E’ stato un dicembre piuttosto intenso e delicato quello che si appresta a concludersi sulla questione relativa alla presunta illegittimità costituzionale della c.d. “Riforma della banche popolari”, approvata con Decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito con modificazioni in legge 24 marzo 2015, n. 33), che prevede la trasformazione delle banche popolari in società per azioni.
Data la complessità della vicenda e considerato il frastagliato iter relativo alla questione, è bene procedere con un sintetico e aggiornato riepilogo della situazione.
In primo luogo, il Consiglio di Stato, Sez. VI, con l’ordinanza n. 5383 del 2 dicembre 2016, si è pronunciato sul ricorso proposto da alcuni soci degli istituti di credito interessati e ha sospeso in parte la Circolare della Banca d’Italia n. 285 del 17 dicembre 2013, 9° aggiornamento del 9 giugno 2015, recante le misure attuative per la trasformazione delle banche popolari in società per azioni.
Accogliendo le richieste dei difensori dei ricorrenti, firmatari del ricorso, gli avvocati Carlo Comandè, Allegro Pontani e Zanchetti – i giudici amministrativi hanno sancito che, diversamente da quanto statuito dalla riforma, il rimborso in favore dei soci delle banche popolari che intendono esercitare il diritto di recesso in quanto contrari alla trasformazione in società per azioni può essere differito e, quindi, rinviato ad altra data, ma certamente non può essere negato.
Inoltre, i giudici della Sesta Sezione del Consiglio di Stato hanno contestato il contenuto della circolare nella parte in cui, comunque, attribuisce alla Banca d’Italia il potere di disciplinare le modalità di tale esclusione, nella misura in cui detto potere viene attribuito “anche in deroga a norme di legge”, con conseguente attribuzione all’Istituto di vigilanza di un potere di delegificazione in bianco.
Su entrambe le questioni i giudici di Palazzo Spada hanno dichiarato che avrebbero sollevato, all’esito della stessa camera di consiglio, la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Consulta, cosa effettivamente verificatasi con la pubblicazione dell’ordinanza di rimessione n. 5277 del 15 dicembre 2016, sulla quale è attesa per gennaio 2017 la decisione della Corte Costituzionale.
In secondo luogo, sempre con riferimento a profili di legittimità della riforma delle banche popolari, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 287 del 21 dicembre 2016, ha dichiarato in parte inammissibili e in parte infondate le questioni sollevate dalla Regione Lombardia rispetto alla legittimità dell’art. 1, D.L. 24 gennaio 2015, n. 3.
Due sono i punti posti all’attenzione della Corte:
1) la Consulta ha dichiarato che “la scelta del legislatore statale di assumere la soglia dell’attivo di 8 miliardi di euro come indice della dimensione della banca popolare, da trasformare in s.p.a. è coerente con lo scopo della norma”. Pertanto, a parere dei giudici di costituzionalità, il legislatore non è andata oltre i limiti delle proprie attribuzioni, eventualmente in conflitto con la potestà regionale;
2) la Consulta ha affermato che il governo italiano ha sufficientemente motivato le ragioni di necessità ed urgenza che hanno giustificato l’adozione dello strumento del decreto-legge per la riforma delle banche popolari, rispettando quindi il disposto costituzionale di cui all’art. 77. Ragioni che “escludono che si sia in presenza di evidente carenza del requisito della straordinaria necessità e urgenza di provvedere”.
Clicca qui per il testo dell’ordinanza del Cons. di Stato, sez. VI, n. 5383 del 2 dicembre 2016
Clicca qui per il testo della sentenza della Corte Cost. n. 287 del 21 dicembre 2016