Il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza n. 3838 del 9 settembre 2016 ha affermata che “la domanda di accertamento di un rapporto di lavoro subordinato unitamente a quella di violazione della normativa in tema di interposizione fittizia di manodopera appare del tutto improponibile perché non supportata da elementi di fatto e di diritto idonei a permetterne il vaglio di merito”.
Il Collegio ha ribadito la necessità di assodare, con estremo rigore, la possibilità di instaurare un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con enti e amministrazioni pubbliche (ancorché esercenti attività di impresa), ai sensi della legge n. 1369 cit., ma al di fuori della regola fondamentale del pubblico concorso (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5261; Cass., sez. lav., n. 20314 del 2014; n. 11383 del 2015).
La Quarta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza in questione, ha rigettato l’appello proposto da alcuni soci di una cooperativa cui era affidato il servizio di facchinaggio in favore della Manifattura Tabacchi della città, i quali avevano agito per far sì che fosse riconosciuta la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato che sarebbe intercorso tra gli stessi e l’Amministrazione dei Monopoli di Stato, previo accertamento della simulazione di un contratto di appalto tra l’Amministrazione intimata e la Società Cooperativa.
I giudici di Palazzo Spada, in particolare, hanno respinto la richiesta rivolta in via subordinata di ammissione di mezzi istruttori sub specie della prova testimoniale. Si legge dalla sentenza: “Fermo restando che nel giudizio amministrativo vige il principio dispositivo – acquisitivo dei mezzi istruttori – e pur dandosi atto che la prova testimoniale introdotta dall’art. 63 c.p.a. è stata riconosciuta come strumento generalmente utilizzabile nel processo amministrativo (Cons. Stato Sez. III, 23 luglio 2012 n. 1069), il Collegio ritiene che nella specie non sussistano le condizioni per accogliere la richiesta di che trattasi, atteso che alcuna rilevanza, alla luce degli elementi che connotano la vicenda all’esame, può annettersi all’eventuale assunzione della prova testimoniale“.
Si riporta di seguito il testo della sentenza.
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Pubblicato il 09/09/2016
N. 03838/2016REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10356 del 2008, proposto dai signori Capristo Pasquale, Cannone Antonio, Cannone Aldo, Mazzotta Luigi, Maglio Romualdo, Favre Cremens, Capristo Mario, De Paolis Ines, Rizzato Simonetta e Rizzato Anna Ombretta, queste ultime eredi di Rizzato Luigi, Ruggio Vincenzo, Bello Rodolfo, Petrachi Gabriele, Gazzola Giuseppa, Lipari Maria, Lipari Sofia, questi ultimi tre quali eredi di Lipari Giovanni, tutti rappresentati e difesi dall’avvocato Antonio Caprioli, con elezione di domicilio presso lo studio dell’avvocato Corrado Carruba, in Roma, via di Vigna Murata, n. 1
contro
Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (ora Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la PUGLIA – Sede staccata di Lecce – Sezione I, n. 2375 del 5 agosto 2008, resa tra le parti, concernente mancato riconoscimento esistenza rapporto di lavoro subordinato.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (ora Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Stato).
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 giugno 2016 il Cons. Andrea Migliozzi e uditi per le parti l’avvocato Carruba, su delega dell’avvocato Caprioli, e l’Avvocato dello Stato Collabolletta;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 – Il sig. Pasquale Capristo (e gli altri meglio specificati in epigrafe), espongono di essere stati soci della Società Cooperativa Lubiam a.r.l., corrente in Lecce, cui era affidato il servizio di facchinaggio in favore della Manifattura Tabacchi della predetta città.
I predetti adivano il TAR salentino per ottenere il riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato che sarebbe intercorso tra gli stessi e l’Amministrazione dei Monopoli di Stato, previo accertamento della simulazione di un contratto di appalto tra l’Amministrazione intimata e la suindicata Società Cooperativa.
1.1. La controversia in precedenza instaurata davanti al giudice amministrativo, poi trasferita al giudice ordinario nella veste di giudice del lavoro, veniva, infine, a seguito dell’intervento regolatore della giurisdizione da parte delle SS.UU. della Cassazione (cfr. sentenza n. 5753 del 1992), incardinata innanzi al TAR di Lecce.
1.2. Più specificatamente, con il relativo ricorso gli interessati hanno chiesto l’accertamento del diritto ad essere considerati a tutti gli effetti dipendenti dei Monopoli dello stato, addetti alla manifattura Tabacchi di Lecce, in ragione del lavoro di facchinaggio svolto in favore della predetta Amministrazione, con condanna dell’Amministrazione intimata a corrispondere le differenze salariali tenuto conto delle mansioni effettivamente svolte nonché al risarcimento del danno per il diminuito potere di acquisto della moneta.
1.3. L’adito Tribunale amministrativo, con sentenza n. 2375/08, rigettava il proposto ricorso, ritenendo priva di fondamento la domanda avanzata dagli interessati perché:
a) ha valutato in modo autonomo le risultanze probatorie acquisite nei due gradi di giudizio svoltosi innanzi al giudice del lavoro;
b) ha ritenuto insufficiente la prova relativa alla sussistenza del rapporto di lavoro subordinato alle dirette dipendenze dell’Amministrazione;
c) ha escluso che la cooperativa abbia assunto in concreto la fisionomia di uno schermo fittizio;
d) conseguentemente non ha ritenuto violato il divieto di interposizione fittizia di cui alla legge n. 1369 del 1960.
1.4. I ricorrenti hanno impugnato tale “decisum” denunciando, con un unico motivo, la “lacunosità”, “contraddittorietà e ingiustizia”, oltre ché la carenza assoluta di motivazione della sentenza impugnata.
La tesi posta a sostegno del gravame è così riassumibile:
a) la sentenza impugnata è nulla, per violazione dell’art. 116 c.p.c., in quanto il TAR ha criticato le osservazioni formulate in precedenza dal giudice ordinario e tale sindacato non è consentito;
b) il giudice del lavoro a sostegno delle relative pronunce ha in quella sede correttamente valorizzato le prove testimoniali rese in ordine alla natura delle prestazioni lavorative espletate dai ricorrenti, mentre alcunché al riguardo ha disposto e/o sancito il Tribunale amministrativo;
c) nell’opera prestata dagli appellanti si evidenzia la sussistenza degli elementi costitutivi del rapporto di lavoro subordinato.
Gli appellanti concludono con la richiesta di condanna per l’Azienda dei Monopoli alla corresponsione a ciascuno dei ricorrenti “fino all’effettivo inquadramento delle differenze salariali, tenuto conto delle mansioni effettivamente espletate” nonché al risarcimento dei danni subiti da ciascun ricorrente dal “per effetto del diminuito potere di acquisto della moneta dal giorno della maturazione del diritto al soddisfo e agli interessi legali sulle somme maturate per l’identico periodo”.
1.5. L’Azienda Autonoma dei Monopoli dello Stato (ora Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) si è costituita per resistere al gravame.
1.6. All’udienza pubblica del 16 giugno 2016 la causa è stata introitata per la decisione.
2. L’appello è palesemente infondato.
2.1. I profili di doglianza di cui ai suindicati punti a) e b), con cui si imputa in sostanza al giudice di primo grado di aver erroneamente criticato le statuizioni all’epoca rese dal giudice del lavoro, sono privi di giuridico fondamento e, comunque, inammissibili in quanto dedotti in termini del tutto generici e inconferenti rispetto al percorso logico giuridico sviluppato dall’impugnata sentenza ai fini della soluzione della problematica oggetto del thema decidendum.
Invero il Tar, argomentando in ordine alla insufficienza delle motivazioni contenute nelle pronunce del giudice del lavoro, ha inteso solo implementare, ad abundantiam, il ragionamento logico posto a base della sua decisione, fondata sulla inconfigurabilità di un rapporto di lavoro subordinato con la P.A..
In proposito di deve tenere nel debito conto che il pregresso giudizio svoltosi innanzi al giudice ordinario ha esaurito i suoi effetti e si pone al di fuori del perimetro di quello instaurato innanzi al giudice amministrativo di primo grado (scaturito a seguito della devoluzione della cognizione della controversia operata dalle SS.UU.), con le preclusioni probatorie tipiche di queste situazioni: come noto l’art. 11, co. 6 c.p.a. (riproduttivo della norma sancita dall’art. 59, co. 5, l. n. 69 del 2009, ratione temporis inapplicabile al presente giudizio), ha cristallizzato un principio giurisprudenziale risalente nel tempo, in forza del quale le prove raccolte in processi svoltisi dinanzi a giudici successivamente riconosciuti privi della potestas iudicandi, assumono la consistenza di argomenti di prova rientrando fra le c.d. prove atipiche soggette a rigorose condizioni di valutazione (cfr. Cass. civ., sez. II, n. 5440 del 2010).
Non si può ravvisare nella “valutazione critica” operata dal T.a.r. alcuna “ingerenza” in decisioni emesse da un giudice appartenente ad altro ordine giudiziario e in ogni caso, a tutto voler concedere, vale qui richiamare il principio secondo il quale il potere del giudice di libera valutazione delle prove ex art. 116 c.p.c. non consente allo stesso di attribuire efficacia probatoria esaustiva e vincolante a indizi o argomenti di prova.
3. Le censure di cui ai punti b) e c), ricollegabili in linea di massima al motivo rubricato sub 2) dell’atto di appello, sono inammissibili ed infondate per le ragioni di seguito sinteticamente elencate:
a) parte appellante si limita a riportare osservazioni e rilevi formulati dal giudice ordinario in ordine alle testimonianze rese da alcuni lavoratori ma sono circostanze che non possono essere introdotte in questo giudizio d’appello in quanto non sono state ritualmente introdotte nel giudizio di primo grado;
b) le statuizioni assunte dal T.a.r. relativamente alla qualificazione delle prestazioni lavorative espletate dai ricorrenti, sulla scorta della quali è stata esclusa la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra l’Amministrazione e gli addetti alle operazioni di carico e scarico delle merci, non risultano essere oggetto di specifiche contestazioni, sicché il nucleo fondante deldecisum oggetto di gravame è stato completamente trascurato nell’atto di appello;
c) la domanda di accertamento di un rapporto di lavoro subordinato unitamente a quella di violazione della normativa in tema di interposizione fittizia di manodopera appare del tutto improponibile perché non supportata da elementi di fatto e di diritto idonei a permetterne il vaglio di merito; sul punto è sufficiente evidenziare che l’impugnata sentenza si è mossa coerentemente con le acquisizioni della giurisprudenza di questo Consiglio e della Cassazione, circa la necessità di assodare, con estremo rigore, la possibilità di instaurare un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con enti e amministrazioni pubbliche (ancorché esercenti attività di impresa), ai sensi della legge n. 1369 cit., ma al di fuori della regola fondamentale del pubblico concorso (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5261; Cass., sez. lav., n. 20314 del 2014; n. 11383 del 2015).
4. Va conseguentemente respinta la richiesta rivolta al Collegio, in via subordinata, di ammissione di mezzi istruttori sub speciedella prova testimoniale.
Invero, fermo restando che nel giudizio amministrativo vige il principio dispositivo – acquisitivo dei mezzi istruttori e pur dandosi atto che la prova testimoniale introdotta dall’art. 63 c.p.a. è stata riconosciuta come strumento generalmente utilizzabile nel processo amministrativo (Cons. Stato Sez. III, 23 luglio 2012 n. 1069), il Collegio ritiene che nella specie non sussistano le condizioni per accogliere la richiesta di che trattasi, atteso che alcuna rilevanza, alla luce degli elementi che connotano la vicenda all’esame, può annettersi all’eventuale assunzione della prova testimoniale (comunque già assunta a suo tempo in sede civile e criticamente vagliata dal T.a.r.).
5. In forza di quanto sin qui esposto, l’appello va respinto, con conferma dell’impugnata sentenza.
6. Le spese del presente grado del giudizio, regolamentate secondo il criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo, tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014 n. 55 e dall’art. 26 c.p.a.
6.1. Il Collegio rileva altresì che la reiezione dell’appello si fonda, come evidenziato, su manifeste ragioni di infondatezza che integrano i presupposti applicativi delle norme sancite dall’art. 26 comma 1 c.p.a. e 96 u.c. c.p.c. secondo l’interpretazione datane dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (cfr. da ultimo, Sez. IV n. 2693 del 2016 i cui principi si richiamano integralmente).
Questo giudice ai sensi della disposizione da ultimo citata, condanna perciò gli appellanti, quale parte soccombente, al pagamento della somma pecuniaria come quantificata in dispositivo.
6.2. La presente decisione rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art. 2 comma 2– quinquies, legge n. 89 del 2001, in quanto il gravame si rivela manifestamente inammissibile e infondato.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna gli appellanti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del presente grado del giudizio che si liquidano complessivamente in euro 2.000,00 oltre accessori come per legge ( I.V.A. , C.P.A. e rimborso delle spese generali al 15%).
Condanna gli appellanti, in solido tra loro, ai sensi dell’art. 26, comma 1, c.p.a., al pagamento in favore dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (ora Agenzia delle Dogane e dei Monopoli), dell’ulteriore somma di Euro 1.000,00 (mille//00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 giugno 2016 con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere, Estensore
Carlo Schilardi, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Andrea Migliozzi | Vito Poli | |
IL SEGRETARIO