Legittimazione ad impugnare gli atti di gara: il TAR Liguria rimette la questione alla CGUE

Il TAR Liguria, Sez. II, con l’ordinanza n. 263 del 29 marzo 2017, ha rimesso alla Corte di Giustizia U.E. la questione del rapporto tra norme comunitarie e italiane su quali operatori possano essere legittimati ad impugnare gli atti di gara.

E’ stata sottoposta alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la seguente questione pregiudiziale:

“Se gli artt. 1, parr. 1, 2 e 3, e l’art. 2, par. 1, lett. b), della direttiva n. 89/665 CEE, avente ad oggetto il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, ostino ad una normativa nazionale che riconosca la possibilità di impugnare gli atti di una procedura di gara ai soli operatori economici che abbiano presentato domanda di partecipazione alla gara stessa, anche qualora la domanda giudiziale sia volta a sindacare in radice la procedura, derivando dalla disciplina della gara un’altissima probabilità di non conseguire l’aggiudicazione”.

Ha chiarito il TAR che la giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (specie con la sentenza 25 febbraio 2014, n. 9) ha affermato che solo le ditte partecipanti alla gara sono titolari di tale diritto di impugnativa, regola cui è possibile derogare in caso di contestazione a monte della procedura di gara.

Si riporta di seguito il testo dell’ordinanza.

***

Pubblicato il 29/03/2017

N. 00263/2017 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 651 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da:

 

Amt Azienda Trasporti e Mobilità S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avv. Corrado Mauceri, Paolo Momigliano, con domicilio eletto presso Corrado Mauceri in Genova, Via XII Ottobre, 2/63;

 

Atc Esercizio S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’avv. Corrado Mauceri, con domicilio eletto presso Corrado Mauceri in Genova, Via XII Ottobre, 2/63;

 

Atp Esercizio S.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’avv. Corrado Mauceri, con domicilio eletto presso Corrado Mauceri in Genova, Via XII Ottobre, 2/63;

 

Riviera Trasporti S.p.A. in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’avv. Corrado Mauceri, con domicilio eletto presso Corrado Mauceri in Genova, Via XII Ottobre, 2/63;,

 

Tpl Linea S.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avv. Corrado Mauceri, Roberto Romani, con domicilio eletto presso Corrado Mauceri in Genova, Via XII Ottobre, 2/63;

 

contro

Atpl Liguria – Agenzia regionale per il trasporto pubblico locale S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avv. Andrea Pericu, Andrea Bettini, con domicilio eletto presso Andrea Pericu in Genova, Cs. A.Saffi 7/12;
Regione Liguria, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Michela Sommariva, Barbara Baroli, con domicilio eletto presso Michela Sommariva in Genova, Via Fieschi 15;

per l’annullamento,

previa sospensione dell’esecuzione

1) dell’avviso per individuazione degli operatori economici ai sensi dell’art. 30 d.lgs. 163/06 pubblicato su g.u.c.e. in data 03/06/2015 e su g.u.r.i. in data 05/06/2015;

2) dei chiarimenti sull’avviso per l’individuazione degli operatori economici ai sensi dell’art. 30 d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163;

3) della deliberazione della Giunta regionale 19 giungo 2014 n. 789 avente ad oggetto relazione sull’affidamento dei servizi di trasporto pubblico locale ai sensi dell’art. 34, comma 20 d.l. 179/11;

4) dell’avviso in data 2 ottobre 2015 avente ad oggetto riapertura termini di manifestazione di interesse e fissazione del nuovo termine in data 29 ottobre 2015;

5) avviso per individuazione degli operatori economici ai sensi dell’art. 30 d.lgs. 163/06 come rettificato a seguito dell’avviso in data 2 ottobre 2015;

6) della nota di ATPL in data 20 ottobre di comunicazione della intervenuta riapertura dei termini;

7) dell’avviso in data 12 ottobre 2015 avente ad oggetto la sospensione del termine di presentazione delle manifestazioni di interesse a seguito dell’ordinanza del TAR Liguria n. 231/15 nella parte in cui ha disposto la mera sospensione del termine di presentazione delle manifestazioni di interesse;

8) della deliberazione del Consiglio di amministrazione di ATPL s.p.a. in data 28 settembre 2015 nella parte in cui è stato deliberato di riaprire i termini per la presentazione delle manifestazioni di interesse previsti dall’avviso;

9) della nota ATPL 23 ottobre 2015 n. prot 293 di respingimento dell’istanza di annullamento o revoca in autotutela dei provvedimenti impugnati.

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Atpl Liguria – Agenzia Regionale Per il Trasporto Pubblico Locale S.p.A. e di Regione Liguria;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2017 il dott. Luca Morbelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

 

1. L’oggetto della controversia e i fatti rilevanti.

 

La presente questione pregiudiziale verte sulla legittimazione di un operatore economico a contestare in radice i termini di una procedura di gara alla quale il medesimo non ha presentato domanda di partecipazione nel caso in cui la disciplina di gara renda certa o altamente probabile la sua impossibilità a conseguire l’aggiudicazione della gara stessa.

Detta questione pregiudiziale si inserisce nell’ambito di una controversia avente ad oggetto l’affidamento del servizio di trasporto pubblico della Regione Liguria.

Le società in epigrafe hanno impugnato gli atti con i quali l’Agenzia regionale per il trasporto pubblico locale (di seguito ATPL) ha indetto una procedura di gara informale per l’affidamento del servizio di trasporto pubblico locale nel territorio della Regione Liguria.

Tale procedura di gara era stata indetta sulla base della Legge Regionale 7 novembre 2013, n. 33, e del regolamento CEE 23 ottobre 2007 n. 1370.

Gli artt. 9, comma 1, e 14, comma 1, della legge regionale 7 novembre 2013 n. 33 prescrivevano, in particolare, che l’affidamento del servizio venisse realizzato attraverso l’individuazione di un unico lotto relativo all’intero territorio regionale e con possibile estensione anche al trasporto ferroviario.

Il suddetto ricorso si è articolato in una pluralità di motivi volti a contestare in radice le modalità di indizione ed espletamento della procedura di gara.

Tra i motivi di ricorso è stata prospettata l’illegittimità costituzionale degli artt. 9, comma 1 e 14 della L.R. Liguria n. 33/2013 in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, primo e secondo comma, lettere e) e s), della Costituzione, nonché per violazione degli artt. 49 e 56 del TFUE.

Nello specifico, le disposizioni normative regionali sono state censurate nella parte in cui, rispettivamente, hanno fatto coincidere con l’intero territorio regionale ligure l’ambito territoriale ottimale per il trasporto pubblico regionale e locale e hanno stabilito che l’affidamento del relativo servizio avvenisse in un unico lotto.

Con ordinanza collegiale del 21 gennaio 2016, n. 95, questo Tribunale ha sollevato due questioni di legittimità costituzionale degli artt. 9, comma 1, e 14, comma 1, della Legge della Regione Liguria 7 novembre 2013, n. 33, in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, primo e secondo comma, lettere e) e s), della Costituzione, nei termini testé indicati.

Nel rimettere la questione alla Corte costituzionale italiana, il Collegio si è soffermato sulla rilevanza della questione nell’economia del ricorso (condizione di ammissibilità della questione di legittimità costituzionale, ai sensi dell’art. 23 della L. 11/3/1953, n.87).

A tal riguardo, è stato evidenziato che le società ricorrenti sono gestori di servizi di trasporto pubblico locale in ambito provinciale o sub provinciale, sicché, a fronte della disposizione di cui all’art. 3-bis Decreto Legge 13 agosto 2011 n.138 (in Gazz. Uff., 13/8/2011, n. 188, convertito, con modificazioni, in L. 14/9/2011 n. 148) – che prevede di norma la dimensione provinciale degli ambiti territoriali di svolgimento dei servizi pubblici locali – la previsione stabilita direttamente dalla Legge regionale di un ambito territoriale di dimensione regionale e la previsione dell’affidamento del servizio in unico lotto di pari dimensioni sarebbero idonei a frustrare le aspettative di aggiudicazione del servizio.

Ed invero, in un ambito territoriale di dimensione provinciale, quale quello ipotizzato in via ordinaria dall’art. 3-bis D.L. n. 138/2011, le ricorrenti avrebbero avuto significative probabilità di aggiudicarsi il servizio, considerato altresì che le medesime erano i gestori precedenti del servizio stesso.

Di contro, in un ambito territoriale coincidente con l’intero territorio regionale, che necessariamente implica il possesso di requisiti incomparabilmente più onerosi già per la sola partecipazione alla gara, le probabilità si sarebbero ridotte fin quasi ad azzerarsi.

Da tale impostazione conseguiva che l’eventuale declaratoria di incostituzionalità della normativa regionale posta a fondamento della procedura di affidamento avrebbe travolto l’intera procedura di gara.

Di qui la rilevanza e la pregiudizialità della questione rispetto a tutti gli altri motivi di ricorso, finalizzati a censurare lo svolgimento della gara.

Con sentenza 22 novembre 2016, n. 245, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale prospettate.

La Corte ha ritenuto carente di rilevanza il quesito di costituzionalità, non ritenendo sussistente la legittimazione a ricorrere delle imprese in ragione della mancata presentazione di una domanda di partecipazione alla gara.

Di seguito, gli snodi motivazionali più importanti della decisione in esame:

“[…], le ricorrenti, imprese già affidatarie di servizi di trasporto pubblico su scala provinciale, non hanno preso parte alla gara informale bandita dall’amministrazione regionale ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. n. 163 del 2006, limitandosi a impugnare l’avviso per l’individuazione degli operatori economici recante l’invito a presentare le manifestazioni d’interesse, nella parte in cui dispone l’affidamento su base regionale e in un lotto unico.

La giurisprudenza amministrativa è consolidata nel ritenere che l’impresa che non partecipi alla gara non può contestare la relativa procedura e l’aggiudicazione in favore di imprese terze, perché la sua posizione giuridica sostanziale non è sufficientemente differenziata ma riconducibile a un mero interesse di fatto (Consiglio di Stato, sezione III, 10 giugno 2016, n. 2507; Consiglio di Stato, sezione III, 2 febbraio 2015, n. 491; Consiglio di Stato, sezione VI, 10 dicembre 2014, n. 6048; Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 25 febbraio 2014, n. 9; Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 7 aprile 2011, n. 4).

È anche acquisizione consolidata che «i bandi di gara e di concorso e le lettere di invito vanno normalmente impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento, ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell’interessato» (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 29 gennaio 2003, n. 1).

A queste regole, che discendono dalla piana applicazione alle procedure di gara dei principi generali in materia di legittimazione e interesse a ricorrere, fanno eccezione le ipotesi in cui si contesti che la gara sia mancata o, specularmente, che sia stata indetta o, ancora, si impugnino clausole del bando immediatamente escludenti, o, infine, clausole che impongano oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati o che rendano impossibile la stessa formulazione dell’offerta (Consiglio di Stato, sezione III, 10 giugno 2016, n. 2507; Consiglio di Stato, sezione V, 30 dicembre 2015, n. 5862; Consiglio di Stato, sezione V, 12 novembre 2015, n. 5181; Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 25 febbraio 2014, n. 9; Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 7 aprile 2011, n. 4).

In tali casi, la domanda di partecipazione alla procedura non rileva ai fini dell’impugnazione, o perché è la stessa gara a mancare, o perché la sua contestazione in radice ovvero l’impossibilità di parteciparvi fanno emergere ex se una situazione giuridica differenziata (in capo, rispettivamente, all’impresa titolare di un rapporto giuridico incompatibile con l’indizione della nuova procedura e all’impresa di settore cui è impedita la partecipazione) e una sua lesione attuale e concreta (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 7 aprile 2011, n. 4).

Che il caso all’esame del giudice a quo non rientri in queste ipotesi eccezionali emerge dalla stessa motivazione dell’ordinanza di rimessione, laddove si afferma che le clausole impugnate inciderebbero sulle chanches di aggiudicazione delle ricorrenti che «si ridurrebbero fin quasi ad azzerarsi», mentre, in presenza di una gara dimensionata su base provinciale e suddivisa in lotti, esse «avrebbero moltissime probabilità di aggiudicarsi il servizio, non foss’altro per effetto del vantaggio di essere state le precedenti gestrici dello stesso».

Da tale motivazione non si ricava alcun impedimento certo e attuale alla partecipazione alla gara, bensì la prospettazione di una lesione solo eventuale, denunziabile da parte di chi abbia partecipato alla procedura ed esclusivamente all’esito della stessa, in caso di mancata aggiudicazione.”.

La Corte Costituzionale ha dunque ritenuto che le società ricorrenti non si trovassero in una posizione giuridica sostanziale sufficientemente differenziata, ma fossero titolari di un interesse di mero fatto, non idoneo a giustificare l’impugnazione di una procedura di gara alla quale le medesime società non hanno preso parte.

La Corte ha aggiunto che gli unici casi eccezionali in cui un’azione di annullamento potrebbe essere proposta da un’impresa che non abbia partecipato alla gara sono quelli in cui si contesti che la stessa gara sia mancata o che sia stata indetta, oppure si impugnino clausole del bando immediatamente escludenti, o, infine, clausole che impongano oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati o che rendano impossibile la stessa formulazione dell’offerta.

Situazioni, quelle testé descritte, che il Giudice delle Leggi ha ritenuto non sussistenti nel caso in esame, atteso che le imprese ricorrenti non avrebbero dedotto alcun impedimento certo ed attuale alla partecipazione alla procedura di gara, ma avrebbero prospettato una lesione soltanto eventuale, tuttavia non denunziabile in ragione della mancata partecipazione alla procedura di affidamento.

 

2. Le disposizioni nazionali rilevanti alla luce della giurisprudenza della CGUE e dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

 

La questione pregiudiziale verte sulla possibilità di impugnare gli atti di una gara alla quale la impresa non abbia preso parte quando sia certo ovvero altamente probabile che, per la strutturazione della gara o per la sua disciplina, l’impresa non potrebbe comunque conseguire l’aggiudicazione.

Le disposizioni nazionali pertinenti sono le seguenti:

art. 100 codice di procedura civile che stabilisce: “Per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse”;

art. 39, comma 1, d.lgs. 104/2010 che nello stabilire “Per quanto non disciplinato dal presente codice si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali”, rende applicabili al processo davanti al giudice amministrativo la disciplina del codice.

Tali norme richiedono la sussistenza di un interesse quale condizione per l’accesso alla tutela giurisdizionale.

Tale possibilità di impugnazione, con riferimento alle controversie aventi ad oggetto gare di appalto, viene declinata nel senso che l’operatore economico ricorrente deve essere titolare di una “situazione differenziata e dunque meritevole di tutela, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione”; pertanto “chi volontariamente e liberamente si è astenuto dal partecipare ad una selezione non è dunque legittimato a chiederne l’annullamento ancorché vanti un interesse di fatto a che la competizione – per lui res inter alios acta – venga nuovamente bandita” (così Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 25 febbraio 2014, n. 9, la quale ha riaffermato i principi già elaborati dall’Adunanza Plenaria 7 aprile 2011, n. 4 e dall’ Adunanza Plenaria 29 gennaio 2003, n. 1).

La stessa giurisprudenza nazionale testè richiamata ha enucleato alcune eccezioni a tale principio generale, individuando delle ipotesi in cui anche la ditta che non abbia partecipato alla gara può legittimamente proporre ricorso avverso il relativo bando.

Dette ipotesi eccezionali sono accomunate dall’esigenza cui mirano a rispondere, ossia quella di ampliare la tutela della concorrenza, e ricorrono allorquando:

I. si contesti in radice l’indizione della gara;

II. all’inverso, si contesti che una gara sia mancata, avendo l’amministrazione disposto l’affidamento in via diretta del contratto;

III. si impugnino direttamente le clausole del bando assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti.

La più recente e costante giurisprudenza nazionale si è conformata ai principi sanciti dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (tra le tante, Cons. di Stato, sez. IV, 11 ottobre 2016, n. 4180; sez. III, 26 agosto 2016, n. 3708; sez. IV, 25 agosto 2016, n. 3688; sez. IV, 20 aprile 2016, n. 1560; sez. V, 6 maggio 2015 n. 2256).

Le suindicate decisioni hanno altresì evidenziato come le ragioni per le quali i superiori approdi sono in linea con la giurisprudenza comunitaria (in particolare, Corte giust. UE, Sez. VIII, 21 dicembre 2016, C-355/15, Bietergemeinschaft Technische Gebäudebetreuung GesmbH und Caverion Österreich GmbH, 5 aprile 2016, C-689/13, Puligienica; Sez. X, 4 luglio 2013, C-100/12 Fastweb; Sez. III, 20 settembre 2010, C-314/09 Stadt Graz; 28 gennaio 2010, n. 406/08 Uniplex; Sez. VI, 12 febbraio 2004, C-230/02, Grossman; 19 giugno 2003, C-249/01 Hackermuller).

 

3. Le disposizioni dell’Unione che regolano la fattispecie e di cui è richiesta l’interpretazione.

 

Le disposizioni dell’Unione che rilevano nella fattispecie in esame sono l’art. 1, parr. 1, 2 e 3, e l’art. 2, par. 1, lett. b), della direttiva n. 89/665 CEE, avente ad oggetto il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori.

L’art. 1, par. 1, terzo periodo, stabilisce che: “Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda gli appalti disciplinati dalla direttiva 2004/18/CE, le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, quanto più rapido possibile, secondo le condizioni previste negli articoli da 2 a 2 septies della presente direttiva, sulla base del fatto che hanno violato il diritto comunitario in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici o le norme nazionali che lo recepiscono.”.

Il par. 2 della medesima disposizione prevede che: “2. Gli Stati membri garantiscono che non vi sia alcuna discriminazione tra le imprese suscettibili di far valere un pregiudizio nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto, a motivo della distinzione effettuata dalla presente direttiva tra le norme nazionali che recepiscono il diritto comunitario e le altre norme nazionali.”.

Il terzo paragrafo dispone che: “3. Gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo modalità che gli Stati membri possono determinare, a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione.”.

L’art. 2, paragrafo 1, lett. b), è così formulato: “1. Gli Stati membri provvedono affinché i provvedimenti presi in merito alle procedure di ricorso di cui all’articolo 1 prevedano i poteri che consentono di:

[…]

b) annullare o far annullare le decisioni illegittime, compresa la soppressione delle specifiche tecniche, economiche o finanziarie discriminatorie figuranti nell’invito a presentare l’offerta, nei capitolati d’oneri o in ogni altro documento connesso con la procedura di aggiudicazione dell’appalto in questione;”.

 

4. I motivi del rinvio pregiudiziale: oggetto e rilevanza.

 

Occorre preliminarmente osservare che, nelle more del giudizio dinnanzi alla Corte Costituzionale, la Regione Liguria ha emanato la Legge regionale 9 agosto 2016, n. 19, recante “Modifiche alla legge regionale 7 novembre 2013, n. 33 (Riforma del sistema del trasporto pubblico regionale e locale) ed altre modifiche normative in materia di trasporto pubblico locale”.

A decorrere dal 12 agosto 2016, la L.R. Liguria n. 19/2016 ha integralmente sostituito gli artt. 9 e 14 della L.R. n. 33/2013, sui quali pendeva la questione di legittimità costituzionale sollevata da questo Tribunale.

In particolare, le nuove disposizioni non prevedono più, per l’esercizio dei servizi di trasporto terrestre e marittimo, un unico bacino ottimale su scala regionale (ma quattro ambiti territoriali omogenei), né un lotto unico, prevedendosi che “Gli enti affidanti definiscono lotti di gara di dimensioni che garantiscano la più ampia partecipazione alle procedure di affidamento, secondo modalità non discriminatorie” (così il novellato art. 14, comma 4).

Il legislatore regionale, pertanto, ha condiviso le doglianze espresse con il ricorso e fatte proprie dal Tribunale con l’ordinanza di rimessione e ha modificato la legge.

Successivamente l’autorità preposta alla gestione della gara ha comunicato che la stessa non avrebbe più avuto seguito.

La Corte Costituzionale ha comunque affrontato la questione di legittimità costituzionale della normativa abrogata, affermando che “Lo ius superveniens non impone la restituzione degli atti al rimettente, poiché è ininfluente nel giudizio a quo, ove si discute della legittimità di provvedimenti amministrativi da valutare in base al principio tempus regit actum”.

Ciò premesso giova evidenziare che la questione pregiudiziale che verrà posta verte sull’interpretazione della condizione dell’azione rappresentata dall’interesse di un’impresa a proporre ricorso giurisdizionale avverso gli atti di una procedura di gara alla quale la medesima impresa non ha preso parte, qualora il ricorso sia volto a contestare in radice la gara stessa, nell’ipotesi in cui la mancata partecipazione alla procedura di gara sia dovuta alla stessa disciplina di gara (che viene contestata con l’azione giudiziaria), che rende certa o altamente probabile l’impossibilità di conseguire l’aggiudicazione della gara.

La giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato afferma che, con riferimento alle controversie aventi ad oggetto gare di appalto, sia legittimato a proporre il ricorso esclusivamente l’operatore economico che abbia partecipato alla procedura oggetto di contestazione, giacché solo in tale ipotesi il ricorrente sarebbe titolare di una situazione differenziata e dunque meritevole di tutela.

A tale regola generale fanno eccezione talune ipotesi tra le quali, per quel che rileva nel caso in esame, l’eventualità in cui il ricorrente contesti in radice la procedura di gara, atteso che, in tale caso, “la mancata partecipazione alla gara, ostativa all’ammissibilità del ricorso, è del tutto equiparabile alla situazione di chi ne sia stato legittimamente escluso (si veda di recente Ad Plen. n. 9 del 2014; successivamente Cons. Stato, Sez. V, n. 2256 del 2015).” (in questi termini Cons. di Stato, sez. IV, 20 aprile 2016, n. 1560).

La sentenza della Corte Costituzionale n. 245/2016 propone un’interpretazione del requisito processuale dell’interesse ad agire tale per cui sarebbe inammissibile il ricorso proposto dalla impresa che non ha partecipato alla gara quando non sarebbe assolutamente certo ma soltanto altamente probabile che, per effetto della strutturazione della gara (ad esempio dimensione dei lotti) ovvero per effetto della normativa di gara l’impresa stessa non potrebbe conseguire l’aggiudicazione. A tal riguardo il Collegio rileva che l’autorevolissimo precedente della Corte costituzionale italiana è già stato ripreso da alcune sentenze del Consiglio di Stato (C.S. IV 6 febbraio 2017 n. 481, C.S. III, 3 febbraio 2017 n. 474) onde il consolidarsi di un’interpretazione che può preludere alla formazione del diritto vivente nel senso, restrittivo della possibilità di accedere alla tutela giurisdizionale, stabilito dalla pronuncia della Corte costituzionale italiana. Evidenti appaiono le conseguenze sull’effettività della tutela del diritto alla concorrenza di tale ultimo orientamento. La possibilità di accedere alla tutela giurisdizionale sarebbe condizionata alla partecipazione alla gara, partecipazione che comporta di per sé rilevanti oneri, e ciò anche nel caso in cui l’impresa intendesse contestarne la legittimità per essere la gara stessa eccessivamente restrittiva della concorrenza, partecipazione che si renderebbe del tutto inutile dal momento che le chances di aggiudicazione sarebbero, fin dall’inizio, inesistenti o estremamente limitate.

La questione interpretativa pregiudiziale di seguito posta sono dirimenti ai fini dell’ammissibilità dell’originario ricorso, con conseguenti ripercussioni in ordine alla statuizione sulle spese del giudizio de quo.

Invero, qualora dovesse ritenersi che l’azione di annullamento volta a sindacare l’intera procedura di gara integri una di quelle ipotesi eccezionali in cui si considera legittimato a ricorrere l’operatore economico che non abbia preso parte alla gara, il giudizio dovrebbe concludersi con una sentenza dichiarativa della cessazione della materia del contendere, in ragione dell’emanazione della L.R. Liguria n. 19/2016 che ha abrogato le disposizioni della L.R. Liguria n. 33/2013 su cui verteva la questione di legittimità costituzionale.

In tale ipotesi, le spese processuali e anche il contributo unificato, nella specie ammontante a €. 12.000, verrebbero, in ossequio al principio della soccombenza virtuale, poste a carico della parte resistente con conseguente rifusione delle stesse in favore delle ricorrente.

Per contro, nel caso in cui si dovesse accogliere l’opzione ermeneutica prospettata dalla sentenza n. 245/2016 della Corte Costituzionale, e si considerassero dunque le società ricorrenti non legittimate ad impugnare gli atti di gara, il giudizio dovrebbe concludersi con una dichiarazione di inammissibilità della domanda per difetto di interesse ad agire, con conseguente ripartizione delle spese a carico delle ricorrenti.

Tale soluzione renderebbe estremamente difficile l’esercizio della tutela giurisdizionale in materia di concorrenza dal momento che, anche nelle ipotesi in cui la domanda giudiziale fosse fondata a tal punto da indurre il legislatore a mutare, successivamente alla proposizione del ricorso, la disciplina legislativa contestata, il soggetto che l’avesse proposta dovrebbe soggiacere al pagamento di ingenti spese processuali. Tale evenienza scoraggerebbe inevitabilmente la proposizione di simili azioni.

 

5. Questione pregiudiziale.

“Se gli artt. 1, parr. 1, 2 e 3, e l’art. 2, par. 1, lett. b), della direttiva n. 89/665 CEE, avente ad oggetto il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, ostino ad una normativa nazionale che riconosca la possibilità di impugnare gli atti di una procedura di gara ai soli operatori economici che abbiano presentato domanda di partecipazione alla gara stessa, anche qualora la domanda giudiziale sia volta a sindacare in radice la procedura, derivando dalla disciplina della gara un’altissima probabilità di non conseguire l’aggiudicazione”.

 

6. Sospensione del giudizio e disposizioni per la Segreteria.

 

Si rimettono all’esame della CGUE le sopra esposte questioni di corretta interpretazione del diritto eurounitario.

Ai sensi delle Raccomandazioni si dispone che la segreteria di questo Consiglio trasmetta alla cancelleria della Corte, all’indirizzo di Rue du Fort Niedergrünewald, L-2925 Lussemburgo, mediante plico raccomandato, il fascicolo di causa.

Visto l’art. 79 c.p.a. e il punto 29 delle Raccomandazioni, il presente giudizio viene sospeso nelle more della definizione del procedimento incidentale di rinvio, e ogni ulteriore decisione, anche in ordine alle spese, è riservata alla pronuncia definitiva, una volta ricevuta la notificazione della decisione emessa dalla CGUE (punto 34 delle Raccomandazioni).

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Seconda) non definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dispone il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’U.E., per la soluzione del quesito formulato in motivazione, per l’effetto sospendendo il giudizio nelle more della definizione del procedimento incidentale di rinvio pregiudiziale.

Dispone la trasmissione alla cancelleria della Corte di Giustizia U.E. del fascicolo della causa.

Spese al definitivo.

Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Roberto Pupilella, Presidente

Luca Morbelli, Consigliere, Estensore

Angelo Vitali, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Luca Morbelli Roberto Pupilella

IL SEGRETARIO

 

Redazione

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