorità, in ragione della gravità e della durata delle infrazioni di cui al punto a), ha applicato alle società le sanzioni amministrative corrispondenti agli importi suindicati.

Appare opportuno ricostruire in modo conciso il contenuto della delibera.

Nella parte A) del provvedimento (v. dal § 20 al § 40, da pag. 6 a pag. 13) è descritto il settore interessato dalle condotte contestate, sotto il profilo operativo e normativo.

La parte B) (v. dal § 41 al § 140, da pag. 13 a pag. 39) riguarda le evidenze relative ai comportamenti delle società, ed è suddivisa in tre aree di indagini e di evidenze.

Un primo gruppo di evidenze (v. dal § 45 al § 80) è costituito da documenti che testimoniano, a partire dal 2008, contatti, incontri e scambi d’informazioni tra le società, aventi a oggetto la costituzione di uno strumento per la partecipazione congiunta, o comunque coordinata, alle gare per l’appalto del servizio di smaltimento dei fanghi civili. Strumento di cooperazione individuato dalle imprese in un primo momento in un contratto di ATI “di lungo periodo” (ATI permanente, e al riguardo si può fare rinvio, in particolare, ai §§ 49 ss.); in seguito, in un (progetto di costituzione di un) consorzio tra le imprese per la partecipazione alle gare (su cui v. il § 58 e seguenti) e infine in un accordo quadro per la partecipazione alle gare (cfr. i §§ da 65 a 80), accordo sottoscritto il 30 maggio 2013 da Alan, Allevi, Eco –trass ed Evergreen, ma non da CRE.

Un secondo gruppo di evidenze (cfr. §§ da 81 a 131) concerne documenti (essenzialmente e-mail e appunti scritti a mano) che testimoniano contatti, incontri e scambi di informazioni tra le imprese per il coordinamento nella partecipazione alle gare bandite nel periodo in cui le società si sono incontrate.

I §§ 81 e seguenti del provvedimento impugnato in primo grado analizzano in modo minuzioso risultanze istruttorie che si riferiscono a singole, specifiche gare, con approfondimenti particolari su alcune stazioni appaltanti (cfr. i §§ 109 e ss.).

Un terzo gruppo di evidenze (v. dal § 132 al § 140) è costituito da un data base predisposto dagli Uffici, sulla base delle informazioni acquisite a seguito di richieste formulate alle imprese e alle stazioni appaltanti. Tale data base raccoglie gli elementi principali relativi a tutte le procedure concorsuali per il servizio di smaltimento dei fanghi civili partecipate da almeno una delle imprese suindicate. Si tratta di dati relativi a circa 190 procedure di gara, partecipate dalle cinque imprese tra il 2008 e il 2013, prima dell’avvio del procedimento istruttorio. Il sottoinsieme delle procedure partecipate dalle sole imprese Alan, Allevi, Eco –trass ed Evergreen è costituito da 150 gare. In 81 su 150 procedure Alan, Allevi, Eco –trass ed Evergreen si sono presentate in ATI. CRE, nella quasi totalità dei casi, ha presentato un’offerta in forma individuale.

Nella parte IV (v. § 141 ss.) l’Autorità, dato conto delle risultanze acquisite, ha compiuto le proprie valutazioni e conclusioni. In particolare l’AGCM:

-sub A. ha definito il mercato rilevante facendolo coincidere con l’ambito merceologico e territoriale individuato dall’insieme delle gare in cui si è riscontrata la concertazione anticoncorrenziale, ossia facendolo corrispondere a tutte le gare per l’affidamento di fanghi civili partecipate, nel periodo 2008-2013, da almeno una delle imprese Alan, Allevi, CRE, Eco-Trass ed Evergreen (v. § 144);

-ha quindi rilevato –sub B. –l’esistenza di una intesa restrittiva della concorrenza per oggetto, osservando che (v. §§ da 157 a 163):

-nel caso in esame le evidenze istruttorie testimoniano che le imprese Alan, Allevi, CRE, Eco-trass ed Evergreen hanno posto in essere un’intesa orizzontale unica, complessa e continuata, in violazione dell’articolo 2 della legge n. 287/90, avente per oggetto il coordinamento del proprio comportamento nella partecipazione ad un insieme di procedure di affidamento del servizio di smaltimento dei fanghi civili in agricoltura;

-tali imprese risultano avere condiviso un medesimo disegno collusivo volto a garantire il sistematico confronto e coordinamento del proprio comportamento in occasione della partecipazione alle procedure di gara per lo smaltimento dei fanghi civili via via bandite nel periodo intercorrente tra l’aprile 2008 e l’avvio dell’istruttoria;

-l’intesa è stata attuata tramite la continua condivisione delle decisioni inerenti la partecipazione alle gare, sia in occasione della ricerca di uno strumento formale e vincolante di coordinamento del comportamento delle imprese con riguardo al complesso delle gare, sia nell’ambito di incontri e scambi di informazioni sulla strategia di partecipazione alle gare via via bandite dalle stazioni appaltanti;

-le evidenze acquisite testimoniano, in particolare, come le imprese Alan, Allevi, CRE, Eco-trass ed Evergreen, nell’intero periodo considerato, abbiano costantemente condiviso l’obiettivo di trovare uno strumento per formalizzare e rendere maggiormente stabile e vincolante, il già attuato coordinamento dei propri comportamenti in sede di gara. Tale strumento è stato in un primo momento individuato dalle imprese parti dell’intesa in un contratto di ATI Permanente (della durata di almeno un anno), successivamente in un Consorzio e infine in un Accordo Quadro tra le imprese (quest’ultimo poi sottoscritto, nel maggio 2013, da Alan, Allevi, Eco-trass ed Evergreen);

-i documenti istruttori provano inoltre come, in parallelo a tale ricerca, le imprese Alan, Allevi, CRE, Eco-trass ed Evergreen si siano sistematicamente confrontate, tramite incontri o scambi di informazioni, in merito alla partecipazione alle gare bandite nel periodo, dando concreta attuazione al disegno collusivo;

-il coordinamento del comportamento in occasione della partecipazione alle gare è stato realizzato, nei fatti, con diversi meccanismi e si è concretizzato nella sistematica partecipazione delle imprese alle gare d’appalto in ATI tra loro, nella presentazione di offerte congiunte con messa a disposizione reciproca degli impianti, nella ripartizione tra le imprese dei lotti oggetto di una medesima gara anche grazie al meccanismo delle offerte di comodo, nonché nella ripartizione delle procedure di gara bandite da diverse stazioni appaltanti, con ciò l’eliminando il confronto concorrenziale tra le imprese in sede di gara;

-le evidenze raccolte in sede istruttoria, sopra ampiamente illustrate e di seguito richiamate, rappresentano indizi gravi, precisi e concordanti dell’esistenza di un’intesa unica, complessa e continuata tra le imprese Alan, Allevi, CRE, Eco-trass ed Evergreen, attinente all’intero insieme di gare partecipate nel periodo 2008-2013, e caratterizzata dalla ripetizione, nel tempo, di una serie di comportamenti tra loro complementari, collegati dalla comune volontà di ripartizione anticoncorrenziale del servizio di smaltimento dei fanghi civili in sede di gara (viceversa per quanto riguarda le rimanenti imprese nei confronti delle quali è stato avviato il presente procedimento – le società Sangalli, Redaelli e Var – non vi sono agli atti evidenze documentali che confermino che le stesse abbiano partecipato ad una strategia collusiva tra di loro e con le altre parti del procedimento né in occasione di specifiche gare, né nella definizione del piano comune per la costituzione dell’ATI Permanente, del Consorzio o per la sottoscrizione dell’Accordo-Quadro).

Dal § 165 e poi dal § 181 l’Autorità si è trattenuta sulla comune volontà delle imprese di formalizzare in un accordo il coordinamento nella partecipazione alle procedure di gara, e sui contatti, scambi di informazioni e incontri per il coordinamento nella partecipazione alle procedure anzidette, avendo riguardo a insiemi di gare e a singole e specifiche procedure; e si è soffermata sulla posizione peculiare di CRE (v. dal § 198). Ha quindi replicato alle principali argomentazioni fornite dalle parti (v. dal § 202 al § 219), soffermandosi sulla posizione più specifica di alcune delle imprese coinvolte (Eco –trass- v. § 212 e 213, e CRE –v. § da 214 a 217).

Ai § 220 e seguenti l’Autorità ha concluso come segue:

-la restrittività dell’intesa unica, complessa e continuata posta in essere da Alan, Allevi, CRE, Eco-trass ed Evergreen, si manifesta nel suo oggetto, ossia in un disegno collusivo volto al condizionamento di gare ad evidenza pubblica. Oggetto di tale intesa è infatti l’eliminazione del rischio di qualunque confronto competitivo al fine di pervenire in modo coordinato alla ripartizione dei servizi oggetto di appalto;

-l’intesa è stata attuata tramite la continua condivisione delle decisioni inerenti la partecipazione alle gare, sia in occasione della ricerca di uno strumento formale e vincolante il coordinamento del comportamento delle imprese con riguardo al complesso delle gare, sia nell’ambito di incontri e scambi di informazioni sulla strategia di partecipazione alle gare via via bandite dalle stazioni appaltanti. L’intesa ha quindi condizionato il comportamento delle parti nell’ambito delle gare eliminando la possibilità di un confronto competitivo tra le stesse, con ciò restringendo e falsando in misura sensibile il gioco della concorrenza e l’esito delle procedure concorsuali;

-poiché l’intesa contestata ha un oggetto anticoncorrenziale, secondo costante giurisprudenza, la prova concreta degli effetti pregiudizievoli del comportamento collusivo delle imprese è superflua. Infatti, le restrizioni della concorrenza per oggetto possono essere considerate, per loro stessa natura, tali da influenzare in modo sensibile il buon funzionamento del normale gioco della concorrenza, indipendentemente dall’analisi degli effetti eventualmente prodotti sul mercato;

-si osserva infine che la quota di mercato detenuta congiuntamente dalle imprese partecipanti all’intesa sul mercato rilevante, individuato dall’insieme delle procedure di gara dalle stesse partecipate nel periodo in esame (2008/2013 ante avvio del presente procedimento), è sempre superiore al 50% e in media è nell’ordine del 70% del mercato;

-sulla base degli elementi acquisiti nel corso dell’istruttoria si conclude che l’intesa unica, complessa e continuata posta in essere dalle imprese Alan, Allevi, CRE, Eco-trass ed Evergreen costituisce una restrizione sensibile della concorrenza, in violazione dell’articolo 2 della legge n. 287/90;

-non sussistono, invece, elementi idonei a configurare un coinvolgimento nell’intesa in esame delle società Redaelli, Sangalli e VAR.

Sub C. e D. (dal § 226 al § 240) l’Autorità si è infine soffermata su gravità e durata dell’intesa. Il comportamento è stato considerato violazione “molto grave” dell’art. 2 della l. n. 287 del 1990 ed è durato dall’aprile del 2008 fino all’avvio dell’istruttoria -giugno del 2013; e ha motivatamente determinato l’ammontare della sanzione finale da applicare a ciascuna parte dell’intesa.

2.Il provvedimento sanzionatorio sopra riassunto è stato impugnato dalle quattro società in epigrafe dinanzi al Tar del Lazio e la prima sezione del Tribunale amministrativo, con le sentenze sopra specificate, ha respinto tutti i ricorsi confermando la legittimità delle valutazioni compiute dall’Autorità sia sotto il profilo dell’accertamento dell’illecito antitrust e sia sotto il profilo sanzionatorio.

3.CRE, Evergreen, Eco –Trass e Allevi hanno appellato le decisioni formulando svariati motivi che saranno descritti in modo analitico nella parte motiva della presente sentenza.

4.L’AGCM si è costituita per resistere.

5.In prossimità dell’udienza di discussione degli appelli le parti hanno illustrato le rispettive posizioni con memorie conclusive. In data 19 aprile 2016 l’AGCM ha depositato una “memoria unica” assai ampia.

6.Con atti depositati in segreteria il 28 aprile 2016 la s.p.a. Uniacque è intervenuta “ad opponendum” concludendo per il rigetto dei ricorsi.

7.Nell’udienza del 5 maggio 2016 le cause sono state discusse e quindi trattenute in decisione.

8.I ricorsi vanno riuniti, per ragioni di connessione oggettiva e soggettiva. Le sentenze impugnate, benché formalmente diverse, sono pressoché identiche nel contenuto sostanziale (v. , in particolare, dai pp. 10. ai pp. 24. –motivazioni in diritto, di tutte e quattro le decisioni di primo grado). La riunione degli appelli, se da una parte soddisfa un’esigenza evidente di economia processuale, non preclude, d’altra parte, di tenere conto delle posizioni differenziate delle singole società appellanti (e questo vale in particolare per CRE ed Eco –Trass) e di talune peculiarità che contraddistinguono le posizioni suddette.

9.In via preliminare va rilevato che, in base a quanto dispone l’art. 50, comma 3, del cod. proc. amm. , l’atto d’intervento “ad opponendum” di Uniacque, depositato il 28 aprile 2016, è tardivo e quindi inammissibile (v. Cons. Stato, sez. VI, n. 6149 del 2014; sez. V, n. 6010 del 2012).

10.1. R. G. n. 9692 del 2015. Con un ricorso in appello non sintetico (76 pagine, suddivise in 192 paragrafi (§) o passaggi e in sei motivi), CRE assume, in sintesi: di trovarsi in una posizione differenziata, rispetto alle altre parti, per avere partecipato quasi sempre alle gare in forma individuale e in via autonoma; di non avere avuto contatti, incontri e scambi d’informazioni con le restanti quattro imprese dal 2008 al 2012; che l’unico riferimento concreto nella decisione dell’Autorità a CRE riguarda due gare, ACEA/Aquaser e ACDA Cuneo; che gli unici riferimenti a CRE sono contenuti nei §§ 138, 191 e 215 della delibera; di non avere mai risposto alla mail del 21.11.2012 sulla pianificazione delle gare di prossima scadenza, relativa a un incontro al quale non risulta che CRE abbia preso parte; di avere partecipato a tre delle sei gare di cui alla citata mail in competizione con altre imprese, senza aggiudicarsene nessuna, il che dimostra l’assenza di qualsiasi “condotta ripartitoria”; che la sentenza sarebbe erronea e generica con riferimento alle censure concernenti travisamento e irragionevolezza; che per quanto riguarda i tentativi di costituire strumenti di partecipazione alle gare (l’ATI permanente, il consorzio, l’accordo quadro) il Tar avrebbe confuso la posizione di CRE con quella delle altre imprese, dal momento che CRE non ha sottoscritto l’accordo quadro e non è stata parte nemmeno nelle trattative che hanno portato all’adozione dell’accordo stesso; che le ATI non necessarie, o “sovrabbondanti”, non sono vietate dalla legislazione e che inoltre l’ATI di lungo periodo e il consorzio non sono mai stati realizzati e l’accordo quadro si è concluso tra le altre società nel 2013 ma non con CRE; che la delibera dell’Autorità è illegittima per carenza di elementi indiziari tali da far desumere l’esistenza di una intesa anticoncorrenziale unica, complessa e continuata, volta a condizionare le gare del settore: gli elementi al riguardo sono inesistenti e gli indizi comunque insufficienti; che la ricostruzione operata dall’AGCM è strumentale, sviante e alquanto improbabile; che gli incontri del 2008 trovano una spiegazione, alternativa a quella ipotizzata dall’Autorità e del tutto legittima, inerente a una normale e fisiologica attività istituzionale e di lobbyng delle imprese, in relazione a rischi di interventi normativi regionali in materia; che in particolare lo scopo dei contatti avuti nel 2008, nell’ambito di una dialettica fisiologica connessa allo scopo di fronteggiare difficoltà operative, era “come sopravvivere” dinanzi alla tendenza della Regione Lombardia di eliminare i fanghi dall’agricoltura”; di non avere partecipato a confronti o a coordinamenti anticompetitivi su specifiche gare e che Autorità e Tar hanno errato sulla qualificazione della tipologia dei contatti avuti tra CRE e le altre imprese; di non avere assunto condotte opportunistiche per essersi avvalsa di informazioni sul comportamento di altre imprese ottenute nel corso degli incontri; di non avere adottato comportamenti dettati da scopi collusivi; che pertanto non sussiste alcuna intesa illecita restrittiva della concorrenza e in ogni caso di essere estranea a una intesa siffatta ove posta in essere tra le altre parti; che nel periodo in contestazione l’andamento dei prezzi è stato decrescente, circostanza incompatibile con l’esistenza di una presunta intesa restrittiva, e che per dimostrare il contrario non basta affermare in modo apodittico e assertivo che in assenza dell’intesa la riduzione dei prezzi di aggiudicazione avrebbe potuto essere ben più significativa; che la partecipazione in ATI alla gara ACEA / Aquaser era legittima e logica; che, scendendo in dettaglio a un esame minuzioso delle singole procedure di gara non vi è traccia in atti di un accordo di spartizione o di “turnazione” nelle gare; è suggestivo ma irrilevante che nel 60 % dei casi CRE e le altre quattro imprese non abbiano presentato offerte in concorrenza tra loro; che una corretta istruttoria avrebbe dovuto tenere conto di risultanze analizzando le quali CRE si rivela del tutto estranea a ogni intesa anticompetitiva; che l’Autorità e il giudice di primo grado sbagliano nel considerare sussistente un’intesa anticompetitiva senza valutarne gli effetti concretamente negativi e dannosi sul mercato (cfr. p. 20 sentenza sulla dannosità “in re ipsa” del coordinamento tra imprese, correlata a una assai elevata probabilità di effetti negativi sul mercato); che in presenza di CRE non vi è mai stato alcuno scambio d’informazioni sensibili che potessero far desumere quale sarebbe stato il comportamento delle imprese nelle gare successive o i piani e le strategie delle imprese stesse. Sono state quindi riproposte le censure svolte in primo grado e non esaustivamente affrontate dal Tar, sulla inconfigurabilità di una intesa anticompetitiva per carenza di indizi e riscontri e sulle finalità pro –competitive, e di collaborazione e aggregazione virtuosa, degli incontri tra le imprese. Sulla durata dell’infrazione CRE evidenzia di essere scomparsa da qualsiasi comunicazione con le altre imprese per quattro anni, vale a dire dall’aprile del 2008 al giugno del 2012 ma che l’Autorità ha ignorato detta evidenza sicché è inaccettabile attribuire a CRE la partecipazione a un’intesa illecita unica, complessa e continuata per il periodo 2008 -2013 (benché la stessa AGCM riconosca a CRE una posizione differenziata da quella delle altre parti). Tutt’al più potrebbero essere soggetti a scrutinio comportamenti di CRE relativi a un periodo –in cui la società compare nei rapporti con altre parti- avente durata inferiore all’anno. La partecipazione di CRE alla eventuale infrazione dovrebbe considerarsi comunque prescritta ai sensi dell’art. 28 della l. n. 689 del 1981. Infine, sulla determinazione della sanzione (da pag. 68 a pag. 76 dell’appello), vengono segnalati errori nei criteri di calcolo della sanzione utilizzati dall’Autorità nei confronti di CRE, per quanto riguarda: il “valore delle vendite” preso a riferimento, eccessivo; la qualificazione –errata- del comportamento di CRE come “molto grave”, anziché contraddistinto tutt’al più da una gravità dell’infrazione semplice, con conseguente diminuzione significativa della percentuale di riferimento del valore delle vendite da considerare per la determinazione dell’importo; la durata dell’infrazione eventualmente imputabile a CRE, di qualche mese e in ogni caso inferiore a un anno; il mancato riconoscimento a CRE delle circostanze attenuanti, ampiamente ricorrenti nel caso in esame; con la richiesta conclusiva di annullamento o riforma della sentenza di primo grado.

10.2. R. G. n. 10749 del 2015.

Poco dissimile nel suo complesso dall’atto di appello di CRE l’impugnazione di Evergreen: 62 pagine, suddivise in quattro motivi e numerosi profili. Nel dedurre la genericità e l’erroneità della sentenza Evergreen sostiene in sintesi: l’insussistenza di una intesa illecita restrittiva della concorrenza, per carenza di riscontri probatori e per la omessa considerazione di spiegazioni alternative rispetto allo scopo anticoncorrenziale; che gli strumenti di coordinamento perseguiti (ATI di lunga durata, consorzio e accordo quadro) erano di per sé neutri a fini antitrust e avevano un oggetto del tutto lecito; che gli incontri e i confronti tra gli operatori del settore erano giustificati da finalità pro –competitive; che all’esito dell’esame delle singole, specifiche gare, compiuto dall’Autorità, e ripercorso nell’atto di appello (si veda la disamina delle singole procedure di gara da pag. 21 a pag. 40 ric.), emerge l’inesistenza di un disegno collusivo o di un accordo spartitorio, considerando anche l’inconciliabilità della riduzione dei prezzi e della perdita di quote di mercato con l’ipotesi di “grave intesa” formulata dall’AGCM, e che la delibera dell’Autorità ha ignorato gli argomenti delle parti e le spiegazioni alternative fornite concludendo in modo illogico e travisato; che l’Autorità –e il Tar- hanno errato nella definizione del “mercato rilevante” omettendo di considerare che il “mercato di riferimento” è, per svariate ragioni, esposte nell’appello, più ampio rispetto a quello definito dall’Autorità, sicché le quote di mercato di Evergreen e delle altre imprese non corrispondono più al 70 % di quel mercato ma si attestano, a livello nazionale, su una quota tra il 7 % e il 9 % ; che gli effetti anticoncorrenziali negativi della presunta intesa sul mercato non risultano comprovati in concreto e, anzi, nello stesso periodo del verificarsi della intesa presunta si sono registrati fenomeni, quali variazioni delle quote di mercato e cali dei prezzi, incompatibili con una intesa anticompetitiva; che infine l’importo della sanzione è stato determinato in modo erroneo ed eccessivo e ciò per molteplici ragioni suddivise in numerosi profili e descritte con dovizia di particolari.

10.3. R. G. n. 688 del 2016. Nelle 97 pagine dell’atto di appello Eco –trass premette di partecipare alle gare pubbliche essenzialmente quale trasportatore e solo eccezionalmente in qualità di smaltitore e di rivestire perciò una posizione non paragonabile a quella delle altre imprese sanzionate (ma analoga a quelle di Var, Sangalli e Redaelli, “stralciate” dal provvedimento finale per carenza di elementi atti a comprovare la partecipazione alla intesa anticompetitiva –cfr. § 241, pag. 66 della delibera contestata) e che la scelta di partecipare in RTI (quale trasportatore –mandante) è sempre una scelta obbligata per la carenza in proprio dei requisiti.

Per Eco –trass la sentenza impugnata avrebbe aderito in maniera acritica e con motivazione solo apparente alle argomentazioni e alle conclusioni dell’Autorità quando invece le condotte addebitate sono assai distanti nel tempo tra loro e non correlate. L’AGCM avrebbe ricollegato in modo artificioso fatti tra loro eterogenei trascurando le spiegazioni alternative fornite dalle imprese, omettendo di considerare la posizione peculiare della società e le specificità che la contraddistinguono, abusando dello strumento delle presunzioni, non considerando il carattere legittimo e pro –competitivo di incontri e di contatti pre –gara, tralasciando di valutare il fatto che Eco –trass non aveva preso parte alle discussioni sugli strumenti di coordinamento e di collaborazione, peraltro consentiti, errando nella ricostruzione del “mercato rilevante” (pag. 77 app.) e in definitiva non considerando l’insufficienza di indizi di una strategia collusiva anticoncorrenziale, tanto più considerando che nell’arco temporale analizzato dall’AGCM le quote di mercato erano diminuite e i prezzi erano scesi, elementi questi incompatibili con l’esistenza di un’intesa. Inoltre viene rilevata l’erronea quantificazione, sotto molteplici aspetti, della sanzione irrogata. Eco –trass segnala in particolare il paradosso di essere l’impresa in proporzione più colpita dal provvedimento sanzionatorio posto che mentre le altre parti hanno beneficiato di riduzioni significative della sanzione al 10 % del fatturato, l’appellante si è vista applicare una sanzione non ridotta dell’importo, rilevantissimo, di quasi 464.000 € : cfr. pagine da 84 a 93 ric. . In via più radicale non vi erano i presupposti per irrogare la sanzione per ragioni attinenti all’elemento psicologico sotteso alle condotte contestate. Il contesto entro il quale i comportamenti sono stati posti in essere andava poi considerato anche alla luce della delibera AGCM 22 ottobre 2014, n. 25152 – linee guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità in applicazione dell’articolo 15, comma 1, della legge n. 287 del 1990.

10.4. R. G. n. 1192 del 2016. Preliminarmente e in termini generali ad avviso di Allevi la sentenza impugnata contiene affermazioni apodittiche e assertive ed è sostenuta da una motivazione soltanto apparente, una pseudo –motivazione che si concreta in affermazioni di principio non sorrette da riscontro alcuno.

La struttura motivazionale della decisione di primo grado è solo estrinseca e non si estende punto per punto, come avrebbe dovuto fare, alle questioni sollevate dalla parte, sicché i motivi non analiticamente trattati, o pretermessi, debbono essere riproposti.

Nell’appello sono confutate di nuovo le tre macro aree sulle quali si fonda il provvedimento dell’AGCM impugnato in primo grado : ci si riferisce agli strumenti per la partecipazione congiunta, o coordinata, alle gare (Ati permanente, consorzio e accordo quadro), alla insussistenza a carico delle imprese di indizi gravi, precisi e concordanti di condotte aventi oggetto anticoncorrenziale, elementi ricavabili da e-mail, appunti scritti a mano, scambi di informazioni e altro; al data base.

Il poderoso materiale documentale allegato dall’Autorità a comprova dell’intesa restrittiva è tutt’altro che univoco.

Gli elementi indiziari che sorreggono le conclusioni dell’Autorità non sono plurimi nè concordanti; né la spiegazione che l’AGCM ha preteso di darne era la sola plausibile, avendo l’Autorità e il Tar trascurato di prendere in considerazione le spiegazioni alternative, rispetto allo scopo anticoncorrenziale, fornite dalle società.

Le risultanze probatorie addotte dall’Autorità a sostegno dell’asserita volontà delle imprese di spartirsi tra loro le gare pubbliche sono inconsistenti, come emerge da una disamina delle singole procedure di gara effettuata –come negli altri appelli- a un livello di approfondimento assai considerevole allo scopo di confutare le singole risultanze istruttorie.

Vengono in questione dialettiche fisiologiche tra imprenditori e non intenti collusivi e fraudolenti nella logica spartitoria ipotizzata dall’Autorità.

Nell’appello si deduce poi che, anche in relazione alla prova sugli effetti concretamente negativi e dannosi sul mercato derivanti dalle condotte delle imprese, della “intesa illecita per oggetto” debba essere fornita un’interpretazione rigorosa.

Inoltre, la diminuzione dei prezzi è un dato incompatibile con la sussistenza di un cartello, sicché l’Autorità avrebbe dovuto spiegare come tale circostanza anomala fosse conciliabile con l’ipotesi dell’intesa anticompetitiva.

Anche la perdita di quote di mercato –su cui il provvedimento impugnato nulla dice- è incompatibile con la finalità di spartirsi le gare.

L’appellante contesta poi l’individuazione del “mercato rilevante” sotto svariati profili.

Infine, sulla gravità dell’infrazione e della sanzione Allevi ripropone i quattro distinti profili di censura formulati in primo grado, ai quali il Tar ha dato una risposta generica motivando sommariamente : 1) l’omessa verifica sul se l’impresa abbia posto in essere la condotta contestata con dolo o colpa si ripercuote sull’ ”an” della sanzione; 2) nell’irrogare la sanzione l’Autorità avrebbe dovuto applicare le linee guida di cui alla sopra citata delibera dell’AGCM 22 ottobre 2014 n. 25152, approvata prima dell’adozione del provvedimento sanzionatorio e recante una disciplina specifica proprio sulla determinazione della sanzione nei casi di collusione nell’ambito di procedure di gara di appalti pubblici; 3) l’AGCM ha errato nel calcolo della durata della condotta eventualmente collusiva addebitabile alla società; e 4) la sanzione è comunque eccessiva posto che l’AGCM non ha preso in considerazione numerose circostanze che avrebbero dovuto condurre a una riduzione dell’importo.

Allevi ha concluso l’atto di appello di 43 pagine con la richiesta in via principale di annullare e/o di riformare la sentenza impugnata con l’annullamento, per l’effetto, del provvedimento impugnato. In subordine ha domandato l’annullamento e/o la riforma parziale della sentenza appellata.

11.Sull’ “an”, i ricorsi sopra riassunti sono infondati e vanno respinti, peraltro con talune integrazioni motivazionali ritenute indispensabili da questo Collegio rispetto alla decisione di primo grado.

Sul “quantum”, sono invece fondati e vanno accolti alcuni dei motivi di appello basati sull’affermata eccessività, e sulla eccessiva severità, delle misure delle sanzioni pecuniarie irrogate con la conseguenza che, nell’esercizio della giurisdizione con cognizione estesa al merito, in base a quanto dispone l’art. 134, comma 1, lett. c) del cod. proc. amm., che consente al giudice amministrativo non solo di annullare i provvedimenti dell’AGCM di applicazione di sanzioni pecuniarie, ma anche di modificare, in base a una propria valutazione, la misura delle sanzioni pecuniarie con essi comminate, in riforma parziale delle sentenze impugnate, e in parziale accoglimento dei ricorsi di primo grado, gli importi delle sanzioni inflitte vanno rideterminati e ridotti –anche in misura significativa-, come verrà specificato in appresso.

Nell’esaminare in modo accorpato, per quanto possibile, anche per esigenze di concisione, per quanto consentito dalla natura dei giudizi, i motivi di gravame riassunti sopra e relativi all’ “an” delle sanzioni, ritiene il Collegio che occorra:

-esaminare i fatti come ricostruiti dall’AGCM e gli elementi indiziari posti alla base della affermazione di responsabilità delle società appellanti;

-esaminare la qualificazione giuridica data ai fatti dall’AGCM;

-valutare se la ricostruzione dei fatti sia ragionevole, le prove raccolte sufficienti, la qualificazione giuridica corretta (Cons. Stato, sez. VI, 11 gennaio 2010, n. 10, p. 4. ; Cons. Stato, sez. VI, 2 marzo 2004, n. 926, p. 3.2.).

12. In via preliminare il Collegio non ritiene superfluo osservare che, in base al tipico effetto devolutivo dell’appello, da un lato la più volte lamentata, nei diversi appelli, insufficienza del controllo giurisdizionale effettuato dal Tar e la rilevata omessa statuizione su capi di impugnative, nei casi in cui essa effettivamente sussista, non può essere ricondotta al fenomeno processuale dell’assorbimento, ma costituisce una vera e propria omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c. (così Cons. Stato, VI, 30 giugno 2011, n. 3891).

Dette omissioni non si traducono però in altrettante cause di annullamento delle sentenze impugnate, considerando l’effetto devolutivo dell’appello e le cause, tassative, di annullamento della sentenza di primo grado con rinvio (ex artt. 105 c.p.a. e 353 e 354 c.p.c.).

L’effetto devolutivo, tipico del secondo grado di giudizio, consente al giudice di valutare nuovamente ogni domanda riproposta, modificando o integrando la motivazione, ove necessario (in tal senso v. , “ex plurimis”, Cons. Stato, VI, 7 giugno 2011, n. 3429; IV, 20 dicembre 2005, n. 7201; V, 13 febbraio 2009, n. 824; 19 novembre 2009, n. 7259; VI, 25 settembre 2009, n. 5797).

Pertanto il giudice di appello è in condizione di esaminare in modo compiuto le censure riproposte, anche per la parte in cui si ritiene che esse siano state esaminate in primo grado in modo sommario e comunque insufficiente o inadeguato.

Con gli appelli in trattazione, del resto, sono criticate in maniera compiuta sia le sentenze appellate sia il provvedimento dell’Antitrust.

In linea di principio, nel giudizio di appello l’atto impugnato è la sentenza del Tar e non il provvedimento impugnato in primo grado (v. , “ex multis”, Cons. Stato, VI, 3 novembre 2009, n. 6805), sicché l’appellante ha l’onere di confutare le argomentazioni e le statuizioni del giudice di primo grado indicando i motivi per i quali la sentenza sarebbe erronea e da riformare.

Considerato il carattere devolutivo dell’appello, qualora le censure delle quali cui viene dedotto il mancato esame siano riproposte, come accade nei casi oggi in discussione, con la critica –soprattutto- del provvedimento dell’Autorità piuttosto che della sentenza (e anzi riproponendo in pratica tutte le questioni rilevate in primo grado), sussiste in ogni caso la necessità di riesaminare in modo completo il “thema decidendum” sostanziale delle controversie di primo grado e tale operazione ben può condurre a conclusioni opposte come anche identiche a quelle raggiunte in primo grado (così Cons. Stato, sez. III, 5 giugno 2012, n. 3310).

Ciò posto, con gli appelli le sentenze del Tar sono criticate vuoi per avere il giudice di primo grado omesso di esaminare –o per avere esaminato in modo sommario- diverse censure proposte a suo tempo, vuoi per avere recepito in modo acritico i contenuti del provvedimento dell’Autorità per poi concludere nel senso della legittimità del provvedimento medesimo, sicché questo Collegio giudicante si ritiene in dovere di esaminare i motivi di appello considerandoli sotto il loro aspetto sostanziale di critiche rivolte sia al provvedimento Antitrust e sia alle sentenze con le quali la delibera dell’AGCM è stata ritenuta immune dalle censure formulate.

13.Sempre preliminarmente, prima di affrontare i motivi di gravame coi quali, in buona sostanza, vengono riproposte le censure dedotte e respinte –o, si assume, nemmeno esaminate in primo grado- , pare il caso di rilevare, su ambito e limiti del sindacato giurisdizionale amministrativo sugli atti dell’Antitrust, che la recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione 20 gennaio 2014, n. 1013 ha puntualizzato che il sindacato di legittimità del Giudice amministrativo sui provvedimenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato e si estende anche ai profili tecnici, il cui esame sia necessario per giudicare della legittimità di tale provvedimento; ma quando in siffatti profili tecnici siano coinvolti valutazioni ed apprezzamenti che presentano un oggettivo margine di opinabilità – come ad esempio nel caso della definizione di mercato rilevante nell’accertamento di intese restrittive della concorrenza o di abusi di posizione dominante – detto sindacato, oltre che in un controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, è limitato alla verifica che quel medesimo provvedimento non abbia esorbitato dai margini di opinabilità sopra richiamati, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello dell’Autorità Garante ove questa si sia mantenuta entro i suddetti margini.

Il giudice amministrativo, in relazione ai provvedimenti dell’AGCM, esercita un sindacato di legittimità, che non si estende al merito, salvo per quanto attiene al profilo sanzionatorio: pertanto deve valutare i fatti, onde acclarare se la ricostruzione di essi operata dall’Autorità risulti immune da travisamenti e vizi logici, e accertare che le disposizioni giuridiche siano state correttamente individuate, interpretate e applicate. Laddove residuino margini di opinabilità in relazione ai concetti indeterminati, il Giudice amministrativo non può comunque sostituirsi all’AGCM nella definizione del mercato rilevante se questa sia attendibile secondo la scienza economica e immune da vizi di travisamento dei fatti, da vizi logici e da vizi di violazione di legge (in tal senso v. , “ex plurimis”, Cons. Stato, sez. VI, 13 giugno 2014, n. 3032; 13 maggio 2011, n. 2925; 9 febbraio 2011, n. 896; 2 marzo 2004, n. 926).

14.Ciò premesso in via generale e guardando adesso più da vicino le fattispecie in discussione il Collegio ritiene che sull’ “an” l’AGCM, con la delibera del 3 febbraio 2015, nel considerare sussistente la prova, ancorché solo indiziaria, della partecipazione delle parti appellanti a una illecita intesa restrittiva della concorrenza per oggetto, non costituisca il risultato di travisamenti, vizi logici o irragionevolezze.

La ricostruzione operata dall’Autorità non risulta strumentale né sviante.

Argomentazioni e conclusioni dell’Antitrust risultano sorrette da elementi indiziati plurimi e concordanti.

Il quadro indiziario globale, che emerge dagli atti, e dai gruppi di evidenze vagliati dall’Autorità, risulta effettivamente sufficiente e adeguato al fine di far rientrare in maniera plausibile e comunque legittima le condotte delle imprese nella categoria delle intese anticompetitive vietate ai sensi dell’art. 2, comma 2, della l. n. 287 del 1990, in quanto aventi «per oggetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante» – c. d. “intese per oggetto” (cfr. § 154 e ss del provvedimento impugnato).

Ad avviso del Collegio la ricostruzione operata dall’Autorità, motivata in maniera assai analitica, perviene a conclusioni né illogiche né frutto di travisamenti in ordine alla sussistenza di una intesa illecita per oggetto unica, complessa e continuata, in violazione dell’art. 2 della l. n. 287 del 1990.

Il tentativo di tutte le parti appellanti, da angolazioni diverse e con “tonalità” differenti, sembra essere quello di parcellizzare e di frazionare una vicenda da considerare –e che difatti è stata correttamente considerata- in maniera globale, “leggendo” alcuni elementi della decisione dell’Antitrust in maniera avulsa e isolata dal contesto d’insieme, allo scopo di indebolire la valutazione complessiva del quadro probatorio compiuta dall’Autorità.

In tema di illecita intesa restrittiva della concorrenza come disciplinata dall’art. 2 della l. n. 287 del 1990, assumono rilievo anche singoli comportamenti di ciascuna impresa, purché si inseriscano in un contesto di comportamenti ripetuti e omogenei assunti anche da altre imprese, da tenere in considerazione in maniera globale, posto che è l’insieme delle condotte che denota l’esistenza di una concertazione.

Il quadro probatorio globale, d’insieme, risulta sufficiente e adeguato. L’AGCM ha desunto l’esistenza di una intesa restrittiva per oggetto ex art. 2 della l. n. 287 del 1990 dai gruppi di “evidenze istruttorie” sui comportamenti delle imprese posti in essere in momenti e in fasi differenti, considerati e valutati nel loro insieme, “combinati” e “saldati” tra loro, in un contesto complessivo di risultanze entro il quale la vicenda va collocata, il che di per sé toglie forza a censure e argomentazioni formulate dalle parti appellanti.

Va anticipato sin d’ora che in maniera plausibile e condivisibile il Giudice di primo grado ha rilevato che (v. punti da 12 a 16 delle sentenze impugnate) gli atti di causa evidenziano la partecipazione di ciascuna delle imprese  “solo ad alcune dell’insieme delle procedure di gara bandite da diverse stazioni appaltanti, con l’astensione delle altre imprese per quelle gare, ed ugualmente l’astensione di quell’impresa alle gare cui ha partecipato un’altra delle imprese in esame, con la conseguente ripartizione fra le stesse imprese delle diverse gare, ed inoltre, per altri appalti, la presentazione “incrociata”, da parte di alcuna delle imprese in esame, di offerte suscettibili di accoglimento per alcuni lotti messi a gara e di offerte apparentemente non congrue per i diversi lotti per i quali un’altra, fra le imprese considerate, ha proposto una appropriata offerta, con la conseguente ripartizione fra le stesse imprese dei lotti oggetto di una medesima gara, ed inoltre, per altri appalti ancora, la presentazione di offerte congiunte per la medesima gara da parte di più imprese fra quelle in esame, con messa a disposizione reciproca degli impianti. 

In questo contesto –hanno proseguito le sentenze- risulta problematica “la scelta di partecipare in ATI alle procedure di gara, poiché… l’ATI dovrebbe rappresentare uno strumento potenzialmente idoneo ad accentuare il confronto concorrenziale nella gara, consentendo alla Pubblica Amministrazione di selezionare l’offerta migliore, in termini economici e tecnici, tra quelle presentate da una platea più ampia di imprese che singolarmente non avrebbero la capacità di partecipare alle gare, ma … nelle fattispecie considerate l’Autorità ha dimostrato l’assenza di ogni effettiva esigenza di costituire l’ATI per specifiche ragioni economico-tecniche in relazione a ciascuna delle procedure, possedendo autonomamente ogni concorrente i requisiti di partecipazione e non rispondendo l’ATI neppure a strategie economiche di specializzazione o differenziazione dell’attività delle singole partecipanti.

Non è irragionevole –ha proseguito il Tar- la conclusione dell’Autorità per la quale la condivisione delle decisioni inerenti la partecipazione –anche in forma singola- alle singole gare abbia determinato l’eliminazione del confronto competitivo tra le imprese in esame, sia mediante i pur dimostrati ripetuti incontri e scambi di informazioni sulla strategia di partecipazione alle singole gare, bandite o ancora solo programmate dalle stazioni appaltanti, sia mediante la ricerca di uno strumento formale e vincolante di coordinamento con riguardo al complesso delle gare, individuato dalle imprese Alan, Allevi, CRE, Eco-trass ed Evergreen in un primo momento (dall’aprile 2008) in un “contratto di ATI permanente” (della durata di almeno un anno, rinnovabile), successivamente in un “Consorzio” e infine in un “Accordo Quadro tra le imprese” sottoscritto, nel maggio 2013, da Alan, Allevi, Eco-trass ed Evergreen.

Pertanto, anche alla luce delle risultanza istruttorie allegate dall’Autorità (essenzialmente scambi di e-mail ed appunti acquisiti presso alcune delle società) circa il sistematico confronto fra le imprese in esame in merito ad una loro strategia congiunta di partecipazione alle gare per l’intero periodo in esame, non appare una mera congettura, bensì una ragionevole deduzione munita di univoci e concordanti elementi di prova, la ulteriore conclusione dell’Autorità circa la sussistenza di una ampia e complessa strategia anticoncorrenziale, protratta nel tempo per più anni consecutivi, volta all’eliminazione di qualsiasi confronto concorrenziale tra le parti interessate mediante una “serie complessa di atti e comportamenti” suscettibile di integrare gli estremi di “un ‘intesa complessa restrittiva della concorrenza” manifestatasi in un disegno collusivo volto al sistematico condizionamento delle gare ad evidenza pubblica concernenti una quota di mercato rilevante…se pur … l’ATI permanente (o di lungo periodo), il Consorzio e l’Accordo quadro sono certamente strumenti legittimi di collaborazione, al pari dei contatti, degli incontri e degli scambi di informazioni relativi alle singole gare, e se pur l’ATI permanente e il Consorzio non sono mai stati effettivamente realizzati nonostante una lunga trattativa, … la sanzione riguarda non il legittimo utilizzo dei predetti strumenti, bensì la sussistenza di «un disegno collusivo volto al condizionamento di gare ad evidenza pubblica» e in particolare «l’eliminazione del rischio di qualunque confronto competitivo al fine di pervenire in modo coordinato alla ripartizione dei servizi oggetto di appalto» (par. 220 del provvedimento impugnato) mediante un’ampia e complesse strategia, in cui le indicate forme di informazione e di collaborazione acquistano un’utilità indiretta e strumentale –ed a loro volta nel loro ripetersi costituiscono un univoco indizio- rispetto al più generale intento anticoncorrenziale di segmentazione e ripartizione del mercato di riferimento… 

Il Tar corrobora poi le considerazioni esposte sopra con l’analisi (al punto 15 delle sentenze impugnate) di alcune delle evidenze istruttorie sulle quali l’Autorità ha fondato il proprio accertamento e dalle quali è emerso il carattere anticompetitivo dell’intesa in oggetto giungendo così a confermare la ragionevolezza della valutazione compiuta dall’Autorità in base alla quale dalle evidenze suddette (v. p. 16 sent.) emerge il pieno coinvolgimento (..) di tutte le imprese partecipanti all’intesa – ivi incluse quindi CRE (pur con tempi in parte diversi) ed Eco trass (pur con modalità parzialmente diverse, svolgendo prevalentemente attività di trasporto)-cfr. sent. nn. 12934 e 12931 del 2015 ciò in quanto «secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, in presenza di un’intesa unica e complessa le condotte delle singole imprese devono essere inquadrate nel contesto complessivo della concertazione e considerate come tasselli di un mosaico, i cui elementi non sono significativi di per sé ma come parte di un disegno unitario, qualificabile quale intesa restrittiva».

Il Collegio ritiene opportuno rammentare sin d’ora che sull’inquadramento e sulla collocazione delle condotte delle singole imprese nel contesto complessivo della concertazione, dovendo tali comportamenti essere considerati come “tasselli di un mosaico”, i cui elementi non sono significativi di per sé, ma come parte di un disegno unitario, qualificabile quale intesa restrittiva della concorrenza soprattutto se nessuna delle imprese non solo non si è mai dissociata dall’oggetto delle riunioni, ma ha tenuto condotte conformi a quanto in esse emerso, questo Consiglio di Stato si è espresso in più occasioni: v. , “ex plurimis”, sez. VI, sent. 9 febbraio 2011, n. 896, e ivi rif. .

Si è già rilevato che la condivisione delle decisioni inerenti la partecipazione alle gare si è manifestata in momenti e in fasi diversi, ossia in occasione della ricerca di uno strumento formale o vincolante di coordinamento con riguardo al complesso delle gare e nell’ambito di incontri e di scambi di informazioni sulle strategie di partecipazione a singole gare bandite dalle stazioni appaltanti.

Più in dettaglio, per quanto riguarda il primo gruppo di evidenze istruttorie (su cui v. dal § 45 al § 80 e dal § 165 al § 180 del provvedimento dell’AGCM; v. anche dal § 207 al § 211, a confutazione degli argomenti addotti dalle parti), vale a dire circa la costituzione di strumenti per la partecipazione congiunta, o comunque coordinata, alle gare d’appalto, le appellanti pongono in risalto la liceità delle forme giuridiche utilizzate e la circostanza che, in ogni caso, l’ATI permanente (o di lunga durata) e il consorzio non sono mai stati realizzati (oltre al fatto che CRE non ha sottoscritto l’accordo quadro).

Le appellanti lamentano inoltre che l’Autorità avrebbe errato nell’accertare l’esistenza di un’intesa orizzontale anticompetitiva senza tenere in considerazione le spiegazioni alternative fornite dalle parti nel corso del procedimento a giustificazione della necessità di partecipare alle gare in raggruppamento.

Dette spiegazioni sarebbero riconducibili, “in primis”, alla necessità di fare fronte a iniziative della Regione Lombardia che avrebbero aggravato la crisi già in atto nel settore.

In realtà, l’Antitrust non ha contestato alle parti l’illiceità “ex se” degli strumenti di cooperazione stabile e continuata da queste via via individuati nel corso degli anni.

A questo riguardo si legge infatti nelle sentenze impugnate che come dedotto da parte ricorrente, l’ATI permanente, il Consorzio e l’Accordo quadro sono certamente strumenti legittimi di collaborazione, sicché non è l’utilizzo degli strumenti suddetti in quanto tale a essere stato sanzionato dall’Autorità, «bensì la sussistenza di un disegno collusivo volto al condizionamento di gare ad evidenza pubblica» e in particolare «all’eliminazione del rischio di qualunque confronto competitivo al ‘fine di pervenire in modo coordinato alla ripartizione dei servizi oggetto di appalto» (v. punto 14 delle sentenze, e §§ da 165 a 180 e 220 del provvedimento dell’AGCM).

Come correttamente osserva l’Antitrust è infatti nell’ambito di tale più ampia e complessa strategia, rivelata anche dal (secondo) gruppo di evidenze raccolte in relazione ai contatti, agli incontri e agli scambi di informazioni tra le parti circa la partecipazione alle singole gare (su cui v. i §§ da 81 a 131 e dal 181 della delibera) che i tentativi, succedutisi negli anni, di costituire un veicolo stabile o di sottoscrivere un accordo per il coordinamento sistematico nella partecipazione alle gare sono stati considerati rilevanti in sede di accertamento.

Dall’esame della documentazione acquisita agli atti nel suo insieme emerge infatti la volontà di utilizzare tali strumenti (ATI permanente e consorzio) — nonché il loro effettivo utilizzo (accordo quadro) — a fini ripartitori, finalizzati alla eliminazione di qualsiasi confronto concorrenziale tra le parti in relazione alla partecipazione a singole gare e a gruppi di gare.

Non è la circostanza in sé che le parti si siano incontrate per discutere dell’utilizzo di strumenti previsti dall’ordinamento e di per sé leciti ad avere assunto rilievo ai fini della qualificazione delle condotte delle imprese come intesa illecita per oggetto, atteso che il primo gruppo di evidenze costituisce come rilevato solo un tassello di un mosaico molto più articolato, nell’ambito del quale l’Autorità assegna un ruolo significativo al secondo gruppo di evidenze, relative a contatti, incontri e scambi di informazioni per il coordinamento nella partecipazione alle gare, di cui si dirà più avanti.

L’esame dei precedenti giurisprudenziali, puntualmente citati nelle sentenze impugnate, conforta le conclusioni alle quali è pervenuta l’Autorità.

Se è vero che l’ordinamento in generale, e la regola della gara specifica in particolare, non vietano né la cosiddetta ATI anche sovrabbondante, né la costituzione di altre forme stabili di cooperazione quale quella consortile, è anche vero che l’uso di strumenti consentiti in via generale non è di per sé neutro ben potendo esserne apprezzato il concreto esito, anche e soprattutto alla luce del principio della tutela della concorrenza. I comportamenti lesivi della concorrenza ben possono desumersi anche sulla base di un uso di facoltà e/o di diritti riconosciuti dall’ordinamento, dei quale si faccia però un impiego strumentale e non coerente con il fine per il quale essi sono riconosciuti.

Ciò che rileva a fini antitrust, infatti, non è la legittimità o meno di una specifica condotta, ma [..] la portata anticoncorrenziale di una serie di atti, anche, in tesi, in sé legittimi (Cons. Stato, sez. VI, 4 novembre 2014, n. 5423; v. anche, sempre sez. VI, 13 giugno 2014, n. 3032 e 24 settembre 2012, n. 5067; sulla circostanza poi che condotte consentite da un punto di vista settoriale possano risultare illecite alla luce del principio della tutela della concorrenza si fa rinvio a Cons. Stato, sez. VI, 8 aprile 2014, n. 1673; in questa prospettiva, atti quali la sottoscrizione di un’ATI, di un consorzio o di un accordo quadro anche se legittimi da quel punto di vista settoriale, si colorano come elementi indicatori di questo sproporzionato intento o effetto anticoncorrenziale -Cons. Stato, sez. VI, 15 maggio 2015, n. 2479; del resto, diversamente opinando si perverrebbe al risultato, inaccettabile, per cui l’illecito concorrenziale sarebbe pressoché inconfigurabile, grazie al semplice fatto che consiste il più delle volte in comportamenti analiticamente leciti se visti solo alla luce dì settori dell’ordinamento altri da quello della concorrenza : così, sull’applicabilità del principio, Cons. Stato, sez. VI, n. 2479 del 2015 cit. ; conf. Cons. Stato, sez. VI, 3 aprile 2009, n. 2093, p. 10.6. : la circostanza che a.t.i. e consorzi siano frutto di negozi giuridici tipizzati non esclude la loro contrarietà al diritto antitrust, allorché risulti che la causa concreta degli stessi, intesa come concreta funzione socio-economica dell’affare, sia illecita in quanto volta a contrassegnare un assetto contrario a norme imperative. Molteplici istituti civilistici sono infatti “neutri” ai fini antitrust dovendo essere verificato in concreto il loro utilizzo a fini anticoncorrenziali (Cons. St., sez. VI, 2 marzo 2001 n. 1189 Imprese di assicurazione; id. 18 febbraio 2007 n. 515 Conglomerato bituminoso). Non è infatti in discussione la funzione economico-sociale del contratto di a.t.i. né la tipicità legale dello stesso, ma il suo concreto utilizzo, avvenuto con finalità anticoncorrenziale e, quindi, per il perseguimento di interessi illeciti…).

Come si ricava dal provvedimento impugnato in primo grado (si vedano i già citati §§ da 45 a 80 e da 165 a 180), le evidenze acquisite nel corso dell’istruttoria comprovano che, tra il 2008 e l’avvio del procedimento, avvenuto nel giugno del 2013, le imprese appellanti hanno condiviso l’obiettivo di individuare uno strumento per rendere duratura, stabile e vincolante la cooperazione tra le imprese medesime in occasione della partecipazione alle gare d’appalto per il servizio di smaltimento dei fanghi civili.

Tale strumento di cooperazione è stato in un primo momento individuato dalle imprese in un contratto di ATI “di lungo periodo”, in seguito in un consorzio e infine in un accordo quadro (quest’ultimo poi sottoscritto nel maggio 2013 da Alan, Allevi, Evergreen ed Eco-trass, ma non da CRE).

Su ATI permanente, consorzio e accordo quadro, come correttamente rileva l’Autorità, a partire dall’aprile del 2008 le parti discutevano dell’opportunità di sottoscrivere un contratto per la costituzione di un’ATI c. d. “permanente” .

In discordanza con la funzione tipica dell’istituto dell’ATI che, per definizione, dovrebbe avere durata temporanea, quest’ultima avrebbe dovuto consentire: (a) la partecipazione coordinata delle imprese in ATI a tutte le procedure pubbliche per l’affidamento del servizio di smaltimento dei fanghi civili; (b) la ripartizione dei volumi aggiudicati in base alla rispettiva capacità autorizzata di trattamento dei fanghi civili; (c) un livello di prezzo per il servizio di smaltimento uguale per tutte le imprese e tale da assicurare un ritorno economico.

Emblematica a questo riguardo è la prima evidenza su detti contatti risalente al 4 aprile 2008 e acquisita in sede ispettiva presso Allevi, secondo cui l’ATI permanente avrebbe dovuto fissare un prezzo «equo e invariabile per tutta la durata del contratto da imporre (alle stazioni appaltanti) per il conferimento dei fanghi».

In particolare, le imprese ritenevano che «nel definire il prezzo si deve tenere conto della situazione attuale, dell’importanza del servizio svolto e dei (maggiori) costi necessari per le altre forme di smaltimento. (L’ideale sarebbe un prezzo di 65 euro, tale per cui si ha un guadagno e si rimane competitivi con le altre forme di smaltimento)”. Era inoltre considerato fondamentale «istituire forti penali che colpiscano i centri che non si attengono alle prescrizioni dell’ATI (variazioni dei prezzi, mancato ritiro ecc…)” (cfr. §§ 165 e seguenti del provvedimento impugnato, e relative note).

Risulta dal verbale citato acquisito agli atti che a tale primo incontro prendevano parte le sole Allevi ed Evergreen. Tuttavia, pochi giorni dopo, in data 9 aprile 2008, tutte e cinque le imprese parti del procedimento si riunivano presso Alan per proseguire la discussione sulle costituzione di un’ATI di lungo periodo. Il verbale di tale secondo incontro presenta, in sostanza, lo stesso contenuto di quello del primo incontro sopra descritto e veniva diffuso da Allevi per posta elettronica a tutti i partecipanti.

Circa l’utilizzabilità nei confronti delle imprese del verbale del 9 aprile 2008, in quanto rinvenuto nel corso dell’accertamento ispettivo condotto presso CRE, pare il caso di richiamare la giurisprudenza amministrativa (v., “ex plurimis”, Cons. Stato, sez. VI, n. 896 del 2011, p. 22, e n. 5171 del 2011, p. 11), secondo la quale  i documenti di cui è accertata l’attendibilità esplicano la loro rilevanza probatoria anche nei confronti di società diverse da quelle presso le quali sono stati materialmente reperiti, o alle quali sono attribuibili», posto che è difficile che «un’impresa possa avere assolutamente inventato il contenuto di uno scritto relativo ad un comportamento che possa esporla a sanzioni .

Ugualmente da respingere sono i profili di censura delle appellanti in base ai quali l’Autorità avrebbe errato nel non tenere in considerazione le «spiegazioni alternative» fornite dalle imprese per giustificare l’avvio, nell’aprile del 2008, di un confronto indirizzato alla ricerca di un coordinamento stabile nella partecipazione alle gare.

Spiegazioni, riconducibili prima di tutto alla necessità di fronteggiare iniziative regionali che avrebbero aggravato la crisi già in atto nel settore.

A questo riguardo va sottolineato in primo luogo che le contro-argomentazioni delle parti sono state ampiamente tenute presenti nel provvedimento finale, nel quale sono state riportate e altrettanto puntualmente confutate (si vedano i §§ dal 203 al 211 del provvedimento dell’AGCM).

In particolare l’Autorità (v. § 208) ha rimarcato che le imprese risultano aver adottato comportamenti che integrano una delle restrizioni più gravi della concorrenza, che non può trovare giustificazione né nell’eventuale necessità delle stesse imprese di condividere e ripartirsi i rischi imprenditoriali che sono insiti nell’attività di smaltimento dei fanghi, né in eventi di origine esterna come l’evoluzione della normativa della Regione Lombardia, che ha ridotto la possibilità di spandimento dei fanghi in agricoltura o la modifica delle condizioni della domanda. In altri termini, nessuna delle circostanze richiamate dalle parti può valere ad esimere le imprese attive sul mercato dal rispettare le regole di concorrenza.

D’altra parte, le conclusioni raggiunte dall’Autorità sul punto risultano allineate alla giurisprudenza della VI sezione di questo Consiglio di Stato (su cui v. , “ex multis”, sent. n. 896 del 2011, cit. , p. 28), per la quale neppure l’eventuale esistenza di una crisi nel settore può integrare una condizione legittimante l’intesa restrittiva atteso che la presenza della crisi non può certo comportare l’applicazione automatica dell’esenzione, in mancanza delle condizioni previste cumulativamente dall’art. 81.3 del Trattato [attuale art. 101, paragrafo 3, del TFUE] .

In modo corretto dunque il Tar (v. p. 18. delle sentenze impugnate) ha giudicato non accoglibile la giustificazione delle parti, peraltro generica, “circa l’esistenza di una crisi nel settore rilevante” idonea, nella prospettazione delle ricorrenti e odierne appellanti, a legittimare l’esenzione in deroga.

Circa il consorzio (su cui si fa rinvio ai §§ 58 ss. del provvedimento impugnato in primo grado), tra il giugno del 2012 e il febbraio del 2013 il progetto di costituire l’ATI permanente veniva affiancato da quello diretto a creare un consorzio tra le parti, avente le medesime finalità dell’ATI di lungo periodo.

Il consorzio sarebbe dovuto essere l’unico soggetto partecipante alle procedure per l’affidamento del servizio di smaltimento dei fanghi civili (per conto di tutte le imprese associate), mentre la successiva gestione dei contratti avrebbe assicurato la ripartizione delle forniture tra tutte le imprese, in base ai quantitativi autorizzati a ciascuna impresa parte del consorzio (cfr. e-mail del 14 giugno 2012 con la quale Alan invia ad Allevi, CRE ed Evergreen una bozza di statuto).

Nel corso di alcune riunioni tutte le parti individuavano le regole di funzionamento del consorzio e condividevano la necessità di prevedere sanzioni per chiunque avesse operato autonomamente e in modo indipendente rispetto a esso.

Paradigmatico a questo riguardo appare l’appunto rinvenuto presso CRE, aggiornato al 12 febbraio 2013, nel quale si legge che «nel caso in cui il consorzio non sia interessato ad un determinato appalto, i singoli soci possono chiedere al consorzio di poter partecipare singolarmente» e, tuttavia, «il consorzio può negare il consenso per strategia di mercato».

Tale prescrizione viene corroborata dalla previsione di penali assai elevate «pari a 20,00 euro/ tonn. più una multa di 150.000 euro» «nel caso in cui un socio ritiri [dei fanghi] al di fuori dal consorzio .

Come correttamente rilevato dal Tar, attraverso un esplicito riferimento, operato al punto 15. delle sentenze impugnate, “a titolo esemplificativo”, ad alcune “risultanze istruttorie…documentate dall’Autorità”, può essere preso a esempio della reale finalità dell’accordo che le parti intendevano sottoscrivere lo scambio di e-mail del 14 febbraio 2013 tra CRE, Alan e Allevi, nel quale si legge che: «il nostro consorzio deve essere una “carta velina” al fine della gestione della gara vinta: il consorzio fa la gara, consegna i documenti. fa la fideiussione e si leva dalle balle, e subentra nella gestione operativa quello che oggi è identificato come capofila operativo dell’ATI […] — a livello operativo deve essere tutto come oggi […]».

Tuttavia, come puntualizzato al § 64 del provvedimento dell’AGCM, a causa dei costi operativi necessari per costituire il consorzio e dell’incertezza giuridica riguardante la possibilità, per il consorzio stesso, non direttamente titolare di impianti di trattamento, di partecipare alle procedure a evidenza pubblica, la creazione del consorzio è stata ritenuta delle imprese troppo difficoltosa ed è stata pertanto abbandonata.

In una terza fase (nel 2012 -2013: si vedano i §§ 65 ss. del provvedimento dell’Autorità e, in sede “valutativa”, dal § 175), le imprese decidevano di stipulare un accordo quadro per la sistematica partecipazione congiunta alle gare, di semplice e immediata concretizzazione rispetto al consorzio.

Dopo le e-mail di Evergreen del 10 settembre 2012 e di Alan del 14 settembre 2012, in atti, le prime bozze di accordo quadro iniziavano a circolare tra Alan, Allevi, CRE ed Evergreen nel mese di marzo del 2013.

Esso sarebbe stato volto a «regolamentare l’attività commerciale del codice 19.08.05» (ovvero quello relativo al servizio di smaltimento dei fanghi civili) e avrebbe rappresentato una soluzione valida in quanto «(…) nella sua semplicità e snellezza risponde ai principi ed alle finalità che intendiamo perseguire e ci consente di rodare l’unione con molte meno complicazioni» (cfr. doc. 15 allegato, citato alla nota 181 del provvedimento).

Dal 23 maggio 2013 veniva coinvolta anche la società Eco-trass negli scambi di e-mail (cfr. i §§ 175 e 176 del provvedimento).

Infine, in data 30 maggio 2013 tutte le società, a eccezione di CRE, sottoscrivevano la versione definitiva dell’Accordo Quadro (cfr. i §§ 177 ss.) il quale prevedeva in modo esplicito:

– il confronto sistematico tra le imprese con riguardo a tutte le «procedure di gara (negoziata, ristretta, aperta o di altri tipi di procedure di affidamento)» per l’affidamento dei servizi di smaltimento dei fanghi civili;

– che, «individuate le procedure ritenute congiuntamente di interesse, sia verificata la possibilità di proporre domanda di partecipazione e/o formulare offerta in forma di raggruppamento temporaneo costituito o costituendo o semplicemente formulando offerta congiunta»;

– che «le quote di partecipazione/esecuzione … faranno riferimento ai quantitativi autorizzati ed effettivamente ritirati l’anno precedente (2012) da ogni contraente» (cfr. §§ 73 e 178 del provvedimento finale).

L’accordo quadro risultava essere ancora in vigore quantomeno fino all’avvio dell’istruttoria (v. § 75 del provvedimento finale).

Da quanto sopra esposto emerge, come l’Autorità ha osservato in modo plausibile e condivisibile (v. i §§ da 165 a 180; cfr. in particolare il § 179, in relazione ai §§ da 45 a 80) che nell’arco temporale che va dal 2008 al 2013 le imprese ricorrenti e oggi appellanti hanno condiviso la volontà di sottoscrivere un accordo di lunga durata, o di costituire un soggetto che assicurasse il coordinamento delle condotte delle imprese stesse in occasione di tutte le procedure di gara aventi a oggetto l’appalto di fanghi civili. Ciò avrebbe reso possibile un confronto delle imprese, ex-ante, con riferimento alle procedure di gara suddette, l’eventuale partecipazione alle procedure medesime tramite ATI o con offerte congiunte e la ripartizioni dei volumi aggiudicati sulla base delle quote di mercato storiche delle imprese.

Non può essere accolta, pertanto, la critica formulata da alcune parti appellanti, secondo la quale l’Autorità avrebbe errato nel ritenere sussistente un intento unitario tra il progetto di “ATI di lungo periodo” —diretto a rispondere a un momento contingente di crisi del settore — e la costituzione di un consorzio stabile che avrebbe invece avuto finalità del tutto diverse.

Il tentativo delle appellanti di sminuire la portata anticoncorrenziale di tali accordi, i primi due (ATI permanente e consorzio) in quanto mai realizzati e il terzo (accordo quadro) poiché asseritamente soltanto programmatico o volto a regolamentare un aiuto a carattere mutualistico, non può essere approvato dal momento che, come già rilevato, la circostanza che i progetti via via discussi dalle parti siano o meno stati infine sottoscritti non rileva sotto il profilo antitrust posto che per accordo deve intendersi qualsivoglia incontro di volontà proveniente da una pluralità di soggetti indipendenti, che può estrinsecarsi anche nell’attuazione di fatto di una semplice lettera d’intenti, oppure ad un’acquiescenza tacita ad una proposta altrui, a prescindere dalla circostanza che abbia dato luogo ad obbligazioni giuridicamente vincolanti alla stregua di un vero e proprio contratto (cfr. Cons. di Stato, sez. VI, 13 settembre 2012, n. 4873).

Nella specie l’Autorità (v. specialmente i §§ 179, 180 e 211) ha rilevato in modo non illogico né travisato come, parallelamente alla discussione relativa a possibili strumenti stabili di coordinamento, grazie ai contatti e agli scambi di informazioni intercorsi tra le parti (di cui si dirà “infra”) le imprese abbiano inteso ripartirsi in modo sistematico i volumi oggetto di gare bandite e ancora da bandire, fissando in modo congiunto i prezzi da offrire, con l’obiettivo di eliminare ogni forma di concorrenza tra le stesse nella partecipazione alle gare e di mantenere stabili le proprie le quote di mercato, in violazione dell’art. 2 della l. n. 287 del 1990.

Risultano dunque esenti da critica le decisioni del Tar nelle parti in cui (v. spec. dai pp. 12. ai pp. 15. delle sentenze) sono state respinte le censure incentrate sul (primo) gruppo di evidenze relativo alla volontà comune delle imprese di stabilire uno strumento stabile di coordinamento nella partecipazione delle gare.

Non pare superfluo ribadire che l’accertamento dell’intesa anticompetitiva emerge dal raccordo, e da una valutazione operata in maniera congiunta e nell’insieme, dei “gruppi di evidenze” sopra descritti, il primo gruppo correlato col secondo e coi risultati dell’analisi del data base.

Detto raccordo tra gruppi di evidenze risulta esplicitato in modo corretto nel provvedimento finale laddove (v. § 211) si legge che «gli ulteriori elementi di fatto raccolti in sede istruttoria (su cui si dirà infra) hanno provato che la comune volontà delle imprese di confrontarsi e coordinare il proprio comportamento concorrenziale nelle gare d’appalto ha anche avuto effettiva attuazione a prescindere o meno dalla sottoscrizione di un atto formale» .

Ciò in un contesto nel quale, come si è rilevato sopra, le censure delle appellanti risultano essere state formulate in modo parcellizzato e frazionato allo scopo d’indebolire la struttura argomentativa del provvedimento finale considerata nel suo insieme.

Quanto al secondo gruppo di evidenze, vale a dire circa i contatti, gli incontri, gli scambi d’informazioni, le e-mail, gli appunti manoscritti, finalizzati in modo specifico al coordinamento nella partecipazione alle singole procedure di gara (su cui v. i §§ da 81 a 131 e 181 ss. del provvedimento impugnato), in via preliminare va rammentato che la giurisprudenza, condivisa da questo Collegio e alla quale s’intende dare continuità (v. , “ex multis”, Cons. Stato, sez. VI, 18 maggio 2015, n. 2514, 13 giugno 2014, n. 3032, 13 maggio 2011, n. 2925, 22 marzo 2001, n. 1699),

consapevole della rarità dell’acquisizione della prova piena (c.d. “smoking gun”, come testo dell’intesa, documentazione inequivoca, confessione dei protagonisti), e della conseguente vanificazione pratica delle finalità perseguite dalla normativa antitrust che scaturirebbe da un atteggiamento troppo rigoroso, reputa sufficiente e necessaria in questa materia l’emersione di indizi, purché seri, precisi e concordanti, circa l’intervento di forme illecite di concertazione e di coordinamento.

Il fatto che non sia rintracciabile, da parte dell’investigatore, un accordo espresso, è ben comprensibile, ove si consideri che gli operatori del mercato, qualora intendano porre in essere una pratica anticoncorrenziale, ed essendo consapevoli della sua illiceità, tenteranno con ogni mezzo di celarla, evitando accordi scritti, e anche accordi verbali espressi, e ricorrendo invece a segnali reciproci volti ad addivenire ad una concertazione di fatto. Dal che la conclusione che la prova della pratica concordata, oltre che documentale, può essere indiziaria, purché gli indizi siano seri, precisi e concordanti. E “la circostanza che la prova sia indiretta (o indiziaria) non comporta necessariamente che la stessa sia meno forte” (Cons. Stato, VI, n. 2514 del 2015 cit.).

Ciò premesso, pare assai arduo, oltre che contrastante col principio di sintesi nella redazione dei provvedimenti giurisdizionali, sancito dal cod. proc. amm. , ripercorrere punto per punto, gara per gara, le singole evidenze documentali raccolte dall’Autorità nel corso dell’istruttoria e riepilogate in parecchie decine di paragrafi –e in diverse decine di pagine- del provvedimento finale, a un livello di approfondimento assai considerevole che trova corrispondenza in disamine assai minuziose delle singole procedure di gara operate con gli appelli.

Al fine di considerare avvalorata in modo plausibile –in concorso e in raccordo, giova ribadirlo, con gli altri gruppi di evidenze istruttorie presi in considerazione- l’esistenza di una intesa anticompetitiva per oggetto ex art. 2 della l. n. 287 del 1990, appare sufficiente fare qui richiamo, in via esemplificativa: alla e-mail di Evergreen del 21 novembre 2012, sulla pianificazione delle gare di prossima scadenza, su cui v. i §§ da 103 a 105 del provvedimento impugnato, oltre al § 191; all’appunto a mano del resoconto dell’incontro tra Evergreen e Alan del 6 novembre 2012 –cfr. § 102 del provvedimento impugnato; alla e-mail interna del 3 novembre 2012 relativa alla gara bandita da ACDA Cuneo, su cui v. il § 106; sulle gare SMAT e Uniacque, alle e-mail del 13 e del 30 novembre 2009 –cfr. i §§ 109 ss. e 191 ss. . Sulle gare bandite da Sud Seveso, il segnalante, si può fare rinvio in via diretta ai §§ da 120 a 123.

Appare, soprattutto, paradigmatica del coordinamento posto in essere dalle parti del procedimento la e-mail del 21 novembre 2012, richiamata anche dal Tar al p. 15. delle sentenze impugnate.

Con la e-mail del 21 novembre 2012 Evergreen propone a CRE, Alan, Allevi e Eco-trass un confronto in relazione a un numero rilevante di “gare di prossima scadenza”, bandite da ACDA Cuneo, CORDAR Biella, BR1ANZACQUE Monza, AMC Casale Monferrato, Sud Seveso Servizi, AMACA Abbiategrasso, CBL, ACQUA Novara VCO.

In detta e-mail, avente a oggetto «Prossime gare», il rappresentante di Evergreen scrive agli esponenti delle altre imprese “ritengo sia opportuno confrontarci di persona, per meglio definire eventuali collaborazioni sulle seguenti gare di prossima scadenza…” (segue l’elenco delle stazioni appaltanti).

Alla proposta di Evergreen risulta agli atti un riscontro positivo via e-mail da parte di Alan, Eco-trass e Allevi.

Per quanto riguarda CRE, è vero che, come riconosce la stessa Autorità al § 105, mancano evidenze documentali circa la sua partecipazione al suddetto incontro; tuttavia, su esplicita domanda degli Uffici, il rappresentante dell’impresa, sentito in audizione, non ha escluso di avervi preso parte, avendo affermato di «[…] non ricordare di avere partecipato a quella specifica riunione sebbene, in linea generale, CRE, se invitata a riunioni, normalmente vi partecipa» (cfr. verbale di audizione di CRE, in atti).

L’effettiva partecipazione di CRE al coordinamento con le altre imprese in relazione alle gare indicate in detta e-mail risulta comunque provata con riferimento alla gara bandita da ACDA Cuneo, in base alla e-mail interna, sopra citata, del 3 novembre 2012, nella quale un socio di CRE comunica ad altri rappresentanti dell’impresa una propria decisione in merito a tale gara affermando in particolare di averne discusso con un concorrente, Allevi, e di avergli “…confermato […] la gara di Cuneo con [Evergreen] ed Alan» (cfr. § 106 cit.).

Del resto, al § 107 l’Autorità osserva che i dati acquisiti pongono in risalto il fatto che l’esito delle gare si caratterizza “per una netta ripartizione delle partecipazioni tra le imprese coinvolte nella discussione. Infatti – con la sola eccezione delle gare AMC Casale Monferrato e Sud Seveso Servizi – in tutte le altre gare menzionate solo una delle imprese coinvolte ha presentato la sua offerta. In particolare, nelle gare Cordar Biella e Brianza Acque ha partecipato solo CRE, nelle gare CBL e Acqua Novara, hanno partecipato, rispettivamente, soltanto Allevi ed Eco-trass, nella gara ACDA Cuneo, ha partecipato solo Allevi (in ATI con il trasportatore Miura). Tuttavia, in quest’ultima gara, l’offerta presentata da Allevi all’ente appaltante, prevedeva al contempo che i fanghi oggetto dell’appalto fossero smaltiti anche presso gli impianti di Alan e di Evergreen, di modo che, nella sostanza, si garantisse, anche in questo caso, una ripartizione del servizio tra le tre imprese Alan, Allevi e Evergreen. CRE, che pure si ricorda, aveva discusso con i concorrenti di tale gara, non ha presentato, invece, la propria offerta”.

In modo attendibile dunque il disegno collusivo posto in essere tra le parti del procedimento, e la sua concreta attuazione, risultano confermati dagli esiti delle gare, in base a quanto evidenziato dall’AGCM (si leggano i §§ 107, 158 e ss. e 181 e ss.), posto che le imprese stesse non hanno partecipato in concorrenza tra loro in relazione a nessuna delle gare discusse durante l’incontro convocato con l’e-mail del 21 novembre 2012.

In terzo luogo la presenza di una cooperazione tra le parti interessate è emersa anche dall’analisi dei dati relativi all’insieme delle gare d’appalto dei fanghi civili partecipate nel periodo in esame (v. i §§ 132 e ss. del provvedimento impugnato).

Gli Uffici dell’Autorità hanno infatti predisposto, sulla base delle informazioni richieste alle imprese e alle stazioni appaltanti, un data base relativo alle circa 190 gare partecipate dalle imprese Alan. Allevi, CRE, Eco-trass e Evergreen nel periodo 2008-2013, da cui risulta confermato, da un lato, uno degli elementi costitutivi della cooperazione, ovvero la partecipazione in ATI delle quattro imprese Alan, Allevi, Eco-trass ed Evergreen, e dall’altro, che nella maggior parte delle gare esaminate CRE, da un lato, e le altre quattro imprese, dall’altro, non risultano avere presentato offerte in concorrenza tra loro.

Nello specifico, dai dati elaborati è emerso che Alan, Allevi, Eco-trass ed Evergreen si sono presentate in ATI in forme variabili, in 81 delle 150 procedure di gara, pari a circa il 71% dei volumi complessivamente partecipati, con ciò realizzando un uso continuato dell’istituto dell’ATI ed eliminando, in sostanza, ogni forma di concorrenza tra loro. Inoltre, in 51 gare di dimensione molto piccola (pari al 14% dei volumi complessivi: tabella 9, pag. 38 del provvedimento finale) ha partecipato una sola delle quattro imprese senza subire, anche in questi casi, alcuna concorrenza da parte delle altre.

Nell’intero periodo in esame Alan, Allevi, Eco –trass ed Evergreen si sono presentate «in concorrenza» (una contro l’altra) con riguardo a soltanto sette procedure di gara, per una quota di volumi del 4% del totale sull’intero periodo considerato. L’esito di due di tali ultime gare (Sud Seveso e Acea/Aquaser-v. i §§ 120 e 121 e da 124 a 126) è stato peraltro tale da far presumere l’esistenza di un preventivo accordo tra le parti.

Dall’analisi della documentazione contenuta nel data base è emerso altresì che CRE, nella quasi totalità dei casi (95% delle gare), ha presentato un’offerta individuale. La partecipazione di CRE all’intesa è stata in parte differenziata rispetto a quella delle altre quattro imprese, con le quali la società appellante ha tuttavia condiviso il medesimo disegno generale di eliminazione della concorrenza in sede di gara, avvalendosi delle informazioni sul comportamento commerciale delle altre imprese ottenute nel corso dei descritti incontri (cfr. i §§ 105, 172 e da 214 a 216 del provvedimento impugnato.

Dunque in termini condivisibili il Tar, con le sentenze gravate (v. dai pp. 10.), ha rilevato che l’Autorità ha motivato in modo congruo circa le ragioni per le quali è stato considerato sussistente un cartello spartitorio tra le imprese Alan, Allevi, CRE, Eco-trass ed Evergreen in relazione alle procedure di affidamento del servizio di smaltimento dei fanghi civili in agricoltura, bandite tra l’aprile 2008 e l’avvio del procedimento (giugno 2013), per avere le parti condiviso un disegno collusivo tra imprese concorrenti, volto ad eliminare il rischio di qualunque confronto competitivo tra di esse al fine di pervenire in modo coordinato alla ripartizione dei servizi messi a gara… .

Nel loro insieme gli indizi raccolti e valutati concretano un sostegno adeguato alle tesi dell’AGCM, in un contesto in cui, giova ribadirlo, secondo la giurisprudenza (v. , di recente, Cons. Stato, sez. VI, n. 2514 del 2015, cit.), nella maggior parte dei casi, l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale dev’essere dedotta da un certo numero di coincidenze e di indizi i quali, considerati nel loro insieme, possono rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole sulla concorrenza, in quanto è ben difficile che di una intesa passano rinvenirsi prove dirette, desumibili da materiale documentale o da altre evidenze istruttorie che attestino la conclusione dell’accordo anticoncorrenziale illecito.

E’ il carattere di per sé indiziario della prova in questo settore che rende necessario ricostruire taluni dettagli per via di deduzioni, fermo restando che contatti tra imprese e scambi di informazioni concretizzano sicuri elementi indiziari dai quali desumere concertazioni sintomatiche dell’esistenza di una intesa illecita.

Di qui, la reiezione dei motivi d’appello con i quali le società ricorrenti hanno contestato la carenza degli elementi costitutivi di un illecito anticompetitivo e la mancata o la insufficiente allegazione, da parte dell’Autorità, di elementi di prova adeguati in questo senso.

L’AGCM non ha cioè disatteso il criterio –guida da osservare nei procedimenti antitrust, ossia quello della “congruenza narrativa”, in virtù del quale l’ipotesi di illecito anticompetitivo sorretta da indizi plurimi e concordanti può essere fatta propria nella decisione giudiziale quando sia l’unica a dare un senso accettabile alla “storia” che si propone per la ricostruzione dell’intesa illecita (sul punto v. , “ex multis”, Cons. Stato, sez. VI, 13 giugno 2014, n. 3032 e 25 marzo 2009, n. 1794).

Il tentativo delle ricorrenti e odierne appellanti di dare spiegazioni alternative per la partecipazione con specifiche modalità a una singola gara o per la mancata partecipazione alla stessa è confutato dall’AGCM in modo attendibile già in sede procedimentale e di provvedimento finale (si vedano i §§ 202 e ss.). L’Autorità, con il provvedimento impugnato, ha valutato le circostanze e le argomentazioni addotte dalle parti nel corso del procedimento, dimostrandone la infondatezza. In ogni caso, le spiegazioni fornite non scalfiscono la sufficienza e l’adeguatezza del quadro probatorio che ha consentito all’Autorità di accertare la violazione dell’art. 2 della 1. n. 287 del 1990, attraverso la realizzazione di un’intesa unica continuata e complessa da parte delle imprese parti del procedimento.

15.Per quanto riguarda le posizioni –differenziate- di CRE ed Eco –trass (sulla prima, v. p. 16. sent. Tar n. 12934 del 2015; la seconda è essenzialmente trasportatrice di fanghi e solo eccezionalmente smaltitrice), dall’insieme delle risultanze istruttorie è emerso che anche tali società hanno partecipato alla intesa anticompetitiva, avendo condiviso un medesimo disegno collusivo generale e l’obiettivo di eliminare il confronto concorrenziale in sede di gara (cfr. sentenze impugnate, dal p. 13. al p. 16.).

A questo riguardo occorre anzitutto precisare, con l’Autorità, che dalle evidenze istruttorie si ricava come né CRE né Eco –trass si siano dissociate dalla intesa, beneficiando sia delle informazioni sul comportamento che le altre imprese intendevano tenere in occasione di gare specifiche, e sia della diminuzione della concorrenza derivante dalla partecipazione congiunta alle gare delle stesse imprese (sul punto, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 giugno 2014, n. 2837, in tema di applicazione del “principio della c.d. ‘partecipazione passiva’: del principio – cioè – secondo cui, laddove risulti provato che un’impresa abbia partecipato a riunioni durante le quali sono stati conclusi accordi di natura anticoncorrenziale, senza esservisi manifestamente opposta, spetta a tale impresa dedurre indizi atti a dimostrare che la sua partecipazione alle dette riunioni fosse priva di qualunque spirito anticoncorrenziale, dimostrando che essa aveva dichiarato alle sue concorrenti di partecipare alle riunioni in un’ottica diversa dalla loro; conf. Cons. Stato, VI, nn. 3291 del 2015 e 2921 del 2011).

Diversamente, il fatto stesso di approvare tacitamente una iniziativa illecita, senza distanziarsi pubblicamente dal suo contenuto o denunciarla agli organi amministrativi rappresenta una modalità di partecipazione all’intesa, idonea a far sorgere la responsabilità dell’impresa nell’ambito di un unico accordo, anche qualora l’impresa non abbia dato seguito ai risultati di una riunione avente un oggetto anticoncorrenziale (in tal senso v. Cons. Stato, VI, 9 febbraio 2011 n. 896, p. 23. ; sulla contestabilità dell’intesa anche nei confronti di chi si limiti a trarne un vantaggio assumendo un ruolo meramente passivo, dovendosi riconoscere l’esonero da responsabilità solo in caso di dissociazione espressa dall’intesa v. Cons. Stato, sez. VI, 27 giugno 2014, n. 3252, p. 6.4.3.1. , 3 giugno 2014, n. 2837, p. 5.1.3. e 20 maggio 2011, n. 3013).

Ciò in un contesto nel quale non poteva sfuggire il contenuto anticoncorrenziale delle condotte tenute dai rappresentanti delle società, sicché è proprio in forza del principio della “partecipazione passiva” e dell’assenza, nella specie, di una dissociazione espressa dal disegno collusivo, che può ritenersi provata la partecipazione alla intesa contestata di tutte le imprese che hanno preso parte alle riunioni.

Per completezza, con riguardo a CRE (sulla quale si vedano i §§ da 103 a 106, 172, 191 e 192, da 198 a 201 e da 214 a 216 del provvedimento impugnato):

-l’impresa ha partecipato in modo attivo alle discussioni intervenute a partire dal 2008 per la costituzione di un veicolo stabile di coordinamento (ATI permanente, prima, consorzio e accordo quadro, poi);

-in relazione a un insieme di gare (le procedure espletate da ACDA Cuneo, Cordar Biella, CBL Brianza Acque Monza e Acqua Novara BCO nel periodo 2012-2013), la stessa impresa si è confrontata con le altre quattro parti del procedimento, nel novembre del 2012, con l’obiettivo di «[…] meglio definire eventuali collaborazioni […]»; in nessuna di tali gare le cinque parti hanno partecipato a procedure in concorrenza tra loro, dando così luogo a una spartizione degli appalti (cfr. §§ 103 e ss. e 191);

– rispetto alla gara bandita da Acea/Aquaser nel settembre del 2012, tutte le imprese parti dell’intesa, ivi compresa CRE, hanno partecipato tramite un’unica ATI, facendo riferimento esplicito al progetto di Consorzio e stabilendo, dietro espressa richiesta di CRE, una serie di regole di condotta da tenere nei confronti della stazione appaltante anche al di fuori della gara (in particolare, il patto di non svolgere in autonomia alcun’altra attività estranea all’oggetto della gara a favore di ACEA/Aquaser). Ciò ha dato conferma ulteriore del collegamento esistente tra la volontà di formalizzare un coordinamento stabile e duraturo e il comportamento collusivo già adottato nella partecipazione alle gare “de quibus” (cfr. i §§ 127 e ss. e 192);

-in maniera plausibile l’Autorità ha ritenuto che quanto argomentato da CRE non incidesse “sulla piena imputabilità anche a CRE della partecipazione dell’impresa all’intesa restrittiva in esame. Infatti, in primo luogo, vi sono rilevanti prove sostanziali circa l’attiva e piena partecipazione di CRE sia al progetto di creazione del soggetto unico (ATI permanente o Consorzio), sia al coordinamento condono nel frattempo su specifiche gare (quanto meno quella ACEA/Aquaser del 2012 e quelle di ACDA Cuneo, Cordar Biella, Acqua Novara BCO e CBL Brianza Acque Monza del 2012).

Le evidenze relative alla strategia di partecipazione alla procedura ACEA/Aquaser, in particolare, provano il ruolo propulsivo di CRE nell’organizzare il coordinamento alla gara e la sua volontà di utilizzare l’esperienza di cooperazione in tale gara come primo esperimento del progetto del consorzio (“preambolo per la nascita del consorzio) che CRE dimostra di condividere pienamente. Non risulta inoltre elemento idoneo ad escludere CRE dalla partecipazione all’intesa la sua asserita volontà di utilizzare le informazioni ottenute nel corso degli incontri con i concorrenti non già per cooperare nell’ambito delle gare, ma “per osservare l’evoluzione dell’iniziativa proposta e le intenzioni dei propri concorrenti” in quanto “per la società era fondamentale capire cosa volevano fare i propri concorrenti”; né la presunta volontà di partecipare al tavolo di discussione sul Consorzio al solo fine di proporre “ulteriori “paletti” alle regole del consorzio, proprio con “l’obiettivo di uscirne”.

Anche tali comportamenti sono infatti idonei a inficiare il corretto gioco concorrenziale nell’ambito delle gare, posto che essi hanno messo in condizione CRE di agire sul mercato essendo consapevole delle scelte commerciali delle imprese proprie concorrenti e di beneficiare della riduzione della concorrenza in occasione delle gare che ne derivava.

Per gli stessi motivi, anche le procedure di gara cui ha partecipato la sola impresa CRE – o CRE e le altre imprese parti dell’intesa – sono state influenzate e distorte nel loro esito dalla concertazione in esame» (cfr. i §§ 215 e 216).

Come correttamente rileva l’Autorità, CRE ha partecipato al progetto e ha condiviso in maniera consapevole, fin dal 2008, anno in cui è iniziato il confronto sulla costituzione di un’ATI permanente, l’obiettivo di giungere a un accordo finalizzato a vincolare le imprese a partecipare in forma congiunta, o comunque senza che si potesse realizzare alcuna concorrenza tra di esse, con riguardo a tutte le procedure di gara relative ai fanghi civili cui intendessero partecipare. Pur non rendendo sempre chiara la propria condotta in sede di gara —verosimilmente anche in forza della sua posizione di leader del mercato — , CRE si è potuta avvalere opportunisticamente delle informazioni sul comportamento commerciale delle altre partecipanti all’intesa, ottenute nel corso degli incontri cui la stessa prendeva parte. L’obiettivo infatti di tali incontri era quello di «osservare l’evoluzione dell’iniziativa proposta e le intenzioni dei propri concorrenti» in quanto «per la società era fondamentale capire cosa volevano fare i propri concorrenti» (cfr. i §§ 199 e 214 del provvedimento impugnato).

In questa situazione non assume rilievo decisivo a favore dell’impresa la circostanza che CRE nel maggio del 2013 non abbia sottoscritto l’accordo quadro.

Nè avrebbe potuto trovare accoglimento la censura secondo la quale l’Autorità avrebbe ricostruito i fatti e la presenza di elementi probatori dell’intesa senza tenere conto di un lungo periodo di tempo (dal 2008 al 2012) in cui CRE non avrebbe avuto contatti con le restanti imprese.

Come già rilevato, infatti, la valutazione dei comportamenti dell’impresa dev’essere compiuta tenendo conto del quadro complessivo attraverso il quale viene delineata la strategia collusiva, articolata in una pluralità di condotte che concorrono a delineare le finalità “ripartitorie” delle parti dell’intesa.

Sul punto, le conclusioni raggiunte dall’Autorità e condivise dal Tar trovano sostegno nella giurisprudenza della CGUE che ha respinto censure mosse nei confronti di una decisione della Commissione europea con riguardo a una fattispecie in cui mancava la prova della partecipazione di una parte all’attuazione di un’intesa durante un periodo di due anni, muovendo dal presupposto che: «(..) nell’ambito di un’infrazione estesa su più anni, il fatto che le manifestazioni dell’intesa si verifichino in periodi differenti, eventualmente separati da intervalli di tempo più o meno lunghi, resta ininfluente affini dell’esistenza dell’intesa stessa, a condizione che le diverse azioni che compongono tale infrazione perseguano una medesima finalità e si inscrivano nel quadro di un’infrazione a carattere unico e continuato (…)». In particolare, la Corte ha ritenuto che la Commissione avesse legittimamente potuto ritenere la società responsabile di avere partecipato ininterrottamente all’intesa per tutto il periodo contestatole, osservando che, da un lato, mancavano «elementi da cui desumersi che (..) [l’impresa] durante tale periodo, si [fosse] (.) pubblicamente distanziata dal contenuto di tale accordo, in particolare, informando per iscritto i suoi concorrenti della sua volontà di non parteciparvi più», mentre dall’altro vi erano agli atti «numerose prove della partecipazione attiva» dell’impresa all’intesa «successivamente a tale periodo» (sentenza del 6 dicembre 2012, causa C-441/11P, Commissione c. Erhuizingen Coppens NY, punti 72 e 75).

Da tale giurisprudenza si ricava come un’intesa unica complessa e continuata possa variare di volta in volta nei “meccanismi” di partecipazione all’infrazione da parte delle diverse imprese.

Su Eco-trass. In questa prospettiva va soggiunto come non possano trovare accoglimento i profili di censura riproposti da Eco –trass, secondo la quale, operando l’impresa stessa principalmente nel settore del trasporto, che è un servizio complementare a quello dello smaltimento, la sua condotta non sarebbe ascrivibile al disegno collusivo contestato alle parti rispetto al quale Eco –trass avrebbe, in ogni caso, rivestito un ruolo del tutto marginale.

A questo riguardo l’Autorità (si vedano i §§ 212 e 213 del provvedimento impugnato), in termini tutt’altro che illogici, non ha condiviso gli argomenti dell’impresa rimarcando (v. § 213) che “l’attività istruttoria ha infatti evidenziato come Eco-trass abbia pienamente partecipato ai contatti, incontri e scambi di informazioni sulla costituzione dell’ATI Permanente e del Consorzio e abbia inoltre sottoscritto, il 30 maggio 2013, l’Accordo Quadro. Il comportamento dell’impresa in sede di gara è inoltre sempre stato conforme agli obiettivi che le imprese si ripromettevano di perseguire tramite tali veicoli formali di cooperazione che si è concretizzata anche nella sistematica partecipazione alle gare d’appalto in ATI, nella ripartizione tra le imprese dei lotti oggetto di una medesima gara, nonché nella ripartizione delle procedure di gara».

In modo corretto quindi anche in relazione a detta società il Tar (v. sent. n. 12931 del 2015, p. 16.) ha confermato l’accertamento svolto dall’Autorità nel provvedimento impugnato ritenendo che emergesse «il pieno coinvolgimento (…) di tutte le imprese partecipanti all’intesa, ivi incluse, (…) Eco trass (pur con modalità parzialmente diverse svolgendo prevalentemente attività di trasporto)», in quanto «secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, in presenza di un’intesa unica e complessa, le condotte delle singole imprese devono essere inquadrate nel contesto complessivo della concertazione e considerate come tasselli di un mosaico, i cui elementi non sono significativi di per sé ma come parte di un disegno unitario, qualificabile quale intesa restrittiva».

Dalle risultanze dell’istruttoria (v. §§ da 157 a 163 e 181 ss. del provvedimento impugnato) emerge dunque la sufficienza e concordanza di indizi in base ai quali le parti hanno inteso ripartirsi il servizio di smaltimento dei fanghi civili allo scopo di elidere ogni rischio di confronto concorrenziale in sede di gara, con pregiudizio per le stazioni appaltanti che avevano segnalato anomalie, mediante la partecipazione di “ciascuna delle imprese in esame, solo ad alcune dell’insieme delle procedure di gara bandite da diverse stazioni appaltanti, con l’astensione delle altre imprese per quelle gare, ed ugualmente l’astensione di quell’impresa alle gare cui ha partecipato un’altra delle imprese in esame, con la conseguente ripartizione fra le stesse imprese delle diverse gare, ed inoltre, per altri appalti, la presentazione “incrociata”, da parte di alcune delle imprese in esame, di offerte suscettibili di accoglimento per alcuni lotti messi a gara e di offerte apparentemente non congrue per i diversi lotti per i quali un’altra, fra le imprese considerate, ha proposto una appropriata offerta, con la conseguente ripartizione fra le stesse imprese dei lotti oggetto di una medesima gara, ed inoltre, per altri appalti ancora, la presentazione di offerte congiunte per la medesima gara da parte di più imprese fra quelle in esame, con messa a disposizione reciproca degli impianti….” (così, in modo condivisibile, sent. Tar, p. 12.).

Di qui la sostenibilità –su cui v. p. 13. sent. Tar- della conclusione dell’Autorità “circa la sussistenza di una ampia e complessa strategia anticoncorrenziale, protratta nel tempo per più anni consecutivi, volta all’eliminazione di qualsiasi confronto concorrenziale tra le parti interessate mediante una “serie complessa di atti e comportamenti” suscettibile di integrare gli estremi di “un ‘intesa complessa restrittiva della concorrenza”.

Conclusioni queste plausibili anche alla luce dei principi sull’onere della prova circa l’esistenza di una intesa tra le imprese, e dei parametri elaborati dalla giurisprudenza euro unitaria sulla identità degli obiettivi e dei comportamenti oggetto di censura, dei prodotti e dei servizi interessati dalla intesa, delle imprese partecipanti e delle modalità attuative dell’intesa.

16. Quanto alle critiche riproposte con gli appelli in merito al fatto che nel provvedimento dell’Autorità non risultano accertati effetti anticoncorrenziali in concreto negativi e dannosi per il mercato provocati dall’intesa anticompetitiva (nelle sentenze del Tar, ai pp. 20, si fa riferimento a una “dannosità in re ipsa”, per il buon funzionamento del normale gioco della concorrenza, derivante da talune forme di coordinamento illecito tra imprese per oggetto, come il “bid rigging”, posto che “la probabilità di effetti negativi è talmente alta da rendere inutile la dimostrazione degli effetti concreti sul mercato”, ai fini dell’applicazione dell’art. 101/1 del TFUE); e quanto ai rilievi degli appellanti, strettamente connessi, che riguardano l’affermata incompatibilità, con un’intesa illecita per oggetto, di diminuzioni di prezzi e di perdite di quote di mercato, in modo corretto il Tar, al p. 20. delle sentenze, muovendo dall’assunto per cui «alcune forme di coordinamento tra imprese rivelano un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente perché si possa ritenere che l’esame dei loro effetti non sia necessaria», ha affermato che le ipotesi di coordinamento nella partecipazione alle gare d’appalto, quali quella in esame, «possono essere considerate, per loro stessa natura dannose per il buon funzionamento del normale gioco della concorrenza, perché la probabilità di effetti negativi è talmente alta da rendere inutile la dimostrazione degli effetti concreti sul mercato, ai fini dell’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 1, TCE.» .

Come correttamente osserva l’Autorità, tale valutazione del giudice di primo grado è coerente con l’orientamento giurisprudenziale ribadito di recente nella sentenza Toshiba della CGUE del 20 gennaio 2016, C-373/14, laddove, ai punti da 24 a 29, è stato affermato quanto segue.

…p. 24…per ricadere nel divieto sancito dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, un accordo deve avere «per oggetto o per effetto» di impedire, restringere o falsare la concorrenza nel mercato interno. Secondo una giurisprudenza costante della Corte a partire dalla sentenza LTM (56/65, EU:C:1966:38), l’alternatività di tale condizione, espressa dalla disgiunzione «o», rende necessario innanzitutto considerare l’oggetto stesso dell’accordo (sentenza ING Pensii, C 172/14, EU:C:2015:484, punto 30).

25 Pertanto, nel caso in cui venga dimostrato l’oggetto anticoncorrenziale di un accordo, non è necessario indagare i suoi effetti sulla concorrenza (v., in tal senso, sentenze T-Mobile Netherlands e a., C 8/08, EU:C:2009:343, punti 28 e 30, e GlaxoSmithKline Services e a./Commissione e a. C 501/06 P, C 513/06 P, C 515/06 P e C 519/06 P, EU:C:2009:610, punto 55). 

26 Quanto alla qualificazione di una pratica come restrizione per oggetto, dalla giurisprudenza della Corte emerge che talune forme di coordinamento tra imprese rivelano un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente perché si possa ritenere che l’esame dei loro effetti non sia necessario (sentenza ING Pensii, C 172/14, EU:C:2015:484, punto 31). Tale giurisprudenza si fonda sulla circostanza che talune forme di coordinamento tra imprese possono essere considerate, per loro stessa natura, dannose per il buon funzionamento del normale gioco della concorrenza (sentenza CB/Commissione, C 67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 50).

27 La giurisprudenza della Corte è parimenti orientata nel senso che, al fine di valutare se un accordo tra imprese presenti un grado di dannosità sufficiente per essere considerato come una «restrizione della concorrenza per oggetto» ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, occorre riferirsi al tenore delle sue disposizioni, agli obiettivi che esso mira a raggiungere, nonché al contesto economico e giuridico nel quale si colloca (sentenza ING Pensii, C 172/14, EU:C:2015:484, punto 33). 

28 La Corte ha quindi già statuito che accordi vertenti sulla ripartizione dei mercati costituiscono violazioni particolarmente gravi della concorrenza (v., in tal senso, sentenze Solvay Solexis/Commissione, C 449/11 P, EU:C:2013:802, punto 82, e YKK e a./Commissione, C 408/12 P, EU:C:2014:2153, punto 26). La Corte ha altresì dichiarato che gli accordi finalizzati alla ripartizione dei mercati hanno un oggetto restrittivo della concorrenza in sé e appartengono a una categoria di accordi espressamente vietata dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, poiché un siffatto oggetto non può essere giustificato mediante un’analisi del contesto economico in cui si inscrive la condotta anticoncorrenziale di cui trattasi (sentenza Siemens e a. /Commissione, C 239/11 P, C 489/11 P e C 498/11 P, EU:C:2013:866, punto 218).

29 Per quanto riguarda siffatti accordi, l’analisi del contesto economico e giuridico in cui si colloca la pratica può quindi limitarsi a quanto risulti strettamente necessario per concludere per la sussistenza di una restrizione della concorrenza per oggetto…” (conf. p. 34).

Pare il caso di aggiungere che tali principi, di derivazione comunitaria, sono stati ripetutamente enunciati dalla giurisprudenza amministrativa e, di recente, ribaditi da questa Sezione che, con la sentenza 22 marzo 2016, n. 1164, CNF, ha affermato (v. p. 6.4.), con riferimento a una fattispecie di intesa –contestata- per oggetto, che «non occorreva … che l’Autorità svolgesse accertamenti concreti volti a stabilire se, in effetti, il parere [vale a dire l’intesa] avesse inciso sulla concorrenza» (conf. , ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 8 febbraio 2008, n. 424, in cui, al p. 11. , si è precisato che “la norma (l’art. 2 della l. n. 287 del 1990) è chiara nel richiedere la sola presenza dell’oggetto anticoncorrenziale, e non anche necessariamente dell’effetto (cfr. Corte Giust. CE, C – 219/95, Ferriere Nord, 17-7-97, par. 30 e ss.; Cons. Stato, VI, n. 2199/2002 e n. 652/2001)”; e Cons. Stato, 3 giugno 2014, n. 2837, p. 3. , sul fatto che l’intesa per oggetto rende inessenziale ai fini del decidere l’esame in ordine al se l’intesa medesima abbia altresì sortito nella pratica gli effetti prefissati dai partecipanti; v. anche Cons. Stato, sez. VI, 25 marzo 2009, n. 1794).

17.Sui rilievi per cui il Tar avrebbe dovuto porre in risalto la mancata considerazione, da parte dell’AGCM, della diminuzione dei prezzi e delle perdita di quote di mercato durante il periodo interessato dalla intesa illecita, circostanze queste incompatibili, per le parti appellanti, con una lesione concreta della concorrenza, questo Collegio osserva che ai pp. 21. delle sentenze il giudice di primo grado, affermando che, al fine di confutare la sussistenza, nei casi esaminati, di un’intesa per oggetto, «neppure potrebbero soccorrere i dati concernenti la riduzione, nel periodo considerato, delle quote di mercato facenti capo alla ricorrente ed alle altre imprese considerate e la riduzione dei prezzi spuntati dalle medesime imprese in sede di gara, considerato che l’Autorità ha argomentato ampiamente, in sede sanzionatoria, la riconducibilità del predetto andamento a fattori strutturali ed a dinamiche riguardanti l’intero mercato di riferimento» , si è pronunciato in modo coerente con la CGUE –sentenza Toshiba, citata sopra.

Con la sentenza Toshiba si evidenzia che poiché «gli accordi finalizzati alla ripartizione dei mercati hanno un oggetto restrittivo della concorrenza in sé e appartengono a una categoria di accordi espressamente vietata dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE (…) l’analisi del contesto economico e giuridico può limitarsi a quanto risulti strettamente necessario per concludere per la sussistenza di una restrizione della concorrenza per oggetto, senza che si renda necessaria un’analisi più dettagliata del contesto economico e giuridico pertinente» (cfr. punti 28, 29 e 34 sentenza cit. ) .

In ogni caso, sull’abbassamento dei prezzi riproposto anche in questa sede di appello quale asserita esimente dall’illecito accertato l’AGCM ha, in modo non illogico, osservato (v. § 219) che la pressione al ribasso dei prezzi è dipesa da “modifiche strutturali del settore” e non quindi da scelte delle imprese parti del procedimento.

In particolare, “l’intesa in esame è stata realizzata in un contesto caratterizzato dalla progressiva rimodulazione della domanda pubblica, in ragione dell’organizzazione della gestione del SII a livello di ATO, con conseguente aumento della dimensione degli appalti e passaggio all’aggiudicazione del servizio tramite gara … Nel medesimo arco temporale si è inoltre assistito a una riduzione della domanda privata, sia per la crisi economica che per la scelta dell’industria di far confluire parte delle acque reflue presso le fognature gestite dagli enti appaltanti pubblici. Tali cambiamenti hanno comportato l’aumento del potere contrattuale delle stazione appaltanti e una maggiore trasparenza e competitività delle procedure di affidamento, entrambe idonee a determinare una tendenziale riduzione dei prezzi di aggiudicazione del servizio in esame. Inoltre, in assenza dell’intesa contestata, che ha significativamente falsato il gioco della concorrenza in occasione delle procedure di gara, la riduzione dei prezzi di aggiudicazione avrebbe potuto essere ben più significativa.

Pertanto il risalto dato con gli appelli alla diminuzione dei prezzi, allo scopo di contrastare gli addebiti dell’Autorità, non è in grado di escludere, secondo criteri di plausibilità, l’idoneità dell’appurata concertazione anticoncorrenziale rivolta a influire sui prezzi del servizio di smaltimento dei fanghi civili in agricoltura.

In modo condivisibile inoltre l’Autorità osserva che l’obiettivo di un cartello ben può consistere anche soltanto nell’attenuare in maniera collusiva la riduzione dei prezzi di taluni beni o servizi in un contesto caratterizzato da fattori esogeni quali ad esempio la progressiva crisi di un settore o la riduzione della domanda.

A questo proposito la Corte di Giustizia ha statuito che la formulazione dell’art. 101 TFUE non è tale da indurre a ritenere che siano vietate unicamente quelle intese «che abbiano effetti diretti sul prezzo pagato dai consumatori finali (…) L’art. 81 CE, diversamente dalle altre regole in materia di concorrenza enunciate nel Trattato, non è destinato a tutelare soltanto gli interessi immediati dei singoli concorrenti o consumatori, bensì la struttura del mercato e, in tal modo, la concorrenza in quanto tale» (Corte di Giustizia, 4 giugno 2009, T-Mobile, causa 8/08, punti 36-38).

Le parti appellanti deducono poi la mancata considerazione da parte del Tar dell’omessa valutazione da parte dell’Autorità della riduzione di quote di mercato durante l’arco temporale dell’illecito –dal che, a detta delle società, dovrebbe conseguire la prova dell’assenza di un’intesa restrittiva (nel provvedimento finale l’AGCM affronta direttamente la questione della “riduzione dei prezzi” ma non quella della “perdita di quote di mercato”).

Su questo punto va osservato con l’AGCM che in questo modo le parti appellanti mirano a riproporre la tesi per la quale graverebbe sull’Autorità la prova della produzione di effetti negativi concreti il che, come si è esposto sopra, l’Autorità non è tenuta a fornire nei casi di intese “per oggetto”.

Del resto, analogamente a quanto già visto con riferimento ai cartelli rivolti a “contenere” la riduzione dei prezzi di beni o di servizi, ben possono venire in questione cartelli diretti a “contenere”, in maniera collusiva, il calo di quote di mercato (quote che, comunque, rimangono di entità significativa: v. § 223 e Tabella 12 del provvedimento impugnato).

Le considerazioni svolte sopra, circa la sufficienza e la congruenza degli indizi dai quali desumere l’esistenza di un’intesa anticompetitiva per oggetto, e la valutazione in via globale e d’insieme delle condotte delle imprese, “raccordate” tra loro durante l’intero periodo preso in considerazione (2008 -2013), tolgono peso ai profili di censura basati sul verificarsi della prescrizione ai sensi dell’art. 28 della l. n. 689 del 1981 (v. specialmente l’appello CRE, da pag. 64).

18.Sulla asseritamente erronea individuazione del mercato rilevante.

Con gli appelli viene dedotta una insufficiente e comunque errata motivazione da parte del Tar nel rigettare le censure imperniate sulla erronea individuazione da parte dell’Autorità del “mercato rilevante”.

Nelle sentenze di primo grado (si vedano i §§ 17) si legge che l’Autorità ha correttamente delineato il mercato di riferimento con riguardo all’accordo collusivo e — quindi — ai servizi banditi con le gare cui le imprese in esame hanno partecipato in modo coordinato occupando una quota pari a circa il 70% di quel mercato, secondo un percorso che si palesa conforme alla vigente normativa e del tutto logico in presenza di “un’intesa restrittiva per oggetto”, ovvero di un’intesa che delinea direttamente il proprio mercato di riferimento —nella fattispecie, quello dei servizi di smaltimento dei fanghi in agricoltura, contendibile mediante gare ad evidenza pubblica — proprio mediante gli strumenti utilizzati per spartire quel mercato fra i partecipanti all’accordo. Pertanto, ogni ulteriore considerazione al riguardo impingerebbe nelle non sindacabili scelte di merito dell’amministrazione procedente.

Per quanto riguarda poi le valutazioni compiute dall’Autorità sul mercato rilevante va fatto richiamo ai §§ da 141 a 153 del provvedimento impugnato in primo grado; sull’illustrazione della disciplina del settore si rinvia ai §§ da 20 a 40.

Il Collegio ritiene che il Tar abbia in modo legittimo e corretto considerata immune da censure la definizione di “mercato rilevante” (o “mercato di riferimento”) dei servizi di smaltimento dei fanghi in agricoltura” formulata dall’Autorità e ritenuta coincidente con l’ambito merceologico e territoriale individuato dall’insieme delle gare in cui si è riscontrata la concertazione anticoncorrenziale, ossia di tutte le gare per l’affidamento di fanghi civili destinati allo spandimento in agricoltura partecipate, nel periodo 2008-2013, da almeno una delle imprese Alan, Allevi, CRE, Eco-trass ed Evergreen (cfr. § 144 del provvedimento dell’AGCM).

Le appellanti (v. in particolare l’appello Eco –trass, da pag. 76, e l’appello Allevi, da pag 40) contestano che con le sentenze di primo grado non sarebbe stato valutato che:

-l’Autorità avrebbe erroneamente fatto coincidere il mercato rilevante con tutte le gare espletate nel periodo preso a riferimento dal provvedimento in cui avesse partecipato almeno una delle parti del procedimento anziché con le sole gare per le quali l’AGCM avesse raccolto sufficienti elementi probatori dell’esistenza dell’intesa o, alternativamente, con tutte le gare tenutesi nel periodo di riferimento indipendentemente dalla partecipazione o meno di una delle parti;

-il mercato del prodotto avrebbe dovuto includere non solo i servizi per il recupero e lo smaltimento dei fanghi in agricoltura ma anche lo smaltimento dei fanghi con altre modalità (incenerimento, discarica, termovalorizzazione);

-il mercato rilevante avrebbe dovuto comprendere non solo i servizi contendibili tramite gare pubbliche ma anche il mercato aggiudicato attraverso affidamenti diretti (c. d. mercato privato).

Dal punto di vista geografico s’insiste inoltre sulla dimensione nazionale o europea del mercato di riferimento.

L’Autorità avrebbe di conseguenza sbagliato nella stima delle quote di mercato delle parti e tutto ciò avrebbe avuto ripercussioni sugli elementi costitutivi dell’illecito.

In via preliminare e in termini generali va rammentato, sulla scia della giurisprudenza di questa Sezione, qui condivisa (cfr. ad es. Cons. Stato, sez. VI, 9 aprile 2009, n. 2201) che per mercato rilevante si intende quella zona geograficamente circoscritta dove, dato un prodotto o una gamma di prodotti considerati tra loro sostituibili, le imprese che forniscono quel prodotto si pongono fra loro in rapporto di concorrenza (v. anche Cons. Stato, sez. VI, 4 settembre 2014, n. 4506 -e Tar Lazio, sez. I, n. 3029 del 2012-; 13 giugno 2014, n. 3032; 14 marzo 2000, n. 1348; 12 febbraio 2001, n. 652); e che la definizione del mercato rilevante implica un accertamento di fatto cui segue l’applicazione ai fatti accertati delle norme giuridiche in tema di mercato rilevante, come interpretate dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale. Tale applicazione delle norme ai fatti implica un’operazione di “contestualizzazione” delle fonti normative, frutto di una valutazione giuridica complessa che adatta concetti giuridici indeterminati (quali, appunto, il “mercato rilevante”) al caso specifico. Non di rado tale operazione di contestualizzazione implica margini di opinabilità, atteso il carattere di concetto giuridico indeterminato di dette nozioni. Il giudice amministrativo in relazione ai provvedimenti dell’AGCM esercita un sindacato di legittimità, che non si estende al merito, salvo per quanto attiene al profilo sanzionatorio: pertanto, deve valutare i fatti, onde acclarare se la ricostruzione di essi operata dall’AGCM sia immune da travisamenti e vizi logici, e accertare che le disposizioni giuridiche siano state correttamente individuate, interpretate e applicate. Laddove residuino margini di opinabilità in relazione ai concetti indeterminati, il giudice amministrativo non può comunque sostituirsi all’AGCM nella definizione del mercato rilevante, se questa sia, attendibile secondo la scienza economica, immune da vizi di travisamento dei fatti, da vizi logici, da vizi di violazione di legge (Cons. Stato, sez. VI, 23 aprile 2002, n. 2199, Rc Auto; Cons. Stato, sez. VI, 2 marzo 2004, n. 926, buoni – pasto)(così Cons. Stato, sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 896; v. anche Cons. Stato, sez. VI, 3 giugno 2014, n. 2837; e Cass. , SS. UU. , 20 gennaio 2014 n. 1013, secondo cui la determinazione in concreto del mercato rilevante rientra nell’ambito di valutazioni tecniche non prive di ampi margini opinabilità).

Questo Consiglio di Stato ha avuto poi modo di precisare che nell’ipotesi di intese restrittive, la definizione del mercato rilevante è successiva all’individuazione dell’intesa, in quanto sono l’ampiezza e l’oggetto dell’intesa a circoscrivere il mercato su cui l’abuso è commesso: vale a dire che la definizione dell’ambito merceologico e territoriale nel quale si manifesta un coordinamento fra imprese concorrenti e si realizzano gli effetti derivanti dall’illecito concorrenziale è funzionale alla decifrazione del grado di offensività dell’illecito (Cons. St., sez. VI, 10 marzo 2006, n. 1271, Telecom Italia). In tal senso seppure, dunque, il mercato di riferimento deve comunque essere costituito da una parte “rilevante” del mercato nazionale e di regola non può coincidere con una qualsiasi operazione economica”, anche “una porzione ristretta del territorio nazionale può assurgere a mercato rilevante, ove in essa abbia luogo l’incontro di domanda ed offerta in condizioni di autonomia rispetto ad altri ambiti anche contigui, e quindi esista una concorrenza suscettibile di essere alterata.

Dalle considerazioni svolte sopra discende che le gare di pubblici appalti possono costituire, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, un mercato a sé stante, in quanto la definizione del mercato rilevante varia da caso a caso in funzione delle diverse situazioni di fatto (sulla gara Consip per i buoni pasto, su cui ha deciso la citata decisione Cons. St., n. 926/2004; le gare per la fornitura di carburante indette da aziende comunali di trasporto pubblico, su cui ha deciso Cons. St., sez. VI, 10 febbraio 2006 n. 548; le gare per la fornitura di prodotti per diabetici, su cui ha deciso Cons. St., sez. VI, 16 marzo 2006 n. 1397) (così Cons. Stato, sez. VI, n. 3032 del 2014 cit. ; v. anche Cons. Stato, sez. VI, 3 giugno 2014, n. 2837, in cui si evidenzia tra l’altro che l’individuazione del mercato di riferimento è funzionale al tipo di indagine da svolgere: …con riferimento ad un caso di intesa restrittiva della concorrenza, l’individuazione del mercato è … funzionale alla delimitazione dell’ambito nel quale l’intesa può restringere o falsare il meccanismo concorrenziale (TPG, sentenza 21 gennaio 1995 in causa T-29/92)…, e che nella materia delle intese l’operazione di delimitazione del mercato di riferimento rileva in un momento successivo dal punto di vista logico, quello dell’inquadramento dell’accertata intesa nel suo contesto economico giuridico, in modo che l’individuazione del mercato non appartiene più alla fase dei presupposti dell’illecito, ma è funzionale alla decifrazione del suo grado di offensività (Cons. Stato, VI, sent. 424 del 2008… (così Cons. Stato, VI, n. 2837 del 2014 cit. ) .

Orbene, riconducendo i principi richiamati alle peculiarità dei casi in esame, il Collegio ritiene che l’individuazione del mercato rilevante sia stata operata dall’AGCM in modo attendibile e immune, quanto all’accertamento dei fatti, da vizi di travisamento o di illogicità e senza violazioni di legge per ciò che riguarda le disposizioni interpretate e applicate.

Quanto all’insieme delle gare considerate, anche a partecipazione individuale, le appellanti sostengono che il Tar non avrebbe tenuto conto delle deduzioni in base alle quali il mercato rilevante sarebbe dovuto essere diverso rispetto a quello definito dall’Autorità.

Esso avrebbe dovuto coincidere con le singole gare per le quali era stata provata la sussistenza dell’intesa, ovvero con tutte le gare tenutesi nel periodo preso a riferimento dal provvedimento, a prescindere dalla partecipazione delle parti.

Il Tar ha invece evidenziato che, in modo conforme alla disciplina in materia, l’Autorità ha delineato in maniera corretta il mercato con riferimento all’accordo collusivo, in presenza di un’intesa chedelinea direttamente il proprio mercato di riferimento.

Come accennato sopra, secondo giurisprudenza consolidata l’individuazione del mercato rilevante nel giudizio in materia antitrust dev’essere diversamente calibrata in relazione alla natura dell’illecito contestato.

Nelle ipotesi di intese vietate – diversamente dai casi di concentrazioni e di accertamenti della posizione dominante, in cui la definizione del mercato rilevante appartiene ai presupposti dell’illecito – la definizione del mercato rilevante è successiva rispetto all’individuazione dell’intesa in quanto sono l’ampiezza e l’oggetto dell’intesa medesima a circoscrivere il mercato (cfr. , “ex multis”, Cons. Stato, VI, 10 marzo 2006, n. 1272; id., VI, 13 maggio 2011, 2925) sicché nelle ipotesi di intese restrittive della concorrenza, la definizione del mercato rilevante è direttamente correlata al contesto in cui si inquadra il comportamento collusivo tra le imprese coinvolte (cfr., “ex plurimis”, Consiglio di Stato, VI, 2 luglio 2015, n. 3291, e 26 gennaio 2015, n. 334).

Nella fattispecie odierna l’Autorità (v. i §§ da 142 a 144 del provvedimento impugnato) ha accertato l’esistenza di un’intesa nel periodo tra il 2008 e il 2013 tra le società appellanti, consistente nel sistematico coordinamento nella partecipazione alle gare d’appalto per l’affidamento del servizio di smaltimento dei fanghi civili, svoltesi in gran parte in Piemonte e in Lombardia, e nella ricerca di uno strumento di formalizzazione di tale illecito coordinamento, sicché in modo corretto e comunque immune dalle contestazioni mosse, fermi i già visti margini di opinabilità delle valutazioni e i limiti del sindacato giurisdizionale amministrativo in materia, è stato preso in considerazione come mercato rilevante l’ambito merceologico e territoriale individuato dall’insieme delle gare nelle quali si è riscontrata la concertazione anticoncorrenziale, ossia tutte le gare per l’affidamento di fanghi civili partecipate, nel periodo 2008-2013, da almeno una delle imprese (v. § 144; si veda anche l’analisi dei dati sub § 132 e ss. ).

Ancora una volta sembra venire in questione un tentativo delle parti appellanti di parcellizzare, frazionare e segmentare, anche dal punto di vista della durata temporale, la struttura argomentativa del provvedimento dell’Antitrust, delibera che va letta invece globalmente e nella sua visione d’insieme.

La ricostruzione compiuta dall’AGCM sul punto muove da un’analisi non travisata del contesto competitivo e tiene conto delle caratteristiche e delle specificità del mercato di riferimento.

Infondata e da respingere è inoltre la deduzione per cui l’Autorità e il Tar avrebbero errato nel non considerare che il mercato rilevante avrebbe dovuto essere più ampio e includere non solo i servizi per il recupero e lo smaltimento dei fanghi in agricoltura ma anche lo smaltimento dei fanghi con altre modalità (incenerimento, discarica, termovalorizzazione).

La deduzione era già stata sollevata in sede procedimentale e l’AGCM, con il provvedimento finale, dopo avere illustrato la disciplina settoriale (v. i §§ da 20 a 27 e, in particolare, il § 20 sull’attività di raccolta, trattamento e smaltimento in agricoltura dei fanghi che derivano dalla depurazione delle acque reflue, e il § 23 sulla distinzione tra fanghi civili smaltiti in discarica o inceneriti, con o senza recupero energetico, e fanghi civili da riutilizzare in agricoltura; v. anche i §§ 28 e seguenti sulle modalità di affidamento del servizio dei fanghi in agricoltura), ai §§ da 141 a 153 (in particolare ai §§ 147 e 148 e con la nota 168) ha circoscritto il mercato di riferimento, secondo logica e in base a un criterio coerente con l’ampiezza e l’oggetto del contesto entro il quale si collocano i comportamenti collusivi delle imprese coinvolte, all’affidamento con gara del servizio di smaltimento in agricoltura dei fanghi civili nel periodo considerato.

In modo convincente l’Autorità osserva che è proprio l’assenza di un rapporto di sostituibilità tra le due tipologie di servizi —lo smaltimento dei fanghi in agricoltura e lo smaltimento attraverso altre modalità — a determinare l’appartenenza di tali servizi a mercati distinti, e che l’intesa denunciata ha interessato proprio le gare «per l’affidamento dei servizi di smaltimento dei fanghi biologici provenienti da depurazione individuati con il codice CER 19.08.05” (cfr. § 73 del provvedimento impugnato).

Ugualmente privo di fondamento è il rilievo mosso da talune appellanti contro le sentenze del Tar per non avere il giudice di primo grado considerato irragionevole il provvedimento dell’Autorità laddove non ha ricompreso nel mercato rilevante il servizio di smaltimento in agricoltura dei fanghi civili aggiudicato tramite “affidamenti diretti” — il c.d. mercato privato.

A questo riguardo il Tar ha chiarito di avere ritenuto esente da rilievi il ragionamento dell’Autorità secondo cui il mercato di riferimento nel procedimento in discussione era quello dei servizi di smaltimento dei fanghi in agricoltura contendibile mediante gara ad evidenzapubblica e ciò proprio in base al rapporto funzionale con l’intesa anticompetitiva riferita ai servizi da affidare con gara.

Sul punto, infatti, come ricostruito nel provvedimento impugnato (cfr. i §§ 28 -33), le stazioni appaltanti, che gestiscono a livello territoriale il servizio idrico integrato (SII), acquistano il servizio di smaltimento e/o recupero dei fanghi civili o tramite la pubblicazione di bandi di gara, secondo quanto previsto dalla normativa nazionale e comunitaria in materia di appalti o, laddove non ricorrano gli obblighi di gara, mediante trattativa privata. Inoltre, diversi gestori del SII, solitamente quelli di maggiore dimensione, smaltiscono direttamente – a livello infragruppo – un’ampia parte dei fanghi prodotti, senza ricorrere a procedure concorsuali (ad es. i gruppi Hera, Iren e A2A). Pertanto, solo una parte del servizio di smaltimento dei fanghi civili complessivamente ottenuti a valle del processo di depurazione delle acque reflue urbane è effettivamente contendibile sul mercato, tramite il ricorso a procedure concorsuali.

L’Autorità, pertanto, dando rilievo agli elementi collusivi emersi con riguardo al mercato contendibile tramite procedure ad evidenza pubblica, ha in modo legittimo e corretto individuato il mercato rilevante con riferimento alle sole forniture contendibili tramite gara.

Per quanto riguarda la –contestata- ampiezza geografica sovra regionale del mercato, l’Autorità ha in modo motivato e secondo logica perimetrato il mercato rilevante dal punto di vista territoriale con riferimento all’insieme delle gare oggetto della concertazione anticompetitiva (svoltesi nel 76% in Piemonte e in Lombardia e, per la restante parte, in altre Regioni quali Lazio, Liguria, Toscana, Valle d’Aosta. Veneto, ecc.), secondo criteri di coerenza con i caratteri del contesto entro il quale s’inquadra il comportamento collusivo delle parti.

Del resto,  nell’ipotesi di intese restrittive, la definizione del mercato rilevante è successiva all’individuazione dell’intesa, in quanto sono l’ampiezza e l’oggetto dell’intesa a circoscrivere il mercato su cui l’abuso è commesso: vale a dire che la definizione dell’ambito merceologico e territoriale nel quale si manifesta un coordinamento fra imprese concorrenti e si realizzano gli effetti derivanti dall’illecito concorrenziale è funzionale alla decifrazione del grado di offensività dell’illecito…le gare in esame presentano la peculiarità del coordinamento nella partecipazione alle stesse e ciò consente di circoscrivere l’ambito merceologico e territoriale all’insieme delle gare in cui si è riscontrata la concertazione anticoncorrenziale (così Cons. Stato, sez. VI, 13 giugno 2014, n. 3032, Gare campane).

Dunque in modo corretto il Tar ha ritenuto esente da censure l’individuazione da parte dell’Autorità dell’ambito territoriale di riferimento con quello relativo alle diverse gare in cui si era verificata la condotta anticoncorrenziale.

Quanto poi ai rilievi di Eco-trass in base ai quali il Tar avrebbe errato nel prendere in considerazione, per la stima della quota di mercato, le capacità ricettive massime autorizzate e non i quantitativi di rifiuti effettivamente gestiti dalle parti, è corretto l’assunto dell’AGCM secondo cui dalla lettura del provvedimento risulta chiaro che l’Autorità ha basato le stime per il calcolo delle quote di mercato non, come afferma l’appellante, utilizzando il valore della capacità ricettiva, bensì «sulla base dei volumi di fanghi civili aggiudicati da ciascuna impresa alla luce della propria quota di partecipazione in ATI al servizio di smaltimento» (v. § 150), come si evince, del resto, chiaramente dal titolo stesso della tabella 12 del provvedimento –pag. 44: «Quote in termini percentuali di volumi aggiudicati con riguardo all’insieme delle procedure concorsuali […]») e facendo riferimento «esclusivamente al servizio di smaltimento dei fanghi civili (e non quindi anche al servizio di trasporto)».

Ed è esatto che, anche qualora la quota di mercato complessivamente delineata dalle imprese partecipanti all’intesa rappresentasse meno del 10% del mercato nazionale, ciò non di meno l’intesa non si posizionerebbe al di sotto della soglia c.d. de minimis individuata dalla Commissione nella Comunicazione relativa agli accordi di importanza minore, che non determinano restrizioni sensibili della concorrenza ai sensi dell’art. 81, par. 2 del Trattato che istituisce la Comunità (2001/C 368/07 in G.U.C.E. 22.12.2001, C368/13). Infatti, la ripartizione dei mercati o della clientela è considerata dalla Commissione di per sé una restrizione grave (hardcore) della concorrenza (cfr., “ex multis”, Consiglio di Stato, 13 giugno 2014, n. 3032, cit.).

In definitiva, la delineazione di mercato rilevante compiuta dall’Autorità risulta attendibile sotto il profilo tecnico, motivata in modo congruo e sostenuta da un’istruttoria adeguata.

Ricostruzioni in fatto, valutazioni, argomentazioni e conclusioni dell’AGCM su questo aspetto e su quote di mercato in termini percentuali (cui le appellanti hanno contrapposto argomentazioni e calcoli percentuali differenti) resistono, fermi i limiti del sindacato giurisdizionale in materia, ai motivi di gravame dedotti.

19. Sulla quantificazione delle sanzioni.

Sui criteri di quantificazione delle sanzioni e sulla determinazione degli importi delle stesse -nelle misure come detto di € 1.235.045 a carico di CRE, € 1.040.026 a Evergreen, € 463.946 a Eco-trass ed € 847.256 ad Allevi –v. tabella sub § 240 e dispositivo della delibera dell’AGCM– va fatto anzitutto rinvio ai §§ da 233 a 241 del provvedimento dell’Autorità, oltre che ai §§ da 226 a 232, sulla gravità e sulla durata dell’intesa.

Il Tar, ai pp. 22 e 23 delle sentenze impugnate, ha rilevato che la spartizione del mercato in sede di gara ad evidenza pubblica (“bid rigging”) è annoverata tra le fattispecie più gravi (“hard core”) di intese antitrust…; e da questa affermazione preliminare sulla particolare gravità delle condotte tenute il giudice di primo grado ha fatto discendere la infondatezza delle censure concernenti la quantificazione della sanzione comminata…, … fissata dall’Autorità nel rispetto delle previsioni di legge e del principio di proporzionalità, impinguendo ogni eventuale ulteriore considerazione nell’insindacabile margine di discrezionalità riconosciuto all’Autorità e non sindacabile da questo giudice.

Infatti -ha soggiunto il Tribunale amministrativo- , qualificata la violazione come molto grave e determinata la sua durata, l’Autorità ha quantificato l’importo base della sanzione, a termini di legge, in percentuale rispetto al valore delle vendite cui l’infrazione si riferisce, ovverosia nella misura del 15 % dei ricavi realizzati mediante la partecipazione alle gare considerate da ciascuna impresa partecipante all’intesa nel periodo di riferimento, valore al di sotto anche del limite legale del 10% del fatturato complessivo dell’ultimo esercizio (art. 15, comma 1, legge n. 287/1990) e corrispondente solo alla metà del massimo edittale, pari al 30 % del valore delle vendite, circostanza quest’ultima che vale ad escludere la possibile illegittimità della sua quantificazione anche in relazione alle condizioni di difficoltà economiche ovvero di collaborazione nel corso del procedimento (peraltro solo informativa e non fondamentale) allegate da alcune delle imprese sanzionate.

Le parti appellanti hanno contestato la quantificazione delle sanzioni inflitte sotto svariate angolazioni e numerosi profili (v. da pag. 67 appello CRE, da pag. 53 appello Evergreen, da pag. 84 appello Eco –trass e da pag. 41 appello Allevi).

A questo proposito, in via preliminare va precisato che, diversamente da quanto affermano alcune parti appellanti, nella fattispecie trovano applicazione gli Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003 di cui alla Comunicazione della Commissione 2006/C 210/02 del 1° settembre 2006 (Orientamenti Comunitari, o Comunicazione) e non la (poco dissimile, in realtà) delibera dell’AGCM 22 ottobre 2014, n. 25152, recante le linee guida sulle modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità in applicazione dell’art. 15, comma 1, della legge n. 287 del 1990, e questo perché la comunicazione delle risultanze istruttorie (CRI) del procedimento n. I 765 è stata trasmessa alle parti l’8 ottobre del 2014, quindi prima della emanazione della delibera dell’Autorità del 22 ottobre 2014.

Ciò posto va osservato quanto segue.

19.1. Sull’affermata non irrogabilità delle sanzioni per l’asserita mancata prova dell’elemento soggettivo, premesso che bene il Tar, ai pp. 19 delle sentenze, ha fatto richiamo alla ininfluenza del dolo specifico e alla sufficienza del dolo generico circa la volontà di dare vita a una intesa restrittiva della concorrenza, per superare il profilo di censura va rammentato, con l’Autorità, che l’illecito anticoncorrenziale richiede la sussistenza del dolo generico e non di un dolo specifico, richiedendosi la volontarietà delle condotte ma non anche dei suoi effetti pregiudizievoli per il mercato (Cons. Stato, VI, 24 settembre 2012, n. 5067).

Al fine di verificare l’esistenza di una restrizione alla concorrenza non occorre dimostrare che i comportamenti delle imprese siano stati volontariamente diretti a restringere la concorrenza, quanto che tali comportamenti abbiano effettivamente e obiettivamente avuto questo scopo (Cons. Stato, VI, 1° marzo 2012, n. 1192).

Nella specie, l’esistenza dell’elemento soggettivo è ben ricavabile dalle caratteristiche e dalla durata dei comportamenti delle parti (fatte salve le precisazioni che saranno operate più avanti su posizioni particolari).

19.2. Quanto ai rilievi (sui quali si può fare rinvio specialmente all’appello di Eco-trass) per cui il Tar avrebbe errato nel non considerare che l’Autorità avrebbe dovuto escludere l’imputabilità della condotta in quanto «autorizzata, avallata o non contestata dall’organo” preposto al controllo dell’attività (il riferimento è al ricorso a strumenti di cooperazione leciti come l’ATI e il consorzio), va condivisa l’affermazione dell’Autorità per la quale nella fattispecie non può trovare applicazione lo strumento della “copertura normativa” dei comportamenti anticoncorrenziali delle imprese – da intendersi, tra l’altro, in senso restrittivo, potendo essere ammessa solo in presenza di condotte specificamente imposte che rappresentino puntuale attuazione di disposizioni normative inequivocabili (così Cons. Stato, VI, 12 novembre 2003, n. 7243 e Tar Lazio, I, 9 gennaio 2013, n. 125) – atteso che, come si è rilevato sopra trattando l’ “an” dell’infrazione, l’Autorità ha tenuto conto –non dell’utilizzo di strumenti in sé legittimi e previsti dall’Ordinamento ma- di un uso distorto, a fini anticoncorrenziali, che degli stessi è stato compiuto dalle parti.

19.3. Sull’erroneo calcolo dell’importo base, ossia sul calcolo asseritamente errato del “valore delle vendite dei servizi cui si riferisce l’infrazione”, il criterio risulta applicato in modo corretto –fatto salvo quanto si dirà più avanti- posto che l’Autorità ha preso a riferimento il valore delle vendite dei servizi ai quali l’infrazione si riferisce, ovvero i ricavi realizzati da ciascuna delle imprese parti dell’intesa nel periodo di durata dell’infrazione, dall’aprile del 2008 al giugno del 2013, per il servizio di smaltimento dei fanghi civili in agricoltura, svolto a seguito di aggiudicazione di una gara d’appalto, specificando inoltre che, per il caso di aggiudicazione della procedura a seguito della partecipazione in ATI, il dato relativo ai ricavi doveva riguardare esclusivamente la quota parte del servizio di smaltimento dei fanghi civili svolto dall’impresa, in modo coerente con quanto previsto dal punto 13 degli Orientamenti (v. §§ 236 e 237 del provvedimento impugnato).

Non sarebbe stato corretto, invece, parametrare il calcolo dell’importo base, sul quale determinare la sanzione da infliggere, a singole gare anziché all’insieme delle procedure “partecipate” dalle parti tra l’aprile del 2008 e il giugno del 2013.

19.4. Se così è perde forza anche il profilo di censura fondato sulla erronea durata dell’infrazione –eccessiva e, a detta delle appellanti, riducibile in varia guisa alla luce delle differenti prospettazioni presentate-, basato sulla distinzione tra comportamenti inerenti alla creazione di strumenti per la partecipazione congiunta o coordinata alle gare, ed “evidenze” su procedure specifiche, avendo le parti appellanti omesso di considerare, a differenza di quanto ha fatto il Tar al p. 19. delle sentenze, il carattere “unico, coordinato e continuato” del disegno strategico e dell’intesa. L’infondatezza dei profili di censura si fonda proprio sulla natura dell’intesa e sulle modalità della concertazione tra le parti.

Il carattere unitario e continuativo dell’intesa preclude in linea di principio l’individuabilità di comportamenti distinti costitutivi d’infrazioni distinte e idonee ad assumere rilievo ai fini del “quantum” dell’importo della sanzione inflitta.

Non può cioè trovare spazio il tentativo delle appellanti di “sganciare” la base di calcolo dall’intero periodo aprile 2008 –giugno 2013 e di ”agganciarla” e collegarla a periodi più brevi in cui la condotta illecita risulti essersi manifestata in via immediata e diretta.

19.5. Quanto poi alla dedotta inosservanza del p. 13., ultima parte degli Orientamenti, sul fatto che il valore delle vendite realizzate dalla impresa nell’ultimo anno andava moltiplicato per il numero di anni di partecipazione alla intesa, coglie nel segno la difesa dell’Autorità laddove evidenzia che l’AGCM ha secondo logica ritenuto non di moltiplicare il ricavato realizzato nell’ultimo anno per gli anni di durata dell’intesa, il che avrebbe comportato un’approssimazione dei ricavi realizzati con l’infrazione, ma di assumere direttamente come base di calcolo proprio il fatturato complessivo di ciascuna impresa derivante dalle gare aggiudicate oggetto di coordinamento nell’intero periodo considerato, in quanto la quota del fatturato complessivo proveniente dalla vendita dei prodotti oggetto dell’infrazione costituisce l’elemento più idoneo per riflettere l’importanza economica dell’infrazione stessa (Corte di Giustizia, sentenza 9 luglio 2015, causa C-231/14 P, MnoLux Corp, Guardian Mdustries e Guardian Europe c. Commissione, C-580/12 P, punto 59).

19.6. Il Collegio ritiene invece che vada modificato il livello di gravità dell’infrazione, da notevole, o manifesto, a semplice; che sussistano quindi le condizioni per diminuire gli importi delle sanzioni alla luce di un “declassamento” della gravità dell’infrazione tenuto conto dei criteri e delle circostanze rilevanti di cui ai punti 19 e seguenti della Comunicazione del 2006 e delle singolarità dei casi concreti, con la conseguente riduzione della percentuale del valore delle vendite dal 15 %, percentuale che risulta sproporzionata, in base alle peculiarità della fattispecie, al 5 % .

Del resto, il p. 23 della Comunicazione del 2006, pur evidenziando che gli accordi di ripartizione dei mercati ricadono tra le più gravi restrizioni della concorrenza e che le intese stesse saranno severamente sanzionate con una fissazione del livello percentuale del valore delle vendite che si situerà sui valori più alti previsti, formula una prescrizione di carattere generale che, quindi, implicitamente ma non per ciò meno sicuramente, ammette eccezioni come è l’“aggancio” dell’importo base delle sanzioni al 5 %, anziché al 15 %, del valore delle vendite.

L’Autorità ha determinato l’importo base delle sanzioni applicando al valore delle vendite la percentuale del 15 %, alla stregua della gravità dell’infrazione e del carattere unico, complesso e continuato nel tempo della intesa.

La percentuale del 15 % corrisponde alla metà del valore massimo in percentuale applicabile (il 30 % , previsto dagli Orientamenti Comunitari al p. 21)

Poiché ciò ha portato alla determinazione di importi superiori al limite massimo previsto dall’art. 15 della l. n. 287 del 1990, vale a dire al 10 % del fatturato realizzato da ciascuna impresa nell’ultimo esercizio (tranne che per l’appellante Eco –trass), l’Autorità ha dovuto ridurre l’importo della sanzione entro il massimo edittale del 10 % del fatturato suddetto (per Eco –trass è rimasta ferma la percentuale dell’8,15 %), con la conseguente irrogazione delle sanzioni finali specificate sopra (v. tabella sub § 240 del provvedimento impugnato; sulla quantificazione della sanzione si leggano anche i §§ da 233 a 239).

Ciò posto, il Collegio non ritiene di porsi in contraddizione con quanto affermato sopra sull’ ”an” se rileva che, ai fini della valutazione della gravità delle violazioni e della individuazione della percentuale da applicare al valore delle vendite, andava tenuto conto –del che non vi è traccia nel provvedimento impugnato- degli effetti pregiudizievoli concreti sul mercato e comunque dell’impatto economico effettivo derivato dall’intesa (in effetti non risultano esservi stati incrementi dei prezzi per le stazioni appaltanti).

Se la riduzione, anziché l’aumento, dei prezzi del servizio non è incompatibile con la configurabilità di una intesa illecita per oggetto, e ciò per le ragioni esposte sopra, pure, detta riduzione e in ogni caso la mancanza di una prova pratica del pregiudizio suddetto andavano presi in considerazione nella scelta della percentuale applicabile al valore delle vendite.

Vanno compiute poi le seguenti considerazioni aggiuntive.

La prima riguarda CRE, la seconda Eco-trass.

Per quanto riguarda CRE, rilevato in via preliminare che l’applicazione di una percentuale del 5 % al valore delle vendite comporterebbe comunque l’irrogazione di una sanzione (di circa 1.620.000) superiore al 10 % dell’ultimo fatturato e maggiore della sanzione inflitta in concreto (pari a € 1.235.000), la singolarità della posizione dell’appellante, nei riguardi della quale non vi sono prove di partecipazione a incontri o a scambi d’informazioni per un cospicuo periodo di tempo, e l’oggettiva minore intensità della partecipazione della stessa alla intesa, sono elementi idonei quantomeno a giustificare un abbattimento dell’importo nella misura del 50 %, passandosi così a 810.550 euro.

Nei riguardi di Eco-trass va invece disposta una riduzione ulteriore dell’importo del 20 % (e si passa così da € 154.600 a € 123.680) dato che l’appellante svolge in prevalenza un ruolo di trasportatore in un settore caratterizzato da costi elevati e non comprimibili.

Infine, le condizioni economiche di Evergreen (le rilevanti perdite a partire dal 2010) giustificano una riduzione dell’importo della sanzione (e si passa così da € 851.885 – 85.188 = 766.697) del 10 %.

Dunque il Collegio, munito di giurisdizione con cognizione estesa al merito, in base a quanto dispone l’art. 134, comma 1, lett. c) del cod. proc. amm., che consente al giudice amministrativo di modificare, in base a una propria valutazione, la misura delle sanzioni pecuniarie comminate dall’AGCM, ritiene, anziché di rinviare gli atti all’Autorità affinché la stessa quantifichi gli importi delle sanzioni conformandosi alle indicazioni della presente sentenza, di dover rideterminare in via diretta, e in misura ridotta rispetto a quanto stabilito dall’AGCM, gli importi delle sanzioni da infliggere alle appellanti, con conseguente riforma parziale delle sentenze impugnate e accoglimento parziale dei ricorsi di primo grado proposti.

Per le ragioni evidenziate sopra gli importi finali delle sanzioni da irrogare vanno stabiliti, in cifra arrotondata, come segue: Allevi, € 601.100, Eco-trass € 123.680, Evergreen € 766.697 e CRE € 810.550.

Rimane così salvaguardata la funzione punitiva, dissuasiva e deterrente delle sanzioni applicate dall’Autorità.

In conclusione, gli appelli riuniti vanno accolti in parte e, in riforma parziale delle sentenza impugnate e in parziale accoglimento dei ricorsi di primo grado, le sanzioni finali vanno rideterminate nelle misure specificate sopra.

Considerato l’esito complessivo degli appelli oltre che la complessità degli stessi si ritiene di dover disporre in via eccezionale la compensazione integrale tra le parti delle spese di entrambi i gradi dei giudizi riuniti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli in epigrafe, previa riunione degli stessi li accoglie in parte per le ragioni ed entro i limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma parziale delle sentenze impugnate e in parziale accoglimento dei ricorsi di primo grado ridetermina in diminuzione gli importi finali delle sanzioni da irrogare, come da motivazione.

Spese di entrambi i gradi dei giudizi riuniti compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5 maggio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Sergio Santoro, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere, Estensore

Francesco Mele, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 30/06/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Redazione

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