Il TAR Piemonte, Sez. I, con l’ordinanza n. 418 del 28 marzo 2017, ha rimesso alla Corte di giustizia U.E. alcune questioni concernenti la compatibilità della c.d. legge Pinto con la normativa comunitaria, dopo le modifiche intervenute con la legge n. 208 del 2015 (“legge di stabilità 2016”).
E’ stata rimessa alla Corte di giustizia U.E. la seguente questione interpretativa:
“Se il principio secondo il quale ogni persona ha diritto a che la sua causa, sia esaminata da un giudice imparziale entro un termine ragionevole, sancito dall’art. 47, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea e dall’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e del cittadino, principio reso eurounitario dall’art. 6, terzo comma, TFUE, in combinato disposto con il principio rinveniente dall’articolo 67 TFUE, secondo cui l’Unione si fonda su uno spazio comune di giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali, nonché con il principio desumibile dagli articoli 81 e 82 TFUE, secondo cui l’Unione, nelle materie di diritto civile e penale che hanno implicazioni transazionali, sviluppa una cooperazione giudiziaria fondata sul principio del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali, ostino ad una normativa nazionale, quale quella italiana contenuta nell’art. 5 sexies della L. n. 89/2001 (introdotto dalla legge n. 208 del 2015 – legge di stabilità 2016: n.d.r.), la quale impone ai soggetti che sono già stati riconosciuti creditori, nei confronti dello Stato italiano, di somme dovute a titolo di “equa riparazione” per irragionevole durata di procedimenti giurisdizionali, di porre in essere una serie di adempimenti al fine di ottenerne il pagamento, nonché di attendere il decorso del termine indicato nel citato art. 5 sexies comma 5 L. 89/2001, senza poter nel frattempo intraprendere alcuna azione esecutiva giudiziaria e senza poter successivamente reclamare il danno connesso al tardato pagamento, e ciò anche nei casi in cui l’“equa riparazione” sia stata riconosciuta in relazione alla irragionevole durata di un procedimento civile con implicazioni transazionali, o comunque in materia che rientra nelle competenze della Unione Europea e/o in materia per la quale l’Unione Europea preveda il reciproco riconoscimento del titoli giudiziari”.
Si riporta di seguito il testo dell’ordinanza di rimessione.
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Pubblicato il 28/03/2017
N. 00418/2017 REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 858 del 2016, proposto da:
Graziano Garavaldi, rappresentato e difeso dagli avvocati Dani Colapietro De Maria C.F. CLPDNA57R07E463J, Piergiorgio Castagna C.F. CSTPGR68A20L219T, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Piergiorgio Castagna in Torino, corso Tassoni, 25;
contro
Ministero della Giustizia non costituito in giudizio;
Per:
l’esecuzione del giudicato formatosi sul decreto decisorio n. 719/11 della Corte d’Appello di Torino, Sezione Civile I-bis, reso il 16 marzo 2011, depositato il 31 marzo 2011, munito di formula esecutiva il 17 maggio 2011
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Viste le “Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale” (2016/C 439/01; d’ora in poi anche “Raccomandazioni”) della Corte di Giustizia della Unione Europea;
Visti gli art. 19, paragrafo 3, lett. b) del Trattato sulla Unione Europea (TUE) e 267 del Trattato sul Funzionamento della Unione Europea (TFUE);
Visti lo Statuto ed il Regolamento di procedura della Corte di Giustizia della Unione Europea;
Visti gli articoli 79 comma 1 e 112 e seguenti del Decreto legislativo n. 104 del 2010, Allegato 1 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giungo 2009 n. 69, recante delega al Governo per il riordino del processo amministrativo), recante il Codice del processo amministrativo;
Visto l’articolo 5 sexies della Legge n. 89 del 24 marzo 2001;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2017 la dott.ssa Roberta Ravasio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
A – Esposizione succinta dell’oggetto della controversia.
Con legge dello Stato n. 89 del 24 marzo 2001, art. 1, la Repubblica Italiana ha previsto che il soggetto che sia parte di un processo ha diritto ad esperire rimedi preventivi al fine di evitare che il processo stesso si svolga in violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione medesima. Alla parte che, pur avendo esperito i rimedi preventivi, abbia subito un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa della irragionevole durata del processo, la norma citata riconosce il diritto ad ottenere una “equa riparazione” alle condizioni e nella misura stabilite negli articoli successivi della Legge.
L’art. 3 della Legge n. 89/2001, in particolare, stabilisce che la domanda finalizzata al riconoscimento della “equa riparazione” si propone con ricorso al presidente della Corte d’Appello nel cui distretto ha sede il giudice innanzi al quale si è svolto il primo grado del giudizio di cui si lamenta la irragionevole durata.
Con decreto V.G. n. 1001/2010, pubblicato il 31/03/2011, la Corte d’Appello di Torino ha riconosciuto il diritto del sig. Graziano Garavaldi, parte ricorrente nel presente giudizio, ad ottenere l’ ” equa riparazione” con riferimento alla eccessiva durata del procedimento fallimentare svoltosi innanzi al Tribunale di La Spezia, aperto con sentenza del 31/12/1994 dichiarativa del fallimento della Cantieri s.r.l. , nell’ambito del quale il sig. Garavaldi aveva chiesto la ammissione al passivo fallimentare per un credito di ragguardevole importo.
In particolare, con il decreto indicato al punto che precede la Corte d’Appello di Torino ha riconosciuto a favore del sig. Garavaldi un equo indennizzo pari ad Euro 8.416,67, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo effettivo ed oltre a 2/3 delle spese del procedimento, liquidate in tale misura in complessive Euro 870,00, oltre ad accessori di legge. Per l’effetto la Corte d’Appello di Torino ha condannato il Ministero della Giustizia a pagare a favore del ricorrente le somme indicate.
L’anzidetto decreto della Corte d’Appello di Torino è stato munito di formula esecutiva il 17/05/2011 ed è stato notificato al Ministero della Giustizia, in Roma, il 21 ottobre 2011.
Il decreto medesimo è quindi divenuto definitivo per mancata impugnazione.
Il sig. Garavaldi, a mezzo del proprio difensore, con lettera raccomandata del 25/05/2012 ha chiesto al Ministero della Giustizia di dare esecuzione del decreto della Corte d’Appello di Torino n. C.G. 1001/2010, chiedendo il pagamento di complessivi Euro 9.802,10.
La richiesta stragiudiziale di pagamento veniva rinnovata con lettere raccomandate del 25 gennaio e 21 giugno 2013, alle quali il Ministero intimato non ha dato alcun riscontro.
Il sig. Garavaldi, pertanto, ha introitato, innanzi questo Tribunale Amministrativo Regionale, il procedimento giurisdizionale disciplinato dagli articoli 112 e seguenti del Codice del Processo Amministrativo italiano, finalizzato ad ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi ad una sentenza o ad un provvedimento equiparato del Giudice Ordinario passato in giudicato.
Il ricorso proposto innanzi questo Tribunale dal sig. Garavaldi, per ottenere dal Ministero della Giustizia l’attuazione degli obblighi stabiliti nel sopra citato decreto della Corte d’Appello di Torino, è stato depositato il 9 settembre 2016 ed è stato chiamato alla udienza dell’11 gennaio 2017, allorché il difensore del sig. Garavaldi ha insistito nella domanda , dando atto che nel frattempo non era intervenuto alcun pagamento da parte del Ministero: nella occasione il Collegio ha trattenuto il ricorso a decisione.
B. Il contenuto delle disposizioni nazionali che trovano applicazione nel caso di specie ed il diritto della Unione Europea.
B.1.: Il diritto nazionale.
Gli articoli 112 e seguenti del codice del processo amministrativo italiano (Allegato 1 al D. L.vo n. 104 del 2010) disciplinano il procedimento c.d. di ottemperanza, che consente di ottenere, dal Giudice Amministrativo, l’attuazione degli obblighi che in una sentenza passata in giudicato siano stati accertati a carico di una pubblica amministrazione. Detta attuazione avviene, prima di tutto, fissando alla pubblica amministrazione un termine massimo entro il quale la stessa deve assumere spontaneamente i provvedimenti necessari a conformarsi al giudicato; in secondo luogo mediante nomina di un commissario ad acta, che ha l’autorità di adottare, in sostituzione dei funzionari della pubblica amministrazione, i provvedimenti amministrativi necessari ad assicurare l’esecuzione del giudicato.
Con la legge n. 208 del 28 dicembre 2015 (legge di stabilità 2016) sono state apportate modifiche alla L. n. 89 del 24 marzo del 2001. In particolare, nel corpo della legge è stato inserito l’art. 5 sexies il quale si legge come segue:
“1. Al fine di ricevere il pagamento delle somme liquidate a norma della presente legge , il creditore rilascia all’amministrazione debitrice una dichiarazione, ai sensi degli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000 n. 445, attestante la mancata riscossione delle somme per il medesimo titolo, l’esercizio di azioni giudiziarie per lo stesso credito, l’ammontare degli importi che l’amministrazione è ancora tenuta a corrispondere, la modalità di riscossione prescelta ai sensi del comma 9 del presente articolo, nonché a trasmettere la documentazione necessaria a norma dei decreti di cui al comma 3.
2. La dichiarazione di cui al comma 1 ha validità semestrale e deve essere rinnovata a richiesta della pubblica amministrazione.
3. Con decreti del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero della giustizia, da emanare entro il 30 ottobre 2016, sono approvati i modelli di dichiarazione di cui al comma 1 ed è individuata la documentazione da trasmettere all’amministrazione debitrice ai sensi del predetto comma 1.Le amministrazione pubblicano nei propri siti istituzionali la modulistica di cui al periodo precedente.
4. Nel caso di mancata, incompleta o irregolare trasmissione della dichiarazione o della documentazione di cui ai comma precedenti, l’ordine di pagamento non può essere emesso.
5. L’amministrazione effettua il pagamento entro sei mesi dalla data in cui sono integralmente assolti gli obblighi previsti ai commi precedenti. Il termine di cui al periodo precedente non inizia a decorrere in caso di mancata, incompleta o irregolare trasmissione della dichiarazione ovvero della documentazione di cui ai commi precedenti.
6. L’amministrazione esegue, ove possibile, i provvedimenti per intero. L’erogazione degli indennizzi agli aventi diritto avviene nei limiti delle risorse disponibili sui pertinenti capitoli di bilancio, fatto salvo il ricorso ad anticipazioni di tesoreria mediante pagamento in conto sospeso, la cui regolarizzazione avviene a carico del fondo di riserva per le spese obbligatorie, di cui all’art. 26 della legge 31 dicembre 2009, n. 196.
7. Prima che sia decorso il termine di cui al comma 5, i creditori non possono procedere all’esecuzione forzata, alla notifica dell’atto di precetto, né proporre ricorso per l’ottemperanza del provvedimento.
8. Qualora i creditori di somme liquidate a norma della presente legge propongano l’azione di ottemperanza di cui al titolo I del libro quarto del codice del processo amministrativo, di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010 n. 104, il giudice amministrativo nomina, ove occorra, commissario ad acta un dirigente dell’amministrazione soccombente, con esclusione dei titolari di incarichi di Governo, dei capi dipartimento e di coloro che ricoprono incarichi dirigenziali generali. 8. I compensi riconosciuti al commissario ad acta rientrano nell’onnicomprensività della retribuzione dei dirigenti.
9. Le operazioni di pagamento delle somme dovute a norma della presente legge si effettuano mediante accreditamento sui conti correnti o di pagamento dei creditori. I pagamenti per cassa o per vaglia cambiario non trasferibile sono possibili solo se di importo non superiore a 1.000,00 euro.
10. Nei casi di riscossione per cassa o tramite vaglia cambiario il creditore può delegare all’incasso un legale rappresentante con il rilascio di procura speciale.
11. Nel processo di esecuzione forzata, anche in corso, non può essere disposto il pagamento di somme o l’assegnazione di crediti in favore dei creditori di somme liquidate a norma della presente legge in caso di mancato, incompleto o irregolare adempimento agli obblighi di comunicazione. La disposizione di cui al presente comma si applica anche al pagamento compiuto dal commissario ad acta.
12. I creditori di provvedimenti notificati anteriormente all’emanazione dei decreti di cui al comma 3 trasmettono la dichiarazione e la documentazione di cui ai commi precedenti avvalendosi della modulistica presente nei siti istituzionali delle pubbliche amministrazioni. Le dichiarazione già complete o regolari , già trasmesse alla data di entrata in vigore del presente articolo, conservano validità anche in deroga al disposto di cui ai commi 9 e 10.”
La disposizione suindicata introduce, in favore della pubblica amministrazione, il termine dilatorio di 180 giorni aggiuntivi rispetto ai 120 giorni dall’avvenuta notificazione del titolo esecutivo già previsti dall’art. 14 del D.L. n. 669 del 1996, conv. in l. n. 30/97, secondo cui le Amministrazioni dello Stato e gli Enti Pubblici non economici dispongono di un termine di 120 giorni per eseguire i provvedimenti giurisdizionali che li obbligano al pagamento di somme di denaro. Ne deriva che il creditore non può procedere all’esecuzione forzata, né proporre ricorso per l’ottemperanza del provvedimento, prima che sia decorso un termine complessivo di dieci mesi dalla formazione del titolo esecutivo.
E’ opinione del Collegio che la disposizione di legge contenuta nell’art. 5 sexies cit. deve essere interpretata nel senso che il soggetto al quale sia stato riconosciuto un indennizzo a titolo di “equa riparazione” per irragionevole durata di un procedimento giurisdizionale non può intraprendere alcuna azione giudiziaria esecutiva, finalizzata al recupero di tale indennizzo, se prima non abbia posto in essere tutti gli adempimenti previsti al comma 1 dell’art. 5 sexies L. 89/2001 e se non siano decorsi almeno sei mesi dal momento in cui i suddetti adempimenti si sono perfezionati, stante che entro tale termine il Ministero è tenuto ad effettuare il pagamento. In conseguenza della entrata in vigore della norma sopra riportata il Ministero debitore viene così di fatto a disporre, per effettuare il pagamento, di un termine dilatorio di sei mesi, e ciò a prescindere dal momento in cui è stato pronunciato il titolo giudiziale che riconosce ad un soggetto l’ “equa riparazione” per irragionevole durata di un processo: che si tratti di un credito riconosciuto nell’anno 2010 o di un credito riconosciuto nell’anno 2016 l’Amministrazione statale gode del suddetto ulteriore termine dilatorio per effettuare il pagamento. Occorre inoltre considerare che il termine semestrale entro il quale il Ministero è tenuto ad effettuare il pagamento, prima del cui decorso è precluso all’interessato di intraprendere azioni esecutive finalizzate al recupero del credito, decorre solo ove la documentazione indicata all’art. 5 sexies comma 1 sia assolutamente completa: pertanto qualsiasi inesattezza o dimenticanza di fatto comporta l’allungamento del termine dilatorio di cui si è detto, e ciò in assenza di qualsiasi onere, in capo all’Amministrazione, di segnalare tempestivamente la incompletezza o inesattezza della documentazione fornita. Infine si deve rilevare che l’autocertificazione, con cui l’interessato attesta di non aver ricevuto alcun pagamento dalla Amministrazione, ai sensi dell’art. 5 sexies comma 2 ha una durata semestrale e deve essere rinnovata a richiesta della Amministrazione stessa; può quindi verificarsi, ove la documentazione inizialmente fornita dall’interessato venga successivamente integrata a causa di inesattezze o di incompletezza, che l’autocertificazione ex art. 5 sexies comma 1 prodotta in origine dall’interessato perda efficacia prima che sia decorso il termine semestrale assegnato all’Amministrazione per effettuare il pagamento, atteso che per la medesima il termine semestrale decorre solo dal momento in cui la documentazione è completa: ebbene, con riferimento ad una simile ipotesi è opinione del Collegio che la norma deve essere interpretata nel senso che la rinnovazione della autocertificazione di cui all’art. 5 sexies comma 1 comporta comunque che per l’Amministrazione il termine semestrale per effettuare il pagamento ricomincia a decorrere nuovamente dall’inizio, a prescindere dal fatto che una parte del termine semestrale possa essere già decorso nella vigenza dell’originaria autocertificazione prodotta dall’interessato; per effetto di tale meccanismo il termine semestrale assegnato alla Amministrazione per effettuare il pagamento può facilmente raggiungere una durata prossima a quella annuale, se non addirittura essere superiore.
B.2. Il diritto della Unione.
Premesso quanto sopra in ordine alle norme del diritto italiano rilevanti per il caso di specie, occorre a questo punto considerare che il rimedio della “equa riparazione” per irragionevole durata di un processo è stato introdotto nell’ordinamento italiano in esito alle numerose sentenze con le quali la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha condannato la Repubblica Italiana per violazione dell’art. 6, paragrafo 1 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali – ratificata dalla Repubblica Italiana ai sensi della L. 848/1955 -, in relazione al mancato rispetto del termine ragionevole che deve essere osservato nella trattazione di qualsiasi procedimento giurisdizionale.
Ai sensi dell’art. 6 comma 3 del Trattato sulla Unione Europea “I diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto della Unione in quanto principi generali”; pertanto anche il diritto affermato all’art. 6 paragrafo 1 della citata Convenzione, secondo cui “Ogni persona ha diritto a che la sua causa, sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole..” costituisce oggi principio generale del diritto della Unione Europea. Del resto anche nella Carta dei diritti fondamentali della Unione europea – alla quale l’art. 6 comma 1 del Trattato sulla Unione Europea annette lo stesso valore giuridico dei Trattati – all’art. 47 comma 2 viene riconosciuto il diritto di ogni persona “a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente, imparziale e precostituito per legge…”.
L’art. 67 TFUE stabilisce al comma 1 che “L’Unione realizza uno spazio di libertà, di sicurezza e giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri”, ed al comma 4 soggiunge che “L’Unione facilita l’accesso alla giustizia, in particolare attraverso il principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziarie in materia civile”.
Tale concetto è ribadito dagli artt. 81 e 82 del Trattato sul Funzionamento della Unione Europea. L’a 82 TFUE afferma che “1. L’Unione sviluppa una cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni transazionali, fondata sul principio del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali. Tale cooperazione può includere l’adozione di misure intese a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. 2. Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo ed il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano, in particolare se necessario, al buon funzionamento del mercato interno, misure volte a garantire:……e) un accesso effettivo alla giustizia; f) l’eliminazione degli ostacoli al corretto svolgimento dei procedimenti civili, se necessario promuovendo la compatibilità delle norme di procedura civile applicabili agli Stati membri……”. Anche l’art. 83 TFUE statuisce che “La cooperazione giudiziaria in materia penale nell’Unione è fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie…”.
C. Illustrazione dei motivi del rinvio pregiudiziale.
Il Collegio non ignora che tanto le disposizioni della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea quanto quelle della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ai sensi dell’art. 6, comma 1 e comma 2, non modificano le competenze della Unione europea come definite dai Trattati. In conseguenza di ciò una domanda di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE non potrebbe fondarsi unicamente sulla violazione di diritti sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea o dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e ciò per la ragione che, secondo una costante giurisprudenza della Corte di Giustizia della Unione Europea, “la Corte può interpretare il diritto della Unione unicamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite” (ordinanza nella causa C-520/15, punto 18); correlativamente, “ove una situazione giuridica non rientri nella sfera d’applicazione del diritto della Unione, la Corte non è competente in merito e le disposizioni della Carta, eventualmente richiamate, non possono giustificare, di per sé, tale competenza” (ibidem, punto 20).
Il Collegio considera, tuttavia, che l’ “equa riparazione”, che la legge 89/2001 riconosce a colui che abbia subito una lesione per effetto della irragionevole durata di un procedimento giurisdizionale, in realtà costituisce un concreto strumento a mezzo del quale lo Stato italiano persegue lo scopo di contenere la durata nel tempo di qualsiasi procedimento giurisdizionale: ciò per la ragione che l’obbligo di indennizzare il soggetto leso dalla irragionevole durata di un processo induce lo Stato italiano ad implementare ed a mantenere misure organizzative, di vario tipo, idonee a contenere la durata dei procedimenti giudiziari. Del contenimento della durata dei procedimenti giurisdizionali beneficiano, evidentemente, anche le parti dei procedimenti che hanno ad oggetto controversie in materie di interesse per l’Unione Europea: ciò dicasi, a titolo di mero esempio, per le controversie che hanno ad oggetto l’adempimento di obbligazioni previste in contratti transazionali, in relazione ai quali sussista la giurisdizione del giudice italiano; lo stesso può affermarsi in relazione alle procedure di insolvenza che si svolgano innanzi le Autorità italiane e che vedano interessati soggetti creditori provenienti da altri Stati membri; o ancora in relazione alle cause risarcitorie che trovino causa in una illegittima decisione di aggiudicazione di un appalto pubblico, ovvero nelle cause di diritto di famiglia in cui i coniugi siano cittadini o residenti di diversi Stati membri.
Rileva pertanto il Collegio che la legge 89/2001, perseguendo lo scopo di contenere la durata di qualsiasi procedimento giurisdizionale, indirettamente tutela anche gli scopi del diritto della Unione Europea quante volte una controversia abbia ad oggetto una materia che rientra nelle competenze della Unione Europea.
Del resto, che lo svolgimento delle procedure giudiziarie all’interno dei singoli Stati membri sia di interesse per l’Unione laddove esse abbiano ad oggetto materie transazionali, è testimoniato dagli artt. 67, 81 e 82 del Trattato sul Funzionamento della Unione Europea, sopra ricordati. Benché l’ “equa riparazione” riconosciuta dallo Stato italiano per la irragionevole durata dei procedimenti giurisdizionali non possa essere considerata quale una misura obbligatoria ai sensi degli artt. 81 e 82 del Trattato FUE, ovvero ai sensi di un regolamento o di una direttiva specifica, tuttavia pare al Collegio che essa in concreto contribuisce a perseguire gli scopi della Unione nelle materie transazionali, in particolare contribuendo alla creazione di uno spazio di giustizia fondato sul rispetto dei principi fondamentali ed evitando di vanificare, con l’eccessiva durata dei procedimenti giurisdizionali, l’utilità del reciproco riconoscimento dei titoli giudiziari, sul quale si fonda nella Unione la cooperazione giudiziaria in materia civile e penale. Lo Stato italiano, comunque, con la legge n. 89/2001 ha implicitamente riconosciuto la necessità di accordare un indennizzo per irragionevole durata del processo quale misura idonea ad indurre una maggior efficienza del sistema giudiziario italiano, efficienza che – come detto – è essenziale sia ai fini della cooperazione giudiziaria nell’ambito della Unione Europea, che si basa sul reciproco riconoscimento dei titoli giudiziari, sia al fine di garantire l’efficace applicazione giudiziaria delle norme europee, e con essa anche la creazione di uno spazio di giustizia comune ed il corretto funzionamento del mercato comune interno. Il Collegio dubita pertanto che nel momento in cui il medesimo Stato italiano implementa misure tali da paralizzare l’obbligo di corrispondere l’indennizzo dovuto per irragionevole durata di un processo, esso si pone, per questo solo fatto, in contrasto con gli scopi perseguiti dagli articoli 67, 81 e 82 TFUE e in generale dalle norme europee che disciplinano una certa materia avente rilevanza transnazionale.
L’art. 5 sexies della L. 89/2001, introdotto con la legge n. 208/2015, onerando il soggetto creditore della “equa riparazione” di una serie di adempimenti che costituiscono condizione imprescindibile affinché questi possa ottenere il pagamento della indennità già riconosciutagli ed allungando in maniera significativa il termine entro il quale lo Stato deve emettere il mandato di pagamento, di fatto, almeno in parte, vanifica gli effetti della L. 89/2001, e ciò soprattutto in considerazione del fatto che al soggetto creditore viene imposto di attendere il pagamento per un significativo lasso di tempo senza poter, nel frattempo, intraprendere alcuna azione esecutiva giudiziaria, così rimanendo privato sia della possibilità di invocare, in un secondo momento, l’ “equa riparazione” connessa alla irragionevole durata del procedimento esecutivo, sia del diritto di reclamare il danno connesso al ritardato pagamento dell’indennizzo, reso legale dall’art. 5 sexies L. 89/2001.
D. Formulazione del quesito.
Sulla base di quanto sino ad ora osservato il Collegio formula il seguente quesito interpretativo:
“Se il principio secondo il quale ogni persona ha diritto a che la sua causa, sia esaminata da un giudice imparziale entro un termine ragionevole, sancito dall’art. 47 comma 2 della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea e dall’art. 6 paragrafo 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e del cittadino, principio reso eurounitario dall’art. 6, terzo comma, TFUE, in combinato disposto con il principio rinveniente dall’ articolo 67 TFUE, secondo cui l’Unione si fonda su uno spazio comune di giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali, nonché con il principio desumibile dagli articoli 81 e 82 TFUE, secondo cui l’Unione, nelle materie di diritto civile e penale che hanno implicazioni transazionali, sviluppa una cooperazione giudiziaria fondata sul principio del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali, ostino ad una normativa nazionale, quale quella italiana contenuta nell’art. 5 sexies della Legge n. 89/2001, la quale impone ai soggetti che sono già stati riconosciuti creditori, nei confronti dello Stato italiano, di somme dovute a titolo di “equa riparazione” per irragionevole durata di procedimenti giurisdizionali, di porre in essere una serie di adempimenti al fine di ottenerne il pagamento, nonché di attendere il decorso del termine indicato nel citato art. 5 sexies comma 5 L. 89/2001, senza poter nel frattempo intraprendere alcuna azione esecutiva giudiziaria e senza poter successivamente reclamare il danno connesso al tardato pagamento, e ciò anche nei casi in cui l’ “equa riparazione” sia stata riconosciuta in relazione alla irragionevole durata di un procedimento civile con implicazioni transazionali, o comunque in materia che rientra nelle competenze della Unione Europea e/o in materia per la quale l’Unione Europea preveda il reciproco riconoscimento del titoli giudiziari.”
E. Rilevanza della questione con riferimento al caso di specie.
Il sig. Garavaldi ha agito innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte per ottenere il pagamento della “equa riparazione” che allo stesso è stata riconosciuta a causa della irragionevole durata di una procedura fallimentare, nella quale egli si era insinuato per ottenere la liquidazione di un credito di natura ingente: trattasi quindi di indennizzo riconosciuto in relazione alla irragionevole durata di un procedimento di insolvenza, la cui disciplina rientra nell’ambito delle competenze della Unione, tanto da essere stata fatta oggetto di plurimi regolamenti, e da ultimo dal Regolamento n. 848/2015.
Il ricorrente, tuttavia, pur avendo depositato il ricorso per ottemperanza dopo l’entrata in vigore dell’art. 5 sexies della L. 89/2001, non ha posto in essere gli adempimenti indicati al comma 1 di tale disposizione, ragione per cui il Collegio dovrebbe, per questo solo fatto, dichiarare il ricorso inammissibile ai sensi del comma 7 della citata disposizione di legge. Non dovendo applicare al caso di specie il più volte citato articolo 5 sexies, invece, il ricorso potrebbe essere pianamente accolto.
F. – Sospensione del giudizio e disposizioni per la Segreteria.
Ai sensi delle Raccomandazioni si dispone che la Segreteria di questa Sezione trasmetta alla cancelleria della Corte di Giustizia, mediante plico raccomandato, il fascicolo di causa.
Visto l’art. 79 cod. proc. amm. e il punto 23 delle Raccomandazioni, il presente giudizio viene sospeso nelle more della definizione del procedimento incidentale di rinvio e ogni ulteriore decisione, anche in ordine al regolamento delle spese processuali, è riservata alla pronuncia definitiva, una volta ricevuta la notificazione della decisione emessa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (v. il punto 34 delle Raccomandazioni).
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe,
a) rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale indicata in motivazione;
b) dispone la trasmissione, a cura della Segreteria, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea della presente ordinanza e di copia degli atti indicati in motivazione, nonché di ogni ulteriore atto eventualmente richiesto, in futuro, dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea;
c) sospende il presente giudizio fino alla notificazione a questo TAR, da parte della Cancelleria della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, della decisione emessa dalla suddetta Corte.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:
Domenico Giordano, Presidente
Silvana Bini, Consigliere
Roberta Ravasio, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Roberta Ravasio | Domenico Giordano | |
IL SEGRETARIO