Il Consiglio di Stato, Sez. III, con la sentenza n. 4121 del 5 ottobre 2016 si è pronunciata sull’efficacia temporale delle informative interdittive antimafia.
I giudici di Palazzo Spada hanno ribadito che, una volta trascorso il periodo di un anno previsto dall’art. 86, comma 2, del d. lgs. n. 159 del 2011, non perde efficacia la misura interdittiva che segnala il pericolo di condizionamenti mafiosi. Infatti, “la limitazione temporale di efficacia delle interdittive antimafia deve intendersi riferita ai casi nei quali sia attestata l’assenza di pericolo di infiltrazione mafiosa, e non già ai riscontri indicativi del pericolo, i quali ultimi conservano la loro valenza anche oltre il termine indicato nella norma”.
Si legge ancora dalla sentenza: “L’informativa antimafia può legittimamente fondarsi, oltre che sui fatti recenti, anche su fatti più risalenti nel tempo, quando gli elementi raccolti dalla Prefettura in passato, e ribaditi anche in altri elementi probatori acquisiti, siano sintomatici di un condizionamento attuale nell’attività di impresa“.
Tuttavia, come evidenziato dal CdS, l’Amministrazione ha il dovere di controllare nuovamente, in caso di sopraggiunti fatti favorevoli all’imprenditore, se persistano ragioni di sicurezza e di ordine pubblico tali da prevalere sulla libertà di impresa del soggetto inciso. Si legge, infatti, “l’attualità degli elementi indizianti, da cui trarre la sussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa, permane tuttavia inalterata fino al sopraggiungere di fatti nuovi ed ulteriori rispetto ad una precedente valutazione di presenza di tentativi siffatti, che evidenzino il venir meno della situazione di pericolo“.
Può dirsi superato il rischio di inquinamento mafioso non tanto con il trascorrere del tempo dall’ultima verifica effettuata senza che sia emersa alcuna situazione negativa, bensì “al sopraggiungere di fatti positivi che persuasivamente e fattivamente introducano elementi di inattendibilità della situazione rilevata in precedenza“.
Si riporta di seguito il testo della sentenza.
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Pubblicato il 05/10/2016
N. 04121/2016REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ai sensi degli artt. 38 e 60 c.p.a.
sul ricorso numero di registro generale 6317 del 2016, proposto da -OMISSIS-in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Giovannino Guaglianone (C.F. GGL GNN 49E11 I165P), con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Savoia, n. 31;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, e U.T.G. – Prefettura di Reggio Calabria, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Provincia di Reggio Calabria, in persona del Presidente della Giunta Regionale pro tempore, Stazione Unica Appaltante Provinciale, rappresentata e difesa dall’Avvocato Domenico Barresi (C.F. BRR DNC 53S25 H224M), con domicilio eletto presso la Segreteria della III Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA – SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA, n. 724/2016, resa tra le parti, concernente l’informativa interdittiva antimafia emessa con la nota prot. n.-OMISSIS-del 24 settembre 2015 dalla Prefettura di Reggio Calabria a carico di -OMISSIS-
visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno, dell’U.T.G. – Prefettura di Reggio Calabria e della Provincia di Reggio Calabria Stazione Unica Appaltante Provinciale;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nella camera di consiglio del giorno 29 settembre 2016 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per l’odierna appellante, -OMISSIS-l’Avvocato Giovannino Guaglianone e per le Amministrazioni appellate, il Ministero dell’Interno e l’U.T.G. – Prefettura di Reggio Calabria, l’Avvocato dello Stato Mario Antonio Scino;
sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 c.p.a.;
1. L’odierna appellata, -OMISSIS-ha impugnato avanti al T.A.R. per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, l’informativa antimafia n.-OMISSIS-del 24 settembre 2015, emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria e recante la comunicazione della permanenza degli effetti interdittivi scaturenti dalla pregressa informativa n.-OMISSIS-del 4 settembre 2012, nonché la conseguente comunicazione della Provincia di Reggio Calabria, Stazione Unica Appaltante, di cui alla nota prot. n. 0055851 del 23 febbraio 2016, recante l’esclusione di -OMISSIS- dalla procedura di gara relativa ai lavori di ristrutturazione e di rifunzionalizzazione di un vecchio palmeto nel Comune di Sant’Alessio in Aspromonte.
1.1. La ricorrente, deducendo con un unico articolato motivo l’eccesso di potere per inefficacia del presupposto che è alla base degli atti impugnati e, cioè, la nota prot.-OMISSIS-del 4 settembre 2012 della Prefettura di Reggio Calabria, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 86, comma 2, del d. lgs. n. 159 del 2011, con erronea interpretazione della giurisprudenza del Consiglio di Stato formatasi sul punto, nonché la violazione dell’art. 92 del d. lgs. n. 159 del 2011, ha chiesto l’annullamento, previa sospensione, dell’informativa e degli atti presupposti e consequenziali.
1.2. Nel primo grado di giudizio si sono costituite la Prefettura di Reggio Calabria e la Provincia di Reggio Calabria per resistere al ricorso.
2. Il T.A.R. per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, con la sentenza n. 724 del 23 giugno 2016, ha respinto il ricorso.
2.1. Avverso tale sentenza ha proposto appello -OMISSIS-articolando tre distinti motivi di censura riproponenti, nella sostanza, l’unico motivo dedotto in primo grado, e ne ha chiesto, previa sospensione, la riforma.
2.2. Si sono costituiti il Ministero dell’Interno e la Provincia di Reggio Calabria per resistere all’appello.
2.3. Nella camera di consiglio del 29 settembre 2016, fissata per l’esame della domanda sospensiva proposta dal Ministero appellante, il Collegio, ritenuto di poter decidere la controversia anche nel merito, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., e sentite le parti, che sul punto nulla hanno osservato, ha trattenuto la causa in decisione.
3. L’appello di -OMISSIS- è infondato e deve essere respinto.
4. Ritiene il Collegio di dovere precisare, in via preliminare, che la richiesta riunione del presente giudizio a quello di cui al n. R.G. n. 281 del 2016, relativo all’appello proposto da -OMISSIS- contro la sentenza n. 1210 del 2015 resa dal T.A.R. per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, e implicante la risoluzione di analoghe quaestiones iuris, non può avere luogo per un duplice ordine di ragioni.
4.1. In primo luogo, i giudizi non si trovano nella stessa fase processuale, non risultando fissata per quello di cui al n. R.G. 281 del 2016 l’udienza pubblica, con conseguente inopportunità del simultaneus processus anzitutto sotto il profilo, costituzionalmente rilevante, della ragionevole durata del giudizio.
4.2. In secondo luogo, tale giudizio concerne provvedimenti in parte diversi da quelli impugnati nel presente giudizio – in particolare il provvedimento adottato dal r.u.p. nella procedura di appalto per i lavori di riqualificazione dell’infrastruttura scolastica dell’istituto comprensivo Monteleone – Pascoli di Taurianova (RC), peraltro annullato nella predetta sentenza dal T.A.R. per violazione dell’art. 94, comma 3, del d. lgs. n. 159 del 2011 – difettando, quindi, l’identità oggettiva del petitum.
4.3. In ogni caso la decisione del presente appello può prescindere, sia sul piano fattuale che giuridico, dalla definizione di tale giudizio, sul quale la Sezione sarà chiamata a pronunciarsi nell’udienza pubblica che all’uopo sarà fissata.
5. La questione centrale del presente giudizio, sollevata dall’appellante con il primo e principale motivo (pp. 10-14 del ricorso), ruota attorno all’interpretazione dell’art. 86, comma 2, del d. lgs. n. 159 del 2011, per il quale «l’informazione antimafia, acquisita dai soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, con le modalità di cui all’articolo 92, ha una validità di dodici mesi dalla data dell’acquisizione, salvo che non ricorrano le modificazioni di cui al comma 3».
5.1. Va premesso che l’art. 86, comma 2, benché si riferisca alla «validità» dell’informativa, regola propriamente l’efficacia dell’informazione antimafia.
5.2. La formulazione letterale del dettato normativo ha prestato il fianco ad incertezze e contrasti interpretativi poiché:
– per un primo orientamento, minoritario, il decorso del termine annuale determinerebbe l’«invalidità» (vale a dire l’inefficacia)ipso iure dell’informativa negativa e di quelle, successive, che su di essa esclusivamente si fondino;
– per un altro orientamento, largamente condiviso, il decorso del medesimo termine non priverebbe, comunque, di efficacia il provvedimento già emesso e di rilevanza sintomatica gli elementi posti a base dell’informativa negativa, consentendo l’emanazione di un atto di esso ricognitivo ovvero di un successivo provvedimento interdittivo che li recepisca.
5.3. Il T.A.R. per la Calabria, nella sentenza qui impugnata, ha richiamato e fatto proprio il prevalente orientamento di questo Consiglio, secondo cui gli elementi posti a base dell’informativa a contenuto interdittivo non perdono rilevanza – e l’efficacia dell’interdittiva non viene meno – solo per il decorso del termine annuale, poiché l’Amministrazione è tenuta ad emettere una informativa liberatoria nei confronti dell’impresa solo laddove sopraggiungano elementi nuovi, capaci di smentire o, comunque, di superare gli elementi che hanno giustificato l’emissione del provvedimento interdittivo.
5.4. L’appellante, lamentando sul punto un error in iudicando del primo giudice, propugna invece una interpretazione del dettato normativo secondo cui sarebbe invalida (cioè priva di efficacia) l’informativa antimafia ‘scaduta’ per il decorso dell’anno, richiamando a sostegno della propria tesi un obiter dictum contenuto nella sentenza di questo Consiglio di Stato, sez. III, 17 novembre 2015, n. 5256, e ne fa discendere la conseguenza che l’informativa adottata dalla Prefettura nel 2015, che ha confermato gli effetti interdittivi di quella adottata nel 2012, sarebbe illegittima per essersi questa limitata a recepire, peraltro senza alcun aggiornamento istruttorio, le risultanze di un provvedimento già ‘scaduto’ o, più precisamente, privo ormai di efficacia e di rilevanza.
6. La tesi dell’appellante non risulta condivisibile.
6.1. Nel riesaminare funditus la questione controversa, la Sezione ritiene decisiva la portata letterale dell’art. 86, comma 2, del d. lgs. n. 159 del 2011, che si inserisce in un quadro sistematico organico e coerente.
6.1.1. Quale disposizione che regola una «fattispecie procedimentalmente complessa», infatti, l’art. 86, comma 2:
– non riguarda di per sé l’efficacia temporale della misura interdittiva che constata il pericolo della infiltrazione e, dunque, neppure riguarda l’ambito dei doveri della Prefettura dopo il decorso dell’anno dalla sua emanazione;
– del tutto diversamente l’art. 86, comma 2, disciplina invece l’ambito dei doveri delle pubbliche amministrazioni e degli enti di cui all’art. 83, i quali – in base al comma 2, quando sia comunque decorso un anno dalla acquisizione dell’informativa – devono nuovamente acquisire la documentazione antimafia, prima di emanare uno degli atti elencati dai commi 1 e 2 dell’art. 67 (come richiamati dal medesimo art. 83, comma 1), e quindi richiedere al Prefetto una nuova informativa che, come si dirà, è pienamente legittima, anche se richiami i soli elementi di quella precedentemente emessa, confermando il pericolo di infiltrazione mafiosa, laddove non sopravvengano elementi nuovi.
6.2. Va infatti rimarcato, sotto il profilo letterale, che l’art. 86, comma 2, del d. lgs. n. 159 del 2011 ha riferito la rilevanza del termine di dodici mesi non alla data di «emanazione» della interdittiva che rileva il pericolo della infiltrazione (e, cioè, ad un’unica data, di cui dovrebbero tenere conto i soggetti indicati nell’art. 83, commi 1 e 2), ma alla data di «acquisizione» della interdittiva, da parte dei medesimi soggetti, data che ben può variare e comunque non può essere unica in presenza di diverse amministrazioni che la richiedano, e ricevano, non contestualmente (si pensi, ad esempio, a diverse gare, svolte e concluse in diversi periodi, o all’erogazione di contributi a sostegno di numerose aziende agricole).
6.2.1. Occorre tener presente, per altro verso, che a seguito dell’emanazione della misura interdittiva i conseguenti atti applicativi possono essere emanati dalle singole amministrazioni, specialmente in procedure particolarmente complesse, anche a distanza di molto tempo dall’acquisizione della informazione antimafia, sicché anche sotto tale profilo appare chiara e, invero, ragionevole la previsione secondo cui la stessa efficacia nel tempo dell’informativa ricevuta dalla singola amministrazione richiedente dipende, in riferimento ad essa e solo in riferimento ad essa, dalla data in cui essa l’ha acquisita.
6.3. In altri termini, sotto il profilo letterale, l’art. 86, comma 2:
a) non si riferisce ai doveri della Prefettura ed alla durata delle sue misure ad effetto interdittivo che, dunque, hanno efficacia tendenzialmente indeterminata nel tempo, salvo quanto si dirà appresso circa gli elementi sopravvenuti;
b) impone, invece, ai medesimi soggetti di applicare l’art. 83, cioè di acquisire la documentazione antimafia, anche dopo il decorso dell’anno dalla sua emanazione;
c) va inteso nel senso che il termine di dodici mesi, ivi previsto, per ciascuno degli soggetti destinatari comincia a decorrere dalla formale «acquisizione», singulatim, dell’informazione antimafia, con la conseguenza giuridica che – decorsi dodici mesi da essa – gli stessi soggetti devono nuovamente attivarsi ai sensi dell’art. 83;
d) il Prefetto, laddove richiesto dai soggetti di cui all’art. 83 di rilasciare una nuova informazione antimafia trascorso l’anno, potrà (e dovrà) legittimamente limitarsi ad emetterla richiamando quella precedentemente emessa, recependone i contenuti, laddove non sopraggiungano elementi nuovi capaci di modificare o superare, nell’attualità, i fatti posti a base della precedente.
7. Proprio riconnettendosi all’ultima delle considerazioni sopra svolte, già di per sé decisive per respingere le censure dell’appellante, ritiene la Sezione che comunque si possa richiamare la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, che – sia pure sulla base di una diversa ratio decidendi – ha già evidenziato che col decorso dell’anno non perde efficacia la misura interdittiva che rileva il pericolo di condizionamento mafioso.
7.1. Come si è più volte evidenziato (cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 30 dicembre 2011, n. 7002; Cons. St., sez. III, 22 gennaio 2012, n. 292; Cons. St., sez. V, 1° ottobre 2015, n. 4602), e tralasciando per ora i dubbi adombrati nel citato obiter dictum, la limitazione temporale di efficacia dell’interdittiva antimafia, prevista dall’art. 86, comma 2, del d. lgs. n. 159 del 2011, deve intendersi riferita ai casi nei quali sia attestata «l’assenza di pericolo di infiltrazione mafiosa, e non già ai riscontri indicativi del pericolo, i quali ultimi conservano la loro valenza anche oltre il termine indicato nella norma».
7.1.1. L’art. 2, comma 1, del d.P.R. n. 252 del 1998 (la cui disposizione è stata poi riportata nell’art. 86, commi 1 e 2 del d. lgs. n. 159 del 2011) deve intendersi riferito, infatti, ai casi di documentazioni che attestino l’assenza di pericolo di infiltrazione mafiosa – cc.dd. informative negative – e non già ai riscontri indicativi del pericolo, i quali ultimi conservano la loro valenza anche oltre il termine indicato nella disposizione (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 22 gennaio 2014, n. 292).
7.2. La sopravvenienza di fatti favorevoli all’imprenditore, come meglio si dirà, impone all’Amministrazione di verificare nuovamente se persistano ragioni di sicurezza e di ordine pubblico tali da prevalere sull’iniziativa e sulla libertà di impresa del soggetto inciso.
7.3. L’attualità degli elementi indizianti, da cui trarre la sussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa, permane tuttavia inalterata fino al sopraggiungere di fatti nuovi ed ulteriori rispetto ad una precedente valutazione di presenza di tentativi siffatti, che evidenzino il venir meno della situazione di pericolo.
7.4. Il superamento del rischio di inquinamento mafioso è da ricondursi non tanto al trascorrere del tempo dall’ultima verifica effettuata senza che sia emersa alcuna evenienza negativa, bensì «al sopraggiungere di fatti positivi che persuasivamente e fattivamente introducano elementi di inattendibilità della situazione rilevata in precedenza» (così la citata sentenza di questo Cons. St., sez. III, 22 gennaio 2014, n. 292).
7.5. Tale ratio decidendi, come ha ulteriormente chiarito la sentenza della sez. V, 1° ottobre 2015, n. 4602, trova conforto anche in argomenti di tipo letterale e teleologico:
– in primo luogo (e come si è osservato sopra, amplius, nei precedenti §§ 6.1., 6.2. e 6.3.), sul piano letterale, nella decorrenza del termine di efficacia prevista dall’art. 86, comma 2, del d. lgs. n. 159 del 2011, individuata dal legislatore nell’«acquisizione» dell’informativa da parte delle Amministrazioni e, dunque, ad un evento non riferibile all’epoca degli accertamenti sulla base dei quali è stata emessa l’informativa, ma alla conoscenza che di essi hanno avuto successivamente le Amministrazioni tenute ad applicare il divieto di contrarre sancito dall’art. 94 del d. lgs. n. 159 del 2011;
– in secondo luogo, ancora sul piano letterale, dalla clausola rebus sic stantibus prevista sempre dall’art. 86, comma 2, del d. lgs. n. 159 del 2011, in relazione ai casi di modificazioni degli assetti societari e gestionali dell’impresa, in ipotesi capaci di modificare la valutazione alla base dell’informativa emessa dalla Prefettura;
– in terzo luogo, sul piano teleologico, nella piena coerenza dell’efficacia temporale illimitata, salve successive modifiche, dell’interdittiva con la finalità preventiva delle informative antimafia, finalità che, con il conseguente obiettivo di contrastare i tentativi di infiltrazione mafiosa nel settore degli appalti pubblici, non tollera evidentemente limitazioni e interruzioni temporali.
7.6. A tale riguardo deve infatti precisarsi che la valutazione del rischio infiltrativo già effettuata dalla Prefettura sulla base di elementi sintomatici, pur dovendo tenere conto, nel fluire del tempo, degli elementi sopravvenuti, non può conoscere soluzione di continuità che non dipenda da fatti nuovi, di segno contrario, oggettivamente capaci di rendere irrilevanti e di rendere, essi sì, inefficace il significato indiziario degli elementi sintomatici valorizzati dall’originaria informativa anche dopo la scadenza del termine annuale.
7.7. In questa prospettiva, come pure la costante giurisprudenza di questo Consiglio ha chiarito (Cons. St., sez. III, 24 luglio 2015, n. 3563), l’informativa antimafia può legittimamente fondarsi, oltre che sui fatti recenti, anche su fatti più risalenti nel tempo, quando gli elementi raccolti dalla Prefettura in passato, e ribaditi anche in altri elementi probatori acquisiti, siano sintomatici di un condizionamento attuale nell’attività di impresa.
8. L’orientamento di questa Sezione sulla perdurante efficacia della misura interdittiva anche dopo il decorso dell’anno dalla sua emanazione si deve dunque ritenere corroborato da quanto esposto dal Collegio nei precedenti §§ 6.1., 6.2. e 6.3. e va ribadito anche in considerazione dei seguenti ulteriori argomenti di tenore sistematico.
8.1. La persistente rilevanza degli elementi indiziari posti a base dell’informativa affermata dalla giurisprudenza, anche dopo il decorso il termine annuale previsto dall’art. 86, comma 2, del d. lgs. n. 159 del 2011, non è l’effetto di una non prevista ultrattività dell’informativa positiva, a differenza di quella c.d. negativa (o liberatoria), né tantomeno il frutto di una non consentita interpretazione in malam partem, come pure si è ritenuto, ma l’oggetto di una precisa disposizione normativa e, in particolare, dell’art. 91, comma 5, dello stesso d. lgs. n. 159 del 2011, per il quale «il Prefetto, anche sulla documentata richiesta dell’interessato, aggiorna l’esito dell’informazione al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa».
8.2. Tale disposizione ha evidentemente considerato che gli elementi posti a base dell’informativa antimafia ad effetto interdittivo non ‘scadono’ certo per il decorso del termine annuale, in quanto l’aggiornamento ‘liberatorio’ dell’informativa può esservi solo quando essi perdano la loro rilevanza indiziaria del pericolo di infiltrazione.
8.3. Sarebbe del resto irragionevole e contrario alla ratio della normativa antimafia sostenere che elementi di consistente gravità, quali ad esempio l’assidua frequentazione, nel tempo, di soggetti pregiudicati o l’altrettanto costante collaborazione economica dell’impresa con la mafia o, addirittura, la presenza di soggetti controindicati nelle cariche societarie, perdano la loro efficacia indiziante solo perché l’informativa sia ‘scaduta’ decorso l’anno dalla sua emanazione.
8.4. Il «venir meno delle circostanze rilevanti» di cui all’art. 91, comma 5, del d. lgs. n. 159 del 2011, come la Sezione ha più volte chiarito nella propria giurisprudenza, non dipende perciò dal mero trascorrere del tempo, in sé, ma dal sopraggiungere di obiettivi elementi diversi o contrari che ne facciano venir meno la portata sintomatica (o perché ne controbilanciano, smentiscono e in ogni caso superano la valenza sintomatica o perché ne rendono remoto, e certamente non più attuale, il pericolo).
8.5. Tenuto conto del testo e della ratio delle disposizioni sopra richiamate, pur dopo il decorso del termine di un anno dall’emanazione di un precedente atto ad effetto interdittivo, il Prefetto ben potrà e, anzi, dovrà emettere una ulteriore informativa positiva, ad effetto, cioè, interdittivo, ove non siano venute meno le circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento del tentativo di infiltrazione mafiosa, salvo sempre il potere/dovere di riesaminare i fatti nuovi, in sede di aggiornamento, anche su documentata richiesta dal soggetto interessato, come prevede l’art. 91, comma 5, del d. lgs. n. 159 del 2011.
8.5.1. Ad avviso del Collegio, tale lettura del dato normativo non pone alcuna iniqua discriminazione, in malam partem, rispetto all’informativa negativa, c.d. liberatoria, la cui efficacia non può che essere pari temporalmente ad un anno.
8.5.2. Proprio in base allo schema procedimentale dell’art. 86, comma 2, sopra descritto, nei §§ 6.1., 6.2. e 6.3., le amministrazioni di cui all’art. 83 devono comunque richiedere al Prefetto, trascorso l’anno dall’acquisizione, una nuova informativa che, viceversa, non potrà che essere positiva, laddove il Prefetto, nel rilasciarla, pervenga in sede di aggiornamento a conoscenza di fatti nuovi o anche precedenti, ma non noti, che giustifichino nell’attualità, secondo la logica del ‘più probabile che non’, il pericolo di infiltrazione mafiosa.
8.6. Il bilanciamento tra i valori costituzionali rilevanti in materia – l’esigenza, da un lato, di preservare i rapporti economici tra lo Stato e i privati dalle infiltrazioni mafiose in attuazione del superiore principio di legalità sostanziale e, dall’altro, la libertà di impresa – trova proprio nella previsione dell’aggiornamento, ai sensi dell’art. 91, comma 5, del d. lgs. n. 159 del 2011, un punto di equilibrio fondamentale, sia in senso favorevole che sfavorevole all’impresa, poiché impone all’autorità prefettizia di considerare i fatti nuovi, laddove sopravvenuti, o anche precedenti – se non noti – e consente all’interessato di rappresentarli all’autorità stessa, laddove da questa non conosciuti.
9. Applicando tali principi al caso di specie, la Prefettura di Reggio Calabria ha ritenuto, con l’informativa del 24 settembre 2015 qui impugnata, che non fossero venute meno le circostanze rilevanti valorizzate nella precedente informativa del 4 settembre 2012 e che ne permanessero inalterati gli effetti interdittivi, poiché, come correttamente si legge nel provvedimento, tali effetti «potranno cessare solo in presenza di fatti nuovi ed ulteriori che fondino il presupposto per una nuova valutazione che attesti, in sede di riedizione del potere da parte di questa Prefettura».
9.1. Nondimeno, peraltro, la Prefettura ha comunicato nell’informativa, come ha anche correttamente osservato il T.A.R. nella sentenza impugnata, di avere contestualmente avviato «le verifiche previste dalla vigente normativa antimafia, che una volta ultimate saranno comunicate alle Stazioni Appaltanti interessate qualora di contenuto diverso dal precedente», proprio per soddisfare l’esigenza di aggiornamento dell’informativa stessa e di una rivalutazione, nell’attualità, dei suoi elementi.
9.2. Non sono fondate le censure dell’appellante di violazione dell’art. 92, comma 2, del d. lgs. n. 159 del 2011 (v. il secondo motivo di cui a pp. 14-15 del ricorso), e quelle di l’eccesso di potere per travisamenti dei fatti sull’attualità del rischio di condizionamento mafioso (v. il terzo motivo di cui a pp. 15-16 del ricorso).
9.3. -OMISSIS- lamenta che la Prefettura non avrebbe svolto alcuna istruttoria, poiché si sarebbe limitata, dopo molti mesi dalla richiesta della Provincia di Reggio Calabria, ad inviare all’amministrazione richiedente una informativa antimafia meramente reiterativa degli elementi già raccolti nel 2012 ed ampiamente superati da circostanze sopravvenute.
9.4. Per l’esame di tali deduzioni, va premesso che molti di tali elementi indubbiamente gravi:
– sono già stati posti a base di una precedente informativa del 2010 a carico di -OMISSIS-;
– sono stati oggetto di disamina in sede giurisdizionale, e considerati giustificativi della medesima informativa per la loro valenza indiziaria dell’infiltrazione mafiosa, con la sentenza n. 681 del 23 agosto 2011, emessa dal T.A.R. per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria (doc. 8 fasc. parte ricorrente in primo grado), sentenza espressamente menzionata dalla stessa informativa del 2012 (doc. 3 fasc. parte ricorrente in primo grado) e sulla quale si è formato il giudicato.
9.5. Le censure qui in esame non possono trovare accoglimento, inoltre, poiché la Prefettura non solo ha comunicato, con la stessa informativa, di avere avviato le verifiche previste dalla vigente normativa antimafia, ma anche perché la stessa -OMISSIS- solo il 23 dicembre 2015, dopo l’emanazione del provvedimento, ha proposto una documentata istanza di aggiornamento, rappresentando al Prefetto le circostanze che, a suo avviso, giustificherebbero ormai il venir meno degli elementi sintomatici dell’infiltrazione mafiosa, non potendo certo la Prefettura tener conto, per una valorizzazione nell’attualità di detti elementi, né dell’istanza di aggiornamento proposta dall’odierna appellante nell’ormai lontano 2012 (doc. 9 fasc. parte ricorrente in primo grado) né di quella, relativa al diverso procedimento per l’iscrizione alla white list e proposta nell’ormai lontano 2014 (doc. 11 fasc. parte ricorrente in primo grado).
9.6. Al riguardo questo Collegio rileva che, anche all’esito della sentenza n. 1210 del 30 novembre 2015 emessa dal T.A.R. per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria (anch’essa, come accennato, impugnata avanti a questo Consiglio; v., comunque, doc. 4 fasc. parte ricorrente in primo grado), -OMISSIS- ha proposto una nuova istanza di riesame ai sensi dell’art. 91, comma 5, del d. lgs. n. 159 del 2011 (doc. 12 fasc. parte ricorrente in primo grado e doc. 2 fasc. dell’Avvocatura distrettuale in primo grado), in ordine alla quale la Prefettura di Reggio Calabria, con nota -OMISSIS-dell’8 gennaio 2016, ha avviato un’apposita istruttoria (doc. 3 fasc. dell’Avvocatura distrettuale in primo grado).
9.7. È in tale sede e, cioè, in quella procedimentale finalizzata all’aggiornamento, fondamentale punto di snodo nella disciplina di questa materia per le ragioni vedute, che la pretesa rilevanza degli elementi sopravvenuti, in questo giudizio enunciati dall’appellante (v., in particolare, p. 16 del ricorso), sarà esaminata dalla Prefettura ai fini di un eventuale positivo aggiornamento dell’informativa.
9. In conclusione, per le ragioni esposte (in parte nuove e diverse da quelle esposte dal primo giudice), l’appello di -OMISSIS- deve essere respinto, con piena conferma della sentenza impugnata.
10. Le spese del presente grado di giudizio, attesa comunque la complessità del quadro interpretativo qui esaminato e, in parte, anche la novità delle argomentazioni in diritto esposte, possono essere interamente compensate tra le parti.
10.1. Rimane definitivamente a carico dell’appellante il contributo unificato corrisposto per la proposizione del gravame.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello n. 6317 del 2016, lo respinge e per l’effetto conferma, anche ai sensi di cui in parte motiva, la sentenza impugnata.
Compensa interamente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Pone definitivamente a carico di -OMISSIS- il contributo unificato corrisposto per la proposizione del gravame.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del d. lgs. n. 196 del 2013, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare -OMISSIS-
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 29 settembre 2016, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere, Estensore
Pierfrancesco Ungari, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Massimiliano Noccelli | Luigi Maruotti | |
IL SEGRETARIO