Il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la sentenza n. 1391 del 27 marzo 2017, ha dichiarato legittimo il provvedimento con il quale è stata disposta dall’Amministrazione la decadenza dalla concessione demaniale marittima per il non avvenuto pagamento del canone nei termini fissati dalla concessione.
I giudici di Palazzo Spada hanno affermato che “Ai sensi dell’art. 47 del codice della navigazione, lettera d), l’amministrazione può dichiarare la decadenza in questione «per omesso pagamento del canone per il numero di rate fissato a questo effetto dall’atto di concessione», ovvero nel caso concreto, dall’atto di concessione 7/2014, che all’art. 6 ultima parte prevede, appunto «ai sensi e per gli effetti» della norma citata, che «il numero di rate il cui omesso pagamento comporta la decadenza è fissato in una annualità» e che «per omesso pagamento si intende il mancato pagamento del canone entro i termini di cui all’art. 2», ovvero «entro 30 giorni dal ricevimento della relativa richiesta”.
Si riporta di seguito il testo della sentenza.
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Pubblicato il 27/03/2017
N. 01391/2017REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 557 del 2016, proposto dal Ristorante La Tuga di Traore Fatou & C. S.a.s., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Francesca Gatti, Francesco Paoletti e Matteo Spatocco, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Francesco Paoletti in Roma, viale Maresciallo Pilsudski, n. 118;
contro
Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in persona del legale rappresentante p.t., e l’Agenzia del demanio, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
l’Autorità portuale di Marina di Carrara, in persona del legale rappresentante p.t., non costituito in giudizio;
per l’annullamento, previa sospensione,
della sentenza del TAR Toscana, sezione III 12 novembre 2015, n. 1551, resa fra le parti, con la quale è stato respinto il ricorso proposto per: a) l’annullamento del decreto 13 ottobre 2014, n. 8, dell’Autorità portuale di Marina di Carrara, di dichiarazione di decadenza della concessione demaniale 16 aprile 2014, n. 7, e ingiunzione di sgombero; della nota 25 settembre 2014, n. 2777, della stessa Autorità, di reiezione della richiesta di esclusione di manufatto dalla concessione e di tutti gli atti presupposti, compresi quelli di determinazione del canone; b) l’accertamento del diritto al rimborso ovvero alla compensazione dei canoni versati in eccesso; c) l’accertamento del canone dovuto per la concessione rilasciata alla ricorrente; d) la condanna dell’amministrazione alla restituzione dei canoni indebitamente percepiti per la concessione stessa;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dell’Agenzia del demanio;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2017 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti l’avvocato Emanuela Paoletti, per delega dell’avvocato Spatocco, e l’avvocato dello Stato Paola Saulino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. L‘appellante gestiva sul lungomare di Marina di Carrara un ristorante, con sede in un complesso di immobili del demanio marittimo datole in concessione dall’Autorità portuale locale -da ultimo con atto 16 aprile 2014, n. 7, del relativo registro efficace dal 1° gennaio 2012 al 31 dicembre 2014- e composto in dettaglio da un manufatto adibito propriamente a ristorante, di 277 mq su due piani, da un’area scoperta di circa 106 mq, da un manufatto di pertinenza ad uso negozio di 192 mq, da una tettoia di 11 mq, considerata impianto di facile rimozione, e da un’area di 186 mq, pure occupata con un impianto di facile rimozione (doc. 4 in primo grado ricorrente appellante, atto di concessione citato).
Di tale concessione, la stessa aveva chiesto il rinnovo con istanza datata 30 giugno 2014, per tutti i beni indicati, ad esclusione del manufatto di pertinenza di 192 mq (doc. 6 in primo grado ricorrente appellante); aveva però ricevuto un diniego, con la nota 2777/2014 meglio indicata in epigrafe, motivata con il disposto avvio del procedimento di decadenza,
Con il successivo decreto 8/2014, notificato il 24 ottobre 2014, l’Autorità portuale aveva effettivamente pronunciato la decadenza dalla concessione 7/2014, motivandola con l’inadempimento dell’obbligo di pagamento del canone demaniale per il 2013, per la residua somma di € 14.537, e per il 2014, per la somma di € 44.455,62, quindi per il mancato pagamento di complessivi € 58.992,62, salvi gli accessori; l’Autorità aveva quindi ingiunto lo sgombero dell’immobile entro venti giorni dalla notifica (doc. 1 in primo grado ricorrente appellante).
L‘appellante ha proposto in primo grado ricorso, nel quale ha domandato in sintesi l’annullamento del decreto di decadenza e del diniego di rinnovo; ha chiesto altresì l’accertamento del canone a suo dire effettivamente dovuto, e la condanna dell’amministrazione a rimborsarle il supero pagato, che comunque ha opposto in compensazione.
2. Con la sentenza indicata sempre in epigrafe, il TAR ha respinto tutte queste domande, ritenendo che effettivamente il canone di concessione non fosse stato pagato per un ammontare tale da comportare la decadenza e che lo stesso fosse stato calcolato in modo corretto, e comunque non più contestabile.
Contro tale sentenza, l’originaria ricorrente propone appello, nel quale, dei motivi dedotti in primo grado, dichiara (p. 4 in fine) di abbandonare il primo, con cui aveva dedotto l’incompetenza dell’autorità che aveva determinato il canone, e il quarto, con cui aveva chiesto l’accertamento dell’inefficacia ovvero dell’inesistenza dell’incameramento da parte dello Stato delle pertinenze oggetto di concessione, al fine di veder riconoscere per le stesse un canone di concessione più favorevole; ripropone quindi i residui due motivi così come segue:
– con il primo di essi, deduce violazione dell’art. 47 del codice della navigazione e del § 6 dell’atto di concessione 7/2014, sostenendo che non sussisterebbe l’inadempimento posto a base della decadenza. Afferma infatti che alla data del relativo decreto, ovvero al 13 ottobre 2014, non si poteva dire che fosse stato omesso il pagamento di una intera annualità di canone, perché il debito per il 2013 era inferiore e il 2014 non era ancora terminato, quindi non si poteva ritenere esigibile il canone ad esso corrispondente. Deduce ad ogni buon conto che l’amministrazione ha escusso fruttuosamente la polizza di garanzia;
– con il secondo motivo, deduce poi la violazione della normativa concernente la determinazione del canone, ritenendo eccessivo l’ammontare determinato.
Sul punto specifico, l’interessata ripropone (appello, p. 15 dal quarto rigo) la domanda come “domanda di accertamento del quantum debeatur a titolo di canone demaniale previa CTU o verificazione”.
Nello stesso atto di appello, si puntualizza infine (p. 4 in fine) che, a seguito di un provvedimento cautelare pronunciato nel corso del giudizio di primo grado (dell’ordinanza del C.d.S., sez. VI, n. 2365 del 2015, che aveva temporaneamente impedito lo sgombero), aveva nuovamente chiesto il rinnovo della concessione, ricevendo però una nuova ingiunzione di sgombero e di pagamento di € 157.613,21 per occupazione senza titolo (doc. ti 2 e 3 dell’appellante, la richiesta di proroga e la nuova ingiunzione).
L’amministrazione ha resistito con atto depositato in data 18 febbraio e memoria di data 2 marzo 2016, in cui chiede che l’appello sia respinto.
Con ordinanza 11 marzo 2016, n. 876, la Sezione ha accolto la domanda cautelare.
Con memoria 23 gennaio 2017, la ricorrente appellante ha dato conto degli sviluppi successivi.
Da un lato, ha reso noto di aver impugnato avanti il TAR in primo grado il nuovo diniego di rinnovo della concessione e di avere ottenuto – con l’ordinanza cautelare del TAR Toscana, sez. II, 7 aprile 2016, n. 179 – la sospensione del relativo provvedimento e del conseguente sgombero considerata la pregiudizialità della definizione di questo giudizio (doc. 8 ricorrente appellante). Dall’altro lato, l’interessata ha dichiarato di non aver avuto la possibilità di far eseguire le ordinanze cautelari a suo favore (memoria citata, p. 3) e di avere quindi subito lo sgombero del ristorante, che dalla stagione estiva del 2016 ha cessato l’attività.
All’udienza del giorno 23 febbraio 2017, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito esposte.
2. Il primo motivo di appello, che contesta la sussistenza dei presupposti per dichiarare la decadenza, è infondato.
Ai sensi dell’art. 47 del codice della navigazione, lettera d), l’amministrazione può dichiarare la decadenza in questione «per omesso pagamento del canone per il numero di rate fissato a questo effetto dall’atto di concessione», ovvero nel caso concreto, dall’atto di concessione 7/2014, che all’art. 6 ultima parte prevede, appunto «ai sensi e per gli effetti» della norma citata, che «il numero di rate il cui omesso pagamento comporta la decadenza è fissato in una annualità» e che «per omesso pagamento si intende il mancato pagamento del canone entro i termini di cui all’art. 2», ovvero «entro 30 giorni dal ricevimento della relativa richiesta» (doc. 4 in primo grado ricorrente appellante, cit.).
3. Ciò posto, come non contestato in fatto dalla ricorrente appellante, il canone venne richiesto con nota 17 maggio 2013 per il 2013 e con nota 13 maggio 2014 per il 2014 (doc. ti 7 e 8 in primo grado, depositati dalla amministrazione appellata), e nessuna somma venne pagata, sì che il giorno 13 ottobre 2014, data del provvedimento di decadenza (doc. 1 in primo grado ricorrente appellante), il presupposto della decadenza sussisteva: va condiviso sul punto quanto affermato dal Giudice di primo grado.
4. A conclusioni non diverse si arriva anche considerando applicabile l’art. 12 bis del d.l. 24 aprile 2014, n. 66, citato dalla ricorrente appellante, per cui «i canoni delle concessioni demaniali marittime… dovuti a partire dall’anno 2014, sono versati entro la data del 15 settembre di ciascun anno». Anche se si ritenesse, infatti, che la norma abbia sostituito la specifica previsione dell’atto di concessione, la sostituzione si dovrebbe intendere operata per intero, ovvero nel senso che l’inadempienza sussiste nel momento in cui i canoni non sono stati «versati», ovvero effettivamente pagati, alla data indicata, senza possibilità di invocare il termine ulteriore di trenta giorni previsto dall’atto di concessione stesso. Pertanto, si dovrebbe comunque ritenere che alla data del 13 ottobre 2014 l’inadempienza rilevante sussistesse.
5. L’avvenuta escussione della garanzia allegata dalla ricorrente appellante conferma tale conclusione, dato che essa presuppone proprio che un inadempimento si sia verificato.
6. A sua volta infondato è il secondo motivo, incentrato sulla contestazione dell’importo dei canoni dovuti.
Va in proposito precisato che, a causa del dichiarato abbandono del quarto motivo di ricorso in primo grado, nei termini spiegati in premesse, non possono essere valutate in proposito le deduzioni contenute nella memoria 23 gennaio 2017, che si soffermano ancora sulla questione relativa all’effettivo incameramento delle costruzioni che insistono sul bene demaniale dato in concessione.
7. Di conseguenza, è irrilevante ai fini del decidere «la questione di compatibilità colle richiamate norme comunitarie» identificate peraltro in norme della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo – CEDU, che la ricorrente appellante chiede di sollevare «in caso di mancato riconoscimento… nel processo amministrativo» di una azione «di accertamento e dichiarativa della natura pubblica o privata del manufatto posto sul suolo demaniale», che nella sua prospettiva rileverebbe ai fini della esatta liquidazione del canone (memoria 23 gennaio 2017 ricorrente appellante, cit.).
8. In proposito, va invece ribadito quanto affermato dal TAR, ovvero che l‘appellante non ha impugnato nei termini né l’atto di concessione 16 aprile 2014, in cui si fissa il canone, e che risulta sottoscritto in calce dalla legale rappresentante, né gli atti presupposti di determinazione dei criteri per il calcolo, puntualmente richiamati nell’atto stesso.
Di conseguenza, l’azione di ‘accertamento’ proposta in questa sede si qualifica in realtà come azione di annullamento, tardivamente proposta, degli atti medesimi.
9. In proposito, non è poi condivisibile quanto l‘appellante afferma sempre nella memoria 23 gennaio 2017, ovvero che la propria legale rappresentante, «essendo cittadina senegalese che lavorava come cuoca» non avrebbe avuto «le necessarie conoscenze per accorgersi della enormità del canone imposto».
Non è stata infatti allegata alcuna circostanza anomala specifica per cui la persona in questione, la quale appunto conosceva l’esercizio commerciale poiché vi lavorava come titolare, non sarebbe stata in grado di apprezzarne la situazione economica.
10. Per tutte queste ragioni, non va accolta la richiesta di CTU proposta in primo grado, in quanto non rilevante.
11. Per completezza, vanno svolte anche alcune considerazioni ulteriori.
In primo luogo, in questo grado di giudizio non sono state riproposte né l’azione di condanna al pagamento degli eventuali maggiori canoni pagati, né la relativa eccezione di compensazione, proposte in primo grado.
Esse pertanto, in ogni caso, andrebbero ritenute come rinunciate ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a.
In secondo luogo, della domanda di ‘accertamento’ proposta non vengono nemmeno specificati i limiti, ovvero se essa si riferisca a tutti i canoni dal 2008 ad oggi, come dedotto in primo grado, ovvero soltanto a quelli rilevanti ai fini della dichiarazione di decadenza, come emergerebbe per implicito dal contenuto del ricorso in appello.
12. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.
Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e si liquidano così come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n.557/2016 R.G.), lo respinge.
Condanna l‘appellante a rifondere alle amministrazioni appellate le spese del presente grado del giudizio, spese che liquida in € 2.000 (duemila/00) complessivi, oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2017, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Bernhard Lageder, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere
Francesco Mele, Consigliere
Francesco Gambato Spisani, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Francesco Gambato Spisani | Luigi Maruotti | |
IL SEGRETARIO