Il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza n. 4578 del 2 novembre 2016, ha affermato che è legittimo il diniego di rilascio del permesso di costruire, fondato su motivazioni esclusivamente giuridiche, non preceduto dal parere della commissione edilizia comunale (CEC).
Infatti, i giudici di Palazzo Spada hanno ribadito che “l’obbligatorietà del parere della commissione edilizia è limitata alle sole questioni che interessano l’attuazione, sotto il profilo tecnico, di uno specifico progetto costruttivo in relazione alla vigenza di prescrizioni generali e speciali nella materia edilizio-urbanistica”; da tale principio si è fatto discendere il corollario secondo il quale “è legittimo il diniego di concessione edilizia (nella specie, in sanatoria) in assenza del parere della commissione edilizia comunale, qualora tale diniego si basi esclusivamente su ragioni giuridiche”.
Infatti, a parere del Collegio il diniego del permesso di costruire si fonda essenzialmente su motivazioni di carattere giuridico, ragione per cui non è elemento decisivo il parere della Commissione edilizia comunale.
Pertanto, il carattere obbligatorio del parere della commissione edilizia prima del rilascio del permesso di costruire incontra alcune limitazioni, riferendosi alle sole questioni che riguardano l’attuazione, sotto il profilo tecnico, di uno specifico progetto costruttivo nell’ambito della vigenza di prescrizioni generali e speciali nella materia edilizio-urbanistica.
Si riporta di seguito il testo della sentenza.
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Pubblicato il 02/11/2016
N. 04578/2016REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello nr. 9918 del 2006, proposto dalla società BLU SOCIETÀ SEMPLICE già VALENTINA SOCIETÉ CIVILE IMMOBILIÉRE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Alberto Quaglia e Francesco Paoletti, con domicilio eletto presso l’avv. Francesco Paoletti in Roma, viale M. Pilsudski, 118,
contro
i signori Cesare CAORSI e Gabriella ZAMPONI, in proprio e nella qualità di soci amministratori della società S.S. PUERTO ESCONDIDO, rappresentati e difesi dagli avvocati Gino De Paz, Mario Sanino e Luigi Cocchi, con domicilio eletto presso l’avv. Mario Sanino in Roma, viale Parioli, 180,
nei confronti di
COMUNE DI GENOVA, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Gabriele Pafundi ed Edda Odone, con domicilio eletto presso l’avv. Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, 14/A,
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Liguria, sede di Genova, Sezione Prima, n. 1345/2005, resa tra le parti, concernente titolo abilitativo per realizzazione posti auto esterni.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2016, il Consigliere Fabio Taormina;
Uditi l’avv. Mario Alberto Quaglia per la parte appellante e gli avv.ti Luigi Cocchi e Salvatore Paola, su delega dell’avvocato Mario Sanino, per le parti appellate Caorsi e Zamponi, nonché, l’avvocato Gabriele Pafundi, per l’Amministrazione comunale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe impugnata n. 1345/2005 il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria ha scrutinato, previa loro riunione, due ricorsi, proposti dalle odierne parti appellate signori Cesare Caorsi e Gabriella Zamponi in proprio e nella qualità di soci amministratori della società Puerto Escondido, tesi a contestare le determinazioni del Comune di Genova in relazione alla istanza di ottenimento di una concessione edilizia per la sistemazione a parcheggio pertinenziale di una modesta area, annessa al giardino di pertinenza dell’edificio, sito in Genova e contraddistinto dal civ. n. 86 della via Somma Donato la cui proprietà era stata acquisita dalla S.S. Puerto Escondido.
1.1. Con la impugnata sentenza il T.a.r. ha dichiarato improcedibile il ricorso di primo grado n. 107/2002 teso ad ottenere l’annullamento della dichiarazione di improcedibilità in prima battuta resa dal Comune sulla detta istanza, ed ha accolto il ricorso n. 746/2002 con il quale la odierna parte appellata aveva impugnato il provvedimento di diniego espresso recante prot. n. 398 del 5 aprile 2002 medio tempore emesso dal Comune di Genova.
1.2. L’odierna parte appellata aveva prospettato numerose censure di violazione di legge ed eccesso di potere.
1.2. Il Comune di Genova e la società controinteressata odierna appellante Valentina Societé Civile Immobiliére si erano costituiti chiedendo la reiezione dei riuniti ricorsi.
2. Il T.a.r. ha esaminato le dedotte censure di violazione di legge ed eccesso di potere prospettate dall’odierna parte appellata avverso il diniego espresso recante prot. n. 398 del 5 aprile 2002 mediotempore emesso dal Comune di Genova e ne ha rilevato la fondatezza, sotto l’assorbente profilo per cui:
a) il provvedimento era viziato per essere stato assunto senza la previa acquisizione del parere obbligatorio della C.E., nonostante la sussistenza di una questione sulla quale l’organo tecnico avrebbe potuto esprimere un idoneo parere;
b) neppure erano condivisibili le controdeduzioni comunali, secondo cui “il parere in argomento era stato comunque richiesto ed ottenuto in occasione del primo esame della domanda sfociato nel diniego opposto con la nota prot. n. 19951 del 23 novembre 2001”, ed inoltre la questione era “esclusivamente di carattere giuridico”, concernendo “l’accertamento della titolarità in capo al richiedente di un diritto senza il quale l’intervento progettato non sarebbe stato possibile”;
c) ciò in quanto il parere invocato dall’Amministrazione era stato espresso dalla Commissione Edilizia in data 19 aprile 2000, in termini favorevoli “a condizione che vengano forniti i chiarimenti richiesti nel parere del Settore Edilizia Privata con riferimento alla titolarità e diritti ed alle condizioni poste nel parere regionale”;
d) tale parere (invocato dall’Amministrazione comunale), dunque, risultava del tutto inidoneo a supportare il diniego assunto dal Dirigente del servizio in data 5 aprile 2002, sia per il suo contenuto sostanziale, sia in quanto accedeva ad un procedimento diverso rispetto a quello attivato dall’Amministrazione a seguito della richiesta di riesame avanzata dagli originari ricorrenti in data 11 dicembre 2001, e concluso alla stregua della nuova istruttoria a tal fine compiuta;
e) nel merito, comunque, l’esame dell’istanza presentata comportava la soluzione di delicate questioni tecnico-giuridiche che rientravano nella sfera di competenza della Commissione edilizia comunale, nell’assenza di diverse disposizioni regolamentari adottate al riguardo e tanto ciò era vero, che a fronte della originaria istanza avanzata l’Amministrazione aveva regolarmente acquisito il prescritto parere della Commissione (reso in data 19 aprile 2000), per cui non si ravvisava alcun ragionevole motivo per giustificare le ragioni per cui detto parere non fosse stato nuovamente acquisito a seguito della richiesta di riesame della pratica (quest’ultima comportante valutazioni ancor più delicate della prima, in ragione delle ulteriori argomentazioni addotte dalle parti interessate).
3. La società controinteressata, originaria parte resistente rimasta soccombente, ha impugnato la suindicata decisione criticandola sotto ogni angolo prospettico, e dopo avere rivisitato le principali tappe del contenzioso infraprocedimentale e giurisdizionale di primo grado ha dedotto che:
a) era incontroverso che la parte originaria ricorrente vantava unicamente una servitù di passaggio pedonale e che voleva realizzare un parcheggio che avrebbe comportato l’attraversamento con veicoli di un area che apparteneva alla controinteressata;
b) l’atto del 5 aprile 2002, n. 398, aveva colto la fondatezza delle ragioni della società odierna appellante ed aveva rigettato l’istanza avanzata per assenza del titolo di legittimazione necessario ad ottenere il permesso;
c) l’obbligatorietà del parere della Commissione Edilizia nella valutazione di un’istanza volta al rilascio di titolo un edilizio, trovava limite nella necessità che venissero espresse valutazioni di natura tecnico-edilizia, e non già, come nel caso di specie, giuridiche;
d) il Comune di Genova infatti aveva reso il diniego unicamente a cagione dell’assenza di titolo legittimante in capo ai soggetti richiedenti avendo constatato la sussistenza del diritto di proprietà dell’odierna appellante in relazione al terreno ubicato ad ovest del campo da tennis (ostacolo insuperabile al rilascio del provvedimento auspicato dagli istanti, in quanto tale area dovrebbe necessariamente essere attraversata dagli autoveicoli diretti al parcheggio);
e) era evidente l’errore del T.a.r., in quanto la Commissione Edilizia non doveva interloquire sul punto;
f) in ogni caso, il precedente parere espresso dalla Commissione Edilizia in data 19 aprile 2000, era ben idoneo a supportare il diniego, in quanto il successivo diniego impugnato era stato emesso in sede di riesame della prima dichiarazione di improcedibiltà, il procedimento era unico, e la normativa non era medio tempore mutata.
4. In data 23 gennaio 2007 l’appellata Amministrazione comunale di Genova si è costituita depositando una breve memoria e chiedendo l’accoglimento dell’appello in quanto fondato.
5. In data 18 aprile 2007 l’originaria parte ricorrente si è costituita depositando una breve memoria e chiedendo la reiezione dell’appello in quanto infondato e facendo presente che dovevano essere comunque valutati i motivi assorbiti.
6. In data 16 settembre 2016 l’appellata Amministrazione comunale di Genova ha depositato una ulteriore memoria ribadendo le proprie difese e chiedendo che l’appello venisse accolto.
7. In data 19 settembre 2016 l’originaria parte ricorrente ed odierna parte appellata ha depositato una articolata memoria ribadendo le proprie difese chiedendo che l’appello venisse respinto e riproponendo gli altri motivi di impugnativa del ricorso n. 764/2002 assorbiti in primo grado.
7. In data 28 settembre 2016 la società odierna appellante ha depositato una memoria di replica puntualizzando e ribadendo le proprie difese e chiedendo la reiezione anche dei motivi del ricorso di primo grado assorbiti dal T.a.r. e riproposti da parte appellata.
8. In data 29 settembre 2016 l’originaria parte ricorrente ed odierna parte appellata ha depositato una memoria di replica puntualizzando e ribadendo le proprie difese e facendo presente che:
a) erano inammissibili le censure “nuove” ed ulteriori rispetto a quelle proposte con l’appello, contenute nella memoria “adesiva” depositata dal comune di Genova (punto 8) e comunque la prospettazione del Comune era errata in fatto;
b) erano fondati i riproposti motivi di censura assorbiti dal T.a.r.
9. Alla odierna udienza pubblica del 20 ottobre 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è fondato e va accolto.
2. Al fine di perimetrare le questioni esaminabili, si evidenzia che:
a) la sentenza di primo grado ha accolto uno dei riuniti ricorsi, per un profilo ritenuto assorbente, mentre non ha esaminato le ulteriori censure dedotte dalla parte originaria ricorrente in primo grado;
b) la parte originaria ricorrente in primo grado si è costituita in appello in data 18 aprile 2007 e ha soltanto fatto cenno ai motivi assorbiti in primo grado, non riproponendone il contenuto: soltanto con la memoria depositata in data 16 settembre 2016 essa ha testualmente riproposto gli altri motivi di impugnativa del ricorso n. 764/2002 assorbiti in primo grado;
d) il Collegio ritiene che, anche prima dell’entrata in vigore del c.p.a., la riproposizione dei motivi assorbiti o non esaminati dal giudice di primo grado, pur effettuata con memoria e non nelle forme tipiche dell’appello incidentale, dovesse intervenire entro il termine decadenziale di cui all’art. 37 del r.d. n. 1054/1924, dovendosi altrimenti dichiararla inammissibile per tardività;
d1) ciò in quanto l’unica norma espressamente prevista, per il caso in esame, nel processo amministrativo era l’art. 37 r.d. n. 1054/1924, e tale articolo (applicabile al giudizio di appello ex art. 29 della legge n. 1034/1971) espressamente prevede lo strumento del ricorso incidentale (non già la riproposizione dei motivi assorbiti o non esaminati mediante memoria), il termine per la sua notifica e quello per il suo deposito: è solo in applicazione estensiva dell’art. 346 c.p.c. che, nel processo amministrativo, si afferma il principio della riproponibilità dei motivi assorbiti o non esaminati mediante memoria, così semplificando gli oneri dell’appellante incidentale (proprio), esentandolo dalla necessità di notificazione dell’atto;
d2)l’introduzione di tale opportunità, tuttavia, non poteva comportare anche l’abbandono del termine (perentorio) previsto, in tal modo disapplicando una precisa norma di legge prescrittiva di un termine decadenziale, senza che vi sia una norma che consenta tale interpretazione, ovvero sostituisca un termine all’altro;
e) inoltre (si veda per una completa ricostruzione della disciplina Cons. Stato, sez. IV, 10 agosto 2011, n. 4766) la giurisprudenza antecedente alla entrata in vigore del c.p.a. aveva precisato che: “l’onere di riproposizione dei motivi rimasti assorbiti dalla decisione di primo grado appellata esige, per il suo rituale assolvimento, che la parte appellata indichi specificamente le censure che intende siano devolute alla cognizione del giudice di secondo grado, all’evidente fine di consentire a quest’ultimo una compiuta conoscenza delle relative questioni ed alle controparti di contraddire consapevolmente sulle stesse, con la conseguenza che un indeterminato rinvio agli atti di primo grado, senza alcuna ulteriore precisazione del loro contenuto, si rivela inidoneo ad introdurre nel thema decidendum del giudizio d’appello i motivi in tal modo dedotti, salva la possibilità che la riproposizione stessa avvenga mediante semplice memoria difensiva non soggetta, quindi, alle forme e ai termini dell’appello incidentale” (Cons. Stato, sez. V, 24 gennaio 2007, n. 250);
f) non ravvisando il Collegio motivi per discostarsi da tale orientamento si deve ritenere che:
I) l’unica questione da scrutinare riposa nella fondatezza delle censure contenute nell’appello principale;
II) ciò in quanto la riproposizione dei motivi del ricorso di primo grado assorbiti dal T.a.r. è avvenuta irregolarmente (ed è quindi precluso al Collegio esaminare dette doglianze) in quanto:
III) la memoria del 18 aprile 2007 è tardiva (l’appello venne depositato il 15 dicembre 2006) rispetto al termine di cui all’art. 37 r.d. n. 1054/1924 (“Nel termine di 30 giorni successivi a quello assegnato per il deposito del ricorso, l’autorità e le parti, alle quali il ricorso fosse stato notificato, possono presentare memorie, fare istanze, produrre documenti, e anche un ricorso incidentale, con le stesse forme prescritte per il ricorso.
La notificazione del ricorso incidentale sarà fatta nei modi prescritti per il ricorso principale, presso il domicilio eletto, all’avvocato che ha firmato il ricorso stesso.
L’originale del ricorso incidentale, con la prova delle eseguite notificazioni e coi documenti, deve essere depositato in segreteria nel termine di giorni 10.
Se colui che vuole produrre il ricorso incidentale risiede all’estero, il termine per la notificazione è aumentato nella misura indicata al capoverso secondo dell’art. 36.
I termini e i modi prescritti nel presente articolo per la notificazione e il deposito del ricorso incidentale debbono osservarsi a pena di decadenza.
Il ricorso incidentale non è efficace, se venga prodotto dopo che siasi rinunziato al ricorso principale, o se questo venga dichiarato inammissibile, per essere stato proposto fuori termine”) ed inoltre, se anche fosse stata tempestiva, non sarebbe stata utile allo scopo, in quanto ivi i detti motivi assorbiti erano stati soltanto elencati genericamente, e non riprodotti nel loro contenuto;
IV) la memoria depositata in data 16 settembre 2016, è certamente (vieppiù) tardiva per cui la testuale riproposizione dei motivi del ricorso di primo grado assorbiti dal T.a.r. ivi contenuta è irricevibile in quanto tardiva, e tali motivi non saranno pertanto esaminati dal Collegio;
2.1. Si osserva inoltre che il Comune di Genova, soccombente in primo grado non ha appellato la sentenza, per cui non può ampliare il perimetro delle censure proposte da parte appellante principale, e quindi sono inammissibili tutti gli argomenti critici non direttamente ripropositivi delle censure proposte nell’appello principale.
3. Accertato quindi che l’unica questione da scrutinare riposa nella fondatezza delle censure contenute nell’appello principale, osserva il Collegio che questo è all’evidenza fondato, sia in punto di fatto, che in punto di diritto, in quanto:
a) sotto il profilo fattuale, il parere era stato espresso dalla Commissione Edilizia in data 19 aprile 2000, in termini favorevoli “a condizione che vengano forniti i chiarimenti richiesti nel parere del Settore Edilizia Privata con riferimento alla titolarità e diritti ed alle condizioni poste nel parere regionale”; la carenza del parere della Commissione Edilizia, avuto riguardo al segmento procedimentale culminato nel diniego espresso recante prot. n. 398 del 5 aprile 2002 medio tempore emesso dal Comune di Genova in realtà non sussiste, posto che il diniego suddetto (impugnato dalla odierna parte appellata) è stato emesso in sede di riesame della prima dichiarazione di improcedibiltà e, quindi, in seno ad un unico procedimento (la fase del riesame inequivocabilmente “accedeva” al primo procedimento) ed a fronte di un quadro normativo rimasto immutato;
b) inoltre, deve osservarsi che il primo parere espresso dalla Commissione Edilizia in data 19 aprile 2000, in termini favorevoli “condizionati” aveva già provveduto a perimetrare, in fatto, quale fosse l’unico profilo ostativo individuabile, ed esso era certamente non tecnico, ma giuridico, in quanto riposava nella legittimazione e titolarità dell’area;
c) all’ultima considerazione formulata, se ne lega un’altra, dirimente, e da sola idonea a supportare l’accoglimento dell’appello: per costante giurisprudenza, sin da tempi risalenti (tra le tante si vedano Cons. Stato, sez. V, 17 dicembre 1984, n. 921; id., 29 gennaio 1999, n. 77) è stato affermato il principio per cui “l’obbligatorietà del parere della commissione edilizia è limitata alle sole questioni che interessano l’attuazione, sotto il profilo tecnico, di uno specifico progetto costruttivo in relazione alla vigenza di prescrizioni generali e speciali nella materia edilizio-urbanistica”; da tale principio si è fatto discendere il corollario secondo il quale “è legittimo il diniego di concessione edilizia (nella specie, in sanatoria) in assenza del parere della commissione edilizia comunale, qualora tale diniego si basi esclusivamente su ragioni giuridiche”;
d) l’attualità di tale insegnamento è presidiata da solide ragioni logiche: laddove infatti non vi siano problematiche di fattibilità dell’intervento progettato, ma l’unico dubbio da risolvere si incentri su problematiche di natura giuridica (e così, incontestatamente, era nel caso di specie) non avrebbe senso appesantire il procedimento richiedendo l’apporto di un organo squisitamente tecnico, quale è la Commissione Edilizia, né tampoco l’assenza di tale apporto tecnico potrebbe viziare alcunché.
4. Alla stregua delle superiori considerazioni, l’appello deve essere accolto con consequenziale riforma dell’impugnata sentenza, e reiezione del ricorso di primo grado, con salvezza degli atti impugnati.
4.1. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: tra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663).
4.2. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
5. Le spese processuali del doppio grado tuttavia possono essere compensate tra tutte le parti stante la reciproca parziale soccombenza in rito.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e per l’effetto in riforma dell’impugnata sentenza, respinge il ricorso di primo grado, con salvezza degli atti impugnati.
Spese processuali del doppio grado compensate tra tutte le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco, Presidente FF
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Andrea Migliozzi, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere
Nicola D’Angelo, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Fabio Taormina | Raffaele Greco | |
IL SEGRETARIO