Il Consiglio di Stato, Comm. Speciale, ha reso il parere n. 282 del 1° febbraio 2017 sulla proposta dell’ANAC di “Linee guida per l’iscrizione nell’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house previsto dall’art. 192 del d.lgs. 50/2016”.
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Si riporta di seguito il testo del parere del Consiglio di Stato.
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Numero 00282/2017 e data 01/02/2017 Spedizione
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Adunanza della Commissione speciale del 9 gennaio 2017
NUMERO AFFARE 00001/2017
OGGETTO:
Autorità Nazionale Anticorruzione.
“Linee guida per l’iscrizione nell’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house previsto dall’art. 192 del d.lgs. 50/2016″;
LA COMMISSIONE SPECIALE
LA SEZIONE
Vista la nota del Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione prot. n. 192588 con cui è stato chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e uditi i relatori Pres. FRANCESCO CARINGELLA e Cons. DARIO SIMEOLI;
PREMESSO E CONSIDERATO
1. La richiesta di parere
Con nota del 29 dicembre 2016, il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione ha trasmesso il documento denominato «Linee Guida per l’iscrizione nell’Elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house, previsto dall’art. 192 del d.lgs. 50/2016», al fine di acquisire il parere del Consiglio di Stato.
Le linee guida sono state adottate in attuazione dell’art. 192, comma 1, del d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50 (di seguito: codice), il quale, nell’esercizio della delega conferita dall’articolo 1, comma 1, lettera eee) della legge 28 gennaio 2016, n.11, ha istituito presso l’ANAC, «anche al fine di garantire adeguati livelli di pubblicità e trasparenza nei contratti pubblici, un elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house». La medesima disposizione precisa che «l’iscrizione nell’elenco avviene a domanda, dopo che sia stata riscontrata l’esistenza dei requisiti, secondo le modalità e i criteri che l’ANAC definisce con proprio atto». Aggiunge altresì che la «domanda di iscrizione consente alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori sotto la propria responsabilità, di effettuare affidamenti diretti dei contratti all’ente strumentale».
L’art. 192, comma 1, ha investito l’ANAC del potere di dettare disposizioni vincolanti sulla tenuta dell’elenco, nell’esercizio di un potere che si traduce in atti che non sono regolamenti in senso proprio (art. 213, comma 2, del codice), ma atti di regolazione flessibile, di portata generale e con efficacia vincolante, come tali sottoposti alle garanzie procedimentali e giustiziabili davanti agli organi della giustizia amministrativa ai sensi dell’art. 120 del codice del processo amministrativo (così, sulle linee guida vincolanti ANAC e atti assimilabili, cfr. parere Cons. Stato, Commissione speciale del 1° aprile 2016, n. 855, sullo schema di codice dei contatti pubblici, punto II.g).5).
Le linee guida disciplinano: le informazioni contenute nell’elenco (punto 2); i soggetti legittimati a richiedere l’iscrizione (punto 3); le modalità di presentazione della domanda (punto 4) e l’avvio del procedimento (punto 5); l’istruttoria per la verifica dei requisiti (punto 6); la comunicazione di variazioni (punto 7); la cancellazione (punto 8).
Correttamente, le linee guida si occupano dei soli requisiti “soggettivi” dell’in house, e non delle regole di trasparenza dei singoli affidamenti, quali: l’onere per le stazioni appaltanti di motivare il mancato ricorso al mercato (art. 192, comma 2); l’obbligo di pubblicazione e aggiornamento di tutti gli atti connessi all’affidamento, ove non secretati (art. 192, comma 3).
2. Natura giuridica dell’elenco ed effetti dell’iscrizione
È bene precisare la rilevanza giuridica del nuovo istituto nel quadro del regime speciale dell’in house providing.
Si deve richiamare al riguardo il già citato parere n. 855/2016 reso dalla Commissione speciale di questo Consiglio che, muovendo dall’assunto della sufficienza, come fattore di legittimazione all’affidamento domestico, della mera presentazione della domanda, e non dell’effettiva iscrizione nell’elenco, ha dedotto che la pubblicità prevista dal codice abbia efficacia dichiarativa.
Il legislatore non ha, quindi, inteso assoggettare l’esercizio della facoltà di avvalersi del modulo in house a un accertamento costitutivo o a un’iscrizione con efficacia abilitante. Infatti, l’art. 192 non ha ampliato il catalogo dei requisiti sostanziali che consentono all’amministrazione aggiudicatrice o all’ente aggiudicatore l’affidamento di compiti di autoproduzione a “proprie” strutture organizzative, senza procedure competitive, e in alternativa al ricorso al mercato secondo logiche di outsourcing.
Supportano tale conclusione i seguenti, concomitanti, argomenti:
– le condizioni di esclusione di un appalto pubblico (o di una concessione) dall’ambito di applicazione del codice e, quindi, gli elementi costitutivi della fattispecie dell’affidamento in house, sono dettate esclusivamente dall’art. 5 del codice – norma di portata generale e “auto-sufficiente” – che non contiene alcun riferimento all’elenco;
– in linea di continuità con detta normativa, anche l’art. 16 del d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (“testo unico in materia di società pubbliche”) fissa i requisiti sostanziali di tale modello alternativo all’esternalizzazione (controllo analogo, attività dedicata, partecipazione pubblica qualificata), senza contemplare il profilo pubblicitario;
– i criteri direttivi per il recepimento delle direttive comunitarie vietano l’introduzione, ovvero il mantenimento, di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive medesime (cosiddetto goldplating);
– rispetto alle finalità perseguite, da leggere nel quadro comunitario di riferimento, sarebbe priva di proporzionalità una regola che, pur in presenza dei requisiti sostanziali, subordinasse la praticabilità dell’affidamento all’iscrizione nell’elenco, paralizzando, nelle more della definizione della procedura pubblicitaria, l’esercizio di un potere discrezionale attribuito dalla legge.
Cionondimeno, l’elenco non ha una portata meramente notiziale, volta esclusivamente a sollecitare un controllo esterno del “mercato”.
Lo attesta in primis, sul piano letterale, la constatazione che, alla stregua del dato testuale dell’art. 192, comma 1, l’iscrizione è disposta «anche al fine di garantire livelli di pubblicità e trasparenza nei contratti pubblici», così sottintendendo la sussistenza di altri e più pregnanti effetti giuridici del meccanismo pubblicitario e dei poteri ad esso connessi.
Con espressioni di sicura portata precettiva, poi, la medesima norma stabilisce che la domanda di iscrizione «consente» agli enti pubblici di effettuare «sotto la propria responsabilità» affidamenti diretti e che, prima dell’iscrizione nell’elenco, deve essere «riscontrata [da parte dell’ANAC] l’esistenza dei requisiti» per procedere all’affidamento diretto.
In presenza di tale dettato legislativo, questa Commissione speciale ritiene di accedere a un’interpretazione, coerente con il sistema normativo di riferimento, in cui la funzione di controllo assegnata all’ANAC sia pienamente compatibile con lo schema funzionale secondo cui l’autoproduzione mediante organismi domestici è subordinata soltanto al rispetto delle condizioni fissate direttamente dalla legge.
L’impostazione ricostruttiva che meglio concilia i due descritti elementi appare essere la seguente.
La domanda di iscrizione nell’elenco ‒ doverosa e presidiata dalle sanzioni di cui all’art. 213 del codice ‒ non costituisce un atto di iniziativa procedimentale diretto ad assegnare all’amministrazione aggiudicatrice o all’ente aggiudicatore un “titolo” abilitativo necessario per procedere ad affidamenti diretti. Essa ha, piuttosto, una duplice rilevanza.
Da un lato – secondo uno schema concettuale che estende al potere amministrativo sottoposto a controllo pubblicistico il paradigma della segnalazione certificata delle attività private di cui all’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 – essa consente ex se di procedere all’affidamento senza gara, rendendo operativa in termini di attualità concreta, senza bisogno dell’intermediazione di un’attività provvedimentale preventiva, la legittimazione astratta riconosciuta dal legislatore.
Dall’altro lato, detta domanda innesca una fase di controllo dell’ANAC, tesa a verificare la sussistenza dei presupposti soggettivi ai quali la normativa – comunitaria e nazionale – subordina la sottrazione alle regole della competizione e del mercato. Tale controllo, quando si esercita con esito positivo, non si realizza mediante l’espressione di un “consenso”, incompatibile con l’assenza di un regime autorizzatorio, bensì si esaurisce nel mero “riscontro” della sussistenza dei requisiti di legge, con conseguente iscrizione che consolida una legittimazione già assicurata, nei termini descritti, dalla presentazione della domanda.
La verifica dell’ANAC si traduce in un provvedimento solo se si conclude con un esito negativo (diniego di iscrizione nell’elenco o cancellazione dallo stesso). In tal caso, l’Autorità non adotta un provvedimento di rigetto di un’istanza, bensì un atto di accertamento negativo, assimilabile a un provvedimento di esercizio del potere inibitorio analogo a quello del citato art. 19 della legge n. 241 del 1990. Tale determinazione rende le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori incapaci (rebus sic stantibus) di procedere (per il futuro) ad affidamenti diretti a quella specifica società. È evidente, infatti, che se la domanda di iscrizione consente all’ente controllato di avvalersi della facoltà legale di affidamento domestico, il rigetto della medesima o la cancellazione dell’iscrizione non può non riverberarsi, per coerenza nel sistema, nel venir meno, per il futuro, del presupposto legittimante. L’effetto pregiudizievole evidenziato da tale deminutio consente di qualificare tali atti alla stregua di provvedimenti amministrativi, esercizio di potere autoritativo, come tali impugnabili davanti agli organi della giustizia amministrativa.
In assenza di norma di legge abilitante, e in conformità ai principi comunitari di tutela del legittimo affidamento e di salvaguardia della sécurité juridique, si deve, invece, escludere che il diniego di iscrizione o la cancellazione possa produrre l’automatica caducazione degli affidamenti in essere e, a fortiori, dei contratti già stipulati (vedi punto 4).
Su queste basi, il Consiglio di Stato formula i seguenti rilievi ulteriori.
3. La verifica dei requisiti
3.1. Le linee guida non possono integrare, alla stregua dei rilievi che precedono, i presupposti legittimanti l’in house providing, come definiti dall’art. 12 della direttiva 24/2014/UE e recepiti nell’art. 5 del codice e dall’art. 16 del d.lgs. n. 175 del 2016, ma devono limitarsi a una loro prudente esemplificazione.
Si propone, quindi, la riformulazione del punto 6 dello schema nel senso di rinviare ai requisiti legali o, in alternativa, di chiarire che i parametri fissati, con particolare riferimento al cd. “controllo analogo”, sono esemplificativi e non fissano una griglia esaustiva, che si tradurrebbe in non consentiti precetti integrativi o modificativi delle elastiche regole fissate dalla legge.
Va segnalato, a conferma di quanto prima rilevato, che l’art. 192, comma 1, secondo periodo, attribuisce all’ANAC il potere di fissare le “modalità” e i “criteri” di iscrizione, senza investirla del compito di dettare regole innovative sui requisiti sostanziali dell’istituto.
Ciò rimarcato in linea di principio, si proceder ora all’esame di alcuni punti specifici dell’articolato in subiecta materia.
3.2. I punti 2.1., 6.3. e 6.3.3. inseriscono, tra i possibili indici della presenza del controllo analogo, anche le prerogative speciali garantite all’ente affidante da non meglio precisati «strumenti di diritto pubblico» o dal «contratto di servizio».
Tali indicazioni non sono compatibili con gli strumenti giuridici utilizzabili per realizzare il controllo analogo, come definiti all’art. 16 del citato d.lgs. n. 175 del 2016. Tale norma, sul presupposto che il soggetto in house non configuri un tipo societario aggiuntivo, ha ritenuto di introdurre le sole deroghe al diritto societario strettamente necessarie alla realizzazione dell’assetto di controllo analogo: la facoltà di attribuzione ai soci di poteri ulteriori rispetto al criterio ordinario di distribuzione delle competenze tra assemblea e amministratori; la possibilità di durata dei patti parasociali superiore a quella massima quinquennale. In tale contesto normativo, gli «strumenti di diritto pubblico» e il «contratto di servizio» non rientrano tra le soluzioni giuridiche attraverso le quali è possibile introdurre nello schema societario il requisito del controllo analogo. Le linee guida non devono suggerire alle amministrazioni aggiudicatrici deroghe al diritto societario non consentite dall’ordinamento.
3.3. L’ultimo periodo del punto 6.3. prosegue affermando che il «controllo analogo deve avere ad oggetto sia gli organi che gli atti dell’organismo partecipato e deve riguardare gli aspetti economici, patrimoniali, finanziari, di qualità dei servizi e della gestione».
Tale proposizione normativa non pare allineata a quella, più duttile ed essenziale, utilizzata dall’art. 5 del codice, secondo cui all’amministrazione affidante deve essere consentito di esercitare «un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata».
3.4 Il punto 6.3.1. individua tre diversi momenti del controllo analogo: ex ante, contestuale, ex post.
In primo luogo, l’eccesso di esemplificazione (peraltro, con l’utilizzo di espressioni non prive di indeterminatezza: «documento di programmazione dell’amministrazione aggiudicatrice»; «deliberazioni societarie di amministrazione straordinaria») può avere l’effetto indesiderato di irrigidire oltremodo i margini operativi delle stazioni appaltanti.
Qualche riferimento, inoltre, appare ultroneo (il bilancio, secondo il regime del diritto societario, deve già essere approvato dall’assemblea dei soci).
Andrebbe, da ultimo, precisato se le tre anzidette modalità “temporali” del controllo analogo siano alternative o (come pare preferibile, alla stregua delle indicazioni ermeneutiche ricavabili dalla giurisprudenza) cumulative.
4. La cancellazione dall’elenco e la revoca degli appalti
Il punto 8.8. prevede che, dalla data di cancellazione dall’elenco, «i contratti già aggiudicati devono essere revocati e affidati con le procedure di evidenza pubblica previste dal Codice. La continuità del servizio può essere garantita disponendo che, nelle more dello svolgimento delle procedure di gara, l’esecuzione del contratto prosegua da parte dell’organismo controllato».
La disposizione, come prima accennato (§2), non gode della necessaria copertura legislativa. Il legislatore non assegna all’ANAC un potere di diretto di annullamento straordinario dell’affidamento disposto senza gara o di revoca dei contratti già stipulati, ma il diverso potere di raccomandazione, finalizzato alla rimozione dell’atto illegittimo da parte della pubblica amministrazione che lo abbia adottato (articolo 211, comma 2, del codice dei contratti pubblici; sulla natura giuridica dell’istituto della raccomandazione, si rinvia al parere reso dalla Commissione speciale di questo Consiglio 28 dicembre 2016, n. 2777 sullo schema di regolamento di attuazione predisposto dall’ANAC). E’ quindi necessario eliminare il secondo periodo del punto 8.8 e i precetti che trovano fondamento sull’atecnica e irrituale fattispecie di revoca del contratto ivi prevista, introducendo una norma che richiami il potere dell’ANAC di verificare la sussistenza dei presupposti per l’adozione di una raccomandazione vincolante, ex articolo 211, comma 2, cit., finalizzata all’eliminazione dell’affidamento contra legem.
La “sorte” del contratto, peraltro, resta disciplinata dalle apposite norme in tema di risoluzione (art. 108 del codice), recesso (art. 109 del codice) e inefficacia (art. 121 c.p.a.).
Va soggiunto, per completezza, che la previsione della revoca del contratto è anche eccentrica rispetto all’art. 16 del citato d.lgs. n. 175 del 2016 sulle società pubbliche, il quale, in caso di mancato rispetto del requisito dell’attività prevalente (produzione “internalizzata” inferiore ad oltre l’80 per cento del fatturato), non prevede lo scioglimento automatico del contratto, bensì attribuisce all’affidatario (e, indirettamente, all’ente controllante) la possibilità di scegliere se rientrare nei limiti della soglia, ovvero recedere unilateralmente da tutti i rapporti in affidamento diretto.
5. L’autorità cui è possibile ricorrere
I punti 5.6. e 8.7. stabiliscono che i provvedimenti di rigetto dell’iscrizione e di cancellazione dall’elenco devono indicare il termine e «l’autorità cui è possibile ricorrere per ottenere l’annullamento del provvedimento stesso». Sarebbe utile precisare, sul punto, la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto si controverte su atti esercizio di potere autoritativo inerenti o, almeno, collegati alla materia degli affidamenti pubblici.
Si propone quindi, sulla falsariga della previsione a contenuta in entrambi i commi dell’articolo 211 del codice, la precisazione che il provvedimento di rigetto o di cancellazione « è impugnabile innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa».
6. Controllosul limite “finalistico” dell’in house
Ai sensi del punto 8.2., il procedimento di cancellazione è avviato anche laddove «l’Autorità o gli altri enti preposti alla vigilanza sulle società a partecipazione pubblica accertino il mancato rispetto, da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, degli enti aggiudicatori e degli organismi in house nello svolgimento della propria attività, delle disposizioni contenute nell’art. 5 del Codice e negli artt. 4 e 16 del d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175».
Le linee guida, in coerenza con il sistema normativo, assegnano all’ANAC anche il compito di verificare il rispetto del limite “finalistico” introdotto dall’art. 4 del d.lgs. n. 175 del 2016. Ai sensi di tale norma, le società in house hanno, infatti, come oggetto sociale esclusivo una o più delle seguenti attività: produzione di un servizio di interesse generale; progettazione e realizzazione di un’opera pubblica; autoproduzione di beni o servizi strumentali; servizi di committenza.
Sarebbe utile che le linee guida esplicitassero meglio i termini di tale tipologia di controllo, integrando ad esempio il punto 2.1., lettera d.7 («Settori di attività»).
P.Q.M.
Nei termini esposti è il parere favorevole con osservazioni della Commissione speciale
GLI ESTENSORI | IL PRESIDENTE | |
Francesco Caringella, Dario Simeoli | Luigi Carbone | |
IL SEGRETARIO
Maria Luisa Salvini