Il TAR Puglia – Bari, Sez. III, con la sentenza n. 92 del 3 febbraio 2017, si è pronunciato sull’obbligo per la P.A., in caso di una propria occupazione illegittima, di pronunciarsi sull’istanza proposta dal proprietario tendente a sollecitare l’adozione di un provvedimento di acquisizione sanante ex 42 bis del T.U. espropriazioni.
Si legge dalla sentenza: “Come è stato chiarito dalla giurisprudenza di merito, seppure il citato art. 42-bis non contempli un avvio del procedimento ad istanza di parte, deve ritenersi che il proprietario possa sollecitare l’Amministrazione ad avviare il relativo procedimento e che la stessa abbia l’obbligo di provvedere al riguardo, essendo l’eventuale inerzia dell’Amministrazione configurabile quale silenzio-inadempimento impugnabile di fronte al giudice amministrativo (ex multis Cons. St. n. 4696/2014)”.
Si riporta di seguito il testo della sentenza.
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Pubblicato il 03/02/2017
N. 00092/2017 REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 825 del 2016, proposto da:
Anna Frisone, rappresentata e difesa dagli avvocati Pierfrancesco Ursini, Pietro Ursini, con domicilio eletto presso lo studio Pietro Ursini in Bari, p.zza Umberto I, 32;
contro
Anas Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distr.le Stato Di Bari, domiciliata in Bari, via Melo, 97;
per l’annullamento
silenzio rifiuto dell’ANAS (ex art. 117 c.p.a.) formatosi sulla domanda di parte intesa alla restituzione di porzione di suolo, previa riduzione in pristino, occupato dall’amministrazione per l’esecuzione di opere di adeguamento della strada statale 16 bis Adriatica
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Anas Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2017 il dott. Francesco Gaudieri e uditi per le parti i difensori come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- Con il ricorso in esame, la nominata in epigrafe si duole del silenzio serbato dall’ANAS sull’atto stragiudiziale di diffida e costituzione e mora, notificato alla resistente amministrazione in data 8.3.2016, inteso ad ottenere “…nel termine di giorni 60 dalla data di notificazione del presente atto, …la restituzione dell’immobile illegittimamente occupato, previa riduzione in pristino, sempre che nello stesso termine non ritenga di disporre l’acquisto dell’immobile mediante pronuncia del decreto di cui all’art. 42 bis del DPR n. 327/2001, avvalendosi della stima dell’immobile e delle risultanze della consulenza tecnica espletata nel giudizio civile n. 3530/2001 R.G.”
1.1.- Ricostruisce in dettaglio la vicenda intercorsa tra le parti fin dal momento in cui con decreto del Prefetto di Bari n. 851 del 19.12.1995 fu disposta in favore dell’ANAS – Ente Nazionale per le strade l’occupazione d’urgenza preordinata alla successiva espropriazione di porzione del comprensorio immobiliare di proprietà della ricorrente, sito in Monopoli, località Corvino, composto da una costruzione con annessa area pertinenziale, contrassegnata in catasto dalle partt. 3 e 59 del foglio 2, ai fini dell’esecuzione delle opere di ammodernamento e di adeguamento della strada statale 16 bis Adriatica; aggiunge di aver definito transattivamente i giudizi instaurati innanzi al Tar Puglia ed al Tribunale di Bari, avendo ricevuto la somma di lire 200.000.000, asseritamente imputabili al pregiudizio prospettato per la parziale occupazione e non anche alle indennità dovute per la porzione di suolo occupato; precisa che, non avendo l’ANAS completato la procedura espropriativa, conveniva, anche in ragione della mancata determinazione delle indennità, l’ente innanzi all’A.G.O, che, con sentenza n. 82 del 2001 della Corte d’Appello di Bari, declinava la propria giurisdizione a favore del giudice amministrativo; che, medio tempore, nessun provvedimento veniva adottato dall’ente a definizione del procedimento espropriativo, con la conseguente illegittimità della perdurante occupazione, per cui l’ANAS, era tenuta, per giurisprudenza ormai costante, alla restituzione del suolo, previa riduzione in pristino delle opere realizzate, in alternativa all’emissione del decreto di cui all’art. 42 bis dpr n. 327/01.
1.2.- Conclude con la richiesta di provvedimenti di giustizia intesi a sanzionare l’illegittimità del silenzio oltre a sancire l’obbligo dell’ANAS di provvedere in ordine all’emissione del decreto di acquisizione sanante in un termine prefissato, e la condanna alle spese.
2.- Resiste in giudizio l’intimata amministrazione chiedendo il rigetto della domanda atteso che, pur non essendosi giammai concluso il procedimento espropriativo con un decreto definitivo di esproprio nei termini previsti dal decreto di occupazione, tuttavia quest’ultima, in considerazione dell’avvenuta realizzazione dell’opera pubblica, si sarebbe trasformata in appropriativa, a causa dell’irreversibile trasformazione del suolo, con l’obbligo di risarcire i danni alla ricorrente, che sarebbe stata indennizzata con l’accordo transattivo del 22.1.1999.
Qualifica diversamente la natura del silenzio ritenuto non silenzio rifiuto, bensì silenzio inadempimento, atteso che, per giurisprudenza costante, il proprietario del suolo occupato illegittimamente può solo sollecitare l’amministrazione ad avviare il procedimento ex art. 42 bis dpr n. 327/01 e la p.a. ha l’obbligo di provvedere al riguardo.
Richiama in proposito le note statuizioni di cui alle Adunanze Plenarie n. 2 del 2016 e 5 del 2015.
Conclude per la reiezione del ricorso nella parte in cui chiede all’adito Tribunale di sancire l’obbligo dell’ANAS di emettere il decreto di acquisizione.
3.- Alla camera di consiglio del 31 gennaio 2017, sulla conclusione delle parti presenti come da verbale di udienza, il Collegio si è riservata la decisione.
4.- Il ricorso è fondato, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.
4.1.- Gioverà ricordare che la vicenda in esame prende le mosse da un procedimento espropriativo che, sulla base della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera da realizzare, ha poi condotto all’occupazione del suolo di proprietà della ricorrente e alla realizzazione dell’opera pubblica, in assenza di tempestivo provvedimento di esproprio.
4.2.- All’uopo si ritiene necessario ripercorrere, sia pur in maniera sintetica l’evoluzione giurisprudenziale e normativa che, al fine di contemperare le ragioni proprietarie con le finalità di pubblico interesse perseguite dall’amministrazione espropriante, ha caratterizzato la disciplina dei procedimenti di espropriazione per pubblica utilità qualificati da un esito patologico, ovvero dalla realizzazione sine titulo dell’opera pubblica per sopravvenuta inefficacia o annullamento degli atti del procedimento.
In siffatte evenienze si è tradizionalmente negata al privato la tutela possessoria riconoscendosi solo una limitata tutela risarcitoria, in ragione dell’esigenza di assicurare l’opera pubblica alla collettività pur in assenza di un legittimo atto traslativo della proprietà in capo alla pubblica amministrazione, sia esso di tipo autoritativo (decreto di esproprio) ovvero di natura consensuale (accordo di cessione del bene espropriando).
L’acquisto della proprietà dell’opera pubblica così realizzata si è fatta risalire all’istituto di creazione pretoria dell’accessione invertita, elaborata in base ai principi di diritto desumibili per analogia iuris dall’art.938 c.c. , comportante l’acquisto della proprietà del suolo illegittimamente occupato a partire dal momento della sua irreversibile trasformazione, ovvero dalla modifica della consistenza e natura, con l’emersione di un bene nuovo e diverso, incorporato inscindibilmente al suolo.
L’istituto in questione è stato reputato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo contrario all’art.1 Prot.1 della Carta E.D.U., in quanto contrastante con il riconoscimento della natura fondamentale del diritto del proprietario al rispetto dei propri beni, stigmatizzandolo nella misura in cui lasciava il privato danneggiato in balia di regole non sufficientemente chiare, accessibili e prevedibili, auspicandone la damnatio memoriae (sentenze 30 maggio 2000 Carbonara e Ventura c/Italia e Belvedere Alberghiera c/ Italia).
Al fine di adeguare l’ordinamento interno ai principi espressi dalle su richiamate pronunce della Corte Europea, in adempimento agli obblighi specificamente assunti dall’Italia con la riforma dell’art. 117, comma 1, Cost, che impegna il legislatore al rispetto dei “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”, è stata introdotta all’art.43 T.U espropri (DPR 327/2001) la cd. acquisizione sanante o occupazione provvedimentale. Essa rilevava quale ‘legale via d’uscita’ per l’amministrazione nei casi in cui fosse riscontrabile la realizzazione di un’opera pubblica su terreno di proprietà privata in assenza di valido ed efficace decreto di esproprio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, sentt. n. 5830 del 2007; n. 1552 del 2008).
Abiurata l’occupazione appropriativa tra i modi di acquisto della proprietà, sulla base della ratio e dei principi sottesi al nuovo istituto la giurisprudenza amministrativa ha ampliato gli strumenti a tutela dei diritto di proprietà, non più limitati a quelli risarcitori, ma estesi a piena ragione alla tutela ripristinatoria di natura reale, mediante azione di restituzione, ancorché accompagnata dalla richiesta di riduzione in pristino.
Si è dunque ravvisata nel provvedimento di acquisizione sanante l’unico possibile presupposto ostativo alla tutela reale accordata dall’ordinamento al proprietario illegittimamente privato dei propri beni, non essendo infatti predicabili i limiti intrinseci alla disciplina risarcitoria, come l’eccessiva onerosità prevista dall’art. 2058 c.c., comma 2; nè potendo farsi ricorso alla previsione dell’art. 2933 cod. civ., comma 2, ove non risulti che la distruzione della “res” indebitamente edificata sia di pregiudizio all’intera economia del Paese, ma abbia, al contrario, riflessi di natura individuale o locale (v. decisione Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 29 aprile 2005 n. 2, sent. Corte di Cassazione, sez. I civile, 23 agosto 2012 n. 14609, sent. TAR. Toscana, sez.I, 23 ottobre 2012 n. 1707).
A seguito della declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 43, per eccesso di delega, l’istituto dell’acquisizione sanante, sia pure rivisitato nei presupposti e modalità applicative, è stato reintrodotto con l’art.42 bis inserito nel testo unico sugli espropri dall’art. 34, comma 1, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111, per cui si può in tutta evidenza affermare che alcuni fondamentali arresti giurisprudenziali elaborati con riferimento all’istituto in questione conservino la loro validità e vigenza.
L’istituto dell’acquisizione sanante, nel testo introdotto dall’art. 42 bis è stato, tuttavia, sospettato d’incostituzionalità dalla Corte di Cassazione, sezioni unite civili con due ordinanze del 13 gennaio 2014 e dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda, con ordinanze del 12 maggio e del 5 giugno 2014, per una serie di plurime considerazioni, che di seguito sinteticamente si riportano e cioè :
-perché avrebbe riservato un trattamento privilegiato alla pubblica amministrazione che abbia commesso un fatto illecito, concedendogli la facoltà di mutare – successivamente all’evento dannoso – il titolo e l’ambito di responsabilità, nonché il tipo di sanzione (da risarcimento in indennizzo), traendo vantaggio da una situazione di illegalità da essa stessa determinata;
– perché avrebbe trasformato il precedente regime risarcitorio in un indennizzo derivante da atto lecito;
-perché, prescindendo dalla dichiarazione di pubblica utilità, autorizzerebbe l’espropriazione in assenza di una predeterminazione dei motivi di interesse generale che, nella prospettiva dell’art. 42 Cost., dovrebbero palesarsi gradualmente ed anteriormente al sacrificio del diritto di proprietà, in un momento in cui la comparazione tra l’interesse pubblico e l’interesse privato possa effettivamente evidenziare la scelta migliore;
-perché non vi sarebbero termini certi di avvio e conclusione del procedimento;
– perchè la nuova operazione “sanante” presenterebbe numerosi ed insuperabili profili di contrasto con le norme convenzionali, non risolvibili in via ermeneutica, sulla base dell’interpretazione offerta dalla Corte di Strasburgo che, in più occasioni avrebbe considerato “in radicale contrasto” con la CEDU il principio dell’”espropriazione indiretta”, nella quale il trasferimento della proprietà del bene dal privato alla pubblica amministrazione avviene in virtù della constatazione della situazione di illegalità o illiceità commessa dalla stessa amministrazione, con l’effetto di convalidarla, consentendo a quest’ultima di trarne vantaggio e di passare oltre le regole fissate in materia di espropriazione. In sostanza, la “legalizzazione dell’illegale” non sarebbe consentita dalla giurisprudenza di Strasburgo neppure ad una norma di legge, né tanto meno ad un provvedimento amministrativo di essa attuativo, qual è quello che disponga la cosiddetta acquisizione “sanante”;
– perché la Corte EDU avrebbe ripetutamente considerato lecita l’applicazione dello ius superveniens in cause già pendenti soltanto in presenza di “ragioni imperative di interesse generale”, pena la violazione del principio di legalità nonché del diritto ad un processo equo. La norma censurata violerebbe questo principio perché avrebbe confermato la possibilità dell’amministrazione di utilizzare il provvedimento ex tunc, per fatti anteriori alla sua entrata in vigore, al fine di attribuire alle amministrazioni occupanti una legale via d’uscita dalle situazioni di illegalità.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 71/2015 del 30/4/2015 ha respinto tutte le censure.
Dopo aver sommariamente descritto il contesto, anche giurisprudenziale, nel quale sono stati inseriti dapprima l’art. 43 e poi l’art. 42 bis del T.U. sulle espropriazioni, finalizzati a risolvere le anomalie del procedimento espropriativo per le quali la giurisprudenza amministrativa aveva elaborato gli istituti dell’occupazione “appropriativa” ed “usurpativa”, ha rimarcato le ragioni poste a fondamento della declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 43 Del T.U. sulle espropriazioni e segnatamente che “l’intervento della pubblica amministrazione sulle procedure ablatorie, come disciplinato dalla norma da ultimo richiamata, eccedeva gli istituti della occupazione appropriativa ed usurpativa, così come delineati dalla giurisprudenza di legittimità, prevedendo un generalizzato potere di sanatoria, attribuito alla stessa amministrazione che aveva commesso l’illecito, addirittura a dispetto di un giudicato che avesse disposto il ristoro in forma specifica del diritto di proprietà violato”, oltre ai numerosi dubbi sulla compatibilità del meccanismo di “acquisizione sanate” con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, orientata a ritenere l’espropriazione cosiddetta indiretta in contrasto con il principio di legalità e non utilizzabile come valida alternativa ad un’espropriazione adottata secondo “buona e debita forma” (sentenza 12 gennaio 2006, Sciarrotta ed altri contro Italia).
Ha, quindi, proceduto ad un raffronto tra l’art. 43 del T.U. sulle espropriazioni ed il nuovo art. 42 bis del T.U. affermando che “il nuovo meccanismo acquisitivo presenta significative differenze rispetto all’art. 43 del T.U. sulle espropriazioni. La nuova disposizione, risolvendo un contrasto interpretativo insorto in giurisprudenza sull’art. 43 appena citato, dispone espressamente che l’acquisto della proprietà del bene da parte della pubblica amministrazione avvenga ex nunc, solo al momento dell’emanazione dell’atto di acquisizione (ciò che impedisce l’utilizzo in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato)”.
Ha, poi, rimarcato le differenze rispetto alla precedente disposizione, evidenziando che :
-la norma censurata impone uno specifico obbligo motivazionale “rafforzato” in capo alla p.a. procedente;
-la motivazione deve esibire le “attuali ed eccezionali” ragioni di interesse pubblico che giustificano l’emanazione dell’atto;
-nel computo dell’indennizzo viene fatto rientrare non solo il danno patrimoniale ma anche quello non patrimoniale;
-il passaggio del diritto di proprietà è sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute, da effettuare entro 30 giorni dal provvedimento di acquisizione;
la comunicazione, entro trenta giorni, alla Corte dei conti mediante trasmissione di copia integrale.
Ha concluso affermando che “Si è, dunque, in presenza di un istituto diverso da quello disciplinato dall’art. 43 del T.U. sulle espropriazioni”.
La Corte costituzionale ha, quindi, utilizzato le descritte differenze per giungere alla reiezione delle censure rassegnate, ivi comprese quelle sollevate con riferimento al contrasto, ravvisato dai remittenti, della nuova disposizione con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
E’ stato, infatti, precisato che seppure la norma trova applicazione anche ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore, per i quali siano pendenti processi, ed anche se vi sia stato un provvedimento di acquisizione successivamente annullato o ritirato, è anche vero che la stessa risponde all’esigenza di eliminare definitivamente il fenomeno delle “ espropriazioni indirette”, proprio per dare una risposta a quella “defaillance strcturelle” individuata dalla Corte EDU.
4.3.- Alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale e normativa delineata emerge allora che ove, come nel caso in questione, il procedimento espropriativo non abbia avuto il suo sbocco fisiologico nell’emanazione di un formale e valido provvedimento d’acquisto del bene oggetto di espropriazione da parte della P.A., e ciò nonostante si sia addivenuti alla realizzazione dell’opera pubblica, si concretizza un illecito permanente che si perpetra de die in diem, impedendo la decorrenza dei termini prescrizionali dell’azione risarcitoria finché non intervenga un legittimo titolo d’acquisto nelle forme previste dalla legge (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 15.09.2009 n.5523). A tale situazione la P.A. può porre fine o con la restituzione del bene ancora di proprietà del privato, previa rimozione delle opere, salvo il risarcimento dei danni, ove ad una rinnovata valutazione ritenga non attuale e prevalente l’interesse pubblico all’eventuale acquisizione dei fondi; ovvero con l’adozione di un formale provvedimento di acquisizione avente effetti non retroattivi ex art. 42 bis DPR 327/2001, previa corresponsione del valore venale del bene, maggiorato di un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale subito.
5.- La questione è stata ripresa ed approfondita dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 2 del 2016, ha ribadito quanto segue :
“ In linea generale, quale che sia la sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva), la condotta illecita dell’amministrazione incidente sul diritto di proprietà non può comportare l’acquisizione del fondo e configura un illecito permanente ex art. 2043 c.c. – con la conseguente decorrenza del termine di prescrizione quinquennale dalla proposizione della domanda basata sull’occupazione contra ius, ovvero, dalle singole annualità per quella basata sul mancato godimento del bene – che viene a cessare solo in conseguenza:
a) della restituzione del fondo;
b) di un accordo transattivo;
c) della rinunzia abdicativa (e non traslativa, secondo una certa prospettazione delle SS.UU.) da parte del proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte della irreversibile trasformazione del fondo;
d) di una compiuta usucapione, ma solo nei ristretti limiti perspicuamente individuati dal Consiglio di Stato allo scopo di evitare che sotto mentite spoglie (i.e. alleviare gli oneri finanziari altrimenti gravanti sull’Amministrazione responsabile), si reintroduca una forma surrettizia di espropriazione indiretta in violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale della Cedu (Sez. IV, n. 3988 del 2015 e n. 3346 del 2014); dunque a condizione che:
I) sia effettivamente configurabile il carattere non violento della condotta;
II) si possa individuare il momento esatto della interversio possesionis;
III) si faccia decorrere la prescrizione acquisitiva dalla data di entrata in vigore del t.u. espr. (30 giugno 2003) perché solo l’art. 43 del medesimo t.u. aveva sancito il superamento dell’istituto dell’occupazione acquisitiva e dunque solo da questo momento potrebbe ritenersi individuato, ex art. 2935 c.c., il <<….giorno in cui il diritto può essere fatto valere>>;
e) di un provvedimento emanato ex art. 42-bis t.u. espr.
6.- Alla luce delle menzionate acquisizioni giurisprudenziali, deve convenirsi che il proprietario del fondo può esperire un’azione avverso il silenzio qualora l’Amministrazione occupi illegittimamente un immobile senza restituire il bene e senza esperire la procedura di acquisizione ex art. 42-bis del d.p.r. n. 327/ 2001.
Infatti, come è stato chiarito dalla giurisprudenza di merito, seppure il citato art. 42-bis non contempli un avvio del procedimento ad istanza di parte, deve ritenersi che il proprietario possa sollecitare l’Amministrazione ad avviare il relativo procedimento e che la stessa abbia l’obbligo di provvedere al riguardo, essendo l’eventuale inerzia dell’Amministrazione configurabile quale silenzio-inadempimento impugnabile di fronte al giudice amministrativo (ex multis Cons. St. n. 4696/2014).
Ciò in quanto il menzionato art. 42-bis, introducendo nell’ordinamento una facoltà di valutazione della fattispecie da parte dell’Amministrazione per l’eventuale acquisizione in via di sanatoria della proprietà di aree precedentemente occupate “contra ius”, fonda in capo ai proprietari una posizione di interesse legittimo ulteriore e distinta rispetto a quella di diritto soggettivo consistente nel diritto di proprietà.
6.1.-Per tutte le suesposte considerazioni il ricorso va accolto, ordinandosi, per l’effetto, all’Amministrazione intimata di provvedere sull’istanza della ricorrente entro il termine di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione in via amministrativa della presente decisione, ovvero dalla sua notifica su istanza di parte se anteriore, con determinazione intesa a far conoscere se intenda procedere o meno all’acquisizione del bene ex art. 42 bis.
7.- Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione.
Condanna l’ANAS alla pagamento delle spese di lite che quantifica in euro 1.000,00, oltre accessori come per legge, contributo unificato refuso
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Gaudieri, Presidente, Estensore
Francesco Cocomile, Primo Referendario
Cesira Casalanguida, Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE | ||
Francesco Gaudieri | ||
IL SEGRETARIO