Ricorso per revocazione in Consiglio di Stato: i presupposti di ammissibilità

Nel processo amministrativo, ai fini della revocazione, la relativa domanda deve avere ad oggetto sia la parte rescindente e che quella rescissoria

Il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza n. 1869 del 21 aprile 2017, si è pronunciato sui presupposti di ammissibilità di un ricorso per revocazione avverso una precedente sentenza del Consiglio di Stato.

Il Collegio si è così espresso: “Per risalente quanto condivisa giurisprudenza civile ed amministrativa, infatti, il giudizio per la revocazione (Cass., sez. un., 12 novembre 1997, n. 11148; Consiglio di Stato, sez. IV, 15/09/2015, n. 4294) prevede una fase rescindente ed una rescissoria che hanno incidenza su una precedente sentenza, e va deciso con un atto unitario, sicché la relativa domanda deve contenere tutti i requisiti necessari per mettere il giudice nella condizione di adottare la pronuncia definitiva”.

I giudici di Palazzo Spada hanno osservato che la ricorrente aveva enunciato sicuramente i motivi a fondamento della propria domanda al fine di ottenere la revocazione della sentenza precedentemente resa dal Consiglio di Stato, ma nulla ha proposto circa la richiesta di conclusione del giudizio rescissorio allo scopo della sostituzione della sentenza revocata con una nuova decisione di merito.

Il Collegio ha, infine, affermato: “Sotto un profilo più generale, si rammenta che la giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato che l’errore di fatto, idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall’art. 395 n. 4 c.p.c., deve consistere in un “travisamento di fatto costitutivo di “quell’abbaglio dei sensi” che cade su un punto decisivo ma non espressamente controverso della causa.” (ex multis, Consiglio Stato, sez. IV, 07 settembre 2006, n. 5196). La ratio di tale condivisibile orientamento riposa nella necessità di evitare che detta forma di impugnazione si trasformi in una forma di gravame, teoricamente reiterabile più volte, idoneo a condizionare sine die il passaggio in giudicato di una pronuncia giurisdizionale (ex multis Cassazione civile , sez. I, 19 giugno 2007, n. 14267)”.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

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Pubblicato il 21/04/2017

N. 01869/2017 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9414 del 2007, proposto dalla Societa’ Ponente 1978 s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Giulio Lais C.F. LSAGLI44P19H501V, Lorenzo Acquarone C.F. CQRLNZ31B25L741K, con domicilio eletto presso Giulio Lais in Roma, via C. Monteverdi, 20;

contro

Comune di Roma, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Andrea Magnanelli C.F. MGNNDR61E21H501Y, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, 21;
Regione Lazio, Lo Mastro Giuseppe non costituiti in giudizio;

nei confronti di

Codacons non costituito in giudizio;

per la revocazione

della sentenza del CONSIGLIO DI STATO -Sezione IV -n. 4256/2007, resa tra le parti, concernente concessione edilizia.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 marzo 2017 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati F. Acquarone su delega di L. Acquarone, e A Magnanelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con la decisione impugnata per revocazione n. 4256/2007 questa Quarta Sezione del Consiglio di Stato ha riunito gli appelli r.g.n. 6286/1991 (proposto dalla società Ponente 1978 s.r.l avverso la sentenza del T.a.r. per il Lazio n. 1634/1991) e r.g.n. 8695/1997 (proposto dalla società Ponente 1978 s.r.l avverso la sentenza del T.a.r per il Lazio, n. 1052/1996) ed ha dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, l’appello r.g.n. e respinto l’appello r.g.n. 8695/1997.

2. In punto di fatto, era accaduto che:

a) con il primo degli appelli, recante r.g.n. 6286/1991 in epigrafe, notificato il 5 novembre 1991 e depositato il successivo 8 novembre, la società Ponente 1978 s.r.l. aveva impugnato, contestandone le statuizioni, la citata sentenza del T.a.r per il Lazio n. 1634/1991 che aveva accolto il ricorso del Comune di Roma teso ad ottenere l’annullamento della concessione edilizia n. 958/1990, relativa alla costruzione di un complesso edilizio sito in Via predestina, angolo di Portonaccio, rilasciata il 30 maggio 1990 dalla Regione Lazio (Assessorato regionale all’urbanistica) quale ente sostituto del medesimo Comune; il T.a.r. aveva, in particolare, ravvisato la illegittimità della concessione in relazione alla soggezione al controllo statuale del provvedimento ed alla esistenza, per le cosiddette “zone bianche”, di limiti di densità edilizia non rispettati nella specie;

b) con il secondo degli appelli, recante r.g.n. 8695/1997, notificato il 19 settembre 1997 e depositato il successivo 5 ottobre, la società Ponente 1978 s.r.l. aveva impugnato, contestandone le stauizioni, la sentenza del T.a.r per il Lazio n. 1052/1996,che aveva respinto il ricorso della medesima teso ad ottenere l’annullamento del decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 1402/1992, notificato il 21 settembre 1992, con il quale era stato disposto l’integrale annullamento della concessione edilizia n. 958/1990 predetta; il T.a.r per il Lazio aveva in particolare rilevato che, anche in presenza di documenti difformi, riguardo alla destinazione di zona, l’Amministrazione non poteva tener conto di un particolare affidamento in capo alla società ricorrente, divenuta proprietaria dei terreni solo di recente.

3. Si erano costituite in giudizio sia le Amministrazioni intimate che il Codacons, chiedendo la reiezione del gravame.

4. Con la sentenza oggi impugnata per revocazione recante n. 4256/2007, la Sezione ha preliminarmente:

a) riunito i suindicati appelli in quanto oggettivamente e soggettivamente connessi;

b) rilevato che in ordine logico dovesse essere esaminato con priorità il secondo ricorso (recante r.g.n. 8965/1997) concernente il decreto della Regione Lazio n. 1402/1992 relativo all’annullamento, in via di autotutela, della concessione edilizia n. 958/1990 rilasciata dalla stesa Regione nell’esercizio dei poteri sostitutivi, in relazione alla quale era stato proposto il primo ricorso (recante r.g.n. 6286/1991).

4.1. Nel merito, ha ritenuto l’appello recante r.g.n. 8965/1997 infondato, in quanto:

a) il decreto n. 1402/1992 era stato adottato a seguito della riscontrata erroneità del presupposto in base al quale era stata in precedenza rilasciata la concessione edilizia richiesta dalla società istante, (quello secondo cui avessero perso efficacia i vincoli di piano regolatore generale sull’area interessata, destinata per una parte a zona M/1-servizi generali pubblici- e per un’altra parte a zona M/3 -servizi pubblici locali-, mentre si era successivamente riscontrato che parte dell’area in discorso risultava avere destinazione a zona I/2 -edilizia con caratteristiche speciali- e non M/3, con conseguente sussistenza di motivi di pubblico interesse al mantenimento dell’equilibrio del particolare tessuto urbanistico previsto per l’agglomerato urbano in questione);

b) era da escludersi la fondatezza delle censure relative a vizi di natura formale (contenute nel quarto motivo di appello), mediante le quali si era sostenuta in concreto la mancanza di uno specifico potere di autotutela della Regione in materia, oltreché un vizio procedimentale per la mancata acquisizione del parere della Commissione edilizia del Comune di Roma, in quanto il detto potere di autotutela era immanente ed il provvedimento di autotutela era stato adottato sulla base di nuovi elementi relativi alla destinazione urbanistica dell’area, idonei ad impedire il rilascio stesso della concessione e non in grado di interferire, con le valutazioni in precedenza effettuate dal detto organo consultivo;

c) era parimenti infondata la –centrale- doglianza contenuta nel primo motivo di appello con il quale si era censurata la possibilità di fare esclusivo riferimento alla cartografia depositata presso l’Ufficio speciale per il piano regolatore generale di Roma (che prevedeva la parziale destinazione I/2 per l’area in questione), in quanto ancora all’epoca di proposizione dell’appello venivano rilasciati certificati di destinazione urbanistica, da parte del Comune, in cui l’area stessa risultava con destinazione M/3 (il che avrebbe dovuto far ritenere sussistente un concreto affidamento per la società proprietaria in ordine alla possibilità di utilizzazione nel modo richiesto dell’area di propria pertinenza) in quanto:

1) riguardo alla autenticità della planimetria che prevedeva la destinazione I/2, era intervenuto nel frattempo anche un giudizio dinanzi al giudice penale, che aveva accertato la falsità della planimetria relativa alla destinazione M/3, anche se la vicenda non risultava connessa alla causa in esame;

II) nessun affidamento ingenerato nella società proprietaria a cagione della mancata conoscibilità di detta destinazione era ravvisabile, in quanto (come in precedenza già rilevato dal T.a.r.) la predetta società aveva acquisito la posizione di proprietario meno di due anni prima dell’annullamento del titolo edilizio, il che conduceva ad escludere sia la sussistenza di un serio e consolidato affidamento della medesima sia l’obbligo, da parte dell’Amministrazione, di compiere valutazioni comparative sugli interessi coinvolti;

III) irrilevante era po, la circostanza che le planimetrie esposte al pubblico continuavano ancora a riportare l’erronea destinazione M/3 dell’area in oggetto, trattandosi di un disservizio non incidente sulle determinazioni dell’amministrazione;

d) doveva parimenti essere esclusa la fondatezza della tesi (prospettata con il secondo motivo di appello) volta a sostenere la possibilità di un annullamento solo parziale della concessione edilizia, in quanto il progetto non riguardava la realizzazione seriale di edifici dello stesso tipo (ma invece un complesso immobiliare con finalità produttive comprendente più corpi di fabbrica diversi e funzionalmente tra loro collegati), per cui l’Autorità amministrativa giammai avrebbe potuto arrogarsi il potere di procedere ad una vera e propria rielaborazione del progetto, espungendo alcune previsioni progettuali di propria iniziativa;

e) era non favorevolmente delibabile la censura (contenuta nel terzo motivo di appello) tesa ad affermare che le possibilità edificatorie della zona I/2 sarebbero state uguali, se non superiori, a quelle della zona M/3, anche in relazione alla asserita sopravvenuta caducazione della prescrizione delle N.T.A. dello strumento urbanistico in ordine alla previa predisposizione di piani particolareggiati estesi all’intero comparto, con riferimento alla citata zona I/2, in quanto nell’atto di autotutela nel quale non si formulava affatto un rilievo di tipo “quantitativo” con riguardo alla edificabilità dell’area, ma si osservava, sul piano “qualitativo” che la diversa destinazione stabilita per l’area a (edilizia con caratteristiche speciali), rispetto a quella erroneamente presupposta (servizi pubblici locali), implicava la necessità – sotto il profilo di un preminente pubblico interesse alla difesa del territorio – di escludere un intervento per usi impropri del territorio stesso, per consentire in concreto, come previsto, la “ricostruzione dell’equilibrio del tessuto urbanistico nella parte semiperiferica del quadrante orientale della città”.

4.2. Dalla circostanza che era rimasta definitivamente accertata (a seguito della reiezione dell’appello recante N.R.G. 8695/1997) la legittimità dell’atto di autotutela incidente sulla concessione originariamente rilasciata, la Sezione ha fatto discendere la declaratoria di improcedibilità dell’appello recante N.R.G. 6286/1991 con il quale erano state contestate le statuizioni del T.a.r., che aveva riconosciuto la illegittimità della surricordata concessione edilizia n. 958/1990.

5. Con la presente impugnativa che viene all’esame del Collegio, la parte originaria appellante, rimasta soccombente, ha chiesto la revocazione della sentenza pronunciata dalla Sezione, in quanto asseritamente affetta da errore di fatto incidente su un punto decisivo della controversia.

5.1. In particolare, con il proposto ricorso per revocazione, dopo avere ripercorso l’iter della controversia (pagg. 1-4 del gravame straordinario in esame) la società originaria appellante ha censurato ex art. 395 n. 4 cpc la sentenza definitiva della Sezione, in quanto, a suo dire, nel respingere il primo motivo dell’appello recante r.g.n. 8965/1997, la decisione aveva erroneamente sostenuto che, riguardo alla autenticità della planimetria che prevedeva la destinazione I/2, si era definito nel frattempo anche un giudizio dinanzi al giudice penale, che aveva accertato la falsità della planimetria relativa alla destinazione M/3, anche se la vicenda non risultava connessa alla causa in esame.

5.2. Al contrario di quanto ivi affermatosi, invece:

a) non era intervenuto alcun definitivo accertamento sulla falsità della planimetria:

b) pertanto, in difetto del dichiarato accertamento di falsità delle planimetrie di P.R.G. esposte a libera visione del pubblico e nel contrasto tra queste e quelle esistenti presso l’Ufficio speciale per il piano regolatore generale avrebbe dovuto attribuirsi prevalenza alle prime.

6. In data 7.12. 2007 l’intimata amministrazione comunale di Roma si è costituita depositando atto di stile con il quale ha chiesto la reiezione –o la declaratoria di inammissibilità- del ricorso per revocazione.

7.In data 10.10.2013 l’intimata amministrazione comunale di Roma ha depositato una articolata memoria, nell’ambito della quale ha dedotto che:

a) la falsità contestata dalla società impugnante (e correttamente affermata dalla Sezione con la sentenza gravata) era stata definitivamente accertata;

b) ciò in quanto, il Tribunale Penale di Roma, con la sentenza resa il 8 agosto 1996, aveva assolto dal delitto di cui all’art. 479 cp contestato i soggetti rinviati a giudizio, ma aveva ritenuto che oggettivamente le tavole su cui la società originaria appellante aveva impostato il progetto erano false;

c) il gravame revocatorio era quindi: infondato in fatto; inammissibile in quanto tendeva ad introdurre elementi di merito (era indubitabile che esistessero due tavole, ed il T.a.r. prima ed il Consiglio di Stato poi avevano dato prevalenza ad una di esse sulla scorta di un giudizio –di natura giuridica e quindi non censurabile in revocazione- non unicamente fondato sull’accertamento penale; inammissibile per carenza di interesse in quanto l’area non era più edificabile.

8. In data 12.5.2015 la società impugnante ha depositato una articolata memoria ribadendo le proprie argomentazioni e sostenendo che la sentenza si era fondata su un errore di fatto e che la contestata falsità non sussisteva né era mai stata definitivamente accertata in sede penale; e con ulteriore memoria depositata il 6.2.2017 ha puntualizzato le proprie tesi.

9. In data 17.1.2017 il Comune di Roma ha depositato una ulteriore memoria puntualizzando le proprie difese.

10. Alla odierna pubblica udienza del 9 marzo 2017 la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso per revocazione proposto è inammissibile e comunque infondato nei termini che di seguito si espongono.

2. L’impugnazione sarebbe anzitutto inammissibile per ragioni formali, in quanto il ricorso è privo dei motivi di censura relativi alla eventuale fase rescissoria.

2.1. Per risalente quanto condivisa giurisprudenza civile ed amministrativa, infatti, il giudizio per la revocazione (Cass., sez. un., 12 novembre 1997, n. 11148; Consiglio di Stato, sez. IV, 15/09/2015, n. 4294) prevede una fase rescindente ed una rescissoria che hanno incidenza su una precedente sentenza, e va deciso con un atto unitario, sicché la relativa domanda deve contenere tutti i requisiti necessari per mettere il giudice nella condizione di adottare la pronuncia definitiva.

Nel caso di specie l’interessata ha allegato dei motivi a sostegno della domanda con cui intende conseguire la revocazione della precedente sentenza pronunciata da questa Sezione del Consiglio di Stato, ma non ha proposto alcuna istanza per la conclusione del c.d. giudizio rescissorio: sotto tale profilo il ricorso evidenzia soltanto la domanda per la revocazione, ma nulla è detto a proposito dell’eventuale fase successiva all’annullamento della sentenza.

Il Collegio non potrebbe neppure rifarsi alla domanda proposta nel processo da cui derivò la sentenza gravata, posto che (Cass., sez. I, 3 maggio 2000, n. 5513) sussiste autonomia tra le istanze in esame e quelle avanzate nel giudizio che si concluse con la decisione viziata per il dedotto errore di fatto.

In conclusione la ricorrente non trarrebbe alcun vantaggio dall’eventuale accoglimento della domanda di revocazione, atteso che il giudice non potrebbe adottare una pronuncia capace di farle conseguire il cosiddetto bene della vita perseguito.

La giurisprudenza civile (Cassazione civile, sez. III, 14/11/2006, n. 24203 ) e quella amministrativa (Consiglio di Stato, sez. V, 29/05/2006, n. 3242):

a) concordano nel ritenere inammissibile il ricorso che contenga solo la domanda di revocazione della sentenza, ma non quella di decisione sull’originario ricorso attraverso la riproposizione degli argomenti in esso riportati, non essendo siffatto ricorso idoneo ad attivare la eventuale, successiva fase rescissoria;

b) impongono che i motivi d’impugnazione debbano essere formulati, nel testo del ricorso per revocazione di una sentenza amministrativa, in modo rigoroso, non limitandosi alla mera richiesta di revocazione (iudicium rescindens), ma formulando specifiche richieste in ordine alla decisione di merito della controversia (iudicium rescissorium);

c) evidenziano la necessità di una intellegibile indicazione (Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 06/03/2008, n. 143 “è inammissibile il ricorso per revocazione in difetto di riproposizione di ogni domanda rescissoria, né per sommi capi, né per comprensibile relatio.”).

2.2. Nel caso di specie, tale onere non è stato rispettato, per cui il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.

3. In ogni caso, anche a volere superare tale preclusione formale, il proposto ricorso avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile, e comunque, infondato, per le ragioni che di seguito si elencano.

3.1. Il Collegio ritiene opportuno far precedere la disamina delle tematiche come sopra individuate da una breve esposizione di quali siano gli orientamenti giurisprudenziali in materia al fine di evitare di indulgere in superflue ripetizioni.

3.2. Sotto un profilo più generale, si rammenta che la giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato che l’errore di fatto, idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall’art. 395 n. 4 c.p.c., deve consistere in un “travisamento di fatto costitutivo di “quell’abbaglio dei sensi” che cade su un punto decisivo ma non espressamente controverso della causa.” (ex multis, Consiglio Stato, sez. IV, 07 settembre 2006, n. 5196).

La ratio di tale condivisibile orientamento riposa nella necessità di evitare che detta forma di impugnazione si trasformi in una forma di gravame, teoricamente reiterabile più volte, idoneo a condizionare sine die il passaggio in giudicato di una pronuncia giurisdizionale (ex multis Cassazione civile , sez. I, 19 giugno 2007, n. 14267).

Il rimedio in esame non è pertanto praticabile, allorché incida su un aspetto della controversia che ha formato oggetto di valutazione giudiziale (tra le tante, Cassazione civile, sez. II, 22 giugno 2007, n. 14608) e men che meno allorché l’errore segnalato verta sulla interpretazione od applicazione di norme giuridiche.

3.2.1 Il Consiglio di Stato ha sempre condiviso pienamente tale orientamento ed ha affermato che “ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c., sono soggette a revocazione per errore di fatto le sentenze pronunciate in grado di appello, quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare” (Consiglio Stato , sez. VI, 21 giugno 2006, n. 3721, Consiglio Stato , sez. VI, 05 giugno 2006, n. 3343, Consiglio Stato , sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2278). Inoltre, è stato chiarito dalla giurisprudenza che “l’errore di fatto idoneo a legittimare la revocazione non soltanto deve essere la conseguenza di una falsa percezione delle cose, ma deve avere anche carattere decisivo, nel senso di costituire il motivo essenziale e determinante della pronuncia impugnata per revocazione. Il giudizio sulla decisività dell’errore costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità se sorretto da congrua motivazione, non inficiata da vizi logici e da errori di diritto.” (Cassazione civile, sez. I, 29 novembre 2006, n. 25376).

3.3. Alla luce delle suindicate coordinate interpretative –dalle quali il Collegio non ravvisa motivi per discostarsi- si osserva che:

a) contrariamente a quanto affermato dalla società ricorrente in revocazione, non risponde al vero che non sia intervenuto alcun definitivo accertamento sulla falsità della planimetria in sede penale;

b) il Tribunale Penale di Roma, con la sentenza resa il 8 agosto 1996, ha assolto dal delitto di cui all’art. 479 cp contestato i soggetti rinviati a giudizio, ma aveva ritenuto che oggettivamente le tavole su cui la società originaria appellante aveva impostato il progetto erano false;

c) a tutto concedere, quindi, l’errore contenuto nella sentenza impugnata consisterebbe nell’avere ritenuto definitivamente provato tale aspetto, pur se contenuto in una sentenza assolutoria, e pronunciata nei confronti di soggetti diversi ed in un giudizio ove non era presente la parte odierna impugnante;

d) si tratterebbe, quindi, di un errore di diritto – e non di fatto- incensurabile, pertanto, per le già chiarite ragioni, con il rimedio revocatorio ovvero, comunque, nel campo di una critica alla gestione giudiziale del mezzo probatorio, che è incensurabile in sede revocatoria.

3.4. Per altro verso, a monte, la impostazione del ricorso in revocazione è inammissibile, in quanto:

a) la odierna ricorrente, già appellante rimasta soccombente, non aveva affatto prospettato direttamente la questione della falsità – o meno- delle tavole, ma aveva ipotizzato che, a cagione della circostanza che la cartografia depositata presso l’Ufficio speciale per il piano regolatore generale di Roma prevedeva la parziale destinazione I/2 per l’area in questione, mentre ancora venivano rilasciati certificati di destinazione urbanistica, da parte del Comune, in cui l’area stessa risultava con destinazione M/3, potesse configurarsi un affidamento della predetta sulla destinazione M/3 dell’area;

b) il giudizio negativo contenuto nella sentenza impugnata ha escluso tale possibile affidamento, sulla scorta di una motivazione composita (solo in parte riposante nella acclarata falsità delle tavole progettuali che si fondavano sulla tesi per cui l’area stessa risultava con destinazione M/3), ed incentrata anche su dati cronologici e logici (vedasi capo 2.4. ultimi due periodi);

c) infatti la sentenza della Sezione impugnata dà atto che la vicenda penale “non risultava connessa alla causa ora in esame” ma afferma la tesi che comunque –ed in ogni caso- il comune potesse fare riferimento alla cartografia depositata presso l’Ufficio speciale per il Prg di Roma.

3.5. Se così è, ne discende che:

I) il giudizio sulla esattezza della destinazione I/2 per l’area in questione prescindeva dall’avvenuto accertamento in sede penale;

II) la esclusione di un affidamento tutelabile in capo all’originaria appellante si fonda su plurimi elementi;

III) se anche non fosse rispondente al vero che sulla falsità delle tavole si era definitivamente pronunciato il giudice penale, l’errore risulterebbe comunque non decisivo.

3.4. Non è poi ultroneo evidenziare che il gravame revocatorio incide su un punto controverso che fu oggetto di accertamento nel giudizio di merito, per cui anche sotto tale profilo l’impugnazione sarebbe inammissibile.

4. Conclusivamente, il gravame, comunque infondato, deve essere dichiarato inammissibile.

4.1. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, tra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663).

4.2.Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

5. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza, e pertanto la società impugnante deve essere condannata al pagamento delle medesime in favore dell’appellata amministrazione comunale di Roma costituita, nella misura che appare equo determinare in Euro quattromila (€ 4.000//00) oltre oneri accessori, se dovuti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sul ricorso in revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Condanna l’impugnante società al pagamento delle spese processuali della revocazione in favore dell’amministrazione comunale di Roma, nella misura di Euro quattromila (€ 4.000//00) oltre oneri accessori, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Carlo Schilardi, Consigliere

Giuseppe Castiglia, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Fabio Taormina Filippo Patroni Griffi

IL SEGRETARIO

Redazione

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