La Cassazione, Sez. Lavoro, con la sentenza n. 2011 del 26 gennaio 2017, si è pronunciata sulla disciplina in tema di demansionamento applicabile nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato e sull’applicazione della sufficiente equiparazione formale tra le mansioni.
Secondo i giudici della Suprema Corte, “in materia di mansioni nel pubblico impiego contrattualizzato non si applica l’art. 2103 c.c., essendo la materia disciplinata compiutamente dall’art. 52 del D.Lgs. n. 165 del 2001, che assegna rilievo, per le esigenze di duttilità del servizio e di buon andamento della P.A., solo al criterio dell’equivalenza formale con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita”.
Pertanto, nell’ambito delle mansioni nel pubblico impiego contrattualizzato, non vi è alcuna violazione dell’art. 52 d.lgs. n. 165/2001, “qualora le nuove mansioni rientrino nella medesima area professionale prevista dal contratto collettivo, senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente delle medesime mansioni”.
Quindi, in presenza di una espressa previsione della contrattazione collettiva di riferimento non è compito del giudice esprimere apprezzamenti o, addirittura, sindacare la natura equivalente delle mansioni, in quanto tale funzione dovrebbe essere specificamente ascrivibile alle parti sociali.