Appalti di servizi legali: la sentenza del TAR Palermo

Il TAR Sicilia – Palermo, Sez. III, con la sentenza n. 334 del 6 febbraio 2017, si è espresso sulla legittimità di un bando di un appalto di servizi legali indetto da un Comune, il quale avrebbe violato i principi in tema di equo compenso e le regole di leale concorrenza.

I giudici del TAR palermitano hanno innanzitutto messo in risalto che la disciplina contenuta nel nuovo codice degli appalti (D. Lgs. 50/2016) annovera all’art. 17 l’ambito dei servizi legali tra i c.d. “settori esclusi”, non trovando applicazione, sotto il profilo oggettivo, gli appalti e le concessioni di servizi concernenti i servizi legali, sebbene venga precisata la necessità del rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e pubblicità.

Per tali ragioni è stato ritenuto illegittimo il bando emanato dal Comune, il quale nella procedura non ha rispettato il principio di equo compenso.

Infine, il Collegio, richiamando una sentenza del CdS, ha affermato che “in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione” è già insito nell’ordinamento ed è previsto nell’art. 2233, cod. civ., che espressamente si occupa del contratto d’opera intellettuale, precisando che tale norma, contenuta nel codice civile, si indirizza, infatti, al singolo professionista, disciplinando i suoi rapporti con il cliente nell’ambito del singolo rapporto contrattuale, senza attribuire alcun potere di vigilanza agli Ordini in merito alle scelte contrattuali dei propri iscritti”.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

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Pubblicato il 06/02/2017

N. 00334/2017 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1250 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Ordine degli Avvocati di Palermo, in persona del Presidente avv. Francesco Greco, legale rappresentante p.t., in quale agisce anche in proprio, rappresentati e difesi dall’avvocato Lucia Di Salvo C.F. DSLLCU68E50G273Y, con domicilio eletto presso il suo studio in Palermo, via Notarbartolo N. 5;

contro

Comune di Monreale , in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Girolamo Rizzuto C.F. RZZGLM48L17G273M, con domicilio eletto presso il suo studio in Palermo, via D. Chinnici 14;
Centrale Unica di Committenza Per il Comune di Monreale e di Altofonte non costituito in giudizio;

per l’annullamento

quanto al ricorso principale:

– del bando di gara per l’affidamento del servizio giuridico-legale per il Comune di Monreale – CIG 6657960267 datato 15 aprile 2016 e trasmesso in pari data all’ordine degli Avvocati dì Palermo (a mezzo PEC prot. N. 11764 del 15.04.2016);

– del disciplinare d’oneri/schema di contratto al medesimo allegato;

– della determinazione dirigenziale n. 63/AIG del 30 marzo 2016, indicata nel ridetto bando, a mente della quale è stata indetta la predetta procedura aperta, determinazione della quale si sconoscono i contenuti;

– della determinazione del responsabile della C.U.C. n. 003 del 14 aprile 2016 avente ad oggetto affidamento del servizio giuridico legale per il Comune di Monreale – CIG 6657960267 – indizione procedura aperta;

– della deliberazione della G.M. del Comune di Monreale n. 26/IE del 19 febbraio 2016;

– dell’eventuale provvedimento (anche implicito), del quale si sconoscono i contenuti, con il quale sia stato rigettato l’invito all’immediato ritiro in autotutela del bando sopra indicato;

– del verbale di gara n. 1 dell’11 maggio 2016, comunicato all’Ordine con PEC del 12 maggio 2016;

– nonché di ogni atto presupposto, connesso o conseguente ai provvedimenti impugnati;

quanto al ricorso per motivi aggiunti depositato il 26 maggio 2016:

del verbale di gara n. 2 del18 maggio 2016, comunicato all’Ordine con PEC del 20 maggio 2016;

quanto al ricorso per motivi aggiunti depositato il 19 luglio 2016:

del provvedimento di aggiudicazione definitiva del servizio comunicato con avviso del 21 giugno 2016 e trasmesso via PEC in pari data;

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Monreale in Persona del Sindaco P.T.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2017 la dott.ssa Solveig Cogliani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il ricorso indicato in epigrafe l’Ordine degli Avvocati di Palermo, unitamente al proprio Presidente, ha censurato gli atti della procedura di affidamento del servizio giuridico-legale per il Comune di Monreale, deducendo i seguenti profili di illegittimità:

1 – violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 3 e 23, l. n. 247 del 2012, violazione delle norme a tutela dell’indipendenza e dell’autonomia degli avvocati, eccesso di potere per traviamento, erroneità dei presupposti e sviamento, in quanto dalla lettura dell’oggetto del servizio si evincerebbe che lo stesso comporti lo svolgimento di tutte e attività e le funzioni proprie di un ufficio legale, trasformando dunque l’attività dell’avvocato in quella di un lavoratore dipendente, tuttavia senza le garanzie previste: in tal senso deporrebbero una serie di doveri e prescrizioni sulle modalità di espletamento del servizio, l’attività di supporto giuridico-legale ai vari uffici dell’ente, rimanendo invece la durata dell’incarico indeterminata (il rapporto si intende concluso al completamento di tutti i procedimenti giudiziali avvenuti nel corso dei 24 mesi) senza previsione di alcun compenso ulteriore con riferimento al prosieguo oltre i 24 mesi ed essendo prevista la possibilità di revoca insindacabile dell’incarico da parte dell’Amministrazione nonché da parte della medesima di affidare , per particolari controversie, l’incarico ad altro avvocato di fiducia;

2 – i medesimi vizi, la violazione dell’art. 36 Cost. dell’art. 2233 c.c. , degli artt. 6, 9, 29 del codice deontologico, dei principi di autonomia e decoro degli avvocati; l’eccesso di potere per travisamento, erroneità nei presupposti e sviamento, la violazione dell’art. 97 Cost. nonché dei principi in materia di fissazione della base d’asta e delle regole della massima partecipazione e della leale concorrenza, poiché del tutto inadeguato sarebbe il compenso di euro 48.000,00 previsto a base d’asta, da ribassare in sede di partecipazione all’incanto; in particolare l’irragionevolezza del compenso potrebbe desumersi dai parametri di cui al d.m. n. 55 del 2014;

3 – la violazione dei su richiamati principi sotto altro profilo e l’ingiustizia manifesta, poiché la procedura sarebbe un modo per ‘aggirare’ la previsione di cui all’art. 23 della legge professionale e le prescrizioni ivi previste anche in termini di trattamento economico;

4 – violazione del principio di determinazione dell’oggetto di gara di cui all’allegato II B, n. 21 al cod. contratti pubblici, poiché l’avvocato sarebbe chiamato a svolgere sia l’attività giudiziale e stragiudiziale, senza specificazione, sia quella di formazione ed aggiornamento del personale, che non rientra nel novero dei servizi legali;

5 – violazione delle norme e principi menzionati anche con riferimento all’art. 12, l. n. 247 del 2012, in quanto il compenso dovrebbe ritenersi ulteriormente inciso dalla necessità di stipulare un’adeguata polizza professionale.

Pertanto, i ricorrenti chiedevano l’annullamento degli atti di gara.

Con decreto monocratico era respinta l’istanza di misura cautelare d’urgenza.

Con il primo ricorso per motivi aggiunti, i ricorrenti censuravano ulteriormente il verbale di gara n. 2 del 18 maggio 2016, comunicato via PEC il 20 maggio 2016, per illegittimità deriva e diretta per i medesimi vizi sopra enunziati.

Si costituiva il Comune per resistere.

Questo TAR respingeva l’istanza cautelare con ordinanza n. 672 del 2016, tuttavia riformata in sede di appello, con ordinanza n.466 del 2016 ai fini della sollecita trattazione del merito “Considerato che le censure articolate dalla parte appellante si presentano meritevoli di approfondito esame con riguardo, in particolare, alla dedotta indeterminatezza della consistenza quantitativa oggettiva dell’attività professionale da fornire, e ai riflessi da ciò discendenti”.

Con il secondo ricorso per motivi aggiunti erano dedotte le medesime censure sopra riferite con riguardo al provvedimento di aggiudicazione.

Il Comune controdeduceva in relazione ai vari profili denunziati, evidenziando che:

deve essere escluso ogni meccanismo istitutivo di rapporto subordinato in quanto si verte, nella specie, in un appalto di servizi (legali) inquadrabili nella tipologia di cui al punto 21 dell’All. B al codice dei contratti pubblici vigente all’epoca della procedura; ciò risulterebbe confermato, da un lato, dall’esclusione dell’affidamento degli incarichi di particolare rilevanza, dall’altro, dall’esercizio del servizio presso lo studio del professionista incaricato, con correlata possibilità per l’avvocato di continuare a svolgere la propria attività per altri clienti, dalla possibilità di recedere senza motivazione, dall’obbligo di tracciabilità dei flussi finanziari;

deve darsi atto che il d.l. n. 1 del 2012 ha abrogato le tariffe professionali e semmai le eventuali questioni relative al decoro riguarderebbero i rapporti tra il professionista e l’ordine di appartenenza; inoltre, il parametro corrispettivo a base d’asta deve essere considerato nel suo totale di euro 70.000,00, in quanto comprensivo dell’IVA, CPA e spese generali, somme alle quali andrà aggiunto l’importo del costo del contributo unificato e di notificazione per ogni singolo atto;

l’attività formativa andrebbe ricondotta al novero dei servizi legali;

sarebbe prevista la copertura assicurativa corrispondente agli schemi tipo di cui al d.m. attività produttive n. 123 del 2004.

Per l’udienza di discussione le parti depositavano ulteriori memorie. All’udienza del 23 gennaio 2017, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

I – Osserva il Collegio, in via preliminare, che il ricorso introduce censure in ordine alla correttezza della legge di gara ed ai successivi atti della procedura, sicché esula dal presente giudizio ogni profilo attinente ai rapporti tra professionista e l’ordine di appartenenza – differentemente da come evidenziato da parte resistente – dovendo essere delimitato l’ambito della cognizione di questo giudice e la sua giurisdizione (cfr.Tar Campania – Salerno, Sez. II, 16 luglio 2014, n. 1383), con riferimento al petitum.

II – In primo luogo appare necessario procedere ad una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento.

La gara, su cui si verte, è stata indetta in esecuzione della determinazione dirigenziale n. 63 del 30 marzo 2016, ai sensi dell’All. B al cod. dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. n. 163 del 2006, con bando del 15 aprile 2016, in data dunque antecedente all’entrata in vigore della nuova disciplina di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50. Il nuovo Codice ha chiarito, all’art. 17, l’esclusione della propria applicazione, sotto il profilo oggettivo, degli appalti e delle concessioni di servizi concernenti i servizi legali, pur essendo precisata la necessità del rispetto – tra gli altri – dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e pubblicità.

Nella vigenza del previgente Codice dei contratti (di cui al d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) i servizi legali rientravano nell’All. II B tra gli appalti di servizi parzialmente esclusi.

La giurisprudenza amministrativa affermava, a riguardo, che anche sotto la soglia comunitaria la scelta del contraente avrebbe dovuto seguire le regole comunitarie della trasparenza, non discriminazione e pubblicità della procedura (TAR Calabria n. 330/2007 e n. 15430/2006; Cons. di Stato n. 3206/2002), differenziandosi tra incarico occasionalmente svolto dal professionista e servizio legale esternalizzato (Autorità di Vigilanza, determinazione n. 4/2011; Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2730 dell’11 maggio 2012).

III – Orbene, tale quadro normativo rileva ai fini della presente decisione, poiché le censure di parte istante non risultano tese solo ad sottolineare la violazione delle specifiche norme poste a tutela dell’autonomia e del decoro della professione forense in quanto tali, ma anche sono dirette – sotto una ulteriore prospettazione – ad evidenziare come l’eccessiva riduzione del compenso (ipotizzata in riferimento alla possibile ‘espansione’ dei servizi che potranno essere richiesti al professionista) e la connessa mancanza di determinazione dell’oggetto dell’incarico, proprio in quanto incidenti sull’autonomia ed il decoro del professionista, sono stati elementi idonei a comprimere notevolmente la partecipazione alla procedura selettiva, alterandone in radice lo svolgimento in violazione delle regole della concorrenza e di buona amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione (motivo II).

In tale ottica, dunque, le censure svolte da parte ricorrente di cui al motivi II-IV possono essere esaminate congiuntamente per ragioni di sinteticità, perché – come detto – con esse gli istanti deducono l’illegittimità della procedura e prima ancora del bando, in quanto l’indeterminatezza del contenuto delle prestazioni richieste e la conseguente irrisorietà del compenso sarebbe in grado di compromettere, con il decoro dell’ordine e dei professionisti, il meccanismo della competizione.

IV – Osserva il Collegio, anche a seguito dell’ulteriore approfondimento proprio della presente fase di giudizio, come sollecitato dal CGA, con la richiamata ordinanza resa in sede di appello, che, nel senso dedotto da parte ricorrente, depone particolarmente il secondo punto dell’art. 5 co. 1 del disciplinare.

Con esso, a fronte della definizione di ciò che è compreso nel servizio (art. 2 , co. 2 del disciplinare), si prevede l’obbligo del professionista di portare a termine, oltre la scadenza del contratto, tutte le cause instaurate “sino all’esecutività delle sentenze”, senza previsione di ulteriore compenso. Ne discende che lo svolgimento del servizio legale – dopo il decorso del biennio – è destinato a rimanere senza una definizione temporale e sostanzialmente gratuito per un tempo indeterminato.

Rileva, altresì, che l’art. 2 del disciplinare prevede nell’ambito dell’incarico anche il supporto giuridico –legale ai vari Uffici e l’emissione di pareri ai singoli dirigenti.

Siffatte disposizioni del disciplinare/schema di contratto allegato al bando assumono una connotazione specificamente rilevante, nell’esame congiunto con l’art. 9 del bando, che a fronte di una iniziale previsione della possibilità del professionista di svolgere il servizio presso il proprio studio, dispone che il medesimo dovrà garantire la propria presenza presso gli uffici comunali “ogni volta che l’amministrazione comunale o ritenga necessario”.

Ne discende palesemente contraddetta l’affermazione difensiva dell’Amministrazione in ordine alla libertà del professionista di svolgere la propria attività presso il suo studio. Ma valgono le ulteriori considerazioni che seguono.

Per un verso, è senza dubbio vero quanto affermato dalla difesa comunale in ordine al venir meno del sistema tariffario con il c.d. decreto Bersani (d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in L. 4 agosto 2006, n. 248), che ha eliminato i minimi tariffari inderogabili spingendo in direzione della determinazione consensuale e omnicomprensiva del prezzo della prestazione, ed altresì, deve darsi, atto dell’orientamento espresso dal Consiglio di Stato con sentenza 22 gennaio 2015, n. 238 con la quale si è menzionata criticamente la circostanza, accertata dall’AGCM (nell’ambito del procedimento all’esame) che la prospettiva ordinistica è tesa a ritenere che un prezzo inferiore alla tariffa minima non risulterebbe decoroso per la professione, comportando di fatto una reintroduzione dei minimi tariffari, eludendo così l’abolizione degli stessi disposta dal legislatore (art. 2 decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248; art. 9 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge 24 marzo 2012, n. 27).

Tuttavia, proprio nella richiamata pronunzia il Consiglio di Stato ha evidenziato i principi posti dalla Corte di giustizia nella sentenza 18 luglio 2013, C-136/12, tra i quali quello secondo cui la nozione eurounitaria di impresa include anche l’esercente di una professione intellettuale, rimettendo alla valutazione del giudice nazionale l’esame di comportamenti anticoncorrenziali (nel caso che veniva all’esame si verteva nella diversa ed opposta fattispecie in cui un ordine professionale aveva ancorato il decoro ad un livello tariffario).

Nella predetta pronunzia, peraltro, si è affermato anche che il principio secondo cui “in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione” è già insito nell’ordinamento ed è previsto nell’art. 2233, cod. civ., che espressamente si occupa del contratto d’opera intellettuale, precisando che tale norma, contenuta nel codice civile, si indirizza, infatti, al singolo professionista, disciplinando i suoi rapporti con il cliente nell’ambito del singolo rapporto contrattuale, senza attribuire alcun potere di vigilanza agli Ordini in merito alle scelte contrattuali dei propri iscritti.

Tuttavia, nella specie si verte nella particolare ipotesi in cui l’indeterminatezza dei servizi richiesti al professionista, come emerge dalla lettura combinata del bando e del disciplinare (come sopra evidenziato), per un verso è suscettibile di generare un’accentuazione dell’esiguità del compenso, per altro incide gravemente sulla stessa correttezza della attivazione, da parte del Comune, di una procedura di tipo comparativo idonea a consentire, a tutti gli aventi diritto, di partecipare, in condizioni di parità e uguaglianza, alla selezione per la scelta del miglior contraente.

Deve condividersi, pertanto, la censura contenuta nel secondo motivo di ricorso, con cui la parte ricorrente deduce (unitamente e in modo connesso e conseguente, non solo la violazione dei principi in tema di equo compenso) anche la violazione delle regole delle procedure selettive pubbliche, della massima partecipazione della leale concorrenza, di cui – per ciò che rileva sotto il profilo dell’interesse – l’Ordine ed il suo Presidente in proprio assumono la lesione ai fini del più ampio concorrere di professionisti alla procedura medesima, nell’interesse della collettività unitariamente considerata coincidente con i principi di buona amministrazione e di garanzia della trasparenza e della par condicio, come elencati tra i principi comunque applicabili anche in ipotesi di procedure selettive nei settori esclusi dall’ambito di applicazione del codice dei contratti pubblici.

VI – Tali considerazioni sono sufficienti a comportare l’accoglimento del ricorso e, per l’effetto, l’annullamento degli atti gravati con il ricorso introduttivo e con i motivi aggiunti, con conseguente condanna l’Amministrazione al pagamento delle spese di lite, che sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie e per l’effetto, annulla i provvedimenti gravati. Condanna il Comune resistente al pagamento nei confronti dei ricorrenti delle spese di lite complessivamente determinate in euro 1.500,00 (millecinquecento/00) oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Solveig Cogliani, Presidente, Estensore

Nicola Maisano, Consigliere

Sebastiano Zafarana, Primo Referendario

IL PRESIDENTE, ESTENSORE
Solveig Cogliani

IL SEGRETARIO

Redazione

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